Copertina
Autore Luigi Irdi
Titolo Il peccato nascosto
SottotitoloLo scandalo dei preti pedofili e i silenzi della Chiesa
EdizioneNutrimenti, Roma, 2010, Igloo/società 38 , pag. 176, cop.fle. dim. 13x21x1 cm , Isbn 978-88-95842-58-5
CuratoreLuigi Irdi
LettoreGiovanna Bacci, 2010
Classe chiesa , religione , paesi: Irlanda , paesi: Italia
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Indice


Premessa                                  7

Lo scandalo irlandese

    Il rapporto Murphy                   15
    Padre Bill Carney                    43
    Padre Harry Moore                    55
    Padre James McNamee                  61
    Padre Donald Gallagher               67
    Padre Edmondus                       73
    Ratzinger sapeva?                    83

Le vicende italiane

    Don Ruggero Conti                    95
    Don Giorgio Carli                   121
    Don Mauro Stefanoni                 135
    L'istituto Valsalice                143
    Don Pierino Gelmini                 151
    Appendice                           159

Sitografia                              173


 

 

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Pagina 7

Premessa



Nel dicembre del 2009 una commissione d'inchiesta, nominata dal governo irlandese per indagare sulle responsabilità delle gerarchie della Chiesa cattolica nella gestione di casi di abusi sessuali e pedofilia da parte di esponenti del clero irlandese, ha pubblicato il suo rapporto conclusivo. La commissione, presieduta dal magistrato Yvonne Murphy, ha messo in luce i comportamenti omissivi e in molti casi omertosi con cui vescovi e arcivescovi dell'arcidiocesi di Dublino hanno affrontato il fenomeno delle violenze sessuali nei confronti di bambini e ragazzi commesse all'interno delle parrocchie e delle istituzioni assistenziali governate dalla Chiesa, scuole e ospedali.

Eccezion fatta per alcuni articoli apparsi sulla stampa italiana con estrema parsimonia (le televisioni lo hanno sistematicamente ignorato), il rapporto Murphy non ha avuto in Italia l'eco che probabilmente merita e questo è già un buon motivo per tradurre le parti più significative del documento e metterle a disposizione del pubblico in questo volume.

Le conclusioni che gli inquirenti irlandesi traggono sono chiarissime. Per molti anni l'unica preoccupazione delle gerarchie ecclesiastiche chiamate a misurarsi con questo problema è stata quella di tutelare, ben prima delle vittime degli abusi, il buon nome della Chiesa, la sua reputazione e, non ultimi, i suoi cospicui beni materiali messi a repentaglio dalle richieste di risarcimento avanzate da chi quegli abusi ha subito. Troncare e sopire è stata la regola: lasciare che fosse il tempo a diluire la rabbia delle vittime, sperando che dimenticassero o perdonassero.

Solo recentemente, nell'impossibilità di ignorare ulteriormente gli scandali che sono esplosi prima negli Stati Uniti, nella diocesi di Boston, poi in Irlanda, la Santa Sede e papa Benedetto XVI hanno mostrato l'intenzione di fronteggiare con determinazione i casi di pedofilia e abusi sessuali e correre ai ripari. Il 16 febbraio 2010, al termine di un summit di due giorni con l'episcopato irlandese, Benedetto XVI ha comunicato urbi et orbi la sua volontà di fare chiarezza sulle responsabilità delle gerarchie irlandesi e di fare pulizia nelle file dei preti. Ha perfino annunciato una svolta che tutti i commentatori hanno considerato straordinariamente innovativa, e cioè la volontà di collaborare con la magistratura e gli altri organi giurisdizionali civili. Inoltre ha ammesso, con parole di una prudenza probabilmente eccessiva, che in passato "sono stati commessi errori di valutazione e omissioni".

A dire il vero, la presa di posizione delle voci ufficiali del Vaticano sul problema è apparsa, anche la più recente, povera e deludente. È difficile far capire alle vittime di violenze sessuali da parte di preti che si è trattato di 'errori' e non semplicemente di crimini. Anche la volontà espressa di collaborare con le autorità civili cosa vuol dire veramente? Qual è la linea? Collaborare con gli investigatori se e quando i casi di abuso sessuale emergono, o denunciare anche quelli che non sono emersi? Il papa non lo spiega. C'è poi infine da dire, e questo libro ne può dare ampia prova, che l'intervento di Benedetto XVI del febbraio 2010 ha concentrato la sua attenzione sul caso irlandese, portato alla luce in modo fragoroso dal rapporto Murphy e, prima ancora, dal rapporto Ryan. Non una parola sull'Italia, per esempio, dove non mancano certo i casi di pedofilia e abusi sessuali commessi da preti e prelati di rango. Nelle pagine che seguono il lettore troverà esempi a dir poco imbarazzanti di come la Chiesa, in Italia, ha spesso ostacolato, ignorato, o coperto con la più genuina omertà, storie di preti violentatori e criminali, risparmiando con stupefacente parsimonia ogni parola che potesse suonare di solidarietà, comprensione e rammarico nei confronti delle vittime.

Il peccato nascosto esce dunque in libreria in un momento di grandi turbolenze per Santa Romana Chiesa e per il pontefice Benedetto XVI. Sempre nel febbraio scorso proprio il papa ha voluto diffondere un comunicato ufficiale, sulla scia del caso Boffo (l'ex direttore di Avvenire costretto alle dimissioni da una sinistra operazione mediatica messa in atto dal direttore del Giornale, Vittorio Feltri, e fondata sulla pubblicazione di veline anonime), denunciando l'esistenza di una "campagna diffamatoria contro la Santa Sede che coinvolge lo stesso romano pontefice". Quella di gridare al complotto è in Italia un'abitudine diffusa, soprattutto quando mancano argomenti migliori e più solidi, e così è possibile che anche la pubblicazione di questo libro venga inserita nelle manovre oblique di un qualche partito iperlaicista ansioso di sabotare la parola e l'autorità di Santa Romana Chiesa. Pazienza.

Il governo di Dublino, proprio per la grande importanza e presenza che la Chiesa cattolica ha nella società irlandese, non ha esitato a creare una commissione d'inchiesta indipendente per cercare di avvicinarsi alla verità e capire quanto esteso fosse il fenomeno della pedofilia all'interno delle istituzioni della Chiesa. Il lettore potrà costruire la propria opinione leggendo le pagine dedicate al caso irlandese. Ma si potrebbe mai immaginare una scelta simile da parte di un governo italiano, di destra o di sinistra che sia? Chi avrebbe mai il coraggio di affidare un'indagine del genere a una commissione d'inchiesta indipendente? Quale politico italiano sarebbe mai disposto a sfidare i furori dell'episcopato pur di far luce su un fenomeno che nel nostro paese è diffuso quanto e forse più che in Irlanda? È con tutta evidenza un'ipotesi puramente fantastica.

