Copertina
Autore Daniel Kahneman
CoautoreDaniel McFadden, Vernon L. Smith
Titolo Critica della ragione economica
Edizioneil Saggiatore, Milano, 2005, La cultura 590 , pag. 288, ill., cop.fle., dim. 140x215x22 mm , Isbn 978-88-428-1176-3
OriginaleRationality fo Economists? [1999] - Maps of Bounded Rationality: a Perspective on Intuitive Judgement and Choise [2002] - Constructivist and Ecological Rationality in Economics [2002]
CuratoreMatteo Motterlini, Massimo Piattelli Palmarini
TraduttoreGiuseppe Barile
LettoreRiccardo Terzi, 2006
Classe economia , economia politica , psicologia
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Indice


Introduzione                                          9
di Matteo Motterlini e Massimo Piattelli Palmarini


Razionalità per economisti?                          25
di Daniel McFadden


Mappe di razionalità limitata.                       77
Indagine sui giudizi e le scelte intuitivi
di Daniel Kahneman


Razionalità costruttivista e razionalità ecologica  141
di Vernon L. Smith


Postfazione. Galleria degli errori economici        233
di Massimo Piattelli Palmarini e Matteo Motterlini


Indice degli autori citati                          281


 

 

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Pagina 9

Introduzione
di Matteo Motterlini e Massimo Piattelli Palmarini



Il 9 ottobre 2002 l'Accademia reale svedese delle scienze riconosceva a due innovative aree di ricerca il merito di aver cambiato la direzione della scienza economica, riequilibrando il rapporto tra teoria ed evidenza empirica. Più precisamente, nel 2002, il "premio della Banca di Svezia per le scienze economiche in memoria di Alfred Nobel" andava congiuntamente a Daniel Kahneman e a Vernon Lomax Smith.

Kahneman è uno psicologo cognitivo, nato nel 1934 a Tel Aviv, cresciuto a Parigi, laureatosi a Gerusalemme, PhD a Berkeley nel 1961, poi per molti anni professore all'Università della British Columbia, prima di tornare a Berkeley e infine trasferirsi a Princeton, dove è attualmente membro sia del dipartimento di psicologia sia della Woodrow Wilson School for Public and International Affairs. La menzione ufficiale specifica che il premio Nobel gli è stato assegnato "per aver integrato intuizioni della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente nel campo del giudizio e della decisione in condizioni d'incertezza".

Smith è un economista sperimentale, nato a Wichita, Kansas, nel 1927, cresciuto in Kansas, laureatosi in fisica e ingegneria elettronica al California Institute of Technology, PhD in economia a Harvard, poi professore alla Brown University, alla Purdue University, quindi per ventisei anni professore all'Università dell'Arizona e attualmente professore alla George Mason University (Washington DC). La menzione ufficiale specifica che il premio gli è stato assegnato "per aver affermato la rilevanza degli strumenti di laboratorio per l'indagine empirica in economia, soprattutto per lo studio di meccanismi di mercato alternativi".

Nessuno dei due è un economista in senso stretto e non va taciuto che, per ragioni diverse, con vigore diverso e in tempi diversi, gli economisti duri e puri hanno storto la bocca di fronte alle loro rispettive ricerche e ai loro rispettivi metodi. Il compito di integrare pienamente nella teoria economica i risultati che Kahneman e Smith, insieme ai loro numerosi collaboratori e coautori, hanno conseguito facendo forza ai tradizionali confini disciplinari è tutt'altro che agevole e rappresenta una sfida ancora da vincere.

Il riconoscimento mondiale dato dal Nobel alle loro ricerche rende adesso manifesto e ineludibile un compito che solo alcuni avevano già intravisto e in parte intrapreso. Si tratta, niente di meno, che di rivisitare sulla base dei loro risultati un antico, sfuggente problema, in continua evoluzione: quale modello soddisfacente possiamo costruire della razionalità in economia? Una formulazione non molto diversa è la seguente: può l'economia essere considerata a pieno diritto una scienza e, se sì, quale tipo di scienza?

