Copertina
Autore Michio Kaku
Titolo Fisica dell'impossibile
SottotitoloUn'esplorazione scientifica nel mondo dei phaser, dei campi di forza, del teletrasporto e dei viaggi nel tempo
EdizioneCodice, Torino, 2008 , pag. 324, cop.fle., dim. 14x21,5x2 cm , Isbn 978-88-7578-115-6
OriginalePhysics of the Impossible. A Sscientific Exploration Into the Worls of Phasers, Force Fields, Teleportation, and Time Travel
EdizioneDoubleday, New York, 2008
TraduttoreAndrea Migliori, Sergio Orrao
LettoreCorrado Leonardo, 2009
Classe fisica , storia della scienza , fantascienza , scienze improbabili
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Indice


 IX     Prefazione
XIX     Ringraziamenti


        Parte I. Impossibilità di classe I

  5   1 I campi di forza

 17   2 L'invisibilità

 35   3 I phaser e la Morte nera

 53   4 Il teletrasporto

 71   5 La telepatia

 91   6 La psicocinesi

105   7 I robot

129   8 Extraterrestri e UFO

157   9 Astronavi

183  10 Antimateria e antiuniversi


        Parte II. Impossibilità di classe II

201  11 Più veloci della luce

221  12 Viaggi nel tempo

235  13 Universi paralleli


        Parte III. Impossibilità di classe III

263  14 Macchine a moto perpetuo

279  15 Precognizione


        Epilogo
291     Il futuro dell'impossibile

313     Bibliografia
315     Indice analitico


 

 

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Pagina IX

Prefazione


Se un'idea non sembra inizialmente assurda, allora è senza speranza.

Albert Einstein


Un giorno sarà possibile passare attraverso i muri? Costruire astronavi più veloci della luce? Leggere nella mente degli altri? Diventare invisibili? Spostare gli oggetti con la forza del pensiero? Trasportare istantaneamente i nostri corpi attraverso il cosmo?

Sono domande che mi hanno affascinato fin da piccolo. Come molti altri fisici, da bambino ero incantato dall'idea che si potesse viaggiare nel tempo, che esistessero pistole a raggi, campi di forza, universi paralleli e altre cose simili. Per la mia immaginazione la magia, la fantasia e la fantascienza rappresentavano un unico, immenso terreno di gioco: lì nacque la mia storia d'amore con l'impossibile, una storia che dura ancora.

Mi ricordo di quando guardavo in TV le repliche dei vecchi episodi di Flash Gordon. Ogni sabato mi incollavo alla televisione per sognare con le avventure di Flash, del dottor Zarkov e di Dale Arden, e con lo splendore di tutta la loro tecnologia futuristica: i razzi spaziali, gli schermi che rendevano invisibili, le pistole a raggi e le città nel cielo. Lo guardavo ogni settimana, senza perderne un episodio. Quel programma mi aprì le porte di un mondo completamente nuovo. Mi eccitava l'idea che un giorno un razzo avrebbe potuto portarmi a esplorare il terreno sconosciuto di un pianeta alieno. Mi lasciavo attrarre nell'orbita di quelle invenzioni fantastiche, e sapevo che, in un modo o nell'altro, il mio destino sarebbe stato legato alle meraviglie della scienza promesse da quella trasmissione.

Come scoprii in seguito, non ero il solo. Molti scienziati di successo cominciarono a interessarsi alla scienza dopo essere entrati in contatto con la fantascienza. Il grande astronomo Edwin Hubble, affascinato dalle opere di Jules Verne, rinunciò a una promettente carriera da avvocato per dedicarsi alla scienza, deludendo le aspettative paterne. Finì per diventare il più grande astronomo del XX secolo. Per Carl Sagan, astronomo di fama e autore di numerosi bestseller, le avventure di John Carter di Marte scritte da Edgar Rice Burroughs erano uno stimolo incredibile per l'immaginazione. Il suo sogno era di poter esplorare anche lui, un giorno, le sabbie di Marte, proprio come John Carter.