Eppure l'Italia, il cuore di Santa Romana Chiesa, è tutto fuorché immune da storie spesso anche atroci di pedofilia, di autentiche sevizie nei confronti di bambini (come nel caso della piccola Alice e di don Giorgio Carli, a Bolzano), di abusi da parte di educatori in tonaca che sfruttano l'ascendente che un prete può avere nei confronti di un bambino e della sua famiglia per commettere delitti intollerabili. È per questo che, accanto al rapporto Murphy, Il peccato nascosto pubblica alcune storie italiane, solo un piccolo campione di ciò che si può trovare più o meno sepolto nelle cronache locali dei quotidiani, nelle procure della Repubblica che talvolta sono chiamate a intervenire.

Le violenze subite, e subite proprio da parte di coloro che si propongono come educatori e come sostegno caritatevole di ragazzi nella stragrande maggioranza dei casi provenienti da famiglie relegate nella marginalità sociale, generano nelle vittime, nella loro formazione, nella loro vita, conseguenze indelebili. Lo spiega bene il drammatico dialogo che pubblichiamo tra il pubblico ministero della Procura della Repubblica di Roma, Francesco Scavo, e un teste d'accusa nel processo in corso a Roma contro l'ex parroco della Natività di Maria Santissima, don Ruggero Conti. Dice il teste: "Io tuttora all'università non so con chi studiare perché non mi fido di nessun collega a cui dire 'studiamo insieme', perché non mi posso fidare fino a quando io non le reputo degne. E non lo potranno mai essere, perché le persone che sono state reputate degne da altri e che hanno avuto a che fare con me, mi hanno fatto soffrire. Questo è quello che provo ora, ecco perché tremo e sono nervoso e c'ho la voce lacrimante; perché se potessi piangerei".

È bene ripeterlo: in questo volume il lettore troverà solo un piccolo campionario di una realtà molto più estesa di quanto si possa pensare. E il lato più oscuro e oscurato della vita della Chiesa nel nostro paese. Se davvero Benedetto XVI ha deciso di illuminare questo angolo buio senza ipocrisie e di emendare il grande corpo della Chiesa da questo maleficio, tutti i credenti non potranno che rallegrarsene.


Un'ultima avvertenza. Nelle storie raccontate in questo libro spesso sono stati usati nomi di fantasia nell'intento di tutelare soprattutto le vittime degli abusi. Lì dove compaiono nomi autentici, nel caso di preti responsabili e vescovi coinvolti, è solo perché essi sono già venuti ampiamente alla luce. Le vicende narrate, infine, sono state in alcuni casi ricostruite attraverso documentazione giudiziaria, rapporti di indagini investigative dei carabinieri o della polizia, deposizioni di testi davanti ai pubblici ministeri o in aule di tribunale. I loro racconti sono talvolta molto crudi, e ciononostante è stato deciso di non addolcirli né attenuarli, per mantenere intatta la percezione dei fatti, così come essi sono avvenuti.

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Pagina 15

Il rapporto Murphy



Senza i giornalisti e senza una televisione libera non ci sarebbe stata nessuna commissione d'inchiesta. Ma in Irlanda fortunatamente la stampa è libera davvero e così se oggi lo scandalo degli abusi sessuali sui bambini da parte di esponenti del clero cattolico irlandese è sotto gli occhi dell'opinione pubblica mondiale e ha costretto anche il Vaticano a guardare in faccia una realtà che le gerarchie avrebbero volentieri continuato a ignorare, lo si deve alla tv nazionale, la Rté, che nell'ottobre del 2002 ha trasmesso l'ormai celeberrimo documentario inchiesta Cardinal Secrets.

Rimbalzato in tutto il mondo, su canali televisivi e siti internet, il documentario fu allora un pugno nello stomaco soprattutto per l'universo cattolico. L'immagine di Santa Romana Chiesa ne uscì devastata e ancora oggi il Vaticano di Joseph Ratzinger annaspa nel tentativo di uscirne nel miglior modo possibile, ammesso che se ne possa uscire, dopo tanto tempo e tanti colpevoli silenzi.

È da quella trasmissione che nasce anche la commissione Murphy, una commissione d'inchiesta nominata dal governo irlandese con il compito di scavare a fondo in questo buio incubo.

Presieduta dal giudice Yvonne Murphy, un magistrato con una lunga esperienza di indagini su abusi sessuali nei confronti di bambini perpetrati da parenti, maestri, professori e preti, la commissione ha cominciato i suoi lavori nel marzo del 2006 e ha affrontato con determinazione le responsabilità dei vertici dell'arcidiocesi di Dublino nella copertura di preti responsabili di non poche nefandezze, in un arco di tempo che va dal gennaio 1975 al 30 aprile 2004.

Subito, all'inizio del suo lavoro, Yvonne Murphy si è resa conto insieme ai suoi collaboratori di trovarsi davanti a un mare sinistro e sicuramente più vasto di quanto era lecito aspettarsi. Oggi è facile presumere che, se gli investigatori hanno ristretto la loro analisi a un campione di casi, studiandone e analizzandone solo quarantasei, il fenomeno ha avuto nel passato dimensioni decisamente più inquietanti.

Nel dicembre del 2009, la commissione Murphy ha pubblicato il suo rapporto conclusivo, al termine di un lungo lavoro di revisione della prima bozza.

Dal rapporto sono state escluse tutte le informazioni che potranno condurre a nuove indagini giudiziarie e molti elementi che avrebbero condotto facilmente all'identificazione di testimoni ascoltati a porte chiuse, che invece hanno chiesto di essere protetti dalla curiosità del pubblico.

Pur nel sapore di un documento ufficiale e quindi redatto in uno stile freddo e talvolta distante dalla repulsione istintiva che la narrazione di alcuni episodi suscita, il rapporto Murphy rimane un testo sconvolgente. Non solo perché racconta l'aberrazione di singoli individui, ma soprattutto perché documenta in modo spietato la noncuranza, la superficialità, e spesso la vigliaccheria con cui alti esponenti della Chiesa di Cristo, vescovi, arcivescovi e cardinali, su fino alle più alte gerarchie, hanno affrontato questi casi.

Nascondere, tacere, seppellire, dimenticare. Queste sono state le parole d'ordine seguite dai prelati che avevano il dovere e la responsabilità non solo di reprimere i comportamenti che di volta in volta venivano a galla, ma anche di dare assistenza e sostegno alle piccole vittime degli abusi sessuali.

La commissione Murphy, infatti, non è stata costituita per accertare l'autenticità dei fatti denunciati dalle vittime, bensì per analizzare il comportamento delle gerarchie davanti a essi.

A raccontare la terribile realtà di numerose scuole e istituti cattolici aveva già pensato un precedente rapporto, conosciuto come rapporto Ryan, una lunga indagine che ha portato alla luce il trattamento disumano subito per decenni da decine di migliaia di bambini in istituti e scuole industriali irlandesi, per lo più gestite da congregazioni e ordini religiosi.

