Autore Howard Jacobson
Titolo Su con la vita
EdizioneLa nave di Teseo, Milano, 2019, Oceani 72 , pag. 414, cop.fle., dim. 15x21,5x3 cm , Isbn 978-88-9344-940-3
TraduttoreMilena Zemira Ciccimarra
LettoreGiorgia Pezzali, 2019
Classe narrativa inglese , umorismo












 

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Pagina 13

1.


"Mi mancano le parole," dice la Principessa a suo figlio. Non sa bene quale.

"Perché mamma, che è successo?"

"Non è successo niente. Mi mancano le parole, tutto qua."

"Hai chiamato per dirmi questo?"

"Veramente," dice lei, "credo sia stato tu a chiamare me." Stringe la cornetta dell'apparecchio telefonico come se volesse strozzarla. Non ha mai toccato niente con delicatezza in tutta la sua vita.

"No, mamma, ti sbagli." Anche lui è uno strangolatore, un tagliatore di spese di professione, e soffoca uno sbadiglio, augurandosi che lei noti la sua voce assonnata. "Non ti avrei mai telefonato alle due di mattina."

"Non esagerare. Non sono le due di mattina."

"A me sembrano le due di mattina. E non ti ho telefonato io. Forse avrei dovuto, ma non l'ho fatto. Comunque..."

"Comunque cosa?"

"Cosa volevi dirmi?"

"Smettila di presentarti alla televisione in maglia della salute."

"Probabilmente è di Pen che parli. E penso che lui ti direbbe che non è una maglia della salute ma una T-shirt."

"Chiamala come vuoi, ma dovresti abbottonarti la camicia."

"Dillo a Pen, non a me."

"Chi è Pen?"

"Tuo figlio."

"Sei tu mio figlio."

"Ne hai più d'uno."

"E lui qual è?"

"Quello clericale."

"E tu allora quale sei?"

"Il figliol prodigo."

Lui sa che lei lo sa.

"Be', non ho insegnato a nessuno di voi due a mettersi una maglietta intima alla televisione," dice.

"Non hai insegnato a nessuno di noi due a essere anarco-sindacalista. Il mio caro fratello sta facendo una dichiarazione ideologica del tutto personale."

"Mettendosi una maglietta intima?"

"È una T-shirt. I giovani elettori scontenti si entusiasmano alla vista di un anziano politico in T-shirt."

"Sì, ora che me lo dici, ricordo che anche per me era così. Il padre di Pen - doveva essere suo padre, no? - aveva un intero guardaroba di maglie intime. Io lo chiamavo il suo vestiario. Buttava quelle vecchie sul letto e aspettava che gliele lavassi. Pen è stato concepito su un letto di maglie intime, quindi suppongo che non dovrei essere sorpresa."

"Mamma!"

"Non c'è ragione che tu faccia lo schizzinoso. Tu sei stato concepito nel retro di una Rolls."

"Metto giù il telefono se hai chiamato solo per dirmi questo."

"Tu non pensi che le magliette intime siano trasandate?"

"No, penso che siano peggio che trasandate, penso che siano una furberia. Irretiscono i creduloni. Con te hanno funzionato, dopotutto."

"Non è modo questo di parlare a tua madre. Se hai telefonato solo per dirmi..."

"Non ho telefonato affatto. Sei stata tu a chiamare me."

"Credo proprio di no."

Ma in verità la Principessa non sceglie di ricordare chi ha telefonato a chi.


Non è una vera principessa. È solo un piccolo scherzo che fa con se stessa.

La Principessa Schweppessodawasser. Il suo vero nome - quello con cui è nata - è Beryl Dusinbery. Non le è mai andato di cambiarlo per un uomo. La Principessa Schweppessodawasser, dice, è il suo nom d'oubli, ispirato a quello della protagonista delle Mille e una notte, il cui vero nome continua a sfuggirle. Schhh... sapete chi. Aveva pensato che quel riferimento potesse far ridere i figli - sono abbastanza vecchi da ricordare la campagna pubblicitaria anni sessanta della Schweppes - ma non c'è niente che faccia ridere i figli. Loro ne danno la colpa a lei. "Non hai mai permesso all'allegria di entrare nelle nostre vite," le rammentano. "È davvero assurdo che pensi di poter fare dello spirito con noi adesso. A essere franchi, è imbarazzante. Sei la madre meno spiritosa che sia mai esistita."

"Parli della sottoscritta?"

"La sottoscritta! Ecco, appunto! Qualsiasi altra madre direbbe: parli di me."

"In un'epoca di incurie vi ho insegnato a esprimervi in maniera corretta. Dovreste essere grati di essere i figli di un'insegnante e non di una qualunque fantesca."

"Cos'è una fantesca?"

La Principessa loda se stessa perché evita di dire: "Ne hai sposata una."

"La tua ignoranza dimostra la validità del mio sistema," afferma invece. "Vi ho istruito solo nelle cose più elevate, esattamente come ho fatto con le mie allieve."

"Noi non eravamo le tue allieve, mamma..."

"Non ho finito di parlare."

"Stai di nuovo cercando di essere spiritosa?"

"Non ho mai avuto la pretesa di esserlo. È nella natura dei padri occuparsi di quel lato delle cose."

"I nostri padri non c'erano mai."