Il giorno in cui Einstein morì ero ancora un bambino, ma ricordo che la gente parlava della sua vita, e della sua morte, in tono sommesso. Il giorno dopo vidi sui giornali una fotografia della sua scrivania, dove si vedeva il manoscritto della sua opera più grande, mai conclusa. Mi chiesi che cosa non fosse riuscito a portare a termine, di così importante, il più grande scienziato dei nostri tempi. Secondo l'articolo, Einstein aveva un sogno irrealizzabile, un problema così difficile che nessun mortale ne sarebbe mai venuto a capo. Mi ci vollero anni per scoprire di che cosa parlava quel manoscritto: una "teoria del tutto" grandiosa e unificatrice. Il suo sogno – che occupò interamente gli ultimi trent'anni della sua vita – contribuì a dar forma alla mia immaginazione. Decisi che avrei dato un contributo, per quanto piccolo, al tentativo di completare l'opera di Einstein, cercando di unificare le leggi della fisica in una sola teoria.

Crescendo, cominciai a capire che anche se Flash Gordon era l'eroe, e alla fine la ragazza andava sempre con lui, era lo scienziato che faceva funzionare la serie TV. Senza il dottor Zarkov non ci sarebbero stati i razzi, i viaggi su Mongo, e nessuno avrebbe salvato la Terra. Eroi a parte, senza scienza non c'è fantascienza.

Capii infine che, dal punto di vista della scienza di cui parlavano, quelle storie erano semplicemente impossibili, e che erano solo un frutto dell'immaginazione. Crescere significò mettere da parte tutte quelle fantasie. Nella vita reale, mi fu detto, bisognava abbandonare l'impossibile e dedicarsi alle cose pratiche.

Decisi invece che se volevo perseverare nella mia passione per l'impossibile la soluzione si trovava nel regno della fisica. Senza delle basi solide di fisica avanzata avrei passato il mio tempo a speculare su tecnologie futuristiche senza essere in grado di giudicarne la fattibilità. Capii che dovevo immergermi nella matematica avanzata e imparare la fisica teorica. Ed è proprio quello che feci.

Al liceo, come progetto da presentare all'esposizione scientifica, realizzai un acceleratore di particelle nel garage di mia mamma. Andai alla Westinghouse, e riuscii a mettere insieme 180 chili di scarti di acciaio per trasformatori. Durante le vacanze di Natale, sul campo di football della scuola, feci una matassa di 35 chilometri di filo di rame. Riuscii così a costruire un acceleratore di particelle da 2,3 milioni di elettronvolt, un betatrone che consumava una potenza di 6 chilowatt (l'equivalente di casa mia) e generava un campo magnetico 20000 volte più intenso di quello della Terra. L'obiettivo era quello di generare un fascio di raggi gamma abbastanza potenti da creare dell'antimateria.

Il progetto mi fece arrivare all'esposizione scientifica nazionale, permettendomi così di realizzare il mio sogno: vinsi una borsa di studio per Harvard, e potei infine raggiungere il mio obiettivo, quello di diventare un fisico teorico e seguire le orme del mio modello Albert Einstein.

Oggi mi capita di ricevere e-mail da scrittori e sceneggiatori di fantascienza che mi chiedono di aiutarli a perfezionare le loro storie esplorando i limiti delle leggi della fisica.


"Impossibile" è relativo

Come fisico, ho imparato che "impossibile" è sovente un termine relativo. Mi ricordo che un giorno, quando ero ragazzo, la mia professoressa si avvicinò alla carta della Terra che era appesa alla parete e, indicando il profilo delle coste dell'Africa e dell'America del Sud, disse: «Non trovate che sia una coincidenza curiosa che i due profili corrispondano quasi come i pezzi di un puzzle?». Ci raccontò che secondo alcuni scienziati, un tempo, i due continenti avevano forse fatto parte di un unico, enorme continente. Era una sciocchezza, però. Quale forza avrebbe mai potuto separare due continenti così vasti? Secondo lei, perciò, un'idea del genere era impossibile.

In seguito, sempre quell'anno, studiammo i dinosauri. Non era strano, ci disse la nostra insegnante, che i dinosauri avessero dominato la Terra per milioni di anni e poi, un bel giorno, fossero spariti tutti? Nessuno sapeva dire perché si fossero estinti. Secondo alcuni paleontologi potevano essere stati uccisi da un meteorite proveniente dallo spazio, ma si trattava di un'idea impossibile, più consona al dominio della fantascienza.

