Copertina
Autore James Joyce
Titolo Ulisse
EdizioneMondadori, Milano, 1965 [1960], Medusa 441 , pag. 1030, cop.ril.sov., dim. 11,5x19,5x5,5 cm
OriginaleUlysses [1922]
TraduttoreGiulio de Angelis
LettoreRenato di Stefano, 1966
Classe narrativa irlandese
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Pagina 9

Solenne, paffuto Buck Mulligan comparve dall'alto delle scale, portando un bacile di schiuma su cui erano posati in croce uno specchio e un rasoio. Una vestaglia gialla, discinta, gli era sorretta delicatamente sul dietro dalla mite aria mattutina. Levò alto il bacile e intonò:

— Introibo ad altare Dei.

Fermatosi, scrutò la buia scala a chiocciola e chiamò berciando:

— Vieni su, Kinch. Vieni su, pauroso gesuita.

Maestosamente avanzò e ascese la rotonda piazzuola di tiro. Fece dietrofront e con gravità benedisse tre volte la torre, la campagna circostante e i monti che si destavano. Poi, avvedutosi di Stephen Dedalus, si chinò verso di lui e tracciò rapide croci nell'aria, gorgogliando di gola e tentennando il capo. Stephen Dedalus, contrariato e sonnolento, appoggiò i gomiti sul sommo della scala e guardò con freddezza la tentennante gorgogliante faccia che lo benediceva, cavallina nella lunghezza, e i chiari capelli senza tonsura, marezzati color quercia chiaro.

Buck Mulligan sbirciò per un attimo sotto lo specchio e poi copri lestamente il bacile.

— Rientra in caserma, disse severo.

Poi con un tono da predicatore:

— Perché questo, o miei diletti, è il genuino Cristino: corpo e anima e sangue e angue. Musica adagio, di grazia. Chiudete gli occhi, rispettabile pubblico. Un momento. C'è un piccolo guaio con quei corpuscoli bianchi. Silenzio, a tutti.

Sogguardò di sghembo e lanciò un lungo, sordo fischio di richiamo, poi con rapita attenzione fece una pausa, e i denti bianchi e regolari gli brillavano qua e là di schegge d'oro. Crisostomo. In risposta due forti fischi acuti attraversarono la quiete.

— Grazie, vecchio mio, gridò vivacemente. Cosí non c'è malaccio. Stacca la corrente, ti dispiace?

Saltò giú dalla piazzuola, e guardò gravemente il suo osservatore, raccogliendosi intorno alle gambe le pieghe volanti della vestaglia. Il nereggiante viso paffuto e la proterva mascella ovale rammentavano un prelato, protettore delle arti nel medioevo. Un amabile sorriso si diffuse pacatamente sulle sue labbra.

— Che canzonatura, disse gaio. Quel tuo nome assurdo, da greco antico.

Lo segnò a dito con amichevole celia e si avviò al parapetto, ridendo tra sé. Stephen Dedalus venne su, lo segui stancamente per un tratto e si sedette sull'orlo della piazzuola continuando a guardarlo mentre lui appoggiava lo specchio sul parapetto, intingeva il pennello nel bacile e si insaponava guance e collo.

La gaia voce di Buck Mulligan continuò:

— Anch'io ho un nome assurdo: Màlachi Mulligan, due dattili. Ma ha un certo qual suono ellenico, vero? Saltellante e solare proprio come un cerbiatto. Dobbiamo andare ad Atene. Ci vieni se riesco a far sborsare venti sterline alla zia?

Mise giú il pennello e, ridendo di gusto, urlò:

— Verrà lo sparuto gesuita?

Chetatosi, cominciò a sbarbarsi con cura.

— Senti, Mulligan, disse piano Stephen.

— Parla, amor mio.

— Quanto tempo starà ancora Haines in questa torre?

Buck Mulligan mostrò una gota rasata al disopra della spalla destra.