Il fascino della fisica, la regina delle scienze, è sempre stato forte presso gli economisti. Fu un fisico di origine ungherese, John von Neumann, in un denso articolo passato all'epoca inosservato (von Neumann, 1928), a costruire un modello preciso della razionalità economica individuale. Un agente intelligente, normalmente versato nel ragionamento, normalmente animato dal suo interesse particolare, pienamente informato delle possibilità di azione disponibili e delle loro conseguenze, si trova a interagire con un "ambiente" in cui operano uno o più agenti in tutto simili a lui. L'intelligenza, il ragionamento, le strategie, proprie e degli avversari, e il calcolo — che ciascuno ragionevolmente e ricostruibilmente farà — delle conseguenze sulle proprie "utilità" diventano parte del "mondo" circostante. Molti anni più tardi, con l'economista Oskar Morgenstern, questo suo modello matematico — la teoria dei giochi e il comportamento economico (von Neumann e Morgenstern, 1944) — verrà completato e alimenterà un intero settore di ricerca, ancora in pieno vigore, testimoniato dal Nobel, peraltro tardivo, assegnato a John Nash, John Harsanyi e Reinhard Selten.

Va sottolineato che von Neumann e Morgenstern furono espliciti nel voler rendere matematicamente rigoroso un intero "settore della psicologia" (sic): quello delle scelte e delle preferenze individuali ben soppesate.

Saranno proprio Kahneman e Tversky — riprendendo ed estendendo su basi cognitive un noto paradosso formulato nel 1952 da un altro premio Nobel della disciplina, il francese Maurice Allais — a mostrare la scarsa plausibilità del loro modello per la psicologia dei decisori reali in situazioni reali. Smith, anch'egli fisico per formazione, ha indagato in piccoli gruppi, in situazioni controllabili, la dinamica effettiva dei decisori economici, ricavandone una lezione complessa sul raggiungimento spontaneo degli equilibri, cardine della teoria dei mercati. Come racconta nell'autobiografia (Smith, 2002), sulle prime egli ritenne di aver scoperto che l'economia poteva davvero seguire il modello della fisica, ma un'analisi più ravvicinata della teoria classica dei mercati lo persuase a esplorare strade del tutto diverse. Socialista per vocazione giovanile e per scelta consapevole, all'inizio della sua carriera si persuase che era possibile mostrare formalmente e sperimentalmente lo spreco e l'inefficienza del processo attraverso il quale il libero gioco degli egoismi individuali porterebbe alla convergenza spontanea sugli equilibri di mercato. Con suo sommo stupore, invece, le situazioni sperimentali da lui escogitate e fatte giocare da soggetti in carne e ossa (il termine economia sperimentale ancora non era stato coniato) mostrarono che la convergenza era reale, efficiente e molto vicina alla razionalità astratta predicata dall'economia teorica. Le deviazioni e i distinguo emergeranno solo negli anni successivi.

In parte perché l'economia si basa su cifre, e lascia quindi ben sperare in una misura precisa (a differenza delle altre scienze sociali), in parte perché alcune idealizzazioni e le loro inevitabili conseguenze si sono mostrate trattabili matematicamente (almeno in situazioni modello), la fiducia in una scienza rigorosa, esplicativa e predittiva è rimasta vigorosa. Stessi metodi e stesso rigore della fisica, ma applicati a contenuti propri e specifici.

La concezione dell'economia come "scienza separata" ha, infatti, radici che affondano lontano, almeno fino a John Stuart Mill. E un certo dogmatismo in economia è giustificato dalle circostanze in cui si trovano a lavorare gli economisti: benedetti da idealizzazioni plausibili e dai postulati comportamentali dell' homo oeconomicus (funzione di utilità, massimizzazione ed egoismo) che sono intuitivi, trattabili matematicamente e parsimoniosi; ma anche maledetti dall'incapacità di imparare dall'esperienza per l'abbondanza e la variabilità delle condizioni iniziali e l'arbitrarietà delle ipotesi ausiliarie necessarie alla deduzione dei fenomeni (vedi Hausman, 1992).