Il rapporto Ryan, pubblicato nella primavera del 2009, descrive la realtà crudele e sofferente, fatta di violenze, percosse, abusi e stupri, in cui hanno vissuto per decenni decine di migliaia di bambini, in genere orfani o provenienti da famiglie in povertà, accolti nelle scuole industriali cattoliche irlandesi.

Su queste vicende il regista Peter Mullan aveva costruito già nel 2002 il film The Magdalene Sisters, vincitore del Leone d'oro alla mostra del cinema di Venezia, che tuttavia non ha trovato, come era prevedibile, grande spazio nei circuiti cinematografici italiani, men che mai in quelli televisivi.

Il rapporto Murphy ha dunque un altro approccio e concentra la sua attenzione sulle responsabilità delle gerarchie ecclesiastiche. Entra nelle strutture e nei meccanismi che all'epoca dei fatti hanno governato l'arcidiocesi di Dublino, esamina i comportamenti dei singoli prelati, analizza e spiega l'intervento delle leggi canoniche e le procedure stabilite dalla Chiesa di Roma per trattare i casi di abusi sessuali sui bambini e quello che la stessa Chiesa definisce "il più terribile dei crimini": la violazione dell'innocenza.

La commissione Murphy ha lavorato su segnalazioni, sospetti o vicende accertate che coinvolgono in totale centosettantadue preti, identificati con nome e cognome, e undici preti di cui non si è riuscita a stabilire l'identità. Dopo un primo esame preliminare la commissione ha deciso di tralasciare centodue di questi casi, ritenendo che non ricadessero nei limiti del suo mandato governativo.

Numerosi sacerdoti hanno ammesso i loro comportamenti illeciti, altri li hanno negati. Tra i preti indagati dalla commissione, uno ha ammesso di aver abusato nel tempo di oltre cento bambini, un altro di averlo fatto almeno due volte al mese per tutto il periodo in cui è durato il suo ministero, e cioè venticinque anni.

In un altro caso, la commissione si era trovata a dover investigare un solo episodio di violenza sessuale a carico di un prete che tuttavia ne ha confessati altri sei.

In totale, i casi esaminati riguardano oltre trecento bambini, in maggioranza, per almeno due terzi, maschi. Dei quarantasei sacerdoti coinvolti nell'inchiesta, undici si sono dichiarati colpevoli o sono stati condannati dalla legge penale per aggressioni a sfondo sessuale.

Dei quarantasei preti coinvolti direttamente nell'inchiesta, undici appartengono o appartenevano a ordini religiosi riconosciuti; quattro sono morti; altri quattro vivono ancora con i loro confratelli pur essendo loro interdetta l'attività sacerdotale; un altro è stato espulso dall'ordine di appartenenza e vive in libertà in un'altra diocesi; un prete fa parte di una diocesi britannica e di lui si sono perse le tracce.

Dei trentaquattro preti dell'arcidiocesi di Dublino, dieci sono morti; quattro sono ancora in attività; venti hanno lasciato il sacerdozio. Di questi ultimi, undici hanno ricevuto sostegno finanziario da parte dell'arcidiocesi di Dublino e vivono sotto le restrizioni loro imposte dall'arcivescovo Martin; nove sono stati ridotti allo stato laicale.

Le rivelazioni, del rapporto Ryan prima e del rapporto Murphy poi, sono state definite uno "tsunami per la Chiesa". Un vero terremoto che ha scosso in profondità l'istituzione. La linea scelta immediatamente dal Vaticano è stata quella di mostrare sorpresa e sgomento. Il messaggio è stato chiaro: mai avremmo pensato che lo scandalo fosse di queste proporzioni e gravità.

Esponenti dell'arcidiocesi di Dublino e altre fonti ufficiali ecclesiastiche hanno spesso affermato che, fino alla fine degli anni Novanta, la Chiesa era impegnata "nello studio del problema" ma che certo i risultati delle indagini sono andate ben oltre ogni immaginazione. Uno stupore che non ha convinto la commissione Murphy. Queste dichiarazioni sono state ritenute "insincere".

Ciò che appare, invece, è che la vera preoccupazione dell'arcidiocesi di Dublino davanti ai casi di abusi sessuali, almeno fino alla metà degli anni Novanta, è stata quella di tenere segreto lo scandalo, proteggere la reputazione della Chiesa e tutelare i suoi beni materiali. Ogni altro elemento, compresa l'assistenza alle piccole vittime, è stato subordinato a queste priorità.

Al contrario, l'arcidiocesi di Dublino non solo non ha applicato le leggi canoniche ma ha fatto di tutto per evitare anche l'intervento della legge dello Stato.

La situazione è migliorata gradualmente nella seconda metà degli anni Novanta. Da quando cioè le denunce di abusi sessuali hanno cominciato a essere comunicate dalle autorità ecclesiastiche anche alle autorità di polizia, pur non esistendo in proposito nessun obbligo giuridico. Ma per lungo tempo, questo non è avvenuto.

Ciò che rende molto difficile accettare i "non sapevamo" delle autorità ecclesiastiche è che il personale dell'arcidiocesi di Dublino che ha avuto a che fare con i casi di violenza era composto da individui decisamente istruiti, esperti in diritto canonico e spesso qualificati anche nel diritto civile.

Gli abusi sessuali sui bambini non sono cominciati nel ventesimo secolo. Da tempo immemorabile, il diritto canonico ha considerato questo un delitto, oltre che un peccato, e un crimine per la legge civile. È davvero difficile accettare che l'ignoranza della legge, canonica o civile che sia, possa essere un argomento di difesa per le gerarchie ecclesiastiche.

Esiste una storia lunga duemila anni di affermazioni contenute nella Bibbia, nelle dichiarazioni papali e della Santa Sede che dimostra la consapevolezza del fenomeno degli abusi sessuali sui bambini da parte del clero. Nei secoli si sono susseguite numerose e decise denunce da parte di pontefici, concili e altre fonti ecclesiastiche. E si tratta di prese di posizione particolarmente determinate proprio nei confronti dei delitti contro natura e delle offese portate all'infanzia.

Già nel 1917 il codice canonico decretò la dismissione dall'ufficio o l'espulsione dallo stato clericale per chi si fosse reso responsabile di simili delitti. Nel ventesimo secolo le autorità vaticane hanno promulgato due diversi documenti sull'argomento, che tuttavia a Dublino sembrano essere passati inosservati. Sebbene gran parte delle accuse siano emerse dal 1995 in avanti, molte denunce descritte nel rapporto della commissione sono arrivate all'attenzione dell'arcidiocesi già negli anni Settanta e Ottanta. Nel 1981, l'arcivescovo Dermot Ryan dimostrò di conoscere con chiarezza il problema dei responsabili di abusi sessuali e dei loro comportamenti recidivi. E l'arcidiocesi, a metà degli anni Ottanta, si informò della possibilità di ottenere coperture assicurative per far fronte a eventuali richieste di indennizzi, assicurazione poi stipulata nel 1987.