Oggi sappiamo dalla tettonica a zolle che i continenti si muovono davvero, e che con ogni probabilità 65 milioni di anni fa un meteorite gigantesco, con un diametro di circa dieci chilometri, cancellò i dinosauri e molte altre forme di vita dalla faccia della Terra. Nel breve arco della mia vita mi è capitato più volte di vedere l'apparentemente impossibile trasformarsi in un fatto scientifico assodato. Dunque è davvero impossibile credere che un giorno potremmo essere in grado di teletrasportarci da un posto all'altro, o di costruire un'astronave che ci faccia attraversare gli anni luce che ci separano dalle stelle?

I fisici del giorno d'oggi tendono a considerare traguardi del genere come impossibili. Potrebbero diventare fattibili tra qualche centinaio di anni? O tra diecimila anni, quando la nostra tecnologia sarà più progredita? O tra un milione di anni? In altre parole, se dovesse capitarci di entrare in contatto con una civiltà più avanzata della nostra di un milione di anni, la loro tecnologia ordinaria ci apparirebbe come "magia"? È questo, in sostanza, uno dei temi centrali di questo libro: qualcosa che è "impossibile" oggi lo sarà necessariamente anche tra centinaia o milioni di anni?

Dati gli incredibili progressi della scienza nel corso degli ultimi cento anni, in modo particolare con la nascita della teoria dei quanti e della relatività generale, siamo ormai in grado di stimare - seppur in maniera approssimativa - se e quando potranno essere realizzate alcune di queste tecnologie fantastiche. Con l'avvento di teorie ancora più avanzate, come la teoria delle stringhe, i fisici stanno incominciando a rivalutare concetti che sfiorano la fantascienza, come il viaggio nel tempo e gli universi paralleli. Provate a pensare a 150 anni fa, e a tutte quelle tecnologie avanzate che all'epoca gli scienziati bollarono come "impossibili" e che oggi fanno parte della vita di tutti i giorni. Nel 1863 Jules Verne scrisse un libro, Parigi nel XX secolo, che fu accantonato e dimenticato per più di un secolo per poi essere scoperto accidentalmente dal suo pronipote e infine pubblicato per la prima volta nel 1994. Verne vi descrive come sarebbe potuta sembrare Parigi nel 1960. Nel romanzo abbondano tecnologie che nel XIX secolo erano chiaramente considerate impossibili, e che comprendono i fax, una rete di comunicazioni globale, grattacieli di vetro, automobili a benzina e treni sopraelevati superveloci.

Non è sorprendente che Verne potesse fare previsioni così incredibilmente accurate: egli era a stretto contatto con il mondo della scienza e traeva ispirazione dalle idee degli scienziati che lo circondavano. Era in grado di cogliere gli aspetti fondamentali della scienza, e ciò gli consentì di formulare predizioni stupefacenti.

Purtroppo alcuni tra i più grandi scienziati del XIX secolo si schierarono su posizioni opposte, sostenendo l'impossibilità di molte tecnologie. Lord Kelvin, forse il fisico più noto dell'era vittoriana (la sua tomba si trova nell'abbazia di Westminster, accanto a quella di Isaac Newton), dichiarò che le macchine «più pesanti dell'aria», come l'aeroplano, erano irrealizzabili, e affermò inoltre che i raggi X erano un imbroglio e che la radio non aveva un futuro. Lord Rutherford, lo scopritore del nucleo atomico, disse che era impossibile costruire una bomba atomica, e che si trattava di «un'idea campata per aria». I chimici dell'Ottocento dichiararono che la ricerca della pietra filosofale, una sostanza di cui si favoleggiava potesse tramutare il piombo in oro, era, sul piano scientifico, un vicolo cieco. La chimica del XIX secolo si fondava sull'idea che tutti gli elementi erano sostanzialmente immutabili, come il piombo. Oggi, invece, gli acceleratori di particelle ci permettono, almeno in linea di principio, di trasformare gli atomi di piombo in oro. Provate a immaginare quanto sarebbero sembrate irreali le nostre televisioni, i computer e internet, all'alba del XX secolo.