Nell'insegnare la "teoria della scelta razionale" ai suoi studenti di Stanford, David Kreps (1988) riconosce che per colmare lo scarto tra il comportamento che osserviamo nel mondo reale e quello assiomaticamente fondato ci vuole "una buona dose di fede". A ciò si aggiunga la tendenza radicata nella professione a considerare l'economia come una scienza non sperimentale. Un atteggiamento ribadito da Samuelson e Nordhaus (1985, pag. 8) in uno dei più influenti libri di testo su cui si sono formate generazioni di studenti:

L'economia [...] non può effettuare gli esperimenti controllati dei chimici e dei biologi perché non è in grado di controllare facilmente tutti gli altri fattori. Come gli astronomi o i meteorologi, gli economisti devono limitarsi in larga parte a osservare [passivamente].

La difficoltà di operare esperimenti controllati e il doversi limitare all'osservazione dei dati sul campo sancisce di fatto (anche se non in linea di principio) l'infalsificabilità della teoria economica. Quando un controllo empirico condotto con dati non sperimentali dà un esito negativo, è facile imputare il fallimento a qualche imprevisto fattore disturbante o a un errore di misurazione. La teoria finisce per essere salvata, qualunque cosa succeda, poiché nessun tipo di evidenza può fornire un controllo stringente della sua validità. Gli economisti sono quindi portati a esercitare un "falsificazionismo innocuo". Al contrario le scienze più avanzate, come la fisica o la biologia, fanno uso sia di dati sperimentali sia di teorie comprovabili o falsificabili. La rivoluzione copernicana e quella newtoniana sarebbero state impossibili senza le osservazioni dei moti dei pianeti di Tycho Brahe e gli esperimenti sui moti terrestri di Galileo Galilei: soltanto la combinazione di speculazione teorica, osservazione sul campo ed esperimento ci permette di abbandonare vecchie idee errate e di sostituirle con altre più promettenti.

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Razionalità per economisti?
di Daniel McFadden



1. Introduzione

La teoria economica si è sempre interessata alle motivazioni e ai comportamenti dei consumatori. Si ritiene che la maggior parte delle azioni nei mercati sia governata dal comportamento "razionale", intendendo questo aggettivo nell'accezione più ampia di "sensato", "pianificato" e "coerente", a causa dell'egoismo e della tendenza dei mercati a penalizzare i comportamenti irrazionali. Tuttavia, la teoria classica della domanda del consumatore che, nella versione perfezionata da Hicks e Samuelson, costituisce la pietra angolare dei corsi di teoria economica, attribuisce alla razionalità un significato molto più specifico. Nelle parole di Herbert Simon, "l'uomo razionale della teoria economica è un massimizzatore che non si accontenterà che del meglio". Benché questo modello di comportamento del consumatore domini l'analisi economica contemporanea, tra gli economisti vi è però anche una lunga tradizione che ne critica la validità e ha suggerito la ricerca di alternative.

Quella che è nota come teoria comportamentale delle decisioni (behavioral decision theory) ha origine nel trattato di von Neumann e Morgenstern (1947) sulla scelta in condizioni di incertezza e la teoria dei giochi. Questo lavoro, oltre al suo effetto diretto nel fornire una prospettiva prescrittiva per l'analisi del comportamento rischioso, ha raggiunto due importanti obiettivi: rendere appetibile l'analisi formale assiomatica in economia e in psicologia e incoraggiare la sperimentazione di laboratorio per controllare la validità descrittiva degli assiomi. La maggior parte di questo lavoro si è concentrata sulla scelta tra lotterie, ma le idee si sono propagate anche ad altre situazioni decisionali. Nei due decenni seguenti, la scienza del comportamento e la psicologia cognitiva sono giunte a maturità con il concorso di importanti economisti come Allais (1953), Chipman (1960), Marschak (1950), Papandreu (1960) e Simon (1959).

