Copertina
Autore James Kakalios
Titolo La fisica dei supereroi
EdizioneEinaudi, Torino, 2007, Stile libero Extra , pag. 400, ill., cop.fle., dim. 13,5x20,8x2,5 cm , Isbn 978-88-06-18392-9
OriginaleThe Physics of Superheroes [2005]
TraduttoreLorenzo Lilli
LettoreCorrado Leonardo, 2008
Classe fisica , fumetti
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Indice

 VII Premessa
  IX Prefazione
XIII Ringraziamenti


    La fisica dei supereroi

  3 Introduzione. Le origini segrete:
    la scienza ha salvato i fumetti di supereroi

    Parte prima.  Meccanica

 27 I.    Su, su e via. Forze e movimento
 41 II.   Analisi di Krypton. La legge di gravità di Newton
 52 III.  Quando mori Gwen Stacy. Impulso e quantità di moto
 65 IV.   Può oscillare appeso a un filo?
          L'accelerazione centripeta
 70 V.    Notizie flash. Attrito, resistenza e suono
 84 VI.   Come il flash di un fulmine. La relatività speciale
 91 VII.  Destino e densità. Le proprietà della materia
101 VIII. Ant-Man può uscire con un pugno da un sacchetto di
          carta?  Momento torcente e rotazione
111 IX.   Ant-Man è sordo, muto e cieco?
          Il moto armonico semplice
119 X.    La grandezza è importante? La legge del cubo quadrato

    Parte seconda.  Energia — calore e luce

133 XI.   Il programma dietetico di Central City.
          La conservazione dell'energia
156 XII.  Il caso del lavoro mancante.
          I tre principi della termodinamica
178 XIII. Meteorologia mutante. Conduzione e convezione
192 XIV.  Grazie alla mostruosa minaccia del misterioso Melter
          preparare la cena diventa un gioco da ragazzi.
          La transizione di fase
202 XV.   Le aderenze di Electro. L'elettrostatica
214 XVI.  Superman dà lezioni all'Uomo Ragno.
          Le correnti elettriche
224 XVII. Come Electro correndo diventa Magneto.
          La legge di Ampère
232 XVIII.Come Magneto correndo diventa Electro.
          Il magnetismo e la legge di Faraday
245 XIX.  Electro e Magneto fanno l'onda.
          L'elettromagnetismo e la luce

    Parte terza.  Fisica moderna

261 XX.   Viaggio nel microverso. La fisica atomica
277 XXI.  Non è un sogno! Non è uno scherzo!
          Non è una storia immaginaria!
          La meccanica quantistica
301 XXII. Dentro un muro senza sforzo. L'effetto tunnel
310 XXIII.Il segreto di Testa di Ferro.
          La fisica dello stato solido

    Parte quarta.  Che cosa abbiamo imparato?

339 XXIV. Me è bizarro! Errori dei supereroi
361 Postfazione. Ci sarà una fine!

367 Chiedete al Dottor K
371 Equazioni principali
375 Letture consigliate
381 Indice analitico

 

 

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Pagina IX

Prefazione


Da bambino ero un appassionato di fumetti ma, come molti altri prima e dopo di me, abbandonai questo hobby alle scuole superiori, quando scoprii le ragazze. Mia madre, seguendo il solito copione, ne approfittò per buttare via la mia raccolta. Ripresi l'abitudine di leggerli dopo anni, all'università, per scaricare lo stress della tesi. Oggi, da adulto, ho ricostruito gran parte della mia collezione di fumetti (o, come la chiama mia moglie, «il rischio di incendio»), ma per sicurezza non permetto a mia madre di avvicinarsi.

Nel 1998 l'Università del Minnesota, dove insegno fisica, introdusse un nuovo tipo di corso, i cosiddetti «seminari per matricole». Si tratta di corsi brevi, con la struttura di seminari e aperti agli studenti appena arrivati, che, pur dando un credito, non sono legati a un programma di studi in particolare. I professori sono incoraggiati a tenere lezioni su argomenti originali, e tra i numerosi corsi offerti si trovano seminari per matricole dai titoli come «La bioetica e il genoma umano», «Il colore rosso» (un corso di chimica), «Il commercio e l'economia globale» e «I sistemi complessi: dai mucchi di sabbia a Wall Street». Nel 2001 introdussi un seminario, in origine intitolato «Tutto ciò che so della scienza l'ho imparato dai fumetti». Era un vero e proprio corso di fisica e trattava la maggior parte degli argomenti affrontati di solito, ma tutti gli esempi, invece di basarsi su illustrazioni di masse su molle, o blocchi che scivolano lungo piani inclinati, provenivano dalle avventure in quadricromia dei supereroi in costume e riguardavano in particolare quelle situazioni in cui la fisica dei fumetti è corretta.

Anche se ispirato da quelle lezioni, questo non è di per sé un libro di testo. È scritto per il non specialista che cerca un modo relativamente indolore di imparare i principali concetti di fisica su cui si basa il nostro moderno stile di vita tecnologico. Si discutono argomenti come forze e movimento, conservazione dell'energia, termodinamica, elettricità e magnetismo, meccanica quantistica e fisica dello stato solido, e si spiegano applicazioni nel mondo reale come gli airbag delle auto, i transistor e i forni a microonde. Spero che sarete tanto impegnati a gustare il gelato dei supereroi da non accorgervi che allo stesso tempo vi propinerò di nascosto anche gli spinaci.

Questo libro si rivolge sia agli appassionati di lunga data dei fumetti sia a chi non sa distinguere Batman da Man-Bat, perciò ho descritto la storia e il background degli eroi dei fumetti qui presentati. Per illustrare la fisica relativa ad alcuni supereroi o trame, ho dovuto riassumere alcuni punti chiave dell'intreccio di vari fumetti, quindi chi non ha ancora letto questi classici tenga presente per tutto il libro queste due parole: «attenzione spoiler».

I lettori cui interessa consultare il materiale di partenza qui considerato troveranno alla fine le citazioni dei fumetti trattati nel testo. Ho elencato le informazioni originali su di essi e, quando possibile, dove si possono trovare i vari numeri in ristampe recenti, disponibili in libreria o nei negozi specializzati. La data di un determinato fumetto, stampata in copertina, non dice quando quel numero è arrivato per la prima volta in edicola: per prolungare la disponibilità del prodotto, essa indicava il momento in cui il fumetto doveva essere restituito all'editore per un credito, non quello in cui poteva essere acquistato. Nel tentativo di attirare i nuovi lettori che cercano i primi numeri da collezionare, a volte i fumetti ricominciano la numerazione, pur senza cambiare nome. Se non diversamente specificato, i numeri indicano il primo volume di un fumetto. Per ogni pubblicazione elencata nelle note ho citato, quando possibile, lo scrittore e il disegnatore. Ho tralasciato gli inchiostratori non per sminuire il loro contributo al fumetto completo (non ritengo assolutamente che il loro lavoro consista nel «ricalcare»), ma piuttosto perché in genere la fisica descritta in una certa scena di un fumetto è di competenza soprattutto del disegnatore e dello scrittore.

Qualsiasi discussione sulla fisica dei fumetti è destinata a stimolare un esame da parte dei fisici e degli appassionati, entrambi noti per la loro... attenzione ai dettagli. Ciascuno dei casi che ho selezionato illustra un certo principio della fisica. A volte proprio nel numero successivo si trovava una scena che contraddiceva la manifestazione fisicamente plausibile di un superpotere qui descritto. Quando si considerano dei personaggi che sono protagonisti di piú testate da oltre mezzo secolo, è fuori di dubbio che per ogni mia affermazione ci siano dei controesempi. Di conseguenza, anche se in molti casi esaminare la fisica relativa ai poteri di un supereroe contribuirà a una migliore comprensione dei loro talenti, avverto i miei compagni di passione che questo libro non intende presentare un resoconto completo dei poteri o delle avventure di un personaggio.