— Dio, ma quello è tremendo, no? disse con franchezza. Un sassone ponderoso. Non ti considera un gentiluomo. Dio, questi dannati inglesi. Crepano di quattrini e di indigestione. Perché lui viene da Oxford. Sai, Dedalus, tu hai tutto il tono di Oxford. Non arriva a capirti. Oh, ma il nome che ti ho dato è l'ideale: Kinch, lama di coltello.

Si faceva una cauta passata sul mento.

— Ha delirato tutta la notte di una pantera nera, disse Stephen. Dov'è la fonda del suo fucile?

— Un miserabile pazzo, disse Mulligan. Hai avuto fifa?

— Eccome, disse Stephen con energia e con crescente paura. In un posto simile al buio con un uomo che non conosco, che delira e geme tra sé di sparare a una pantera nera. Tu hai salvato uomini che stavano per affogare. Ma io, non sono un eroe. Se resta qui lui me ne vado io.

Buck Mulligan guardò accigliato la spuma sulla lama del rasoio. Saltò giú dal suo trespolo e cominciò a frugarsi in fretta nelle tasche dei pantaloni.

— Taglia la corda, gridò con voce spessa.

Si avvicinò alla piazzuola e, cacciando una mano nel taschino di Stephen, disse:

— Mollaci in prestito il tuo moccichino per asciugare il rasoio.

Stephen tollerò che tirasse fuori e tenesse in mostra per un angolo un fazzoletto sporco e gualcito. Buck Mulligan pulí diligentemente la lama. Poi, percorrendo con lo sguardo il fazzoletto, disse:

— Il moccichino del bardo. Nuovo colore pittorico per i nostri poeti irlandesi: verdemoccio. Sembra di sentirselo in bocca, vero?

Risalí sul parapetto e percorse con lo sguardo la baia di Dublino, i biondi capelli querciapallida lievemente mossi.

— Dio, disse tranquillamente. Il mare è proprio come dice Algy: una dolce madre grigia, no? Il mare verdemoccio. Il mare scrotocoscrittore. Epi oinopa ponton. Ah, Dedalus, i Greci. Ti devo erudire. Li devi leggere nell'originale. Thalatta! Thalatta! È la nostra grande dolce madre. Vieni a vedere.

Stephen si alzò e si accostò al parapetto. Appoggiatosi abbassò lo sguardo sull'acqua e sul postale che usciva dall'imboccatura del porto di Kingstown.

— La madre nostra possente, disse Buck Mulligan.

Girò bruscamente i grandi occhi indagatori dal mare al viso di Stephen.

— La zia pensa che tu abbia ucciso tua madre, disse. Per questo non vuole che io abbia a che fare con te.

— Qualcuno l'ha uccisa, disse Stephen con mestizia.

— Ti potevi inginocchiare, Kinch, porca miseria, quando tua madre te l'ha chiesto in punto di morte, disse Buck Mulligan. Sono iperboreo quanto te. Ma pensare a tua madre che con l'ultimo respiro ti supplicava di inginocchiarti a pregare per lei. E tu hai rifiutato. C'è qualcosa di sinistro in te...

S'interruppe e si rifece una leggera insaponata sull'altra guancia. Un sorriso tollerante gli increspò le labbra.

— Ma un meraviglioso mimo, mormorò a se stesso. Kinch, il piú meraviglioso dei mimi.

Si radeva pulito e meticoloso, in silenzio, seriamente. Stephen, con un gomito sul granito scabro, appoggiò la fronte a una mano e guardò l'orlo sfilacciato della sua manica nera lustra. Una sofferenza, che non era ancora la sofferenza amorosa, gli rodeva il cuore. Silenziosamente, in un sogno era venuta a lui dopo la morte, il corpo consunto nel molle sudario scuro spandeva un sentore di cera e di legno di rosa, l'alito che, muto, rampognante, si era chinato su di lui, un lieve odore di ceneri bagnate. Oltre il polsino sfrangiato egli vedeva il mare che la ben pasciuta voce al suo fianco salutava come grande dolce madre. L'anello della baia e dell'orizzonte conteneva una fosca massa verde di liquido. Presso il suo letto di morte posava un bacile di bianca porcellana contenente la verde bile vischiosa che con accessi di vomito altogemente ella aveva divelto al fegato in putrefazione.