Il modello del consumatore razionale è così profondamente intrecciato con l'analisi economica, e in termini generali così plausibile, che è difficile per molti economisti immaginare che i fallimenti della razionalità possano inquinare le principali decisioni economiche o prevalere sulle forze del mercato. Nondimeno, l'evidenza comportamentale contro il modello razionale si accumula. Il comportamento di scelta può essere caratterizzato da un processo di decisione che è guidato da percezioni e credenze basate sull'informazione disponibile e influenzato da affettività, atteggiamenti, motivi e preferenze. La figura 1 mostra questi elementi nel processo di decisione e i loro collegamenti. È necessario darne una definizione. Le percezioni sono atti di conoscenza di sensazioni. Qui uso "percezioni" in senso ampio, fino a includervi le credenze, che sono modelli mentali del mondo, in particolare giudizi di probabilità. L' affettività si riferisce allo stato emozionale del decisore e al suo impatto sulla conoscenza del compito decisionale. Gli atteggiamenti si possono definire stabili inclinazioni psicologiche a valutare particolari entità (risultati o attività) con favore o sfavore. Tecnicamente, gli atteggiamenti sono spesso definiti come fattori latenti che spiegano la variazione di una batteria di indicatori (più comunemente, differenziali semantici). Il dominio degli atteggiamenti può essere molto ampio, comprendendo, per esempio, i giudizi comparativi; ma un atteggiamento in sé è una valutazione unitaria. Le preferenze sono giudizi comparativi tra entità. In presenza di certe condizioni tecniche, comprendenti completezza e transitività, le preferenze possono essere rappresentate da una scala numerica o utilita. I motivi sono gli impulsi diretti verso gli obiettivi percepiti. Il processo cognitivo della decisione è il meccanismo mentale che definisce il compito cognitivo e il ruolo di percezioni, credenze, atteggiamenti e motivi nello svolgimento del compito di produrre una scelta.

La teoria economica neoclassica e la psicologia hanno visioni radicalmente differenti del processo decisionale. Innanzitutto, gli psicologi pongono l'accento sulla comprensione della natura di questi elementi della decisione, del modo in cui si stabiliscono e sono modificati dall'esperienza, del modo in cui determinano i valori. Gli economisti pongono l'accento sul percorso dagli input di informazione alla scelta. Le preferenze, o valori, possono essere trattati per la maggior parte delle applicazioni economiche come primitive dell'analisi e il processo di decisione come una scatola nera. L'aforisma "gli economisti conoscono il prezzo di ogni cosa e il valore di niente" caratterizza correttamente le priorità scientifiche della disciplina.

In secondo luogo, la visione psicologica del processo decisionale è dominata dall'idea che il comportamento sia locale, adattivo, appreso, dipendente dal contesto, mutevole e influenzato da complesse interazioni di percezioni, motivi, atteggiamenti e affetti. Secondo il modello corrente della teoria economica, il consumatore si comporta come se l'informazione fosse elaborata per formare percezioni e credenze usando rigorosi principi statistici bayesiani (razionalità della percezione), le preferenze sono primitive, coerenti e immutabili (razionalità delle preferenze) e il processo cognitivo è semplice massimizzazione delle preferenze, dati i vincoli di mercato (razionalità del processo). George Anslie (1982) fornisce una visione da psicologo di queste differenze:

Fin dai tempi antichi, gli uomini hanno cercato di capire la natura del valore, ossia, il modo in cui gli eventi ci motivano. Sono stati descritti due tipi di bene: quella che potrebbe essere chiamata soddisfazione viscerale, strettamente associata al consumo di un oggetto concreto e solitamente al servizio di un'ovvia necessità biologica; e soddisfazioni più sottili, come [l'acquisizione di] conoscenza [...] La descrizione quantitativa del valore degli oggetti concreti è diventata la scienza dell'economia. Restringendo la sua attenzione ai beni che vengono scambiati in un mercato per contanti, la disciplina è stata in grado di descrivere notevoli regolarità nel modo in cui valutiamo questi beni. Nonostante tutta l'utilità che può avere avuto, questa impostazione ha teso a creare un corpo di procedure autoreferenziali, scollegate dai processi motivazionali che in realtà determinano il valore.