Analogamente, segnalo ai miei colleghi docenti di fisica che questo libro non si rivolge a un pubblico di esperti. Ho cercato di mantenere le cose semplici, pur riconoscendo le difficoltà e le complicazioni del mondo reale. Una discussione completa di molti tra gli argomenti qui considerati potrebbe senz'altro espandersi fino a riempire vari volumi, dimostrando concretamente le ultime parole del dottor Manhattan alla fine di Watch-men, di Alan Moore e Dave Gibbons: «Niente finisce, Adrian. Niente ha mai fine».

Il linguaggio che descrive il mondo fisico è di tipo matematico. Il perché debba essere cosí è una grande domanda filosofica (il fisico Eugene Wigner parlava dell'«irragionevole efficacia della matematica» nello spiegare le caratteristiche della natura), che ha sempre disorientato e appassionato chiunque abbia riflettuto su di essa. In un libro sui supereroi dei fumetti è forte la tentazione di evitare il minimo accenno alla matematica. Questo però sarebbe un inganno peggiore che non raffigurare alcuna opera d'arte in un libro su Picasso o non allegare un Cd musicale a un libro sulla storia del jazz, perché in qualsiasi discussione approfondita di fisica la matematica è necessaria.

Il lettore forse protesterà dicendo che non capisce la matematica, o non riesce a pensare in modo matematico. Ma per questo libro è necessario solo riconoscere che 1/2 + 1/2 = 1. Nient'altro che questo: due mezzi sono uguali a uno. Se non avete problemi con 1/2 + 1/2 = 1, allora non dovreste averne neanche scrivendo 2 x (1/2) = 2/2 = 1 (cioè, due per un mezzo), perché ovviamente due mezzi sono uguali a uno. Sembra cosí semplice che potreste essere sorpresi di sapere che abbiamo già cominciato con l'algebra (e voi che pensavate di non usarla piú dopo le scuole superiori!)

Come numerosi studenti sospettano da molto tempo, nell'algebra c'è un trucco, cioè questo: avendo un'equazione che descrive un'affermazione vera, per esempio 1 = 1, le due parti a destra e a sinistra dell'uguale possono essere aumentate, diminuite, moltiplicate o divise per qualsiasi numero (escluso lo zero), e l'equazione resta sempre corretta. Cosí, se aggiungiamo 2 a entrambi i lati dell'equazione, otteniamo 1 + 2 = 1 + 2 o 3 = 3, che è ancora un'affermazione vera. Dividere per 2 entrambi i lati di 1 = 1 dà 1/2 = 1/2. Poiché 1 = 1, allora 1/2 + 1/2 = 1, che a sua volta si può scrivere 2/2 = 1. Faccio un patto con voi lettori: non userò una matematica piú difficile di quella fin qui descritta, purché non vi facciate prendere dal panico nel vedere un'equazione matematica. La potrete sempre scansare senza che la vostra comprensione ne risenta. Ma se dovesse venirvi voglia di calcolare una velocità o una forza per una situazione diversa da quelle qui considerate, avrete i mezzi per farlo. In ogni caso, vi prometto che alla fine del libro non ci saranno dei quiz!

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Pagina 3

Introduzione

Le origini segrete: come la scienza ha salvato i fumetti di supereroi


Se una volta sospettavo che i miei studenti considerassero lo studio della fisica una perdita di tempo, qualche anno fa mi tolsi ogni dubbio. Dopo la pausa pranzo stavo tornando al dipartimento di fisica della mia università, quando mi capitò di sentire due studenti che se ne stavano andando. A giudicare dai loro volti e dal frammento di conversazione che colsi, dovevano avere appena ricevuto il voto di un esame. Cito ciò che sentii (ma con qualche omissione per una questione di decenza).

Lo studente piú alto si lamentò con l'amico: «Voglio comprare a poco, beep, e vendere a tanto, beep. Non mi serve sapere niente di palle di beep buttate da scogliere di beep».

Da questa affermazione possiamo imparare due cose: 1) il segreto del successo finanziario e 2) che a molti studenti gli esempi usati nelle lezioni di fisica tradizionali sembrano lontani dalle loro questioni di ogni giorno.

Il mondo reale è complicato. Nelle lezioni di fisica, per fare esempi che mettano in evidenza solo un certo concetto, come la seconda legge della dinamica di Newton o il principio di conservazione dell'energia, nel corso dei decenni gli insegnanti hanno creato un arsenale di scenari eccessivamente stilizzati, tra cui movimenti di proiettili, pesi su carrucole o masse che oscillano su molle. Queste situazioni appaiono cosí artificiali che inevitabilmente gli studenti si lamentano dicendo: «Quando mai queste cose mi serviranno nella vita reale?»

Un trucco che ho scoperto insegnando fisica consiste nell'usare esempi tratti dai fumetti di supereroi che illustrino correttamente le varie applicazioni dei principi della fisica. È interessante che, ogniqualvolta in una lezione cito degli esempi legati ai supereroi dei fumetti, gli studenti non si chiedono mai quando quelle cose torneranno utili nella vita reale. Evidentemente tutti hanno in programma, dopo la laurea, di indossare un costume in elastan e proteggere la città da tutte le minacce. Come cittadino rispettoso della legge, questo mi riempie di una grande sicurezza, perché so anche quanti dei miei colleghi scienziati si possano definire, con un eufemismo, «pazzi».

Collegai per la prima volta i fumetti e l'istruzione universitaria nel lontano 1965, quando per la somma principesca di dodici centesimi acquistai «Action Comics» n. 333, su cui erano pubblicate le avventure di Superman. Pur non essendo all'epoca un grande fan dell'Uomo d'Acciaio, fui affascinato dalla copertina del fumetto (Figura 1), che prometteva uno sguardo dietro le quinte delle nostre istituzioni accademiche. Da bambino ero molto curioso a riguardo della vita all'università; ora che vi insegno, mi rendo conto che quello fu una specie di presagio: una volta entrato, non ne sarei piú uscito, e l'immatricolazione si sarebbe rivelata una specie di condanna all'ergastolo.

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Pagina 202

Capitolo quindicesimo

Le aderenze di Electro

L'elettrostatica


Finora ci siamo occupati in primo luogo di come le forze cambiano il movimento dei corpi, dedicandoci quasi esclusivamente alla forza di gravità. Che rallenti i salti di Superman o acceleri la fatale caduta nel vuoto di Gwen Stacy, nella seconda legge di Newton F = ma la forza F è la gravità. Tuttavia in questo universo - e in quello dei fumetti - esistono anche altre forze.