Buck Mulligan nettò di nuovo la lama del rasoio.

— Ah, povero corpo d'un cane, disse con voce gentile. Ti devo dare una camicia e qualche moccichino. E che ne è delle brache di seconda mano?

— Mi vanno abbastanza bene, rispose Stephen.

Buck Mulligan attaccò l'incavo sotto il labbro inferiore.

— Che canzonatura, disse soddisfatto, si dovrebbero chiamare di seconda gamba. Dio sa quale sifiletilico le ha smesse. Io ne ho un bel paio con un righino, grigie. Con quelle farai faville. Non sto scherzando Kinch. Fai un figurone quando ti vesti bene.

— Grazie, disse Stephen. Non le posso portare se sono grigie.

— Non le può portare, Buck Mulligan disse alla sua faccia nello specchio. L'etichetta è l'etichetta. Ammazza la madre ma non può portare pantaloni grigi.

Chiuse diligentemente il rasoio e con carezzosi polpastrelli si palpeggiò la pelle liscia.

Stephen girò lo sguardo dal mare alla faccia paffuta dai mobili occhi azzurrofumo.

— Quel tale che era con me al Ship ieri sera, disse Buck, dice che tu hai la p.g.a. Lui è a Cretinopoli con Conolly Norman. Paralisi generale degli alienati.

Sventagliò a semicerchio lo specchio nell'aria per lampeggiare all'intorno le notizie nella luce del sole adesso raggiante sul mare. Le labbra sbarbate e increspate risero, e cosí pure i bordi dei denti bianchi, scintillanti. Il riso s'impadroní di tutto il suo torso forte, ben piantato.

— Guardati, disse, o tremendo bardo.

Stephen si chinò in avanti e scrutò lo specchio a lui offerto, rigato da un'obliqua incrinatura, ritti i capelli. Come mi vedono lui e gli altri. Chi mi ha scelto questa faccia? Questo corpo d'un cane da spidocchiare. Lo domanda anche a me.

— L'ho pizzicato nella stanza della sguattera, disse Buck Mulligan. Per lei va benissimo. La zia tiene sempre serve brutte per Màlachi. Non lo indurre in tentazione. Si chiama Orsola.

Tornato a ridere sottrasse lo specchio agli occhi scrutatori di Stephen.

— O rabbia di Calibano perché non si vede la faccia in uno specchio, disse. Ci fosse ancora Wilde a vederti.

Tirandosi indietro e puntando il dito, Stephen disse con amarezza:

— È un simbolo dell'arte irlandese. Lo specchio incrinato d'una serva.

Improvvisamente Buck Mulligan allacciò il braccio a quello di Stephen e si mise a passeggiare con lui attorno alla torre, il rasoio e lo specchio stridenti nella tasca dove li aveva cacciati.

— Non sta bene tormentarti cosí, vero Kinch? disse bonariamente. Lo sa Dio che vali piú di tutti loro.

Un'altra parata. Teme la lancetta della mia arte come io temo quella della sua. Il freddo acciaio della penna.

— Specchio incrinato di una serva. Diglielo a quel bue del piano di sotto e prova a cavargli una ghinea. Puzza di soldi lontano un miglio e dice che non sei un gentiluomo. Il suo vecchio ha fatto il gruzzolo vendendo scialappa agli Zulù o con qualche altro porco imbroglio del genere. Dio mio, Kinch, basterebbe che io e te lavorassimo insieme, potremmo far qualcosa per la nostra isola. Ellenizzarla.

Il braccio di Cranly. Il suo braccio.

— Pensare che devi chiedere la carità a questi porci. Io sono il solo a sapere quel che vali. Perché non mi dài piú fiducia? Che cos'è che ti fa torcere il naso contro di me? Haines? Se fa tanto di piantare baccano qui, porto giú Seymour e gli diamo una lezione peggio di quella che hanno appioppata a Clive Kempthorpe.