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Pagina 24

La responsabilità di vescovi e arcivescovi


I preti che hanno usato violenza ai bambini sono direttamente e personalmente responsabili delle loro azioni e questa responsabilità non è certo trasferibile sui loro vescovi o sui loro ordini di appartenenza. Ma i superiori portano altre responsabilità: devono garantire che essi non siano protetti dal loro status e che non godano di trattamenti di favore; devono garantire che non siano immuni dalla legge civile né consentire che, nel loro contatto privilegiato con i bambini, tornino a commettere crimini.

Come si può facilmente dedurre dall'esame dei singoli casi, non c'è alcun dubbio che, almeno all'inizio del periodo preso in considerazione dalla commissione Murphy, la reazione della Chiesa sia stata di assicurarsi che il minor numero di persone possibile venisse a conoscenza dei delitti dei singoli preti.

Non c'era, nella Chiesa, alcuna preoccupazione per la condizione dei bambini vittime di violenze o per i bambini che avrebbero potuto entrare in contatto con i preti compromessi. Dinieghi, arroganza, coperture, incompetenza e in alcuni casi incomprensione: questo hanno trovato coloro che hanno denunciato gli abusi. Normalmente ai denuncianti non veniva detto che altre vicende di abuso sessuale erano state dimostrate o ammesse. L'atteggiamento nei loro confronti era di prepotenza e in alcuni casi decisamente subdolo. Tutti gli arcivescovi e molti dei vescovi ausiliari, nel periodo esaminato dalla commissione, hanno gestito malissimo le denunce sugli abusi sessuali.

In quell'arco di tempo si sono succeduti quattro arcivescovi (McQuaid, Ryan, McNamara e Connell). Nessuno di loro, dal 1960 alla fine degli anni Ottanta, ha mai condiviso la consapevolezza degli abusi sessuali sui bambini con la polizia irlandese. Solo nel 1995 l'arcivescovo Connell ha passato alla polizia le notizie di cui disponeva in relazione ai casi che vedevano coinvolti diciassette preti. Ma all'interno dell'arcidiocesi molti erano a conoscenza di almeno altri ventotto casi.

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Pagina 33

La vastità del fenomeno


Il rapporto Murphy si occupa soltanto dell'arcidiocesi di Dublino, ma ve ne sono altre in cui sono emersi casi di violenze sessuali sui bambini. Il rapporto Ferns elenca almeno un centinaio di accuse o denunce presentate dal 1966 al 2005 contro ventuno preti che operavano nella diocesi di Ferns.

Il procuratore generale del Massachusetts, negli Stati Uniti, si è occupato dell'arcidiocesi di Boston, che conta una popolazione cattolica di circa due milioni di persone, identificando duecentocinquanta preti e altri dipendenti dell'arcidiocesi, accusati di aver abusato di almeno settecentottantanove bambini dal 1940 a oggi.

Lo scandalo di Boston ha avuto proporzioni e conseguenze devastanti. Diverse diocesi della Chiesa cattolica negli Stati Uniti (a Sante Fe, Dallas, Lafayette, Los Angeles e nella contea di Orange) hanno dissanguato le loro finanze in risarcimenti, nel disperato tentativo di mettere a tacere le vittime degli abusi sessuali.

Al contrario di ciò che accade in Italia, culla della cristianità che ospita il Vaticano e il papa, dove vicende di questo tipo sfiorano le pagine dei giornali con distrazione e poi svaniscono nel nulla, negli Stati Uniti l'opinione pubblica ha seguito con passione e partecipazione l'emergere di quella che per migliaia di bambini è stata una tragedia dell'infanzia e soprattutto ha scoperto, grazie a un'azione giudiziaria e all'iniziativa di pochi intrepidi avvocati, l'omertà ecclesiastica con cui per decenni le violenze sono state coperte e nascoste alla giustizia.

Il procuratore distrettuale di Boston ha scritto: "I diffusi abusi sessuali sui bambini nell'arcidiocesi di Boston sono stati causati da una forma di accettazione che definirei istituzionale di queste violenze e da un fallimento totale della leadership della Chiesa. Per almeno sessant'anni tre arcivescovi e i loro vescovi ausiliari hanno agito lasciandosi guidare da priorità tragicamente sbagliate. Hanno scelto di proteggere l'immagine e la reputazione della loro istituzione piuttosto che l'incolumità e il benessere dei bambini che erano stati loro affidati. Hanno agito in base a un'idea di riservatezza fuorviante e sbagliata".

Per tornare a Dublino, la commissione Murphy ha identificato circa trecentoventi persone che hanno presentato proteste e denunce per violenze sessuali su bambini, in relazione ai quarantasei preti i cui casi sono riportati, nel periodo dal 1975 al 2004. Le affermazioni conclusive del rapporto Murphy non sono dissimili da quelle del procuratore distrettuale di Boston. Scrivono i giudici della commissione Murphy: "La commissione non ha alcun dubbio sul fatto che l'arcidiocesi di Dublino e altre autorità ecclesiastiche abbiano coperto con un velo di omertà gli abusi sessuali compiuti da alcuni preti sui bambini. La struttura e le regole interne della Chiesa hanno senz'altro favorito questa copertura. L'assistenza per i bambini, che avrebbe dovuto essere la massima priorità da parte della Chiesa, nelle prime fasi non è stata nemmeno presa in considerazione. L'attenzione è stata tutta concentrata sul tentativo di soffocare lo scandalo e di tutelare non solo il nome e la reputazione della Chiesa, ma anche i suoi beni e, ovviamente, i suoi membri più in vista".

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Padre Bill Carney



William (Bill) Carney è nato nel 1950 ed è stato ordinato sacerdote a Dublino nel 1974. Nel 1992 è stato ridotto allo stato laicale.

Carney è stato un violentatore seriale di bambini, maschi e femmine indifferentemente. A suo carico esistono elementi che lo collegano ad almeno trentadue casi di abusi sessuali, ma ci sono prove di violenze compiute su un numero decisamente superiore di vittime.

Ha potuto avvicinare moltissimi ragazzi nelle case di ospitalità, molti li ha anche accompagnati nelle vacanze estive o li ha portati in piscina a nuotare. In due casi si è dichiarato colpevole di violenza sessuale e l'arcidiocesi di Dublino ha pagato indennizzi per sei delle sue vittime.

Carney è stato uno dei casi più importanti esaminati dalla commissione Murphy. Esistono anche prove che dimostrano come egli abbia agito con la complicità di altri preti, Francis McCarthy e Patrick Maguire. Parecchi testimoni lo hanno descritto come un tipo rozzo e dalle abitudini equivoche.