Gli scienziati sono giunti alla conclusione che in natura bastano quattro forze fondamentali a spiegare la vasta gamma dei complessi fenomeni fisici che osserviamo, cioè: 1) gravità, 2) elettromagnetismo e altre due forze chiamate, senza molta fantasia, 3) forza nucleare forte e 4) forza nucleare debole, che operano esclusivamente all'interno dei nuclei atomici. La forza nucleare forte tiene insieme i protoni e i neutroni all'interno del nucleo atomico e senza di essa i protoni con carica positiva si respingerebbero reciprocamente e non potrebbero esistere altri elementi stabili oltre all'idrogeno. La forza nucleare debole è responsabile di alcune forme di radioattività (come i decadimenti nucleari che hanno portato i fisici a ipotizzare l'esistenza di neutrini, si veda l'undicesimo capitolo), e senza di essa esisterebbero pochi supereroi o supercattivi. Quasi tutte le forze che incontriamo nella nostra vita quotidiana, a parte la gravità, sono di natura elettrostatica: quelle generate dai muscoli, quella applicata dalla sedia sul punto in cui ci appoggiamo che ci impedisce di cadere per terra, quella esercitata dai gas caldi nel cilindro del motore di un'auto che provoca la locomozione. Tutte queste forze e altre ancora sono, in ultima analisi, elettriche. È giunto cosí il momento di prendere in esame le forze gemelle di elettricità e magnetismo che, come vedremo, sono a tutti gli effetti un'unica forza, piú propriamente detta «elettromagnetismo».


Sono pochissimi i supereroi dotati di poteri elettromagnetici. Due personaggi dei primissimi fumetti della Silver Age con poteri basati su elettricità e magnetismo sono Lightning Lad e Cosmic Boy, eroi del futuro che esordiscono su «Adventure Comics» n. 2472, quando insieme a Saturn Girl compiono un viaggio a ritroso nel tempo per reclutare Superboy nella Legione dei Supereroi. Lightning Lad ha la capacità di creare e scaricare dalle mani fulmini elettrici, mentre Cosmic Boy è in grado di controllare gli oggetti magnetici. Il terzo membro fondatore, Saturn Girl, ha il superpotere della telepatia mentale che, come vedremo in seguito, è strettamente correlata alla propagazione delle onde elettromagnetiche. Di conseguenza, i tre fondatori della Legione sono manifestazioni dirette della teoria di elettricità e magnetismo in azione.

La Legione dei Supereroi era ambientata nell'anno 2958 (le storie attuali nel 3005) e si componeva di adolescenti originari di pianeti diversi e dotati ciascuno di un superpotere unico.

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Pagina 261

Capitolo ventesimo

Viaggio nel microverso

La fisica atomica


I lettori di fumetti possono ragionevolmente aspettarsi che alla fine della storia l'eroe trionfi. Il divertimento perciò sta nelle difficoltà da affrontare man mano che la storia del mese si avvia verso la conclusione. In parole povere, migliore è il supercattivo, migliore è la storia, e probabilmente è per questo che i Fantastici Quattro ebbero tanto successo all'inizio degli anni Sessanta. Senza dubbio i disegni di Jack Kirby furono un fattore decisivo, cosí come le trame e la caratterizzazione del quartetto intrepido a opera di Stan Lee. Ma se dietro a un grande supereroe c'è sempre un grande nemico, i Fantastici Quattro diventarono grandi nel numero 5, quando restarono Prigionieri del dottor Destino.

Victor von Doom era un genio della scienza, secondo solo a Reed Richards, il capo dei Fantastici Quattro. Richards e von Doom frequentavano la stessa università, entrambi con una «borsa di studio scientifica» (nel mondo di fantasia dei fumetti gli istituti accademici si contendono gli studiosi come fanno le università del nostro mondo reale con gli sportivi). Von Doom fu espulso quando uno dei suoi esperimenti scientifici «proibiti» provocò un disastro, distruggendo il laboratorio e sfigurandolo in volto. Nascoste le cicatrici dietro una piastra di metallo, progettò un'armatura high-tech degna di Iron Man e cominciò una lunga campagna per la conquista del mondo con il nome di Dottor Destino. Naturalmente, non avendo terminato gli studi, Von Doom non è proprio un dottore, e molto probabilmente è la frustrazione per essere arrivato a un passo dalla laurea, insieme al desiderio di umiliare Reed Richards, che alimenta le sue ambizioni malvagie. Al contrario di quanto accadeva nelle storie DC degli anni Sessanta, al termine delle quali i cattivi erano inevitabilmente catturati e consegnati alla polizia, i Fantastici Quattro sembravano non riuscire mai ad andare oltre il pareggio con il Dottor Destino. Naturalmente, dato che era il dittatore della Latveria, un piccolo paese europeo, non si diceva mai con precisione chi fossero le giuste autorità a cui si potesse consegnare un capo di Stato.

E, soprattutto, l'orgoglio del Dottor Destino era tale che avrebbe affrontato una morte quasi certa piuttosto che l'incarcerazione. Di conseguenza, al termine di una tipica battaglia poteva trovarsi sperduto nello spazio, isolato in un'altra dimensione o intrappolato nel tempo: tutte sorti che aveva destinato ai Fantastici Quattro. Al culmine della storia giustamente intitolata Il ritorno del Dottor Destino, su «Fantastic Four» n. 10, fu colpito da un raggio riducente che aveva pensato di usare contro il quartetto. Alla fine della storia il Dottor Destino si rimpiccioliva fino a scomparire, ma ciò non significa che non lo si sarebbe piú rivisto. Dopo sei numeri, su «Fantastic Four» n. 16, i Fantastici Quattro scoprirono The Micro-World of Dottor Doom, dove — vennero a sapere — era sopravvissuto al calvario della miniaturizzazione. A un certo punto, durante la riduzione, era entrato in un «micromondo, un mondo che poteva stare sulla capocchia di uno spillo». In seguito, su «Fantastic Four» n. 76, Reed, Ben e Johnny si avventurarono in un intero microverso, cioè un universo (o almeno una galassia) di micromondi. Il microverso era rappresentato come contenuto in una macchia su un vetrino da microscopio nel laboratorio di Reed Richards. Quanto meno questo eliminava il bisogno di spiegare l'incredibile coincidenza di «Fantastic Four» n. 16, in cui il Dottor Destino e i Fantastici Quattro si trovavano proprio sopra uno di questi micropianeti quando cominciarono a rimpiccolirsi.

Se il micromondo incontrato, e poi conquistato, da Destino potesse effettivamente stare sulla capocchia di uno spillo, il suo diametro all'equatore sarebbe di circa 1 mm. Per fare un paragone, il diametro della Terra è pari a 13 000 km. Un chilometro è lungo un milione di millimetri, cosí il micromondo sarebbe tredici miliardi di volte piú piccolo della Terra. Ricordate che nel settimo capitolo abbiamo parlato delle difficoltà relative alla riduzione della grandezza di un oggetto. Il micromondo non può essere sei miliardi di volte piú denso del nostro pianeta, a meno che sia composto della materia di una stella nana bianca. Il fatto che il Dottor Destino, i Fantastici Quattro e gli abitanti di questo micromondo riescano a camminare normalmente indica che questa ipotesi è da escludere. Sia il Dottor Destino sia Reed Richards sembrano intelligenti nel micromondo quanto a grandezza normale, e la Cosa non è meno forte del solito, quindi è improbabile che durante la riduzione abbiano perso degli atomi. Dobbiamo perciò dedurre con dispiacere che il micromondo del Dottor Destino è molto simile agli altri suoi «piani diabolici»: impressionante nella teoria, ma deludente nella pratica.

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Pagina 264

Che cosa fate quando tutto ciò che sapete è sbagliato?

È il momento di andare a scavare nel mondo degli atomi. Le prossime pagine saranno piuttosto complicate, ma vi chiedo un po' di pazienza. Torneremo presto ai fumetti, ma è necessaria una certa base per capire perché almeno alcuni fisici prendono sul serio il concetto degli universi paralleli e di un numero infinito di Terre.