La mancanza di attenzione al processo di decisione e di formazione dei valori costituisce un difetto fondamentale della teoria economica? Se il modello convenzionale avesse sempre successo nello spiegare il comportamento di mercato e gli economisti limitassero la loro attenzione ai soli dati di mercato, la risposta sarebbe negativa. Gli economisti potrebbero essere criticati per scarsa curiosità scientifica, ma la loro disciplina riposerebbe su solide basi. Invece, una crescente evidenza comportamentale del fallimento del modello convenzionale in presenza di alcune condizioni di mercato e il sempre maggiore interesse degli economisti per dati non di mercato ottenuti da indagini ed esperimenti rendono questa mancanza di attenzione molto più critica. I consumatori possono essere pilotati in maniera diversa da ciò che la razionalità economica, nel senso del modello convenzionale, richiede. Benché il condizionamento del consumatore possa produrre schemi di comportamento di mercato che in molti casi possono essere bene approssimati dal modello convenzionale, quando accostiamo il consumatore da un punto di vista diverso, ponendo domande dirette e insolite riguardanti credenze e valori, scopriamo allarmanti variazioni rispetto alla versione convenzionale dell'economista. Tutti questi consumatori apparentemente normali si rivelano essere gusci pieni di regole per svolgere specifici compiti cognitivi. Spiazza questi individui con un "tiro a effetto", nella forma di una domanda che non corrisponde a un'euristica convenzionale per la risposta di mercato, ed ecco rivelata la sostanziale "inintelligenza" dell'organismo. Per la maggior parte degli economisti, questa è la trama di un film dell'orrore realmente terrificante, un'eresia che si incunea nelle parti vitali della nostra professione. Per molti psicologi, questa è una descrizione delle persone che passano tutti i giorni per i loro laboratori.


LA RAZIONALITÀ ECONOMICA E IL MODELLO CONVENZIONALE

Chiamerò un consumatore "uomo di Chicago" se si conforma al modello economico convenzionale di razionalità di percezione, preferenza e processo, poiché il comportamento postulato include l'ubiquità del comportamento massimizzante associato a Becker (1993) e la struttura di credenze associata a Lucas (1987). L'uomo di Chicago è connesso con flussi unidirezionali dalle percezioni e dai gusti al compito cognitivo della massimizzazione delle preferenze, corrispondente alla freccia più calcata di figura 1. Ho quattro osservazioni da fare sull'uomo di Chicago:

1) È conveniente. Con alcune ipotesi addizionali, conduce a procedure dirette e comode per l'analisi empirica della domanda e per l'analisi costi-benefici. È stato un importante strumento dell'analisi e della politica economica.

2) Ha successo. In applicazioni che vanno dalla valutazione delle opportunità di arbitraggio nei mercati finanziari alla definizione di schemi di incentivazione nei contratti, esso caratterizza gli aspetti più salienti del comportamento nei mercati.

3) È rigido senza necessità. Molti degli obiettivi centrali dell'analisi economica sono raggiungibili con forme più deboli di razionalità che rendono meno rigida la razionalità della percezione e permettono alcune importanti deviazioni dalla razionalità delle preferenze (es. preferenze mutevoli) e dalla razionalità del processo (es. razionalità limitata). Sia gli utilizzatori sia i critici del modello talvolta lo interpretano in modi restrittivi senza necessità. Per esempio, l'immutabilità delle preferenze non implica che i consumatori siano impermeabili agli influssi della storia o incapaci di apprendimento, ma solo che le preferenze si sviluppino coerentemente seguendo un "modello" razionale.