Quando Carney riceve i voti nel 1974, il responsabile del Clonliffe College scrive all'arcivescovo Dermot Ryan affermando che padre Carney si dimostra "molto interessato alla cura dei bambini" e in particolare di quelli meno dotati.

Poi Carney riceve la sua prima nomina come insegnante alla Ballyfermot Vocational School e contemporaneamente svolge compiti di cappellano del convento di Walkinstown. L'anno successivo però Carney chiede all'arcivescovo il permesso di lasciare il convento per trasferirsi a Ballyfermot in modo da "essere più vicino e disponibile per i ragazzi e le loro famiglie".

Tra il 1977 e il 1978 padre Carney ha un'idea, per dir così, innovativa, e presenta alcune domande per ottenere dei ragazzi in affidamento, suscitando lo stupore di alcuni assistenti sociali, dato che non è assolutamente prassi che vengano concessi ragazzi in affidamento a membri del clero. In quel periodo questo non è concesso nemmeno ai laici non sposati e così la domanda di padre Carney finisce nel nulla. Ma il prete ci riprova nel 1980, ne accenna al vescovo Kavanagh e lui risponde che tutto sommato non gli sembra affatto una cattiva idea. In una lettera all'arcivescovo, inoltre, Carney racconta di aver pranzato insieme al ministro della Sanità Michael Woods, che non vede ostacoli. In particolare padre Carney chiede di ottenere in affidamento un ragazzo che ha conosciuto in un istituto; e sarà proprio questo ragazzo, negli anni seguenti, a denunciare abusi sessuali.

Nel periodo in cui frequenta il Clonliffe College, dal 1968 al 1974, per Carney è un'abitudine far visita agli istituti di assistenza per i bambini. Con particolare assiduità si reca al Saint Joseph e all'istituto The Grange, collegi dai quali arriveranno in seguito proteste e denunce per il comportamento del prete.

Qualcuno sospetta. A qualche assistente sociale questo prete non piace.

In realtà sono solo sensazioni. Carney sembra creare aspettative impossibili, spiega ai ragazzi che sarà in grado di trovare loro una casa e una sistemazione. Ma nessuno si spinge a ipotizzare che Carney commetta violenze sessuali.

Poi il terreno di caccia del prete si sposta in un orfanotrofio gestito dalle Figlie del Cuore di Maria, un istituto sostenuto dallo Stato nel quale di tanto in tanto le autorità sanitarie collocano bambini in difficoltà. In quel periodo Bill Carney è ancora un diacono, e insieme al suo amico Francis McCarthy comincia a frequentare l'istituto offrendo la propria collaborazione. L'offerta viene accettata, poiché i due provengono da un istituto che gode di notevole considerazione, il Clonliffe.

Così i due portano i bambini in vacanza, qualche volta accompagnati da altri assistenti sociali o personale dell'orfanotrofio; altre volte, invece, da soli. Le suore nutrono in loro completa fiducia. In realtà, in tutte queste frequentazioni, padre Carney è circondato spesso dai sospetti, ma nessuno ancora ha in mano prove o elementi concreti per capire cosa sta succedendo.

Nel 1977, al collegio Saint Joseph un assistente sociale prende a cuore il caso di una ragazzina che comincia a straparlare di padre Carney. La ragazza sembra ossessionata dalla sua relazione con Carney. Scrive l'assistente sociale: "I suoi pensieri e le sue conversazioni tornano sempre sullo stesso argomento, e cioè andare a letto con padre Bill".

La giovane ha solo quattordici anni ed è arrivata all'orfanotrofio con seri problemi comportamentali. Sono state le autorità sanitarie a trovarle un posto nell'istituto e le stesse suore hanno grandi difficoltà nel tentativo di stabilire qualche relazione con lei. L'assistente sociale che si occupava del caso ha spiegato alla commissione Murphy come la ragazzina avesse una vera cotta per padre Carney, ai confini dell'ossessione, arrivando perfino a scrivere il nome del sacerdote sulle pareti del collegio. Ciononostante le suore non sospettano che ci siano di mezzo anche abusi e violenze sessuali.

Carney cambia aria e rivolge le sue attenzioni all'orfanotrofio privato The Grange, gestito dalle suore di Nostra Signora della Carità. Si occupa dei ragazzi e delle loro vacanze, li accompagna a fare qualche bella gita e a volte i bambini passano con lui l'intero weekend, dormendo anche a casa sua. Le suore, in realtà, sembrano un po' distratte. In una deposizione davanti alla commissione d'inchiesta, una di esse dichiarerà che in quel periodo si discuteva della possibilità di assumere collaboratori di sesso maschile e che il reclutamento di giovani seminaristi era un passo in quella direzione. Non c'erano motivi di sospetto nei confronti del comportamento di padre Carney. Quanto a un'altra ragazzina, che più avanti denuncerà violenze sessuali da parte del prete, la suora la descrive come un po' fuori di testa, pazza di lui. Forse, sì, era oggetto di attenzioni speciali da parte di Carney, ma nulla al di là del più che lecito, almeno così alla suora sembrava. Solo nel 1982 un assistente sociale affronta Carney e gli chiede esplicitamente di interrompere ogni contatto con la ragazzina. "Magari potrei mandarle delle rose per il suo compleanno", replica padre Carney.

Finalmente, nel 1983, qualcuno decide che non è il caso che i bambini frequentino questo prete, soprattutto dopo che un assistente sociale matura qualche sospetto sui suoi rapporti con un ragazzo. Le suore continuano a rimanere sulla loro nuvoletta. Una di esse, dell'orfanotrofio The Grange, dichiarerà durante il processo canonico a cui Carney verrà sottoposto, che "nessuno entrava nei particolari del problema. Io compresi tuttavia che padre Carney dimostrava nei confronti dei ragazzi un interesse poco sano".

Un'altra monaca, sempre dell'istituto The Grange, dichiarerà che sì, giravano voci, ma lei non aveva contatti diretti con padre Carney. Le avevano raccontato, tuttavia, che i ragazzi residenti al Grange spesso rimanevano con lui quando Carney era alla parrocchia di Clogher Road. Lei stessa andò a recuperare un ragazzino, una volta, trovando una casa piena di bottiglie vuote di liquore. Non era esattamente il luogo adatto per quei giovani.

Fin qui, dunque, solo voci e sospetti e l'ingenuità, se si può chiamare così, delle suore, probabilmente sopraffatte dal desiderio di star fuori da una vicenda scottante che avrebbe fatto un bel po' di rumore, e non certo a beneficio della reputazione dell'orfanotrofio.

Nel luglio del 1983 però arriva la prima denuncia documentata. A presentarla sono due fratelli, ex chierichetti, che non si rivolgono all'arcidiocesi, bensì direttamente alla polizia di Dublino. All'arcidiocesi arriveranno altre segnalazioni, da parte di ragazzini che padre Carney accompagnava in piscina.