Alla fine dell'Ottocento erano sempre piú numerose le prove sperimentali del fatto che i principi fisici descritti nei capitoli precedenti non riuscissero a giustificare il comportamento degli atomi e della luce. Per esempio, i fisici vedevano frustrati i tentativi di spiegare perché gli oggetti molto caldi sono incandescenti. Se mettete un attizzatoio di ferro su un fuoco vivace, man mano che si scalda prima diventa rosso, poi emette una luce bianca. Grazie alla teoria di Maxwell sull'elettromagnetismo discussa nel capitolo precedente, i fisici capirono che le cariche elettriche oscillanti in ogni atomo, vibrando avanti e indietro man mano che l'attizzatoio si scalda, emettono luce, e che piú rapido è il moto degli atomi maggiore è la frequenza della radiazione elettromagnetica che ne risulta. Già nell'Ottocento gli scienziati avevano ideato alcune tecniche molto ingegnose per misurare sia la luce ultravioletta sia quella infrarossa, all'estremità superiore e inferiore dello spettro elettromagnetico visibile, delimitando la sottile fetta di luce che siamo in grado di vedere. Di conseguenza, riuscivano a misurare con precisione la luce emessa da un oggetto caldo a una determinata lunghezza d'onda man mano che la sua temperatura aumentava. Scoprirono due cose sorprendenti: in primo luogo, che la quantità di luce emessa a una specifica lunghezza d'onda dipende solo dalla temperatura dell'oggetto e non da altre caratteristiche. A prescindere da composizione materiale, forma o grandezza di un oggetto, l'unico fattore che determina lo spettro di luce emesso è la sua temperatura. Inoltre, che la quantità totale di luce emessa non è infinita e, a sua volta, dipende solo dalla temperatura. Questo secondo punto fu la prima tessera del domino a cadere, portando infine allo sviluppo della meccanica quantistica.

Il fatto che la luce emessa da un oggetto caldo dipenda solo dalla sua temperatura deriva dal principio di conservazione dell'energia. Se due oggetti di materiali diversi alla stessa temperatura emettessero spettri di radiazione diversi, ci sarebbe un modo di avere un trasferimento netto di energia tra loro e quindi un lavoro utile senza alcun flusso di calore. È vero che questa sarebbe una comoda violazione della seconda legge della termodinamica, ma è proprio per questo che ciò non avviene. Un vantaggio pratico del fatto che lo spettro della luce emessa dipenda solo dalla temperatura è che possiamo usare l'intensità della luce emessa come funzione d'onda per determinare la temperatura degli oggetti per i quali i normali termometri sarebbero inutili. È cosí che si misurano la temperatura superficiale del Sole (circa 6000°C) e i residui della radiazione di fondo a microonde del Big Bang (3 gradi sopra lo zero assoluto), con osservazioni dello spettro di luce che producono.

La seconda scoperta, cioè che l'energia emessa da un oggetto incandescente non è infinita, non fu proprio uno shock per i fisici. Il fatto sconcertante era invece che secondo la teoria elettromagnetica di Maxwell la quantità di energia luminosa emessa dovesse aumentare senza limiti. I calcoli che applicavano correttamente la teoria di Maxwell prevedevano, in perfetta conformità con le osservazioni, quanta luce sarebbe stata emessa a basse frequenze. Man mano che la frequenza della luce emessa da un oggetto molto caldo aumentava fino a raggiungere la regione ultravioletta dello spettro, l'intensità della luce misurata raggiungeva un picco, e a frequenze piú alte diminuiva, tornando a un valore basso, cosa che ci si aspetterebbe in base sia alla conservazione dell'energia sia al buon senso. La curva calcolata, però, indicava che con l'aumento della frequenza l'intensità sarebbe diventata infinitamente alta. Questa fu definita la «catastrofe ultravioletta», sebbene fosse tale solo per i teorici che eseguivano i calcoli. Molti scienziati controllarono piú volte i calcoli, ma non vi trovarono alcun errore.

Le equazioni di Maxwell avevano funzionato cosí bene in tutti gli altri casi (portarono all'invenzione della radio, nel 1895, e infine avrebbero permesso anche lo sviluppo della televisione e di tutte le altre forme di comunicazione senza fili) che sembrava strano potessero contenere qualche grave errore. Piuttosto, gli scienziati dedussero che il problema dovesse consistere nell'applicazione della teoria maxwelliana agli atomi che vibrano in un oggetto incandescente. Inoltre, molti cercarono un approccio alternativo, qualche teoria diversa che potesse spiegare lo spettro della luce osservato in relazione a un oggetto incandescente. A questo punto diventa importante il fatto che lo spettro dipenda solo dalla temperatura del corpo. Se la teoria dell'elettromagnetismo non riuscisse a giustificare il comportamento di uno o due pezzi di materia esotica, sarebbe un po' strano, ma non sconvolgente. Questa incapacità di dare una spiegazione a una proprietà di tutta la materia era davvero imbarazzante, e bisognava fare qualcosa.

Nel 1900 il fisico teorico Max Planck, comprendendo che «a mali estremi, estremi rimedi», fece l'unica cosa possibile per spiegare lo spettro della luce emessa da un corpo incandescente: imbrogliò. Prima determinò l'espressione matematica che corrispondeva alla curva di luminescenza ottenuta negli esperimenti; una volta ricavata la formula che gli serviva, cominciò a cercare una sua giustificazione fisica. Dopo che ebbe provato vari modelli, l'unica soluzione che riuscí a immaginare e che gli dava l'equazione della curva di luminescenza richiesta comportava delle restrizioni all'energia degli atomi del corpo incandescente. Planck ipotizzò che in qualsiasi atomo gli elettroni possano avere solo dei determinati livelli di energia. Questa teoria fu chiamata fisica quantistica, dal latino quantum. A livello pratico la separazione tra livelli di energia adiacenti è molto piccola. E intendo dire davvero piccola: se una palla da tennis colpita con forza ha un'energia di 50 kg-m2/s2, la separazione tra livelli di energia adiacenti in un atomo è meno di un milionesimo di trilionesimo di un kg-m2/s2. Questo dovrebbe darvi un termine di paragone la prossima volta che sentirete una pubblicità vantare l'ultima innovazione di un'auto o un detersivo, definendola un «salto quantistico».

Planck dovette introdurre nei suoi calcoli una nuova costante, un parametro regolabile che chiamò «h». Immaginò che ogni cambiamento dell'energia di un atomo potesse assumere solo i valori E = hf o E = 2hf o E = 3hf, eccetera, ma non valori intermedi (cosí l'atomo non potrebbe avere un cambiamento di energia pari, per esempio, a E = 1,6hf o 17,9hf), dove f è la frequenza caratteristica dell'elemento atomico in questione. È come dire che un pendolo è in grado di oscillare completando un ciclo con un periodo di un secondo o di dieci, ma che non può compiere un'oscillazione avanti e indietro in cinque secondi. Lo stesso Planck pensava che fosse strano, ma necessario per fare sí che i suoi calcoli fossero giusti. Intendeva far diventare il valore di h uguale a zero una volta ottenuta l'espressione corretta relativa allo spettro per un oggetto incandescente. Scoprí con disappunto che in questo caso la sua espressione matematica tornava al risultato con energia infinita che prevedeva l'elettromagnetismo classico. L'unico modo per evitare questo risultato infinito privo di senso è di dire che l'energia degli atomi non può assumere un qualsiasi valore, ma deve cambiare sempre con intervalli discreti di grandezza E = hf. Poiché h è molto, molto piccola (h = 66o trilionesimi di trilionesimo di trilionesimo di un kg-m2/s2), non ci accorgiamo mai di questa «discontinuità» dell'energia quando abbiamo a che fare con oggetti grandi come palle da baseball o auto in movimento. Su scala atomica, invece, per l'energia di un elettrone è molto importante e non può assolutamente essere ignorata.