"Anche questo è nella natura dei padri. Ma soddisfa la curiosità di una povera vecchia. Dici che sono stata la madre meno spiritosa che sia mai esistita. Quante altre madri ti hanno allevato?"

"Di certo nessuna madre si è mai rifiutata di leggere ai propri figli le favole della buona notte perché le trovava anodine. Hai usato veramente quella parola... anodine, santo cielo!"

"Ecco, vedi? Ti ho trasmesso una parola che ancora ricordi..."

"Ma che non posso usare."

"Allora cerca di frequentare ambienti più colti."

"Faccio parte della Camera dei Lord, mamma."

"Appunto, è quello che intendevo."

"La vita non è fatta solo di parole..."

"Sì invece. Nella vita non c'è altro."

"Ci sono anche i sentimenti."

"I sentimenti! E cosa sono i sentimenti senza le parole per esprimerli? Semplici grugniti, finché non hai la parola che ti dice perché stai grugnendo. Per questo i maiali non provano il Weltschmerz o la nostalgie de la boue."

"E tu come lo sai?"

"Perché non ne parlano mai."

"Quando grugnisci di paura sai che sei spaventato. Noi non ne parlavamo mai, ma avevamo paura."

"Perché qualcosa vi minacciava, o perché eravate timorosi di natura?"

"Non abbiamo mai avuto la possibilità di scoprirlo. Hai instillato in noi il timor di Dio dall'istante in cui siamo nati. Prima che andassimo a dormire ci leggevi i fratelli Grimm e Pierino Porcospino... in tedesco."

"Ich?"

"Dich! Ancora oggi di notte mi sveglio urlando perché il sarto sta venendo zacchete zacchete a tagliarmi i pollici."

"Era necessario ricordarvi quale pericolo rappresentassero i tedeschi. Non dimenticare che ho perso tuo padre per causa loro."

"Quello non era mio padre."

"Erano tempi di grande confusione."

"Anche questi lo sono. E tu non fai che accrescere la confusione quando decidi all'improvviso di essere scanzonata. Ci hai allevato con mano di ferro e preferiremmo che così rimanessi. Non ti si addice metterti di colpo a fare la ragazzina."

"Mi mancano le parole," dice lei.

Questa non è la trascrizione di un autentico dialogo con un autentico figlio, ma la somma di molti. In seguito, i suoi figli si pentivano delle loro parole dure. Le madri si lasciano dietro una marea nera di colpa e rimorso. Perfino questa madre. Sì, aveva molto di cui rispondere: anzitutto, l'assenza in loro di ogni seppur vago senso del ridicolo; e in secondo luogo, l'assenza nelle loro vite di ogni seppur vaga figura paterna; la mancanza di un affettuoso interesse reciproco per il benessere dell'altro; forse perfino la loro volontà d'acciaio era riconducibile a lei. Ma aveva novanta e passa anni. Non puoi continuare a incolpare tua madre. E forse se le avessero mostrato un po' più d'affetto... Difficile immaginare come sarebbe andata, eppure...

Lo capisce quando i figli hanno dei ripensamenti. Sente una ritrattazione in arrivo e alza una mano ingioiellata per fermarli. Zacchete zacchete. Chissà che dopo non vogliano darle anche un bacio. Gli anelli sulle sue dita, segno di tutti i cuori che ha rubato e mai restituito, agiscono da deterrente. "Ne vous embêtez pas," dirà, sapendo quanto li esasperi il suo francese da scuola di buone maniere per signorine.

Quella donna!

Be', può biasimarli?

Posso biasimarli?

Può/Posso. La Principessa ha paura degli scivoloni. Allora/adesso. Oggi/domani. Me/lei. Scivola scivola vai via. Punfete panfete.

Ma conserva il suo arcigno senso del ridicolo. Ragazzina! Mi hanno chiamato in tanti modi, ma ragazzina!

Si chiede se dovrebbe considerarlo un complimento. In piedi davanti a uno specchio a figura intera, si scioglie i capelli. La ragazza più vecchia di Londra.

Assurdo. Eppure ha ancora i capelli lunghi. Perché?

Una volta li portava alla maniera di Cleopatra. Il suo personaggio letterario preferito, quando il suo personaggio letterario preferito non è Medea. Cleopatra, regina del Nilo, una donna troppo intelligente per qualunque uomo abbia bussato alla sua porta. E non si può dire esattamente lo stesso di Medea. Medea si lasciò evirare dall'amore per Giasone. Evirare? Sì, evirare.

L'accusa che forse stia cercando di ingraziarsi i figli non è qualcosa che Beryl Dusinbery può accettare passivamente. Ha commesso degli errori, ma mai quello di pensare di potersi conquistare un posticino nei loro cuori con le lusinghe. Conosce i propri limiti.

Si raccoglie di nuovo i capelli.

Conosco i miei limiti.


Ai limiti, si sta rendendo conto col passare del tempo, non c'è mai fine. Chi avrebbe pensato che ci fossero così tante cose che finiscono. Quando rimane senza zucchero c'è una badante che gliene compra dell'altro. Quando le mancano le forze o si perde nel suo appartamento, c'è una badante che la aiuta a orientarsi e ritrovare la strada. Ma non c'è nessuno che la aiuti quando rimane senza parole. Sarebbe più corretto dire che non le trova più. Un attimo prima una parola è lì, e quello dopo non c'è più. Dove se ne va? È rotolata sotto il letto come i biscotti che le porta la sua badante diurna Euphoria, stupidamente appoggiati in equilibrio sul piattino della tazza di tè? Oppure è volata fuori dalla finestra della camera da letto mentre lei dormiva? Perché una cosa è certa: prima di chiudere gli occhi la parola era lì.