Nel 1983, dunque, i due fratelli, insieme al padre, si presentano alla stazione di polizia e vogliono denunciare gli abusi sessuali subiti da parte di padre Carney. Vengono ricevuti da un giovanissimo agente, in servizio da appena un anno. Anni dopo, davanti alla commissione d'inchiesta, l'agente dichiarerà di "essere rimasto disgustato da ciò che aveva sentito dai ragazzi" e che subito aveva richiesto l'intervento del suo superiore, il sergente Kiernan.

Gli agenti vanno a casa dei ragazzi per raccogliere la loro deposizione e i due spiegano di aver fatto in passato i chierichetti e di aver dormito talvolta a casa di padre Carney. Di solito uno dei due dormiva nel letto di padre Carney e il prete gli faceva un sacco di coccole. I due giovani raccontano anche di altri loro amici che hanno vissuto le medesime esperienze e così il fascicolo della polizia aumenta di volume, con altre testimonianze. In tutto, gli agenti si mettono in contatto con circa sedici ragazzi e talvolta incontrano anche la resistenza dei genitori.

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Ratzinger sapeva?



Joseph Ratzinger, l'uomo che nell'aprile del 2005 è stato eletto papa con il nome di Benedetto XVI, era al corrente degli abusi e delle violenze sessuali su bambini e giovanissimi commessi dai suoi preti? Sapeva, Ratzinger, che questi crimini venivano nascosti in ogni modo possibile alle autorità civili, alla polizia e alla magistratura, che alle stesse vittime delle violenze veniva spesso chiesto un giuramento solenne che le vincolava al silenzio? Sapeva, Ratzinger, che il fenomeno non era solo limitato a pochi deprecabili casi ma che invece la pedofilia, gli abusi sessuali nei seminari, nelle scuole, nelle parrocchie, nelle sacrestie, erano una devianza diffusa nel mondo del clero? Sapeva dei chierichetti, degli alunni nelle scuole cattoliche, dei bambini ospiti di orfanotrofi e istituti di assistenza che avevano subito abusi da parte dei loro confessori? Sapeva e ha taciuto seguendo la politica degli occhi chiusi? È questo l'uomo che l'universo della cristianità ha come suo capo supremo, portatore del pastorale di Pietro, il vicario di Gesù Cristo in terra?

Le domande non costano molto ma le risposte possono essere dolorose. Probabilmente non è il solo, ma c'è di sicuro un uomo che pensa che la risposta a tutte queste domande sia un sonoro "sì".

Si chiama Daniel J. Shea ed è un avvocato di Houston, Texas. Shea è il detentore di un record assoluto. È a memoria d'uomo l'unico legale ad aver citato in giudizio davanti a una corte del Texas un papa, o meglio, l'uomo che pochi mesi dopo la sua citazione sarebbe diventato papa, Joseph Ratzinger.

Quando Ratzinger è diventato Benedetto XVI, sul suo capo ancora pendeva un'accusa di intralcio alla giustizia per aver, secondo Shea, ostacolato pervicacemente con i suoi ordini emessi da Roma alla gerarchia della Chiesa cattolica universale, e quindi anche alle arcidiocesi degli Stati Uniti d'America, le indagini sugli abusi sessuali su minori da parte dei preti.

Ratzinger avrebbe dovuto presentarsi davanti a una corte distrettuale degli Stati Uniti presieduta dal giudice Lee Rosenthal nella primavera del 2005, ma non appena è stato eletto al soglio pontificio, diventando così un capo di Stato estero, i suoi legali hanno chiesto un intervento del Dipartimento di Stato di Washington sulla corte del giudice Rosenthal. E così Joseph Ratzinger, ormai Benedetto XVI, è stato escluso dal processo grazie alla conquistata immunità come capo dello Stato Vaticano. Una decisione firmata dal presidente degli Stati Uniti, George W. Bush.

Dal punto di vista giudiziario, dunque, Ratzinger non ha più nulla da temere. Altrettanto non si può dire tuttavia se si esamina la questione sotto altri punti di vista, per esempio quello della responsabilità morale e pastorale.

È del tutto possibile che, nel citare in giudizio il papa, che prima di salire al soglio pontificio era il cardinale prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, l'avvocato Daniel J. Shea abbia considerato gli effetti e il clamore che l'iniziativa avrebbe provocato, e con essi tutto il possibile ritorno di pubblicità planetaria per il suo studio legale. Tuttavia, esaminata in ragione degli elementi concreti e logici, la sua iniziativa non sembra affatto campata in aria.

Shea rappresenta in giudizio, a Houston, le vittime di un seminarista che si è reso responsabile di abusi sessuali e violenze. Poco dopo l'inizio del processo (formalmente ancora aperto), il seminarista se l'è data a gambe, ma Shea ha scoperto che i responsabili della diocesi avevano coperto i suoi misfatti tacendo ed evitando di denunciare alcunché, proprio in virtù delle istruzioni ricevute da Roma.

Roma aveva spiegato con grande chiarezza la linea da seguire davanti a casi di abusi sessuali, violenze e pedofilia. Tutto andava riferito agli uffici vaticani, ma sempre nel più assoluto segreto.

I documenti sulla base dei quali Shea ha fondato la sua denuncia contro Ratzinger sono due. Il primo rilevante complesso di istruzioni sul come trattare i casi di violenza e abuso sessuale fu promulgato dal Vaticano nel 1962: il Crimen sollicitationis.

Scritto dal cardinale Alfredo Ottaviani, approvato da papa Giovanni XXIII, e spedito all'attenzione di tutti i vescovi e arcivescovi, il Crimen sollicitationis stabiliva le procedure per affrontare casi in cui i chierici muovevano avance sessuali ai fedeli utilizzando il sacramento della confessione.

Promulgato in latino, il documento ha mantenuto per decenni carattere di totale segretezza. E raccomandava, in primo luogo, di affrontare casi simili nella riservatezza più assoluta. Perfino agli accusatori e alle vittime di abusi veniva chiesto di accettare e sottoscrivere un giuramento di segretezza, pena la scomunica.

Le istruzioni prevedevano diversi gradini di intervento. A fronte di accuse manifestamente infondate, i vescovi dovevano semplicemente distruggere ogni documento. Se le accuse avevano una parvenza di verosimiglianza, allora i documenti dovevano essere conservati in archivio per eventuali future indagini, nel caso fossero emerse nuove segnalazioni. Davanti ad accuse serie e circostanziate, ma non sufficienti per istruire un processo, il vescovo avrebbe dovuto ammonire il sospettato, con fare paterno, aggiungendo, se del caso, qualche minaccia più corposa. Il materiale documentale doveva essere tenuto in archivio e il comportamento dell'accusato tenuto sotto monitoraggio.

