Autore Henry James
Titolo La casa natale
EdizioneSpartaco, Santa Maria Capua Vetere, 2022, Elitropia 1 , pag. 152, cop.fle., dim. 13,5x21x1 cm , Isbn 978-88-96350-95-9
OriginaleThe Birthplace [1903]
CuratoreSergio Perosa
TraduttoreSergio Perosa
LettoreFlo Bertelli, 2022
Classe classici statunitensi









 

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Indice


Woodstock batte La Scala
di Sergio Perosa               5


    La casa natale

I                             35
II                            49
III                           57
IV                            69
V                             81
VI                            97
VII                          109


    Appendice
I                            137
II                           141
III                          144



 

 

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Pagina 35

I



Gli sembrò sulle prime troppo bella, l'offerta, per essere vera, e la lettera inviata dal loro amico, come specificava, per tastare il terreno sulle loro inclinazioni e disponibilità, fece quasi l'effetto di un bello scherzo a loro spese. L'amico, il signor Grant Jackson, persona molto prominente e pressante, maestro nell'argomentare e disporre, brusco negli approcci, dagli atteggiamenti imprevedibili, per non dire perversi, acclamato e quasi altrettanto osteggiato nella vasta regione delle Midlands alla quale, secondo la frase, aveva insegnato la misura del suo piede - questo loro amico aveva scagliato il suo fulmine a ciel sereno e li aveva tanto scossi, da suscitare quasi più paura che speranza.

Il posto risultava vacante per la morte di una delle due signore, madre e figlia, che vi prestavano servizio da quindici anni; la figlia continuava a occuparsene da sola per fare un favore; ma benché molto avanti negli anni, era capitata l'occasione d'un matrimonio che comportava lasciare l'impiego, e il problema dei successori s'era fatto urgente. Onde la necessità di trovare una coppia d'un qualche tipo, ma del tipo giusto, preferibilmente due sorelle istruite e competenti; una coppia di sposi avrebbe avuto i suoi vantaggi, purché con segnalate qualificazioni. Già non si contavano più i postulanti, candidati, assedianti alla porta di chiunque si supponesse aver voce in capitolo, e il signor Grant Jackson, a suo modo diplomatico e con una voce magari non delle più chiassose, ma dotata di note insistenti, aveva fissato la sua preferenza su una persona o coppia di persone che si fosse mostrata decorosa e silenziosa. I Gedges dovevano averlo colpito per la loro muta attesa - sebbene nella fattispecie nessun impiccione si fosse preso la briga di portargli, nella loro lontana provincia del nord, la minima avvisaglia di felicità o pericolo. E del resto, il colpo di fortuna era nato ovviamente da un ricordo non proprio freschissimo, che non aveva dato buon frutto prima.

Da giovane, per alcuni anni, Morris Gedge aveva tenuto una scuola privata, di quelle comunemente note come "preparatorie", e gli era capitato di accogliere sotto il proprio tetto il figlioletto del grand'uomo, a quel tempo non ancora così eminente. Durante un'assenza dall'Inghilterra dei genitori, il bambino si era gravemente ammalato e, dato il pericolo, questi erano stati richiamati in fretta, benché con inevitabili ritardi, da un Paese lontano - erano in America, con l'intero continente e l'oceano da attraversare - e al loro ritorno il bambino era salvo; salvato, come fu giocoforza constatare, dalla estrema devozione e dal perfetto discernimento della signora Gedge. Senza figli suoi, si era particolarmente affezionata al più piccino e tenero degli allievi del marito, ed entrambi avevano temuto come peggior disastro il danno che avrebbe arrecato alla loro piccola impresa la perdita del bambino. Da persone timorose, ansiose, sensibili, orgogliose - com'erano per quello ben consapevoli - al di sopra della loro posizione, nel migliore dei casi sempre molto modesta, lo avevano curato con terrore e salvato dalla morte rimettendoci un esaurimento. L'esaurimento, in effetti, li aveva colti ben presto e per un motivo o per l'altro si era affermato come loro condizione permanente. La morte del bambino, s'erano detti, li avrebbe finiti, ma la sua guarigione non li aveva rimessi in sesto; e faceva certamente parte del loro timido ma reciso candore che non considerassero affatto d'aver messo indirettamente da parte un tesoro. In nessun modo un tesoro rientrava nei loro sogni o veglie, e per gli anni susseguenti s'erano trascinati sotto quel peso, incespicando dolorosamente di quando in quando, sfuggendo per il rotto della cuffia a una caduta nella polvere.