Dorme con la finestra aperta da quando venne a Londra non sa più quanti secoli fa. Un po' di tempo dopo i bambini... basti questo. Quando ormai non aveva più bisogno di una stanza dei giochi per loro. E per "loro" intende tanto i mariti quanto i figli. All'inizio la apriva per ascoltare il brusio della metropoli. Aveva vissuto troppo a lungo in città piccole e monotone in compagnia di uomini piccoli e monotoni. Avrebbe dovuto trasferirsi prima. Il rumore delle strade corrispondeva a quello nella sua testa. Aveva un cervello da grande metropoli. Adesso che il suo udito si è deteriorato, però, non è più il frastuono urbano che sente, ma un ronzio più basso e meno deciso di fine estate, come di api che suggono l'ultima goccia di nettare, mosche che cadono, il calore del giorno che lentamente si dilegua. Sento morire le rose, pensa, anche se con i fiori ha avuto sempre e solo rapporti tangenziali. Tangenziale - ecco un'altra parola che come una falena è svolazzata via dalla finestra aperta non appena lei ha chiuso gli occhi. Per andare dove? Ritornarsene fino a Tangeri?

Allora perché non chiude la finestra? È una buona domanda. C'è una parola per spiegarlo ma non la trova più.

Sono anni che i nomi se ne stanno andando. Dimenticava il nome di una persona ancor prima di conoscerlo. Non riusciva a prestare ascolto durante le presentazioni. Perché no? Per parsimonia, pensava. Risparmiava il cervello per cose migliori. Solo che adesso se ne sono andate anche le cose migliori. Le idee che ha accarezzato in passato - tutto ciò che ne è rimasto è la smodatezza con cui le ha accarezzate. Ricorda l'interno della propria rabbia. Sta lì come vestiti rovesciati da una valigia. Ma la valigia è scomparsa. E anche la destinazione del viaggio per cui l'aveva preparata.

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5.


In un periodo remoto della storia dell'umanità, affermano gli antropologi, un orrendo crimine venne commesso. Un uomo colpì a morte suo fratello. Abbandonammo il giardinaggio per la caccia. Divorammo un dio. Spedimmo un capro nel deserto. Ammazzammo nostro padre.

Shimi Carmelli si provò la biancheria intima di sua madre.

Aveva undici anni. Più o meno l'età che aveva l' Homo sapiens quando scoprì il piacere dell'assassinio.

Dalla grande trasgressione originaria del genere umano - comunque la si voglia definire - nacquero e si svilupparono la religione, la moralità e, alla fine, la nevrosi. Divenimmo meno spensierati. Imparammo a conoscere la colpa e la vergogna. Smettemmo di divertirci.

È esattamente ciò che accadde a Shimi Carmelli.

S'infilò i mutandoni della madre e precipitò all'inferno.


Esistono più tipi d'inferno. C'è quello dell'uomo - un oceano incandescente in cui fratricidi e divoratori di dei stanno appesi a testa in giù per l'eternità. Oppure c'è quello del bambino - l'Antro di Tutte le Umiliazioni, dove piscialetto e masturbatori alle prime armi siedono con la testa tra le mani mentre nelle orecchie gli risuona fragoroso lo scherno di demoni sogghignanti in berretto a sonagli. Tormento per tormento, non c'è poi tutta questa differenza tra i due. Shimi precipitò in quello del bambino.


Narciso vide la propria immagine riflessa e morì d'amore per se stesso. Beato Narciso! Inorridito nei mutandoni di rayon della madre, il piccolo Shimi vide la sua immagine riflessa nello specchio del bagno e aspettò che la terra si spalancasse e lo inghiottisse.

Doveva andare necessariamente così? Non avrebbe potuto mettersi in posa e ridere di quello che aveva fatto? Non avrebbe potuto tirarsi nuovamente su i calzoni e fare tesoro di quell'esperienza? Certamente, se fosse stato un'altra persona.


"Non mi guardi come se mi volesse morto," gli dice il suo medico, Bernie Dauber. "È mio dovere darle informazioni sui farmaci che le prescrivo."

A Dauber piace avere Shimi Carmelli come paziente.

Almeno lui arriva qui con le sue forze. Gli altri anziani vengono scaricati sul pavimento del suo ambulatorio come sacchi pieni di gatti randagi. Per il loro stesso bene, Dauber vorrebbe avere la libertà di cui gode un veterinario e poter praticare a tutti loro un'iniezione letale. Prima Telazol e ketamina per narcotizzarli, e poi un'overdose di barbiturici somministrata per via endocardiaca. Buonanotte micetti.

Non fa loro nessun favore a tenerli in vita. È sadismo istituzionalizzato. Ma ha uno studio privato nel profondo cuore del Pianeta Assistenza, quindi comprende gli aspetti economici della situazione. Senza i vecchi da accudire a Belsize Park, le famiglie delle badanti a Velingrad e Tbilisi andrebbero a letto a stomaco vuoto.

"Potrebbe descrivere quello che mi faranno le pillole in modo meno brutale," dice Shimi.