Il fatto che l'energia degli elettroni in un atomo possa avere solo valori discreti, senza alcunché tra di loro, è effettivamente strano. Immaginate le conseguenze di questa discretezza dell'energia per un'auto che viaggia in autostrada a 8o km/h se la costante di Planck h fosse molto piú grande. Secondo la teoria quantistica, l'auto potrebbe procedere piú lentamente, a 70 km/h, o piú velocemente, a 90 km/h, ma non a velocità intermedie! Anche se possiamo concepire che l'auto viaggi a 85 km/h e calcolare l'energia cinetica che avrebbe in questo caso, per i principi della fisica quantistica le sarebbe fisicamente impossibile andare a questa velocità. Se l'auto assorbisse dell'energia (per esempio da una folata di vento), potrebbe accelerare a 90 km/h, ma solo se l'energia del vento fosse in grado di compensare esattamente la differenza di energia cinetica. Con una folata un po' meno forte, l'auto ignorerebbe la spinta del vento e continuerebbe a viaggiare alla velocità originale. Solo se l'energia del vento corrispondesse esattamente alla differenza di energia cinetica tra 70 e 80 km/h, o tra 70 e 90 km/h, la vettura «accetterebbe» la spinta, raggiungendo la velocità superiore. Il passaggio a quest'ultima sarebbe pressoché istantaneo, e l'accelerazione durante questo passaggio avrebbe degli effetti negativi sui passeggeri. Un simile scenario appare ridicolo se applicato al traffico sulle autostrade, ma descrive precisamente la situazione degli elettroni in un atomo.

C'è un modo per capire perché l'energia di un elettrone in un atomo ha solo certi valori discreti? A dire il vero sí, ma prima dovete accettare un concetto molto strano. Anzi, tutta la «stranezza» legata alla fisica quantistica si può ridurre alla seguente affermazione: al moto di tutta la materia è legata un'onda, e maggiore è la quantità di moto dell'oggetto, minore è la lunghezza di quest'onda.

Quando qualcosa si muove, ha una certa quantità di moto. Nel 1924 il fisico Louis de Broglie ipotizzò che questo moto fosse associato a un qualche tipo di «onda di materia» legata all'oggetto, e che la distanza tra creste o minimi adiacenti di quest'onda (la lunghezza d'onda) dipendesse dalla quantità di moto del corpo. I fisici parlano di «funzione d'onda» di un oggetto, ma continueremo a usare il termine «onda di materia» per ricordarci che è legata al movimento di un oggetto fisico, che sia un elettrone o una persona.

Questa onda di materia non è un'onda fisica. La luce è un'onda di campi elettrici e magnetici alternati, creati dall'accelerazione di una carica elettrica. Le increspature provocate dal vento sulla superficie di uno stagno, o gli anelli concentrici che si formano quando si getta in acqua un sasso, risultano da oscillazioni meccaniche sulla superficie dell'acqua. Le onde sonore sono una serie di compressioni ed espansioni alternate della densità dell'aria, o di qualche altro mezzo. L'onda di materia legata alla quantità di moto di un oggetto, invece, non è come tutte queste onde, ma in un certo senso è solo un accompagnamento, muovendosi insieme all'oggetto. Non è un campo elettrico o magnetico, non può esistere distintamente dall'oggetto e non ha bisogno di un mezzo per propagarsi. Eppure questa onda di materia ha delle conseguenze fisiche reali. Le onde di materia possono interferire quando due oggetti si passano vicino, proprio come quando si lanciano in uno stagno due sassi a poca distanza l'uno dall'altro, e ciascuno crea sulla superficie dell'acqua una serie di increspature circolari concentriche, che formano uno schema complesso quando due anelli si incontrano. Se chiedete a qualsiasi fisico che cosa è effettivamente questa onda di materia, risponderà con una gamma di espressioni matematiche che si riducono sempre alla stessa risposta di tre parole: non lo so. Una volta tanto, la nostra «eccezione miracolosa» unica non si applica alle pagine in quadricromia dei fumetti, bensí al mondo reale!

A meno che un oggetto si muova a una velocità vicina a quella della luce, la sua quantità di moto si può definire il prodotto della sua massa per la sua velocità. Un camion ha una maggiore quantità di moto rispetto a una Mini Cooper, se procedono alla stessa velocità, perché la massa del camion è molto piú grande. La Mini Cooper potrebbe avere una quantità di moto maggiore se fosse molto, molto piú veloce del camion. I fisici in genere indicano con la lettera «p» la quantità di moto di un oggetto, perché è ovvio che la p sta per qu-antità. La lunghezza di questa onda di materia si indica con la lettera greca lambda, λ. De Broglie ipotizzò (e nel 1926 Clinton Davisson e Lester Germer lo verificarono sperimentalmente) che la lunghezza dell'onda di materia fosse legata alla quantità di moto dell'oggetto da questa semplice relazione: (quantità di moto) per (lunghezza d'onda) uguale una costante, o pλ = h, dove h è la stessa costante che Planck dovette introdurre per giustificare la curva di luminescenza degli oggetti incandescenti.

Il fatto che il prodotto della quantità di moto di un oggetto per la lunghezza dell'onda di materia sia una costante significa che maggiore è la quantità di moto, minore è la lunghezza d'onda. Dato che la quantità di moto è il prodotto di massa per velocità, assume un valore molto alto per gli oggetti grandi, come palle da baseball e automobili. Una palla lanciata a 160 km/h ha una quantità di moto pari a circa 6 kg-m/s. Dalla relazione pλ = h, poiché h è cosí piccolo, si deduce che la lunghezza dell'onda di materia (per esempio la distanza tra due creste successive) di questa palla è inferiore a un trilionesimo di trilionesimo della larghezza di un atomo. Questo spiega perché non abbiamo mai visto un'onda di materia in un campo da baseball. Naturalmente non abbiamo alcun modo di rilevare un'onda cosí piccola, e in genere le palle da baseball sono oggetti disciplinati che seguono le leggi newtoniane della fisica classica.

D'altra parte, un elettrone ha una massa molto piccola e quindi avrà una quantità di moto minima. Minore è quest'ultima, maggiore è la lunghezza dell'onda di materia, dato che il loro prodotto è una costante. All'interno di un atomo la lunghezza dell'onda di materia relativa a un elettrone ha una grandezza circa uguale all'atomo stesso, e quando si considerano le proprietà degli atomi, queste onde di materia non si possono assolutamente ignorare. Quando Atomo, il supereroe della DC Comics, diventa piccolo per l'appunto come un atomo, dovrebbe vedere qualcosa di strano. Le sue dimensioni sono minori rispetto alla lunghezza d'onda della luce visibile, cosí, proprio come noi non riusciamo a vedere le onde radio, la cui lunghezza va da alcuni centimetri a vari decimetri, Atomo non potrebbe basarsi sulla sua vista normale, e sarà grande circa quanto le onde di materia degli elettroni nell'atomo.

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Le grandi menti pensano davvero allo stesso modo.