4) È falso. Quasi ogni comportamento umano ha una sostanziale componente razionale, almeno nel senso più ampio di razionalità. Tuttavia, esiste una schiacciante evidenza comportamentale avversa a una interpretazione letterale dell'uomo di Chicago come un modello universale del comportamento di scelta.

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Razionalità costruttivista
e razionalità ecologica
di Vernon L. Smith



Storicamente, un tema ricorrente nella teoria economica è che i valori ai quali gli individui rispondono non si limitano a quelli apparentemente basati su canoni di razionalità strettamente definiti. Queste radici risalgono a Adam Smith (1759, 1776), che esaminò i sentimenti morali che caratterizzano la naturale socialità umana. Contrariamente all'opinione comune, nella visione di Smith ogni individuo definisce e persegue il proprio interesse a suo modo e gli individui sono mal caratterizzati dalla metafora dell'"uomo economico" (vedi Hayek, 1988, pag. 291). Questa poco accurata conoscenza da parte degli studiosi ha impedito loro di cogliere la proposizione chiave dei filosofi scozzesi: fare del bene ad altri non richiede un'azione deliberata di promozione dell'interesse percepito degli altri. Come Mandeville espresse molto succintamente, "Il peggiore di tutta la moltitudine / fece qualcosa per il bene comune" (in Hayek, 1988, pag. 273). Molti studiosi contemporanei, e non solo scrittori popolari, hanno invertito la proposizione di Mandeville e sostenuto che il modello della scienza socioeconomica standard (MSSS) richiede, giustifica e promuove il comportamento egoistico. Al contrario, poiché i contratti garantiti dalla legge non possono mai coprire ogni margine di decisione, l'opportunismo nella contrattazione relazionale e lo scambio nel tempo sono costi, non benefici, nel perseguimento del valore di lungo termine attraverso lo scambio; un'ideologia di onestà significa che le persone giocano il gioco dello "scambio", piuttosto che quello del "furto", benché il crimine possa spesso pagare per il fuorilegge razionale che sceglie sempre strategie dominanti. Né il comportamento non egoista nelle transazioni ordinarie di mercato impedisce a queste transazioni di promuovere la specializzazione e di creare ricchezza.

Le culture che hanno sviluppato i mercati hanno enormemente ampliato la specializzazione delle risorse, hanno tratto dallo scambio guadagni proporzionati e sono più ricche di quelle che non lo hanno fatto. Questa proposizione non dice nulla circa la necessità dell'egoismo: la maggiore ricchezza di individui particolari può essere usata per consumo, investimento, per pagare le imposte, per i Macarthur Fellows, oppure essere donata all'orchestra sinfonica, allo Smithsonian o ai poveri.

La ricerca nel campo della psicologia economica ha per lo più riportato esempi in cui considerazioni di "equità" erano poste in contraddizione con le ipotesi di razionalità del MSSS. Ma sulla razionalità gli economisti sperimentali hanno ottenuto risultati misti: quando ottengono guadagni per se stessi e per gli altri, gli individui stanno spesso meglio (per esempio, nell'interazione tra due persone anonime), in accordo con (nei mercati di flusso di offerta e di domanda) o peggio (per esempio, nell'asset trading) di quanto è predetto dall'analisi razionale. Le configurazioni di queste contraddizioni e conferme forniscono importanti indicazioni sulle regole o le norme implicite che le persone possono seguire, e possono motivare nuove ipotesi teoriche da esaminare sia sul campo sia in laboratorio. La configurazione dei risultati modifica il prevalente, e io credo fuorviante, MSSS razionale, e modernizza notevolmente il messaggio non adulterato dei filosofi scozzesi.


1. Due forme di razionalità

Il principio organizzatore che attraversa questo testo è la simultanea esistenza di due ordini razionali. Cercherò di mostrare che entrambi gli ordini costituiscono distinte caratteristiche di ciò che siamo come creature sociali; che entrambi sono essenziali per comprendere e unificare un vasto corpo di esperienza proveniente dalla vita socioeconomica e dal laboratorio sperimentale e per tracciare le nuove direzioni rilevanti per la teoria economica come per i programmi sperimentali-empirici.