"Cosa c'è di brutale nell'avvisarla che la Tamsulosina potrebbe causare eiaculazione retrograda?"

Il dottore ha una di quelle profonde voci americane, testicolari e prive d'inflessione, che proclamano una virilità inespugnabile.

"Quello che è brutale è che una cosa del genere esista," dice Shimi.

"La Tamsulosina?"

"Il suo effetto collaterale."

"Be', se avessi pensato che meditava di mettere su famiglia..."

"Ci risiamo. Anche questo è brutale."

"È lei a volere le pillole. Io le ho detto: stia a casa quando lo stimolo di urinare è troppo forte. E se proprio deve uscire, si assicuri di non essere mai troppo lontano da un parco. Può sempre pisciare vicino a un albero. Mi ridia la prescrizione se non la vuole."

Shimi si copre le orecchie. Gli piace fare il Puritano di Little Stanmore con il suo Medico con le Palle di Brooklyn. Non che Shimi finga. È veramente il Puritano di Little Stanmore.

"Sto cercando di proteggere l'ultimo briciolo di dignità che mi resta," dice a Dauber. "Lei come medico dovrebbe capirlo."

"Come medico," dice Dauber, "ho qualche parola di consiglio per lei: può conservare la sua dignità, oppure può rimanere in vita."

"Mi sta dicendo che si tratta di scegliere tra l'orgasmo asciutto e la morte?"

"Grosso modo."

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Si fermano tutti troppo a lungo. Sono appena passati a trovarmi un paio di pronipoti. Sperando che mi ricordi di loro nel mio testamento, devo presumere, dal momento che non possono certo venire per affetto. Dovevano essere figli dei figli di Pen. Pen il cui nome, forse non ci crederete, viene da Penteo, divorato vivo da sua madre. Mentre Sandy, come dovrebbe essere non meno ovvio, è l'abbreviazione di Tisandro che venne ammazzato da Medea. Queste madri! Appartengo a una lunga e fiera stirpe di figlicide. Se solo fossi nata duemila anni prima, il che corrisponde quasi al vero.

"Ciao, bisnonna."

Sì, dovevano essere di Pen. Non sono una bisnonna piena di ammirazione, proprio come non sono stata una nonna adorante o una madre accudente (ecco una parola che mi piacerebbe dimenticare), e preferirei girarmi dall'altra parte anziché guardare un qualunque bambino, ma anche voltata di spalle ho colto abbastanza di quei due per riconoscere nei loro occhi quell'espressione non-vedo/non-voglio-vedere, lo sguardo cieco dei piccoli giusti, che già guardano dall'alto in basso quell'illusa della bisnonna, sbattendo le palpebre per scacciare le informazioni visive sgradevoli. Gli stessi identici occhi di Pen, e prima di lui di suo padre - il marxista-leninista naufragato il cui vestiario plebeo toccava a me, in quanto Serva della Rivoluzione, lavare. Strano, non si vede mai un ritratto di Marx in maglia intima. Il tuo vero rivoluzionario si veste come un damerino e, di regola, è troppo vanitoso del suo aspetto per girarsi dall'altra parte, come faceva il papà di Pen, nella speranza di non ritrovarti più quando avesse guardato di nuovo.

Ciononostante era un amante tenero, il papà di Pen, il che fu una bella sorpresa. Depose un bambino dentro di me con dolcezza, lo lasciò lì come per un felice caso e dava perfino una mano con le relative incombenze, quando c'erano a casa i suoi amici sindacalisti che controllavano cosa faceva. Con gli occhi rivolti altrove tutto il tempo per paura di un'offesa - di riceverla, non di recarla - ma l'aiuto è sempre aiuto, qualunque sia la forma in cui viene.

All'opposizione, no - un lapsus freudiano - all' opposto il padre di Sandy, il mio High Tory Boy, mentre mi ingravidava mi fissava con occhi talmente sgranati che per poco non gli cadevano dalle orbite, come un pilota che guarda in basso per vedere dove è caduta la bomba. Per il resto, adesso che ci penso, raramente mi osservava. Non notava mai cosa indossavo. E neppure cosa non indossavo, se è per questo. Usava gli occhi solo per due attività: guidare e fornicare. Il resto del tempo avrebbe benissimo potuto essere cieco. Perciò forse mi sbaglio riguardo i nipoti che mi hanno appena fatto visita. Diciamo che sono i nipoti di uomini e non ne parliamo più. Eredi degli allarmi che di notte tiravano giù dal letto i loro padri e nonni e li facevano scappare da tutto con gli occhi abbassati.

Questi ultimi cento anni sono stati i peggiori in assoluto per gli uomini? Troppo compiaciuti o troppo spaventati per guardare checchessia, tutti quanti, e non sono nemmeno sicura che valga la pena di fare questa distinzione. Pen senior - qual era il suo nome? - non poteva digerire un'opinione contraria su nessun argomento, non sopportava neppure che una persona sembrasse avere un'opinione contraria, ma la sua non era forse paura di ciò che ogni cosa contraria poteva rivelargli di se stesso? Terrore. Terrore è l'unica parola adatta. Terrore di qualcos'altro. E nella donna, se la guardano, sanno che incontreranno il sommo e definitivamente inesplicabile qualcos'altro.

Dunque occhi bassi e avanti.