Finora, in tutto il corso del libro, abbiamo discusso quella che i fisici chiamano «meccanica classica». Capire la «meccanica» di qualcosa significa poter prevedere la statica (per esempio, l'angolo piú ampio con cui una scala può restare appoggiata a un muro) e il movimento degli oggetti (come la velocità con cui la scala cade quando comincia a scivolare), una volta che si identificano le forze esterne che agiscono su di essi. L'equazione fondamentale che stabilisce il movimento di un oggetto macroscopico risultante da una forza applicata è la nostra vecchia conoscenza F = ma, la seconda legge newtoniana della dinamica. Per il movimento di oggetti grandi, come palle da baseball, auto o persone, le forze dominanti sono la gravità, l'attrito e l'elettrostatica. Anche quando abbiamo considerato l'elettricità e il magnetismo, abbiamo usato ancora F = ma, dove la F nella parte sinistra dell'equazione è la forza di attrazione o repulsione di Coulomb tra le cariche elettriche o la forza di un campo magnetico su una carica elettrica in movimento. L'aspetto della «meccanica quantistica» che ne giustifica la separazione dalla «meccanica classica», facendone una branca distinta della fisica, è che quando si tratta di elettroni e atomi, F = ma all'improvviso non funziona piú.

Dopo molti sforzi nel tentativo di «aggiustare» la fisica classica per gli atomi (sostanzialmente adattando le leggi di Newton senza infrangerle del tutto), i fisici furono costretti loro malgrado a dedurre che all'interno degli atomi valeva una «meccanica» di tipo diverso. In altre parole, serviva una nuova equazione per descrivere come gli atomi avrebbero reagito alle forze esterne. Dopo circa venticinque anni alla ricerca di questa equazione, in una forma o nell'altra, quasi contemporaneamente Werner Heisenberg ed Erwin Schrödinger ottennero la forma corretta della formula corrispondente a F = ma per l'atomo.

Non abbiate paura: non andremo certo a discutere nei dettagli matematici l'approccio di Heidenberg, né quello di Schrödinger. Tra qualche pagina scriverò l'equazione di Schrödinger, ma solo affinché la possiamo guardare a bocca aperta come se fosse una specie di animale esotico allo zoo. La fisica quantistica di Heisenberg si basa sull'algebra lineare, mentre quella di Schrödinger si avvale di un'equazione differenziale parziale complessa (per semplicità, parleremo di Schrödinger per il resto di questo capitolo). Spiegare approfonditamente le loro teorie violerebbe il patto, finora mantenuto, di non applicare in queste pagine niente di piú elaborato dell'algebra da scuola superiore (quella che abbiamo usato finora in questo libro sta all'algebra lineare come una mosca sta a una casa).

Comunque, qui ci sono due osservazioni sulla matematica che vale la pena di fare. La prima è che, diversamente dal caso di Isaac Newton citato nel primo capitolo, che dovette inventare l'analisi per applicare le leggi della dinamica che aveva appena scoperto, sia Heisenberg sia Schrödinger poterono sfruttare la matematica già sviluppata almeno un secolo prima. I rami dell'algebra lineare e delle equazioni differenziali parziali che i due applicarono per descrivere le proprie idee di fisica erano stati inventati da matematici del Settecento e dell'Ottocento e quando servirono, nel 1925, erano ormai consolidati.

Spesso i matematici sviluppano un nuovo ramo della matematica o dell'analisi solo per il piacere di costruire una serie di regole e scoprire quali condizioni e principi ne conseguono logicamente. A volte poi i fisici scoprono che per descrivere il comportamento del mondo naturale su cui indagano si dimostrano indispensabili proprio quegli strumenti che prima esistevano solo per soddisfare la curiosità intellettuale dei matematici. Per esempio, Einstein avrebbe avuto molte piú difficoltà a sviluppare una teoria della relatività generale nel 1915 se non avesse potuto lavorare con la teoria della geometria curva di Bernhard Riemann, datata 1854. Questa situazione in cui si fanno i progressi di domani usando gli strumenti matematici di ieri si è ripetuta cosí tante volte che i fisici tendono a considerarla normale.

La seconda osservazione sulle teorie di Heisenberg e Schrödinger è che, pur applicando rami diversi della matematica e avendo un aspetto molto diverso, a un esame approfondito (eseguito da Schrödinger nel 1926) si dimostrano equivalenti dal punto di vista matematico. Poiché descrivono gli stessi fenomeni fisici (atomi, elettroni e luce) e si basano sugli stessi dati sperimentali, forse non è molto sorprendente che rivelino di essere la stessa teoria, anche se espressa con due linguaggi matematici molto diversi.

Schrödinger e Heisenberg, del tutto autonomamente l'uno dall'altro, misero a punto nello stesso anno descrizioni diverse del mondo quantistico. Il concetto che certe idee diventino «mature» per essere scoperte in determinati momenti della storia si ritrova spesso, e non solo nella fisica teorica. Naturalmente, la semplice imitazione spiega molte somiglianze tra gli spettacoli televisivi o i film di Hollywood, proprio come il successo di Superman su «Action Comics» provocò una rapida proliferazione di fumetti sui supereroi pubblicati da molti altri editori, tra cui la National Comics, che speravano di ripeterne lo straordinario successo. Ci sono però dei casi ben documentati di studi cinematografici o reti televisive che, parallelamente e allo stesso tempo, decisero che fosse il momento giusto per reintrodurre un determinato genere, come i film sui pirati o le serie di ambientazione medica. Questo sincronismo avviene anche nei fumetti, come nel caso degli X-Men e della Doom Patrol, o Pattuglia del Destino. A marzo del 1964 la DC Comics pubblicò «My Greatest Adventures» n. 80, in cui debuttò una squadra di supereroi disadattati (Robotman, Negative Man e l'immancabile compagna di squadra Elasti-Girl), allontanati dalla società normale per i loro poteri mostruosi. Il loro leader era un genio su una sedia a rotelle, detto Capo, che li aveva convinti a riunirsi per aiutare proprio quella società che li aveva rifiutati, e spesso lottavano contro i loro opposti, la Fratellanza del Male. Tre mesi dopo arrivò in edicola «X-Men» n. 114, pubblicato dalla Marvel Comics, in cui si trovava una squadra di mutanti (Ciclope, Bestia, Angelo, Uomo Ghiaccio e l'immancabile compagna di squadra Marvel Girl), allontanati dalla società normale per i loro poteri mostruosi. Il leader di questi ragazzi dotati di superpoteri era un telepate mutante su una sedia a rotelle, il Professor X, che li reclutò e addestrò per aiutare proprio quella società che li aveva rifiutati, e spesso lottavano contro i loro opposti, la Confraternita dei Mutanti Malvagi.

Nonostante alcune profonde differenze (il Professor X è calvo e ben rasato, mentre il Capo ha i capelli rossi e la barba), le somiglianze sorprendenti nella loro concezione portò molti fan dei fumetti a chiedersi se gli X-Men fossero stati creati sulla falsariga della Doom Patrol. Ciononostante le interviste con gli autori di entrambe le serie e le ricerche compiute dagli storici dei fumetti fanno ritenere piú probabile che la loro comparsa quasi contemporanea sia una coincidenza. I tempi lunghi necessari per concepire, scrivere, disegnare, inchiostrare ed eseguire il lettering di un fumetto prima che sia stampato e distribuito nelle edicole indicano che gli X-Men erano in produzione da tempo quando fu lanciata la Doom Patrol.

Un altro sincronismo editoriale è il caso di due mostri di fango coperti di muschio, «Swamp Thing» della DC (scritto da Len Wein) e «Man-Thing» della Marvel (scritto da Gerry Conway e altri), lanciati a distanza di un mese nel 1971. Sia Wein sia Conway insistono nel dire che le rispettive creature non furono influenzate l'una dall'altra, e il fatto che all'epoca i due fossero compagni di camera è una pura coincidenza.