Più recentemente è toccato ai buchi neri essere considerati un'idea da fantascienza. Lo stesso Einstein scrisse nel 1939 un articolo in cui si "dimostrava" che la formazione di un buco nero era impossibile. Eppure oggi il telescopio spaziale Hubble e il telescopio a raggi X Chandra hanno rivelato che nello spazio cosmico ne esistono migliaia.

La ragione per cui si bollavano queste tecnologie come "impossibili" era che nell'Ottocento, e fino agli inizi del Novecento, le leggi fondamentali della fisica e della scienza non erano note. Viste le grosse lacune che caratterizzavano la conoscenza della scienza a quei tempi - soprattutto a livello atomico - non c'è da stupirsi se novità del genere venissero considerate impossibili.


Studiare l'impossibile


Per ironia della sorte, spesso lo studio approfondito dell'impossibile ha consentito di accedere a nuovi sorprendenti domini della scienza. Ad esempio, per secoli la ricerca futile e frustrante di una "macchina a moto perpetuo" ha spinto i fisici alla conclusione che un oggetto del genere non fosse realizzabile, obbligandoli a postulare la conservazione dell'energia e le tre leggi della termodinamica. L'inutile tentativo di costruire una macchina a moto perpetuo ci ha aiutato a scoprire un campo totalmente nuovo, la termodinamica, che contribuì all'invenzione della macchina a vapore, all'avvento dell'era delle macchine e alla nascita della moderna società industriale.

Alla fine del XIX secolo gli scienziati decisero che era "impossibile" che l'età della Terra fosse di qualche miliardo di anni. Lord Kelvin decise senza mezzi termini che, se la Terra avesse avuto un nucleo allo stato fuso, quest'ultimo si sarebbe raffreddato in un periodo compreso tra 20 e 40 milioni di anni, contraddicendo i geologi e i biologi darwiniani, per i quali la Terra poteva avere miliardi di anni. Alla fine, quando Madame Curie e altri scienziati scoprirono l'esistenza delle forze nucleari, venne dimostrato che l'impossibile era completamente possibile, e si dimostrò che, grazie al calore generato dai decadimenti radioattivi, il centro della Terra poteva effettivamente restare liquefatto per miliardi di anni.

Se voltiamo le spalle all'impossibile lo facciamo a nostro rischio e pericolo. Negli anni Venti e Trenta, Robert Goddard, il fondatore della missilistica moderna, fu criticato in maniera pesantissima da chi pensava che un razzo non avrebbe mai potuto raggiungere lo spazio. Le sue ricerche vennero ribattezzate sarcasticamente "la follia di Goddard", e nel 1921 furono attaccate duramente dalla redazione del "New York Times": «Il professor Goddard non conosce la relazione tra azione e reazione, e la necessità di dover reagire contro qualcosa di meglio del vuoto. Sembra che gli manchino quelle conoscenze fondamentali che i nostri licei impartiscono quotidianamente». I missili erano impossibili, affermavano irritati sul giornale, perché nello spazio non c'era aria contro la quale spingere. Purtroppo, vi fu invece chi capì le implicazioni dei razzi "impossibili" di Goddard: Adolf Hitler. Nel corso cella Seconda guerra mondiale, la pioggia di razzi V-2, con la loro impossibile tecnologia avanzata, portò morte e distruzione su Londra, riuscendo quasi a metterla in ginocchio.

Non è escluso che lo studio dell'impossibile abbia anche cambiato il corso della storia mondiale. Negli anni Trenta era diffusa la convinzione - condivisa anche da Einstein - che una bomba atomica fosse "impossibile". I fisici sapevano che nel nucleo di un atomo era racchiusa una quantità enorme di energia, secondo l'equazione di Einstein E = mc^2, ma che l'energia liberata da un singolo nucleo era troppo piccola perché valesse la pena prenderla in considerazione. Tuttavia il fisico atomico Leo Szilard si ricordò che nel romanzo La liberazione del mondo, scritto da H.G.Wells nel 1914, l'autore prevedeva lo sviluppo della bomba atomica, affermando che il segreto dell'arma nucleare sarebbe stato scoperto da un fisico nel 1933. Szilard si imbatté nel libro per puro caso nel 1932: la lettura lo stimolò nelle sue ricerche, e, nel 1933, proprio nell'anno indicato da Wells vent'anni prima, ebbe l'idea di amplificare l'energia liberata da un singolo atomo attraverso una reazione a catena, moltiplicando a dismisura l'energia ottenibile dalla fissione di un nucleo di uranio. Szilard avviò quindi una serie di esperimenti cruciali e di trattative segrete tra Einstein e il presidente Franklin Roosevelt, ponendo le basi di quel progetto Manhattan che avrebbe messo a punto la bomba atomica.