La scuola non aveva prosperato, era andata in declino e fu chiusa. La salute di Gedge deperì, e ancor più ogni suo segno e manifestazione di praticità. Aveva tentato diverse cose, ne aveva provate molte altre, ma alla fine risultò che esse avevano altrettanto provato lui. Al momento di cui parlo, mettevano alla prova soprattutto i suoi successori, mentre lui - con un senso di mesta felicità derivante in questo caso dal mero posticipo d'un cambiamento - si trovava incaricato della grigia biblioteca comunale di Blackport-on-Dwindle, tutta granito, nebbia e narrativa femminile. Una situazione in cui la sua intelligenza comune - riconosciuta come suo punto forte - si riteneva per unanime consenso meno sottoposta a tensione della padronanza dei particolari in cui lo si considerava deficitario.

Fu a Blackport-on-Dwindle che lo raggiunse e trafisse la freccia d'argento del colpo di fortuna: fu come un'alternativa al compito di distribuire libri sgualciti i cui stessi titoli, sulle labbra di innumerevoli fatue ragazzine, gli davano fortemente sui nervi, che lo raggiunse l'offerta del ruolo di custode di un tempio quanto mai differente. Lo stipendio indicato differiva ben poco dal misero salario ora percepito, ma fosse stato anche inferiore, decisivi sarebbero stati per lui l'interesse e l'onore. Il santuario a cui sarebbe stato preposto - benché non avesse mai avuto l'occasione di metterci piede - era per lui il più sacro fra quelli a cui si volgevano i passi umani: la casa giovanile del supremo poeta, la Mecca della razza anglofona.

Gli vennero le lacrime agli occhi ancor prima che a sua moglie, mentre con lei si guardava attorno nella proprio stretta prigione, così tetra di illuminata cultura, così brutta d'impegno profuso, così lontana da qualsiasi sogno, così intollerabile per qualsiasi buon gusto. Si sentì come se una finestra si fosse spalancata su un ampio terreno boschivo verdeggiante, con un nome glorioso, immortale, popolato di vivide figure, ognuna rinomata, che emanava un mormorio profondo come il suono del mare o lo stormire nell'ombra silvestre di tutta la poesia, la bellezza, il colore della vita. Un miracolo, che proprio a lui fosse toccato custodire la chiave di questo mondo trasfigurato! Non poteva crederci - neppur quando Isabella, vedendo la sua faccia, venne in suo aiuto con un bacio. Scosse il capo con uno strano sorriso. «Non può toccare a noi. Perché mai? È perfetto».

«Se non toccherà a noi, la sua sarà stata semplice crudeltà: cosa impossibile, visto il tempo che ci ha messo a mostrarci la sua benevolenza». La signora Gedge ci credeva - lo voleva credere: se le grandi porte del mondo della poesia s'erano d'un tratto dischiuse dinanzi a loro, dapprincipio lo avrebbero ritenuto una forma di giustizia poetica. Aveva fiducia nel loro protettore - improvvisa, ma adesso completa fiducia. «Si è ricordato - tutto qui; ed è la nostra forza».

«E qual è la sua?» chiese Gedge. «Può darsi che voglia sì darci una bella spinta, ma riuscirci è un'altra cosa. Che speciali vantaggi abbiamo?».