Giovani urla di voci danarose nella stanza di Clive Kempthorpe. Visipallidi: si tengono la pancia dal ridere, sorreggendosi a vicenda. Oh, c'è da crepare! Recale la notizia con riguardo Aubrey! Qui io muoio! Con la camicia ridotta a fettucce staffilando l'aria saltabecca e brancola intorno al tavolo, i pantaloni calati alle calcagna, rincorso da Ades di Magdalen con le cesoie da sarto. Faccia di vitello sgomento dorata di marmellata d'arance. Non voglio essere messo a culo nudo! Non fate gli stupidi con me!

Dalla finestra aperta gridío che sconcerta la sera nel cortile. Un giardiniere sordo, in grembiule, mascherato con la faccia di Matthew Arnold, spinge la falciatrice nel prato in ombra aguzzando le ciglia verso lo svolío dei fili d'erba.

Per noi... neopaganesimo... onfalo.

— Che resti pure, disse Stephen. Niente da ridire sul suo conto eccetto di notte.

— Allora che c'è? domandò Buck Mulligan spazientito. Sputa fuori. Io con te parlo chiaro. Che cos'hai adesso contro di me?

Si fermarono, guardando verso il capo smussato di Bray Head che si stendeva sull'acqua come il grugno d'una balena addormentata. Stephen liberò piano il braccio.

— Vuoi che te lo dica? domandò.

— Sí, che c'è? rispose Buck Mulligan. Io non ricordo nulla.

Scrutava Stephen in faccia cosí parlando. Una lieve brezza gli passò sulla fronte, sventagliandogli mollemente i biondi capelli spettinati e suscitandogli argentei luccichii d'ansia negli occhi.

Stephen, avvilito dalla propria voce, disse:

— Ti ricordi il primo giorno che sono venuto a casa tua dopo la morte di mia madre?

Di colpo Buck Mulligan si accigliò e disse:

— Che cosa? Dove? Non mi ricordo di niente. Ricordo soltanto idee e sensazioni. Perché? Che cosa è successo in nome di Dio?

— Stavi facendo il tè, disse Stephen, ed io ho attraversato il pianerottolo per prendere un altro po' di acqua calda. Tua madre usci dal salottino con qualcuno ch'era venuto a trovarla. Ti domandò chi c'era in camera tua.

— E allora? disse Buck Mulligan. Che cosa ho detto? Non me ne ricordo.

— Hai detto, rispose Stephen, Oh, è soltanto Dedalus a cui è morta bestialmente la madre.

Un rossore che lo fece apparire piú giovane e attraente sali alla guancia di Buck Mulligan.

— Ho detto cosí? domandò. Be'? che male c'è?

Si scrollò nervosamente di dosso il proprio impaccio.

— Che cos'è mai la morte, domandò, quella di tua madre o la tua o la mia? Tu non hai mai visto morire che tua madre. Io li vedo crepare ogni giorno al Mater o al Richmond e tagliati a lasagne in sala anatomica. È una cosa bestiale, e nient'altro. Non ha importanza, ecco tutto. Tu non hai voluto inginocchiarti a pregare per tua madre sul letto di morte quando lei te l'ha chiesto. Perché? Perché c'è in te quella maledetta vena di gesuita, solo che è iniettata a rovescio. Per me non è che una canzonatura, e bestiale. I suoi lobi cerebrali hanno smesso di funzionare. Lei chiama il dottore Sir Peter Teazle e coglie ranuncoli dall'imbottita. Assecondala finché dura. Tu hai contrariato la sua ultima volontà in punto di morte e adesso mi tieni il broncio perché non metto su una mutria da piagnone presa a nolo da Laluette. È un'assurdità. Magari l'ho anche detto. Non volevo offendere la memoria di tua madre.

Via via che parlava si era imbaldanzito. Stephen, facendo schermo alle ferite aperte nel suo cuore da quelle parole, disse molto freddamente:

— Non mi preoccupo dell'offesa fatta a mia madre.

— Di che cosa allora? domandò Buck Mulligan.

— Dell'offesa fatta a me rispose Stephen.

Buck Mulligan girò sul calcagno.

— Oh, che uomo impossibile! esclamò.

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