Se il comportamento dei corpi su scala atomica è determinato dalle onde di materia che ne accompagnano il movimento, allora la fisica atomica ha bisogno di un'equazione che descriva come si evolvono nello spazio e nel tempo queste onde di materia. All'inizio degli anni Venti i fisici cercarono di ideare questa equazione, finché Erwin Schrödinger (Figura 28), nel 1925, indovinò l'espressione matematica giusta.

L'equazione di Schrödinger offriva agli scienziati un modello con cui capire le interazioni tra atomi e luce. Fu questo che lo stimolò a sviluppare la sua equazione dell'onda di materia. Dopo una generazione una nuova classe di scienziati, grazie alle conoscenze sulla natura della materia rese possibili dall'equazione di Schrödinger, sviluppò il transistor e, separatamente, il laser, oltre alla fissione nucleare (nelle bombe atomiche) e alla fusione nucleare (nelle bombe H). Non fu facile arrivare al transistor e al laser, che furono sviluppati con successo solo con l'aiuto della teoria quantistica. Dopo un'altra generazione sarebbero stati inventati, tanto per fare qualche esempio, il lettore Cd, il personal computer, il telefono cellulare e il lettore Dvd. E poiché nessuno di questi potrebbe esistere senza il transistor o il laser, non potrebbero esistere senza l'equazione di Schrödinger. Non c'è da stupirsi che fino a poco tempo fa nel suo paese, l'Austria, Schrödinger fosse rappresentato sulle banconote da 1 000 scellini, dato che può davvero essere considerato uno tra gli artefici dello stile di vita che noi del XXI secolo diamo per scontato.

Poco fa ho detto che Schrödinger «indovinò» la forma dell'equazione per l'onda di materia. Forse «indovinò» è una parola troppo forte. Erwin Schrödinger usò una notevole intuizione della fisica per concepire una nuova equazione che descrivesse il comportamento degli atomi. I comuni mortali forse non sapranno mai come operano esattamente le persone come Newton o Schrödinger. L'intuizione che porta a una nuova teoria sulla natura è forse piú potente di quella della creazione artistica, perché una nuova teoria fisica deve essere non solo originale, ma anche coerente dal punto di vista matematico e conforme alle osservazioni sperimentali. La teoria piú elegante del mondo è inutile se è contraddetta dagli esperimenti.

Anche se forse non sapremo mai come fece Schrödinger, sappiamo dove e quando: gli storici della scienza ci informano che ideò la sua famosa espressione nel 1925, in uno chalet sulle Alpi svizzere prestato da un amico, durante delle lunghe vacanze di Natale. Inoltre, sappiamo che sua moglie non si trovava in questo chalet, ma sappiamo anche che lui non era solo. Purtroppo, non sappiamo quale delle tante ragazze di Schrödinger fosse con lui in quel momento.

A questo punto forse il lettore vorrà riesaminare il ritratto di Schrödinger nella Figura 28. Potremmo avere una nuova risposta alla domanda: «perché quest'uomo sorride?» Certo Erwin non ha l'aspetto del classico tombeur de femmes. Se vi siete mai chiesti se ci può essere qualche espressione matematica con cui diventare affascinanti per l'altro sesso, l'equazione di Schrödinger potrebbe essere un buon punto di partenza. Anche l'infarinatura di fisica quantistica presentata in questo capitolo, true believer, aumenterà senz'altro il vostro fascino romantico. E naturalmente, con una conoscenza enciclopedica dei fumetti di supereroi si aggiunge un sex appeal irresistibile!

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Il gatto di due mondi di Schrödinger.

L'equazione di Schrödinger è la F = ma di elettroni e atomi. Proprio come la seconda legge di Newton, una volta specificate le forze esterne F, descrive l'accelerazione a, e quindi la velocità e la posizione di un oggetto, l'equazione di Schrödinger, data l'energia potenziale dell'elettrone con il termine V, permette di calcolare la probabilità per volume ψ di trovare l'elettrone in un certo punto del tempo e dello spazio. Una volta che conosco la probabilità che l'elettrone si trovi in un certo punto, posso calcolare la sua posizione o la quantità di moto media. Poiché i valori medi sono le uniche grandezze affidabili, a una teoria non dovremmo chiedere altro.

L'importanza delle grandezze medie nella fisica quantistica è diversa dal modo in cui abbiamo considerato le medie in precedenza, trattando la termodinamica (nel dodicesimo capitolo). In quell'occasione avevamo parlato dell'energia media per atomo in un oggetto - caratterizzata dalla sua temperatura - semplicemente perché ci era comodo. In linea di principio, se avessimo tempo e memoria del computer a sufficienza, o se fossimo superveloci come Flash o Superman, potremmo registrare la posizione e la quantità di moto, per esempio, di ogni molecola d'aria in una stanza. Potremmo cosí calcolare la forza istantanea sulle pareti per unità di superficie, che esprimerebbe le stesse informazioni di un calcolo della pressione media. Nei sistemi quantistici, invece, le proprietà ondulatorie della materia pongono un limite alla nostra capacità di eseguire misurazioni, e la media è il miglior risultato che potremo mai ottenere.

Nella natura ondulatoria della materia che cosa rende cosí difficile misurare precisamente la posizione esatta di un elettrone in un atomo? Pensate a una corda di violino fissata con una frequenza vibrazionale fondamentale e varie armoniche superiori; immaginate che vibri con una data frequenza, che però non riusciamo a sentire. Se le vibrazioni fossero cosí veloci da non permetterci di vederle, come faremmo a verificare che la corda stia effettivamente vibrando? Un modo sarebbe quello di toccarla e sentire le vibrazioni con le dita. Se avessimo i polpastrelli abbastanza sensibili (come Matt Murdock, alias Daredevil), riusciremmo perfino a determinare la frequenza esatta con cui vibrava la corda.

Dico «vibrava» perché, una volta toccata, la corda non oscillerà piú con la stessa frequenza di prima. Si fermerà del tutto oppure vibrerà con una frequenza diversa. Forse possiamo determinare la frequenza vibrazionale portando le dita vicino alla corda, ma non a diretto contatto con essa. In questo modo possiamo percepire le vibrazioni dell'aria provocate dalle oscillazioni. Per migliorare la sensibilità di questa misurazione, dobbiamo portare le punte delle dita molto vicino alla corda ma, in questo caso, le vibrazioni dell'aria rimbalzerebbero, tornando sulla corda, con una reazione in grado di modificarne lo schema vibratorio. Piú lontano teniamo le punte delle dita, minore è questa reazione, ma minore è anche la precisione con cui determiniamo la frequenza vibrazionale.

Le oscillazioni dell'onda di materia relativa a un elettrone in un atomo sono altrettanto sensibili ai disturbi. Le misurazioni della posizione di un elettrone influiranno sulla sua onda di materia. Si è scritto molto sul ruolo dell'osservatore nella fisica quantistica, ma tutto si può ridurre al concetto che quando si cerca di osservare qualcosa che è piú piccolo dello strumento con cui lo si guarda, l'osservazione ne è disturbata.