«Be', siamo le persone giuste». Data la scarsa informazione, lei aveva tuttora soltanto la più vaga idea delle esigenze del caso, e non aveva mai messo piede - tanto quanto suo marito - sul sacro suolo; ma si vedeva sfiorare con mano finemente guantata una collezione di oggetti di pregio e proferire a una folla compatta di persone estasiate e soggiogate, «E ora, per favore, di qui». Si sentiva persino dare con prontezza e decisione una risposta alla casuale domanda d'un visitatore nel quale l'audacia aveva prevalso sulla soggezione. Una volta, anni prima, con una cugina, aveva visitato un grande castello del Nord, e a quel modo la custode aveva fatto da guida. E non era neanche che si considerasse una custode: era ben al di sopra di questo ruolo, e il gesto della sua mano non avrebbe mancato di mostrarlo. Riassunse questo, e molto altro, rispondendo al marito: «I nostri speciali vantaggi sono che tu sei un gentiluomo».

«Oh!», rispose Gedge, come se non ci avesse mai pensato, e tuttavia anche come se non valesse neanche la pena pensarlo.

«Capisco bene tutta la situazione», continuò lei, «hanno già avuto persone volgari - e scoprono che non fanno al caso loro. Noi siamo poveri e modesti, ma chiunque può capire cosa siamo».

Gedge soppesò. «Vuoi dire...?». Più modesto di lei, non sapeva bene cosa intendesse.

«Noi siamo raffinati. Sappiamo esprimerci».

«Davvero...?» - d'un tratto, si mise ancora a soppesare.

Ma lei, fin dall'inizio, mostrava più sicurezza di lui su tutto; sicché, quando furono passate altre settimane e l'ombra dell'incertezza - benché fosse soltanto un'ombra - si era propagata sin quasi a farlo star male, poté dare trionfante la notizia che erano stati debitamente nominati. «La nostra paga è scarsa, ma riusciamo a farcela», lei aveva insistito nell'attuale occasione. «Noi siamo molto colti, e ottenere questo, per loro - non capisci? - senza ci si mettano di mezzo troppe pretese e richieste, deve essere precisamente il loro sogno. Noi non abbiamo una posizione sociale, ma non ci importa niente non averla, non è vero?; ed è perché conosciamo la differenza fra la realtà e le fandonie. Noi ci atteniamo alla realtà, e questo ci conferisce buon senso: le persone volgari ne possiedono meno che mai, e lì sarà dopotutto richiesto, come in qualsiasi altro luogo».

Il suo compagno la seguiva sovrappensiero, come se negli ultimi momenti il suo orizzonte si fosse tanto allargato da quasi perdercisi dentro e richiedesse un nuovo orientamento. Lo circondavano spazi luminosi; la sola associazione bastava a rendere più nobile la volta del cielo. «Lascia che ci abbandoniamo un po' alla romanticheria. Lì mi sembra stia il bello. C'è mancato per tutta la vita, e ora è arrivato. Saremo al suo quartier generale. Ne faremo una scorpacciata».

Lei guardò sul suo volto gli effetti di tali prospettive, e il proprio le s'illuminò come se d'un tratto fosse diventato bello. «Di sicuro... vivremo come in una fiaba. Ma voglio dire che noi daremo in certo modo - e con che gioia! - tanto quanto riceveremo. Oltretutto, noi siamo, per esempio, puliti». La lettera era arrivata a colazione - e pizzicò una mosca dal piattino del burro. «È così che terremo il posto» - al che dal divano spostò in cima al piccolo pianoforte verticale una scatola di biscotti che non si era lasciata ficcare nella credenza.

A Blackport erano in affitto in stanze del più basso rango - si era lasciata scappar detto con una libertà che a Blackport parve alquanto tinta di invidia. Alla Casa Natale - e soltanto questo era esaltante, dopo una tal vita - non sarebbero stati affittuari, giacché una casetta accanto era riservata al curatore, una casetta attaccata come una deliziosa vecchia canonica è spesso annessa a una bizzarra vecchia chiesa. L'insieme sarebbe stata la loro dimora, e avrebbe costituito un piccolo mondo che non avrebbero mai più desiderato lasciare.

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