Un processo vero e proprio poteva aver luogo nel caso di elementi certi, sempre in un'atmosfera di impenetrabile segreto.

Il 18 maggio 2001 fu emanato il secondo documento in materia, una lettera destinata a tutte le alte gerarchie della Chiesa cattolica. Intitolata De delictis gravioribus, dava le nuove istruzioni su come gestire i reati previsti dal diritto canonico. Si trattava di una sorta di aggiornamento del Crimen sollicitationis. Il documento disponeva, e dispone tutt'ora, che tutte le accuse di abusi sessuali che abbiano raggiunto un certo grado di verosimiglianza vengano riferite direttamente alla Congregazione per la Dottrina della Fede a Roma. La Congregazione deciderà quindi se trattare direttamente il caso o lasciarlo alla gestione della singola diocesi.

Poi, una frase chiarissima: "Le cause di questo genere sono soggette al segreto pontificio". Il documento era firmato Joseph cardinale Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e Tarcisio Bertone, segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede.

Visto con gli occhi di un avvocato canonico, il complesso di istruzioni dettato dai due documenti può apparire congruo agli insegnamenti della Chiesa. Ma è difficile persuadere un cittadino, anche credente, che il delitto di abuso sessuale su un bambino commesso da un prete debba essere trattato diversamente da quello commesso da un laico.

Nei documenti vaticani non c'è certo scritto esplicitamente che le autorità civili devono essere tenute all'oscuro di eventuali crimini. Ma nemmeno c'è alcun invito a denunciarli.

In realtà è esattamente questo che hanno sempre pensato i vescovi che si sono trovati a dover fronteggiare accuse di pedofilia o abusi di vario genere mosse ai preti. L'idea dominante è sempre stata quella di risolvere ogni questione tra le mura della diocesi e seppellendo quanto più possibile ogni pericoloso scandalo.

Un esempio recente?

Poco più di un anno fa, sessantasette tra donne e uomini che da bambini sono stati ospiti dell'istituto Antonio Provolo di Verona, un collegio per piccoli sordomuti provenienti da famiglie indigenti, hanno trovato il coraggio di denunciare un serie interminabile di abusi e violenze sessuali. Masturbazioni imposte nel confessionale, bambini sodomizzati nei dormitori, sotto le docce, durante i campeggi estivi, costretti a rapporti orali da alcuni dei sacerdoti che gestivano l'istituto. Un elenco degli orrori che arriva fino al 1984 e svelato dal settimanale L'espresso nel gennaio del 2009.

I reati cui le denunce fanno riferimento sono tutti caduti in prescrizione e quindi l'intervento della magistratura penale non è più possibile. Gli ex allievi dell'istituto Provolo si sono rivolti allora, per avere giustizia, alle gerarchie ecclesiastiche.

Anche L'espresso ha chiesto lumi alla curia veronese, e più precisamente al vescovo Giuseppe Zenti. Leggere la sua risposta, inviata per iscritto, provoca un profondo senso di disagio e sgomento:

"Il Provolo è una congregazione religiosa. In quanto tale, è di diritto pontificio e perciò sotto la giurisdizione del dicastero dei religiosi. La diocesi di Verona, sul cui territorio è sorta la congregazione, apprezza l'opera di carattere sociale da essa svolta in favore dei sordomuti. [...] Per quanto attiene l'accusa di eventuale pedofilia, rivolta a preti e fratelli laici, che risalirebbe ad alcune decine di anni fa, la diocesi di Verona è del tutto all'oscuro. A me fecero cenno del problema alcuni di un'associazione legata al Provolo, ma come ricatto rispetto a due richieste di carattere economico, nell'eventualità che non fossero esaudite. Tuttavia a me non rivolsero alcuna accusa circostanziata riferita a persone concrete, ma unicamente accuse di carattere generico. Non ho altro da aggiungere se non l'impegno a seguire in tutto e per tutto le indicazioni contenute nel codice di diritto canonico e nelle successive prese di posizione della Santa Sede. Nella speranza che presto sia raggiunto l'obiettivo di conoscere la verità dei fatti".

Certo. Il vescovo si propone di seguire in tutto e per tutto le indicazioni del diritto canonico, che altro potrebbe fare lui che è un prete?

Ora la linea della Chiesa sembra essere cambiata. Da molto? Non proprio. È solo l'11 gennaio 2010 quando il cardinale prefetto della Congregazione per il Clero, il brasiliano Claudio Hummes, concede un'intervista all'

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Don Pierino Gelmini



Due elementi passeranno sicuramente alla storia del processo in corso contro don Pierino Gelmini, il celebre prete antidroga fondatore della rete di comunità di recupero che fa capo alla sede centrale di Amelia, la comunità Incontro. Il primo, è la reazione di don Gelmini stesso quando ha scoperto, nell'estate del 2007, di essere imputato per molestie sessuali nei confronti di numerosi giovani ospiti delle sue comunità: "Un complotto di qualche lobby ebraica radical-chic", ha detto il prete davanti alle telecamere. Commento bizzarro, a pensarci bene, oltre che piuttosto idiota. Chissà perché, infatti, una lobby ebraica, ammesso che le lobby si appassionino a don Gelmini, deve essere per forza 'radical-chic'.

L'altro elemento è un'intervista rilasciata dallo scrittore Vittorio Messori al quotidiano La Stampa l'11 agosto dello stesso anno. Noto scrittore di ispirazione cattolica, Messori veniva interpellato sul nascente caso Gelmini e rispondeva così: "Un uomo di chiesa fa del bene e talvolta cade in tentazione. E allora? Se fosse così per don Pierino Gelmini, se ogni tanto avesse toccato qualche ragazzo, ma di questi ragazzi ne avesse salvati migliaia dalla droga? e allora? La Chiesa ha beatificato un prete denunciato a ripetizione perché ai giardini pubblici si mostrava nudo alle mamme. Queste storie sono il riconoscimento della debolezza umana che fa parte della grandezza del Vangelo. Gesù dice di non essere venuto per i sani, bensì per i peccatori. È il realismo della Chiesa. C'è chi non si sa fermare davanti agli spaghetti all'amatriciana, chi non sa esimersi dal fare il puttaniere e chi, senza averlo cercato, ha pulsioni omosessuali. E poi, su quali basi la giustizia umana santifica l'omosessualità e demonizza la pedofilia? Chi stabilisce la soglia dell'età?".

Il ragionamento algebrico di Vittorio Messori ha un suo fondamento. È giusto che la vita di un uomo venga giudicata sommando i segni più ai segni meno e valutando infine il risultato finale. Ciò che tuttavia lascia interdetti è la semplicità con cui Messori liquida lo spirito della legge degli uomini. Si può sbagliare, ma poiché gli sbagli creano vittime, è anche giusto chiedere scusa, perdono, e pagare un prezzo. Se poi chi sbaglia è qualcuno che pretende, per l'abito che porta e in ragione dell'istituzione a cui appartiene, la Chiesa, di insegnare la verità, le cose si complicano non poco.