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4. Conclusioni

Il costruttivismo cartesiano applica la ragione al disegno delle regole per l'azione individuale, al disegno delle istituzioni che producono risultati socialmente ottimi e costituisce il modello della scienza socioeconomica tradizionale. Ma la maggior parte della nostra conoscenza operativa e la capacità di decidere e di eseguire è non deliberativa. I nostri cervelli conservano risorse di pensiero attenzionale, concettuale e simbolico perché sono scarse, e procedure per delegare la maggior parte della formulazione delle decisioni a processi autonomi (incluse le emozioni) che non richiedono attenzione conscia. Gli assetti emergenti, anche se inizialmente costruttivista, devono avere proprietà di sopravvivenza che incorporino i costi-opportunità e le sfide ambientali invisibili per la modellistica costruttivista. Ciò conduce a un concetto alternativo, ecologico, di razionalità: un ordine emergente basato su un processo evoluzionistico culturale e biologico che apprende dagli errori. Esso produce regole di azione elaborate nell'ambito familiare e sociale, tradizioni e principi morali che sono alla base dei diritti di proprietà nello scambio impersonale e della coesione sociale nello scambio personale. Nello studio della razionalità ecologica facciamo uso della ricostruzione razionale — per esempio, in termini di reciprocità o di preferenze riguardanti gli altri — per esaminare il comportamento individuale, l'ordine emergente nella cultura e nelle istituzioni umane e la loro persistenza, diversità e sviluppo nel tempo. Gli esperimenti ci mettono in grado di controllare le proposizioni derivate da queste ricostruzioni razionali.

Nel lavoro degli economisti sperimentali è prevalente lo studio di entrambi i tipi di razionalità. Ciò appare chiaramente nei molti controlli diretti delle implicazioni osservabili delle proposizioni derivate dalla teoria economica e dalla teoria dei giochi. È anche evidente nella grande varietà di esperimenti, che sono andati molto al di là della teoria nel chiedere perché i controlli hanno avuto successo, sono falliti o hanno dato risultati migliori (in presenza di condizioni più deboli) di quanto ci si aspettava. Che cosa abbiamo imparato, non come verità finale, ma come ipotesi di lavoro convincenti per continuare l'indagine?

1) I mercati costituiscono un motore della produttività, sostenendo la specializzazione delle risorse attraverso lo scambio e creando una ricchezza multiforme di beni e servizi.

2) I mercati sono istituzioni governate da regole che forniscono algoritmi per selezionare, elaborare e ordinare i messaggi esplorativi di agenti che sono più informati delle proprie circostanze personali che di quelle degli altri. Quando sondaggi precauzionali da parte degli agenti conducono a contratti, ognuno diventa più certo di ciò che deve essere dato al fine di ricevere qualcosa. Da questa interazione tra menti attraverso l'intermediazione di regole il processo aggrega l'informazione asimmetrica dispersa, convergendo più o meno rapidamente verso gli equilibri concorrenziali, se esistono. Ogni mercato sperimentale ha il suo proprio marchio e un peculiare percorso dinamico.

3) Tutta l'informazione è catturata nell'ambiente, statico o variabile nel tempo, di offerta e domanda e deve essere aggregata per dare prezzi di equilibrio efficienti. Non possiamo mai comprendere pienamente come questo processo funzioni nel mondo perché l'informazione richiesta non è data, né è disponibile, a qualsiasi singola mente. Così, per molti le tesi dei filosofi scozzesi e di Hayek sono oscure e mistiche. Ma noi possiamo disegnare esperimenti in cui l'informazione non è data a qualsiasi partecipante, poi confrontare i risultati di mercato con risultati concorrenziali efficienti e misurare la performance di un'istituzione di mercato.

4) L'ordine risultante è invisibile ai partecipanti, diversamente dai guadagni visibili che essi ottengono. Gli agenti scoprono che cosa devono sapere per conseguire risultati ottimi nonostante i limiti vincolanti imposti dagli altri.