Quanti anni ho? Qualunque sia la mia età, ho autorità. Perciò non dubitate di me quando affermo che non c'è uomo al mondo che possa sinceramente e impavidamente incrociare lo sguardo di una donna, dentro o fuori la camera da letto.

Sarò all'altezza? È questo che pensano tutti. Ce la farò? Sarò uomo abbastanza? Guerra, sesso, carriera - ciascuna di queste cose è un'altra prova. Sono in grado?

Sarebbe stato un atto di gentilezza dirgli in tutti i casi: No. Non è detto che sia importante - non ho nessunissima aspettativa nei tuoi confronti - ma no, non sei in grado.

Ho sentito dire che la Grande Guerra ha decretato la fine degli uomini.

È vero.

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Pagina 149

Quando parlavamo d'arte, naturalmente, parlavamo soprattutto... no, siamo onesti, parlavano esclusivamente della sua. Malgrado tutte le affermazioni stupende che faceva negli articoli e alle conferenze pubbliche sulla funzione migliorativa della letteratura e sul ruolo essenziale che il romanzo in particolare giocava nel favorire un atteggiamento disinteressato, non aveva una buona parola da spendere per nessuno scrittore vivente e non voleva leggere una sola parola scritta da loro. La prima volta che diede un'occhiata alla mia libreria propose un repulisti generale da lui stesso fomentato. "Che? Un rogo di libri?" chiesi con simulata ingenuità, e per un attimo credo abbia preso in considerazione di fare precisamente questo.

Sebbene descrivesse l'ironia come il primo ingrediente di ogni grande romanzo, era lento a coglierla nelle relazioni umane. Prima che avesse il tempo di raggiungere l'accendino - naturalmente fumava, per lo stesso impulso dello scrittore che gli diceva di portare un cappello di feltro con la tesa abbassata sul volto -, venni in suo soccorso. "Forse dovremmo lasciare i miei libri dove sono," dissi, e in cambio di quella concessione alla mia sensibilità, promisi di non leggere nessuno dei suoi odiati contemporanei in sua presenza. "E quando io non sarò qui?" chiese. Fui tutta latte-miele. "Spero che non ci sarà un momento in cui non sarai qui," dissi, approfittandone per cavalcarlo io stavolta. Ma so per certo che mi spiava leggere, quando pensava che non me ne accorgessi; che entrava in casa silenziosamente aspettandosi di sorprendermi, per così dire, a letto con un altro scrittore; o lasciava cadere osservazioni apparentemente casuali come "Hai letto qualche bel libro di recente?", per strapparmi con l'inganno una confessione involontaria. "Arancia meccanica e sto assaporando ogni parola."

Ma erano le risate che lo mandavano più in bestia. Tutte le risate, si dà il caso, ma soprattutto le mie quando erano suscitate da parole che non aveva scritto lui. Non dissi mai che era altamente improbabile che fossero suscitate da parole che aveva scritto, tenuto conto dell'assenza in lui di ogni seppur lontano senso dell'umorismo. Non so bene perché non lo feci. Non era da me risparmiare una sofferenza a un uomo quando i mezzi per infliggerla erano così a portata di mano.

L'unica ragione poteva essere che provavo compassione per lui. E anche questo non era da me. Sospettavo che avesse le potenzialità per scrivere un buon romanzo un giorno e volevo partecipare anch'io al suo successo se l'avesse fatto? O volevo semplicemente vedere per quanto tempo sarei riuscita a trattenerlo prima che se la svignasse dalla mia vita come Houdini? Avevo già battuto il primato, mi disse. Normalmente si dileguava nel giro di sei settimane. Da un punto di vista affettivo o amatorio, non me ne sarebbe importato quando se la fosse filata. Non mi accelerava i battiti. Era troppo basso per farlo. È impossibile palpitare di desiderio per qualcuno che ti arriva all'ombelico. E di certo non valeva la pena di tenerselo stretto per il sesso. Come molti uomini bassi, pensava gli toccasse iniziare dalle dita dei piedi e risalire verso l'alto a colpi di lingua, con tormentosa scrupolosità, come se avessimo tutti e due un anno intero da ammazzare. Non sono mai riuscita a capire come potesse pensare, in questo modo, di avere l'illusione dell'altezza. Ma almeno, finché riuscivo a ignorare le sue domande - "Ti piace così?" "Ho saltato qualche parte?" "Faccio abbastanza piano per te?" - potevo perdermi nei miei pensieri. Certi giorni mi addormentavo prima che arrivasse alle ginocchia. Perciò è possibile che tutta quella storia avesse poco in serbo per me, a parte un sacco di riposo e corse gratuite in autobus.