Ci sono ottimi motivi per pensare che la storia di don Pierino Gelmini, pure una storia davvero interessante e per alcuni versi sinistra, verrà presto consegnata all'oblio. Pierino Gelmini ha superato gli ottantacinque anni, il suo cuore non funziona bene e il suo processo marcia a passo di lumaca presso la Procura della Repubblica di Terni ed è ancora nella fase dell'udienza preliminare. Ci sono nove ragazzi che hanno testimoniato le attenzioni particolari che sono state loro rivolte dal prete, anzi dall'ex prete (visto che il Vaticano lo ha tardivamente scaricato pur lasciando passare la sua riduzione allo stato laicale come un regalo a don Gelmini stesso, per consentirgli di difendersi più agilmente nel processo), ma è statisticamente poco probabile che il procedimento giudiziario arrivi davvero a dibattimento. Inoltre, la pressione che spinge sul coperchio di questa pentola, per tenerla ben chiusa e seppellirla insieme con l'anziano ex prete, è fortissima. Superato l'entusiasmo informativo iniziale, dovuto alla portata dello scandalo, giornali e televisioni hanno presto dimenticato don Gelmini, se si fa eccezione per un'interessante puntata del programma Matrix, condotto allora da Enrico Mentana, su Canale 5, nel febbraio del 2008.

Così oggi pochissimi in Italia sanno che l'icona don Pierino Gelmini, il paladino del centrodestra nella lotta alle tossicodipendenze, non solo deve rispondere di accuse davvero pesanti – e cioè di aver sottoposto ad abusi sessuali alcuni ospiti delle sue comunità sfruttando la sua autorità su di loro – ma ha anche una fedina penale lunga e tormentata fatta di assegni a vuoto, bancarotte, e di qualche anno passato dietro le sbarre. Avrà pure ragione Messori quando sostiene che si deve valutare il risultato finale, ma questo sarebbe possibile se tutti i fattori fossero noti e tutto fosse trasparente, cosa che difficilmente si verifica.

Le testimonianze che accusano don Gelmini sono state prima verbalizzate dal pubblico ministero della Procura della Repubblica di Terni, Barbara Mazzullo, e quindi riascoltate durante lo svolgimento di un incidente probatorio, un procedimento che consente sia al pubblico ministero sia alla difesa di far sì che alcuni elementi di prova vengano fissati prima ancora dell'inizio del dibattimento. La decisione se rinviare a giudizio don Pierino Gelmini oppure no verrà probabilmente presa in primavera, sempre che l'iter dell'udienza preliminare non venga rallentato da ulteriori rinvii.

Di che parlano le accuse? I ragazzi che hanno denunciato don Gelmini, in epoche diverse e senza conoscersi tra loro, hanno però, come ha potuto notare chi ha assistito all'incidente probatorio, alcuni tratti comuni. Sono molto giovani, in genere hanno capelli e occhi chiari, piuttosto mingherlini, tratti somatici spesso simili. Gli avvocati che li rappresentano non hanno dubbi sulla solidità del materiale probatorio, ma questo fa parte della pretattica processuale, come i difensori di don Gelmini tendono a svalutare l'attendibilità dei testi che, ricordano, sono tutti tossicodipendenti o ex tossicodipendenti, che potrebbero nutrire qualche ragione di ostilità nei confronti del prete che li ha accolti in comunità.

Gli episodi che i ragazzi raccontano sono simili. Baci sulla bocca, masturbazioni, toccamenti, mani nei pantaloni, abbracci, strofinamenti degli organi genitali, inviti a toccare e a farsi toccare. Nessuno racconta di rapporti sessuali completi. Tutto succedeva nell'ufficio di don Gelmini presso la comunità Incontro di Amelia o in un fabbricato, chiamato da alcuni 'la stanza del silenzio'. I magistrati che hanno formulato il capo d'imputazione hanno sottolineato una possibile aggravante. Per un ragazzo, un tossicodipendente, che viene accettato in comunità, don Gelmini è l'autorità suprema. I tossici sanno benissimo che è sufficiente un giudizio negativo, una sua parola, per trasformare l'affidamento in comunità in un ritorno in prigione, soprattutto ora che le leggi italiane sono state severamente inasprite. Per dirla con il linguaggio dei magistrati: "L'indagato li induceva a soddisfare le proprie richieste sessuali commettendo il fatto nella comunità Incontro di Amelia di cui era responsabile e tenuto, come pubblico ufficiale o comunque incaricato di pubblico servizio, alla cura, vigilanza, educazione e custodia di soggetti in stato di tossicodipendenza, abusando delle condizioni di inferiorità psicofisica derivanti da tale stato". L'aggravante è "l'aver approfittato di circostanze di tempo, di luogo e di persone tali da ostacolare la pubblica e privata difesa, con abuso di poteri e con violazione dei doveri inerenti alla pubblica funzione o al pubblico servizio e alla qualità di ministro di un culto, e con abuso di autorità e di relazioni domestiche o di coabitazione o di ospitalità".

Gelmini, poi, non ha mai smesso di far mostra delle sue importanti amicizie. A cominciare dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, e continuando con il capo dei senatori del Popolo della Libertà Maurizio Gasparri, militari di alto grado, deputati e senatori, amministratori locali che possono tornare utili agli interessi della comunità Incontro, diventata negli anni una potenza economica attorno alla quale gira parecchio denaro. Quanto? Difficile dirlo. Sul sito internet della comunità Incontro, che pure è un'organizzazione che riceve contributi pubblici, non sono esposti bilanci o rendiconti di entrate e uscite. Sarebbe interessante, invece, sapere come la comunità spende i soldi che riceve dallo Stato, ma anche in forma di donazioni private, come quella firmata da Silvio Berlusconi nel 2005, di cinque milioni di euro, cui fu data grande pubblicità e risonanza. È possibile che Berlusconi apra le sue capaci borse anche per altre organizzazioni, chissà, ma di questa a don Gelmini è stato fatto in modo che se ne parlasse il più possibile. In compenso, e in assenza di rendiconti, sul sito internet si può leggere una biografia alla melassa più simile a una galleria degli eroismi, dei titoli e delle onorificenze di don Pierino Gelmini.

Le accuse di molestie sessuali nei confronti di alcuni ragazzi sono esplose e sono state catapultate sui giornali nel 2007, ma dei gusti sessuali del prete antidroga, un tipo a suo modo originale, amante della bella vita e con spregiudicate esibizioni amministrative nel suo personalissimo curriculum (un arresto per assegni a vuoto, una condanna a quattro anni di reclusione, scontata nel carcere di Regina Coeli, per bancarotta) si chiacchierava da molti anni.

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