Più di una volta lo studio dell'impossibile ha aperto prospettive completamente nuove, allargando le frontiere della fisica e della chimica e obbligando gli scienziati a riformulare la propria definizione di "impossibile". Come disse una volta Sir William Osler: «Le filosofie di un'epoca sono diventate le assurdità dell'epoca successiva, e le sciocchezze di ieri sono diventate la saggezza di domani».

Sono molti i fisici che sottoscrivono il noto detto di T.H. White, l'autore di Re in eterno: «Tutto quello che non è proibito è obbligatorio!». La fisica ce lo dimostra in continuazione. Se un fenomeno non è esplicitamente vietato da qualche legge fisica, finiamo sempre per scoprirlo (è successo molte volte nella ricerca di nuove particelle subatomiche. Sondando i limiti di ciò che è proibito, spesso i fisici hanno inaspettatamente scoperto nuove leggi della fisica). Un corollario all'affermazione di T.H. White potrebbe essere questo: "Tutto quello che non è impossibile è obbligatorio!".

Ad esempio, il cosmologo Stephen Hawking aveva cercato di dimostrare che il viaggio nel tempo è impossibile, e aveva formulato una nuova legge, da lui battezzata "congettura di protezione temporale", che avrebbe dovuto vietarlo. Per sua sfortuna, dopo molti anni di duro lavoro scoprì di non riuscire a dimostrarne la validità. Anzi, in realtà oggi i fisici sanno che una legge che impedisca il viaggio nel tempo è fuori dalla portata degli strumenti matematici di cui dispongono. Attualmente, non essendoci una legge della fisica che vieti l'esistenza delle macchine del tempo, i fisici sono obbligati a prenderle molto sul serio.

Questo libro si propone di esaminare quelle tecnologie che oggi consideriamo "impossibili" e che tra dieci o cento anni potrebbero diventare di uso quotidiano.

Una di queste "tecnologie impossibili" sta già dimostrando di essere, in realtà, possibile: il concetto di teletrasporto (almeno a livello atomico). Ancora pochi anni fa i fisici avrebbero detto che teletrasportare un oggetto da un punto a un altro violava le leggi della fisica. Gli autori della prima serie televisiva di Star Trek, in effetti, furono colpiti così duramente dalle critiche dei fisici che finirono per aggiungere dei "compensatori Heisenberg" per correggere il difetto segnalato nei loro teletrasportatori. Oggi, grazie alle scoperte più recenti, i fisici sono in grado di teletrasportare un atomo attraverso una stanza o un fotone attraverso il Danubio.


Prevedere il futuro

È sempre un po' pericoloso fare previsioni, soprattutto quelle che riguardano i secoli o i millenni a venire. Il fisico Niels Bohr amava ripetere: «È molto difficile fare previsioni. Soprattutto quelle sul futuro». C'è però una differenza fondamentale tra l'epoca di Jules Verne e la nostra. Oggi c'è una conoscenza approfondita delle leggi fisiche fondamentali. Il loro comportamento è noto su un intervallo di quarantatré ordini di grandezza, un'enormità che spazia dall'interno del protone all'universo in espansione. Di conseguenza i fisici possono delineare con una certa sicurezza le caratteristiche principali delle tecnologie future, distinguendo meglio quelle tecnologie che sono semplicemente improbabili da quelle che sono effettivamente impossibili. In questo libro, quindi, dividerò le cose "impossibili" in tre categorie.

La prima categoria raggruppa quelle che chiamo impossibilità di classe I. Si tratta di quelle tecnologie attualmente impossibili ma che non violano le leggi fisiche note. Perciò potrebbero vedere la luce nel corso di questo secolo, o forse nel prossimo, in forma modificata. Tra queste troviamo il teletrasporto, i motori ad antimateria, alcune forme di telepatia, la telecinesi e l'invisibilità.