Poi gli organizzai una conferenza per le mie ragazze dell'ultimo anno sul romanzo e i sentimenti (da Jane Austen a Lui), il cui succo era che i lettori dovevano accostarsi al romanzo spogliati - spogliati di ogni emozione, intendeva, ma apprezzò la vista delle ragazze che nascondevano un risolino dietro le mani - e lasciare che lo scrittore li vestisse di indumenti fino ad allora mai indossati. Che ciarlatano: proprio lui, che girava da una vita con le stesse trite vesti emotive. Conoscendomi come mi conosco, sospetto che organizzai quella conferenza con la precisa intenzione di tendergli una trappola, anche se perfino io non mi aspettavo che ci cascasse con tanta prontezza. Avevo disposto che dopo la conferenza si servissero tè e biscotti, e dal momento che era una serata calda, fu apparecchiato su una tavola sorretta da due mestoli - no, una tavola sorretta da due trespoli - sotto i laburni. Metà delle ragazze dovevano abbassare la testa per evitare il fogliame, ma Howie Houdini, fui lieta di notare, no. Come credeva di potersi allontanare alla chetichella con Joyce, quella tonta della capoclasse, senza essere visto da nessuno, non riesco a immaginarlo. Ma fu esattamente quello che fece, e io lo vidi, a quattro zampe nel frutteto con la testa infilata sotto la sua gonna blu. Sapendo di non avere molto tempo, doveva aver cominciato più in alto del solito, senza dubbio illustrando la differenza tra i sentimenti di uno scrittore e quelli di un lettore. Quando mi vide alzò lo sguardo, proprio come faceva quando era a letto con me e s'interrompeva a metà dell'opera per domandare se ci stesse mettendo abbastanza tempo. Esistono poche viste più risibili di quella di un uomo che si ferma con la lingua di fuori per accertarsi di come stia andando, ma se ce n'è una, è quella di uomo che si ferma, con la lingua affondata in un'altra donna, per spiegare che non è come potrebbe sembrare a prima vista. Lo riaccompagnai a casa in silenzio - non ho pensato fosse necessario menzionare che non guidava - e quando propose di preparare una tazza di tè prima di metterci seduti e parlare di quello che era successo come due persone adulte, lo congedai, nelle mie intenzioni per sempre, con le parole: "Levati di torno, Houdini."

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Pagina 177

Puoi mischiare la memoria come un mazzo di carte e le cose che non vuoi ricordare escono sempre per prime. Il fatto stesso di mescolare è un'ammissione che non puoi scegliere. Devi prendere il buono e il cattivo.

Le andrebbe proprio qualcosa da bere. È una cosa che ha già sentito dire. "Mi andrebbe proprio qualcosa da bere, Beryl."

Le cose che non vuoi ricordare escono sempre per prime e l'unico figlio che vorresti ti chiamasse mamma non lo fa. È la legge del mazzo.

Non è una quisquilia cercare di tenere in ordine la tua vita. Ma dopotutto non è una quisquilia non sapere dove sia ogni cosa nella tua mente. I lastroni mobili della memoria mi stanno giocando di nuovo degli strani scherzi. All'inizio si manifestano visivamente - piatti rotanti, come dischi su cui sono impressi volti e avvenimenti vagamente familiari, che le sfrecciano accanto con un sibilo, rubando ciò che è suo; e poi, dall'altra direzione, forme che non sa descrivere, che girano più lentamente, come se la invitassero a saltare a bordo, e le restituiscono qualcosa, non i volti e gli avvenimenti che ha perso, ma l'atto stesso del ricordo, il ricordo di ricordare. È come se fosse al centro di una silenziosa guerra dei mondi, dove ciò per cui si combatte non è il territorio ma la dimensione, il significato stesso del dove e del quando.

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Pagina 347

La posizione di Shimi Carmelli è rimasta sostanzialmente immutata. Alla serata ci saranno persone che preferirebbe non vedere. E c'è una persona impaziente di accompagnarlo che preferirebbe fosse rimasta a casa. Per quale motivo voglia tenere Beryl Dusinbery separata dal resto della sua vita a North London, o il resto della sua vita a North London separato da Beryl Dusinbery, non sa spiegarlo. Ma spesso gli individui la cui esistenza è dominata dalla vergogna sono dei compartimentalizzatori; la segretezza è il loro elemento e i segreti sono tanto più facili da mantenere quante più stanze separate hanno in cui chiuderli sotto chiave. Shimi è preda di molte paure; la più grande è che tutte le persone che ha conosciuto nella sua vita si riuniscano per parlare di lui. È la paura di un individualista. Capovolgila e la paura più grande di Shimi è che tutti quelli che ha conosciuto nella sua vita non abbiano una sola parola da spendere sul suo conto. Questo vuol forse dire che le onte che si è dato tanta pena di nascondere sono onte che vorrebbe che il mondo conoscesse?

Si vergogna anche solo di porla questa domanda.

In aggiunta a tali considerazioni, c'è la preoccupazione per la sua vescica allagatoria: un problema che, come ha riferito al dottor Dauber, era scomparso nelle prime settimane di immersione totale nella conversazione effusiva di Beryl Dusinbery, ma in seguito si è ripresentato.

"Perché proprio adesso, quando sto per esibirmi di fronte al mio pubblico più esigente?" vuole sapere.

"La risposta è nella domanda," gli dice Dauber. "Ma io non mi preoccuperei. La natura, altrimenti nota a lei e a me come adrenalina, verrà in suo soccorso. Quante volte ha visto un oratore lasciare il palco o correre fuori in diretta da uno studio televisivo per andare a pisciare? Semplicemente non succede."

"Quelli sono un campione autoselezionato, dottore. Le persone che stanno messe veramente male la sanno abbastanza lunga da non sottoporsi alla prova. Non vanno su un palco e non appaiono in televisione."

"Lei si descriverebbe come una persona che sta messa veramente male... in questo preciso istante?"

"No, ma ho paura che lo sarò."