La teoria quantistica è in grado di determinare in modo molto preciso il tempo medio nel quale una grande quantità di isotopi nucleari subisce il decadimento radioattivo (cioè la sua «emivita»), ma non riesce a prevedere quando decadrà un singolo atomo. Il problema degli eventi singoli si spiega perfettamente con questo esempio: prendo dalla tasca una moneta e posso lanciarla solo una volta. Qual è la probabilità che sia testa? Quasi sicuramente la vostra risposta istintiva sarà il 50 per cento, ma sospettereste che sia un trabocchetto. E avreste ragione: è davvero una domanda a trabocchetto. A chi sostiene che le probabilità di ottenere testa e croce siano cinquanta e cinquanta, dico: dimostratelo. E non è possibile, non con un solo lancio, finché viviamo in un mondo in cui le monete hanno due facce. Se lanciate la moneta mille volte (o se ne lanciate mille per una volta), vedrete che, nel caso di una moneta normale, il risultato testa avrà una frequenza molto vicina al 50 per cento. Ma la probabilità serve a ben poco per gli eventi singoli e isolati. Eppure l'equazione di Schrödinger non offre altro. Questo non piaceva a molti vecchi fisici, abituati alla precisione assoluta della meccanica newtoniana, che cosí proposero un esperimento concettuale che avrebbe aperto un «vaso di Pandora», in cui misero un gatto.

Posero la seguente situazione: una scatola, in cui si trovano un gatto e una bottiglia sigillata di veleno, e un'altra scatola piú piccola, che contiene un singolo isotopo radioattivo. L'elemento radioattivo ha un'emivita di un'ora, il che significa, secondo la meccanica quantistica, che dopo un'ora ha una probabilità del 50 per cento di essere decaduto. Un effetto collaterale di questo decadimento radioattivo è l'emissione di una particella alfa (in altre parole, un nucleo di elio) e la bottiglia di veleno è disposta in modo tale da rompersi se colpita dalla particella. Cosí, dopo un'ora c'è una probabilità del 50 per cento che il gatto sia morto, avvelenato dai vapori tossici quando la bottiglia è stata colpita dalla particella alfa, e un'altra probabilità del 50 per cento che la bottiglia sia rimasta intatta, lasciando il gatto vivo e vegeto.

Secondo l'equazione di Schrödinger, prima della scadenza di un'ora, quando si apre la scatola guardando dentro, il gatto può essere definito correttamente solo «la sovrapposizione (media) di un gatto vivo e uno morto». Una volta tolto il coperchio, la «funzione d'onda media del gatto» collassa in una che descrive o un gatto vivo al 100 per cento o un gatto morto al 100 per cento, ma non c'è modo di sapere prima di aprire la scatola che cosa si osserverà. Se le pareti della scatola sono trasparenti, non si può mai essere sicuri che la luce dall'esterno non abbia disturbato il processo di decadimento (ricordate che l'osservazione dei sistemi quantistici a volte li può alterare). Molti fisici hanno ritenuto questa interpretazione difettosa (sebbene alcuni esperimenti recenti sugli stati quantistici entangled della luce, come quelli descritti su «JLA» n. 19, l'ultima versione della Justice League of America, indichino che accade proprio cosí), e il tentativo di risolvere l'imbarazzo intellettuale legato al gatto di Schrödinger ha suscitato moltissime riflessioni e dibattiti. Una soluzione provocatoria a questo problema, qui sotto descritta, permette a Flash e Superman di viaggiare su Terre alternative.

Nel 1957 Hugh Everett III sostenne che, una volta chiuso il gatto nella scatola, si creano e si separano l'uno dall'altro due universi paralleli quasi identici: in uno, allo scadere dell'ora il gatto è morto e nell'altro è vivo. Ciò che facciamo quando apriamo la scatola non comporta il collasso della funzione d'onda, e il gatto non è al 50 per cento morto e al 50 vivo. Dopo un'ora invece non facciamo altro che determinare in quale dei due universi viviamo, se quello in cui il gatto vive o quello in cui muore. Anzi, per qualsiasi processo quantistico che ha almeno due risultati possibili ci sono altrettanti universi, che corrispondono alle varie possibilità. Una volta che le due Terre si sono separate, a causa dei due possibili risultati di un determinato evento quantistico, si evolvono ciascuna in modo diverso, in base alla miriade di ulteriori eventi quantistici che accadono in seguito a questa biforcazione iniziale. Se essa è avvenuta di recente, allora una certa Terra può essere simile alla nostra. Se invece risale a molto tempo fa, in questo arco di tempo ci saranno state molte occasioni di altri eventi quantistici con risultati diversi da quelli osservati nel nostro mondo. La storia di questa seconda Terra potrebbe cosí essere molto simile alla nostra, ma è possibile anche che ci siano differenze notevoli.

Quindi la teoria quantistica dà una giustificazione fisica sia per la serie What if? dell'universo Marvel, sia per le Terre alternative nei fumetti DC. Su una Terra Jay Garrick inalò dei «vapori di acqua pesante» durante un incidente in un laboratorio di chimica, acquisendo il potere della supervelocità, con cui lottava per la giustizia nei panni di Flash insieme ai suoi compagni della Justice Society of America. Su un'altra Terra Barry Allen, ricercatore della polizia scientifica, fu bagnato da varie sostanze chimiche mentre veniva colpito da un fulmine, acquisendo il potere della supervelocità, con cui lottava per la giustizia nei panni di Flash insieme ai suoi compagni della Justice League of America. Su un'altra Terra un supervelocista malvagio commetteva crimini con il nome di Johnny Quick, insieme ai suoi compagni del Sindacato del Crimine. In linea di principio esiste un numero infinito di Terre, che corrispondono a tutti i possibili risultati di tutti i possibili effetti quantistici, anche se un cardine di questa teoria è che in genere non ci può essere alcuna comunicazione tra queste varie Terre alternative. In genere. Evidentemente, chi è in grado di vibrare a supervelocità come Flash può viaggiare tra questi molti mondi, almeno finché i lettori comprano queste storie.

Per i fisici, la proposta di Hugh Everett III provocava una crisi molto diversa sulle Terre infinite. Per la maggior parte di loro la soluzione al problema del gatto di Schrödinger con la teoria dei «molti mondi» è un rimedio peggiore del male. Ciononostante, in questa teoria non c'è alcuna incoerenza dal punto di vista logico o fisico, e nessuno è riuscito a dimostrare che sia sbagliata.

Quei fisici che ritenevano insoddisfacente sotto l'aspetto intellettuale dire che un modello completo della natura sia in grado di prevedere solo delle probabilità non potevano certo tollerare l'idea che la teoria in realtà descrivesse la creazione spontanea e continua di un numero infinito di universi alternativi. Fin dalla sua pubblicazione, il modello dei «molti mondi» è stato considerato il parente imbarazzante della teoria quantistica, e fino a pochissimo tempo fa è rimasto relegato nella soffitta delle metafore. Per esempio, non mi è mai stata insegnata quando ho studiato fisica quantistica all'università e poi, piú approfonditamente, nei corsi post-laurea. Scoprii il modello dei «molti mondi» per puro caso quando, durante questi corsi, trovai una copia di The Many-Worlds Interpretation of Quantum Mechanics di Bryce DeWitt e Neill Graham, del 1973, abbandonata in un ufficio degli studenti. Nel tentativo riuscito di rimandare i compiti, raccolsi questo strano libro, cominciai a leggerlo e subito scoprii che da qualche altra parte c'era un altro James Kakalios, che invece li stava finendo in tempo (ma saperlo non mi serviva a molto).

Anche se sono pochi i fisici che dànno credito al modello dei «molti mondi», c'è una categoria di fisici teorici che si sono dimostrati suoi grandi sostenitori: i teorici delle stringhe.

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