Nella seconda categoria ho inserito le impossibilità di classe II, ovvero quelle tecnologie situate al limite della nostra comprensione del mondo fisico. Se si rivelassero effettivamente possibili, potrebbero essere messe in pratica tra migliaia, o milioni, di anni. Vi troviamo le macchine del tempo, il viaggio nell'iperspazio e l'attraversamento dei cunicoli spaziotemporali noti come wormhole.

L'ultima categoria è quella che chiamo impossibilità di classe III, e che raggruppa le tecnologie che violano le leggi fisiche note. È sorprendente come le tecnologie impossibili di questo genere siano pochissime. Se scoprissimo che sono possibili si tratterebbe di un mutamento fondamentale nella nostra comprensione della fisica.

Il senso di questa classificazione, credo, sta nel fatto che molte tecnologie presenti nella fantascienza sono bollate dagli scienziati come assolutamente impossibili, quando in realtà lo sono solo per una civiltà primitiva come la nostra. L'arrivo di visitatori alieni, ad esempio, viene solitamente considerato impossibile a causa delle enormi distanze tra le stelle. Se per la nostra civiltà i viaggi interstellari sono ovviamente impossibili, potrebbero essere alla portata di una civiltà più avanzata della nostra di centinaia, migliaia o addirittura milioni di anni. Ecco perché è importante classificare queste "impossibilità". Non è detto che una tecnologia inaccessibile alla nostra civiltà attuale lo sia anche per civiltà di altro tipo. Le affermazioni su ciò che è possibile o impossibile devono tenere conto delle tecnologie in anticipo di migliaia o milioni di anni su quelle a nostra disposizione.

Una volta Carl Sagan scrisse: «Che cosa vuol dire, per una civiltà, avere un milione di anni? Abbiamo i radiotelescopi e le astronavi da qualche decina di anni; le nostre conoscenze tecniche risalgono a qualche centinaio di anni fa... la distanza che ci separa da una civiltà avanzata con una storia di milioni di anni è pari a quella tra noi e un galagone o un macaco».

L'obiettivo principale delle mie ricerche è di realizzare il sogno einsteiniano di una "teoria del tutto". Personalmente trovo eccitante l'idea di lavorare a una "teoria finale" in grado di dare una risposta definitiva ad alcune tra le più ardue domande "impossibili" della scienza contemporanea: la possibilità dei viaggi nel tempo, che cosa c'è al centro di un buco nero, o che cosa c'era prima del Big Bang. La mia eterna passione per l'impossibile mi fa ancora sognare a occhi aperti, chiedendomi se e quando qualcuna di queste impossibilità entrerà mai a far parte dell'esperienza di tutti i giorni.

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Pagina 5

Capitolo 1

I campi di forza


1. Quando uno scienziato importante ma anziano afferma che qualcosa è possibile, ha quasi sempre ragione. Quando dice di qualcosa che è impossibile, con ogni probabilità si sta sbagliando.

2. L'unico modo per scoprire i limiti del possibile sta nell'andare un po' oltre e avventurarsi nell'impossibile.

3. Ogni tecnologia abbastanza progredita è indistinguibile dalla magia.

Le tre leggi di Arthur C. Clarke


«Alzate i deflettori!».

È il primo ordine impartito dal comandante Kirk all'equipaggio in tantissimi episodi di Star Trek, allo scopo di attivare i campi di forza che proteggeranno l'astronave Enterprise dal fuoco nemico.

In Star Trek il ruolo dei campi di forza è così cruciale che la loro tenuta dà un'indicazione dell'andamento della battaglia. Mano a mano che si sottrae energia ai campi di forza, lo scafo dell'Enterprise subisce danni sempre più elevati, fino al punto in cui la resa diventa inevitabile.

Ma allora che cos'è un campo di forza? Nella fantascienza si tratta di una cosa fin troppo semplice: una barriera sottile, invisibile ma impenetrabile, capace di deflettere laser e missili. A prima vista, un campo di forza sembra così facile da far pensare che il suo utilizzo come protezione sui campi di battaglia sia imminente. Ci si aspetta quasi che da un giorno all'altro arrivi un inventore intraprendente ad annunciare la scoperta di un campo di forze difensivo. La verità, però, è molto più complicata.