"È proprio questa paura che l'adrenalina cancella. Sarà troppo su di giri per l'eccitazione della performance per notarlo."

"Nessuna mia performance è mai stata eccitante. È la resistenza che mi preoccupa. E poi ci sono le questioni sociali."

"Quali questioni sociali?"

"Incontrare gente."

"Incontrare gente le fa venir voglia di andare al cesso?"

"Incontrare quelle persone sì."

"Perché? Chi sono? Pezzi grossi di Hollywood? Scopritori di talenti?"

"In un certo senso, dottore, scopritori di talenti è esattamente quello che sono. Sono anziane vedove."

"Allora anche loro correranno al cesso."

"Questo non mi sarà d'aiuto. La prego, non può semplicemente prescrivermi qualcosa?"

"Cosa c'è che non va in quello che le ho dato l'ultima volta?"

"Voglio dare una scossa al mio corpo con qualcosa di nuovo."

"E le vedove non bastano?"

Shimi gli lancia l'occhiata di un millenario.

Dauber gli scrive una ricetta per il cloruro di ossibutinina. "Non esageri con le dosi," lo avvisa.

"Perché? Che succede?"

"Si sentirà confuso."

Shimi aggiunge altri cento anni alla sua espressione.

"D'accordo... più confuso."


Non vanno insieme al Ballo delle vedove, come la Principessa ora insiste a designarlo. Shimi deve essere lì in anticipo per i controlli dell'audio e cose del genere. La Principessa viene dopo con Nastya che le offre un braccio a cui appoggiarsi, casomai un braccio a cui appoggiarsi fosse necessario, ma lei non ha intenzione di appoggiarsi a chicchessia. Ancora una volta è la reginetta del ballo. Avrebbe preferito la compagnia di Euphoria, ma è il turno di Nastya di essere in servizio e la ragazza non si lascerà certo negare l'opportunità di mettersi in ghingheri. "Non aspettarti che ci sia qualche duca lì," la avvisa la Principessa. Nastya indossa comunque il suo vestitino più corto, non si sa mai.

Anche la Principessa ha riflettuto sul suo guardaroba. La costerna il fatto che stia dimenticando i vestiti che possiede. Ogni volta che apre una porta dell'armadio, è come se entrasse in un luogo incantato. Cosa sono questi indumenti? Quali occasioni devono aver impreziosito! Lentamente, man mano che li riconosce - più dolorosamente quando non accade - è risucchiata indietro nella tristezza. Questa dunque era lei, eh? Il suo passato, quando non ha i suoi diari da consultare, assomiglia a una danza con gli scheletri. Rivedere gli abiti nei quali ha danzato con loro non fa che accrescere il senso di macabro. Pendono, nella sua immaginazione, come da spalle macilente. Ma è risoluta. Uno a uno li tira fuori, procedendo a ritroso, fino ad arrivare a feste di fidanzamento, matrimoni e balli di fine anno a Cambridge. Più beffardi sono i ricordi, meglio riesce a vedere che splendida figura facesse. In questo rifiutò una proposta di matrimonio. In quello scoprì il padre di uno dei suoi figli - forse - dare piacere a un'altra donna in mezzo ai cespugli. Vederlo, di nuovo, piegato come sopra una carriola, con i pantaloni alle caviglie, le riporta alla mente che aspetto magnifico avesse lei con un abito di velluto nero dalla scollatura profonda e un girocollo di diamanti attorno alla gola.

Oh, l'eleganza e l'assurdità della lunga vita che ha vissuto! La sua tristezza svanisce. Sì, troverà qualcosa di assolutamente appropriato, e così è: un kimono furisode cerimoniale che è una copia di quello indossato dal soprano Birgit Nilsson quando cantò la Turandot al Covent Garden. Per una gelida Principessa, la veste di una Principessa ancora più glaciale. La storia di come ne sia entrata in possesso è stata ampliata nel corso del tempo, ma quello che racconterà alla vedova Wolfsheim è che aveva espresso la sua ammirazione per il furisode a una cena dopo una serata di gala tenutasi negli anni sessanta, o forse addirittura nei cinquanta, al che il soprano, esaminandola dalla testa ai piedi, aveva dichiarato che la Principessa sarebbe stata una Turandot migliore di lei. "Non so cantare," aveva risposto Beryl Dusinbery, ma Nilsson aveva ignorato quella considerazione. "La sua apparizione da sola basterebbe a decretare la morte di un uomo," aveva detto. E Beryl Dusinbery aveva ricambiato il complimento. "Se io fossi il principe di Persia, sarei perito per mano sua piuttosto che trovare l'uscita dal labirinto dei suoi desideri," aveva detto. Le donne si erano scambiate casti baci. Dovevano assomigliare a due garzette nivee che si abbracciano. Una copia dell'abito da sera era arrivata una settimana dopo in una Bentley guidata da uno chauffeur.

È compiaciuta dell'apprezzamento di Nastya quando ha finito di vestirsi.

"Ha un aspetto da un milione di dollari."

"Allora andiamo prima che mi deprezzi."

"Prendo sedia?"

"Solo se intendi sedertici."

La ragazza scatta una foto della Principessa con il suo cellulare. E poi un selfie di loro due assieme.

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2.


"Stanno facendo le loro indagini su di te," dice a Shimi.

"Chi?"