5) Le regole emergono come un ordine spontaneo – vengono trovate – non progettate deliberatamente da una mente calcolatrice. Istituzioni inizialmente costruttiviste subiscono un adattamento evoluzionistico al di là delle circostanze che hanno dato loro origine. Ciò che emerge è una forma di "mente sociale" che risolve complessi problemi organizzativi senza cognizione conscia. La "mente sociale" è nata dall'interazione tra tutti gli individui attraverso le regole di istituzioni che in un momento dato sono sopravvissute ai processi di selezione culturale.

6) Il processo perviene a trade-off tra il costo di negoziare, sorvegliare, controllare e l'efficienza delle allocazioni, cosicché l'istituzione stessa genera un ordine economico che si adatta al problema per la soluzione del quale si è sviluppato. Di qui le centinaia di variazioni alla struttura fine delle istituzioni, ognuna disegnata senza un disegnatore per conciliare condizioni disparate, ma tutte funzionali alla realtà dell'informazione dispersa degli agenti.

7) La nostra comprensione del modo in cui emergono sistemi di regole per l'interazione sociale e i mercati è scarsa, ma, in laboratorio, è possibile apportare variazioni alle regole e quindi studiare ciò che non è.

8) I mercati richiedono il rispetto – volontario o involontario – delle regole dello scambio. Queste sono: il possesso legale, il suo trasferimento volontario, il mantenimento delle promesse (Hume). L'applicazione volontaria delle regole ha luogo quando l'individuo nel mercato ricompensa i servizi di qualità con gratifiche e mance, un esempio, forse, di norma culturale emergente in cui l'individuo riconosce che le mance sono parte di uno scambio informale. Se le condizioni di autoapplicazione o di applicazione da parte della comunità non sono presenti, il risultato è dato da conseguenze negative indesiderate, in quanto i mercati sono compromessi e possono fallire. Il gioco dello "scambio" non deve cedere al gioco del "furto".

9) Reciprocità, fiducia e affidabilità sono importanti nello scambio personale dove i mercati formali presentano costi superiori ai guadagni, e tuttavia esistono vantaggi dello scambio che devono essere colti. Esse sono anche importanti nella contrattazione poiché non è possibile prevedere e formalizzare in contratti scritti ogni margine di guadagno a spese altrui.

10) Non è necessario che le persone siano egoiste; la tesi dei filosofi scozzesi era piuttosto che le persone non devono essere buone per produrre il bene. I mercati economizzano l'informazione, la comprensione delle cose, la razionalità, il numero di agenti e la virtù.

11) I mercati non hanno alcuna necessità di distruggere le fondamenta sulle quali probabilmente sono emersi: lo scambio sociale nella famiglia, tra amici e associati. Questa tesi è sostenuta dagli studi riportati da Heinrich (2000). Gli individui possono essere abitualmente dediti agli scambi sociali e nello stesso tempo esercitare vigorosamente gli scambi economici, ma come nel testo di Hayek sui "due mondi", la coesistenza ecologicamente razionale di scambio personale e impersonale non è un costrutto cartesiano consapevole. Di conseguenza, è sempre presente il pericolo che le regole dello scambio personale siano applicate in modo inappropriato per governare o modificare l'ordine spiegato dei mercati. Altrettanto pericolosa è l'applicazione non appropriata delle regole dello scambio impersonale di mercato alle nostre reti di coesione sociale.

Le nuove tecniche di imaging cerebrale hanno reso possibili gli studi di neuroeconomia dell'ordine interno della mente e dei suoi collegamenti con lo spettro della decisione umana, dalla scelta tra scommesse fisse alla scelta mediata dal mercato e da altre regole istituzionali. Siamo solo all'inizio dell'impresa: la promessa che contiene suggerisce un cambiamento fondamentale nel modo in cui pensiamo, osserviamo e modelliamo la decisione in ogni suo contesto.

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