"Tu chi pensi? L'MI5? I miei ragazzi."

"E che cosa hanno scoperto?"

"Hanno svelato i tuoi legami con la Russia. Sanno che sei una spia."

"Sanno che suono la balalaica e ho sposato la figlia di Solzenicyn?"

"Te l'ho detto, tutto."

"Scommetto che non sanno che ho risolto puzzle scorrevoli per gran parte della mia vita in uno scantinato su Seven Sisters Road, vicino al pub dove Trockij e Lenin bevevano birra calda, leggendo Bambini acquatici di Charles Kingsley."

"Dove Trockij e Lenin leggevano Bambini acquatici?"

"Dove io lo leggevo."

"Questo, se possibile, è ancora più bizzarro. Bambini acquatici! Tu! Diventi di ora in ora più interessante. Perché non me lo hai detto prima?"

"Voglio centellinare i miei segreti."

"Be', sicuramente hai centellinato questo. So dove sei nato e cresciuto, so dove sei andato a scuola, conosco le mutande di tua madre, dentro e fuori, conosco il rifugio antiaereo dove hai imparato ad avercela con tuo fratello, conosco il tuo ristorante cinese, conosco il tuo bagno, conosco le tue amiche vedove... ma Bambini acquatici? Perché? Sei stato partorito in acqua?"

"In un certo senso, sì. Era stata un'estate spaventosamente calda. Mia madre era in un bagno di sudore quando venni alla luce. La tarantola, probabilmente, cercava dell'acqua."

"Tarantola. Quale tarantola?"

"Quella che corse sopra i miei piedi. È una storia che racconto."

"Quindi è una menzogna."

"Dammi un definizione di menzogna... Se ricordo una tarantola c'era una tarantola."

"Adesso mi dirai che se ne scappò con la placenta."

"Effettivamente sì."

"E così te ne stavi seduto nel tuo scantinato a risolvere puzzle scorrevoli e a leggere Bambini acquatici? Hai un vero dono per il pathos."

"Come Charles Kingsley. Adoravo quel libro. Era un cimelio del cuore, la copia di mia madre. Me lo leggeva ad alta voce, o guardavamo le illustrazioni insieme. Raffiguravano un piccolo spazzacamino vittoriano che nuotava insieme a delle fate adulte. Lo prendevano tra le braccia e gli lavavano delicatamente di dosso lo sporco della sua occupazione. Tutto questo è un po' ovvio?"

Lei non dice niente.

Ma ha un pensiero. È questo il ruolo che è stata designata a svolgere nella vita infangata di Shimi Carmelli? È una delle fate armate di saponetta?

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"Allora sono fortunato ad averti trovata."

"Ci risiamo, continui a dire quello che non pensi."

"Ma lo penso sul serio."

"È troppo tardi. Hai fatto una tale arte della tetraggine che nessuno crederà che esiste un te stesso più allegro e speranzoso.»

"Non sono speranzoso. Solo riconoscente."

"Anche io. Ma siamo tutti e due prigionieri dei ruoli che abbiamo imparato a recitare tanto tempo fa. Siamo degli anacronismi. Non solo perché siamo vecchi, ma perché siamo entrambi attori che non riescono ad accettare il letteralismo dei nostri tempi. Ho figli che vengono ammirati perché sono fedeli ai loro principi: uno con cui la gente si identifica, Dio ci salvi, e un altro con cui non si identifica, ma almeno, dicono, si sa come la pensa. Come se un mascalzone che ti mostra la sua vera natura fosse preferibile a un uomo onesto che dissimula! Non potremmo essere vivi in un momento peggiore di questo, io e te. In un'epoca di autenticità, che diritto hanno dei dissimulatori come noi di strisciare fra terra e cielo?"

"Be', presto non ci saremo più."

"È quel che vogliono sentirci dire. Ce ne andiamo tra un attimo - le ultime vestigia dell'età dell'ironia. Come se fosse nostro dovere farci da parte e rendergli la vita facile. Be', ho delle novità per loro: finché saremo qui gli sbatteremo in faccia la loro condiscendenza. Un giorno ci ringrazieranno per questo. Teniamo aperta la porta sul retro per loro, lasciamo soffiare la fresca aria del passato."

"Vuoi che glielo dica quando li incrocio per strada? Stiamo tenendo duro per farvi un dispetto, e un giorno ci ringrazierete per questo... Non che mi vedano quando li incrocio per strada."

"Certo che non ti vedono. I giovani sono indifferenti a chiunque tranne che a se stessi. È questo l'effetto che ha sulle loro facoltà la convinzione che il passato dovrebbe essere cancellato - li rende sordi e ciechi. Ma dobbiamo comunque loro un esempio, anche se lo meritano molto poco. Dobbiamo loro il doppio gioco, il sotterfugio, la devianza..."

"La devianza?"

"Zitto, sto facendo senza l'aiuto di un thesaurus. La devianza, sì. E la simulazione, la finzione, il sarcasmo... il grande, vecchio ballo in maschera dell'insincerità."

"E cosa dobbiamo a noi stessi?"

I loro occhi si incrociano, frivoli e umidi. Perfino maliziosi.

"Il gioco della felicità."

"Dovremmo sposarci, allora."

"Dovremmo? E chi ci costringe? Il dio dell'Amore?"

La Principessa aspetta di sentire cosa ribatterà lui a questo.

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