Un campo di forza potrebbe influenzare in maniera profonda ogni aspetto della nostra vita, proprio come la lampadina di Edison rivoluzionò la civiltà moderna. I militari potrebbero usare i campi di forza per diventare invulnerabili grazie a uno scudo che i missili e i proiettili nemici non riuscirebbero a penetrare. In teoria si potrebbero costruire ponti, strade e autostrade semplicemente schiacciando un bottone. Intere città potrebbero sorgere in un batter d'occhio in pieno deserto, con grattacieli composti interamente da campi di forza. Questi, innalzati sopra le città, potrebbero permettere agli abitanti di modificare gli effetti del clima - tempeste di vento, uragani - a piacimento. Si potrebbero costruire città sottomarine, proteggendole sotto il manto sicuro di un campo di forza. Il vetro, l'acciaio e il cemento potrebbero essere sostituiti completamente.

Eppure, strano a dirsi, un campo di forza sembra essere una delle cose più difficili da creare in laboratorio. In effetti ci sono scienziati che lo ritengono davvero impossibile, se prima non se ne modificano le proprietà.


Michael Faraday

Il concetto di campo di forza nasce dal lavoro di un grande scienziato britannico dell'Ottocento, Michael Faraday.

Nato da una famiglia di modeste condizioni (il padre faceva il fabbro), cominciò a guadagnare qualche soldo come apprendista rilegatore nei primi anni di quel secolo. Affascinato dagli enormi progressi nella conoscenza di due nuove forze, l'elettricità e il magnetismo, il giovane Faraday divorava tutti i libri sull'argomento, riuscendo ad assistere alle lezioni del professor Humphrey Davy della Royal Institution di Londra.

Un giorno, nel corso di un esperimento di chimica, il professor Davy si danneggiò gravemente gli occhi, e assunse Faraday come assistente. Questi si conquistò progressivamente la fiducia degli scienziati della Royal Institution, e fu autorizzato a fare esperimenti per proprio conto, anche se non mancavano le persone che mantenevano nei suoi confronti un atteggiamento sdegnoso. Con il passare del tempo il professor Davy divenne sempre più geloso del talento del suo giovane assistente, che era diventato l'astro nascente dei circoli sperimentali e aveva finito per eclissare la fama dello stesso Davy. Alla morte di quest'ultimo, nel 1820, Faraday poté finalmente realizzare una serie di scoperte sensazionali che resero possibile la costruzione di generatori capaci di fornire energia a intere città, cambiando il corso della civiltà mondiale.

L'elemento chiave delle grandi scoperte di Faraday era rappresentato da quelli che chiamò "campi di forza". Se vicino a una calamita si sparge della limatura di ferro, quest'ultima si disporrà in modo ordinato a formare una specie di ragnatela che si estende in ogni direzione. Si tratta delle linee di forza di Faraday, che descrivono graficamente il modo in cui i campi di forza dell'elettricità e del magnetismo permeano lo spazio. Se si disegna il campo magnetico terrestre, ad esempio, si vede che le linee escono dalla zona del polo Nord e rientrano nel pianeta nella regione polare opposta. Analogamente, se si tracciassero le linee del campo elettrico di un parafulmine durante un temporale, si noterebbe che le linee di forza si concentrano sulla sua punta. Per Faraday lo spazio vuoto non era affatto vuoto, ma era pieno di linee di forza grazie alle quali era possibile far muovere un oggetto situato a una certa distanza. (Cresciuto nella povertà, Faraday non aveva avuto modo di imparare la matematica, e dunque i suoi quaderni non sono pieni di equazioni ma di disegni che mostrano le linee di forza. Per ironia della sorte, la sua mancanza di conoscenze matematiche lo portò a creare gli splendidi diagrammi di linee di forza che oggi troviamo in tutti i testi di fisica. Spesso, nella scienza, un'immagine fisica è più importante della matematica che la descrive.)

Gli storici hanno fatto molte ipotesi sul cammino che portò Faraday a scoprire i campi di forza, uno dei concetti più importanti di tutta la scienza. In effetti tutta la fisica moderna è scritta nel linguaggio dei campi di Faraday. Il 1831 fu l'anno della scoperta fondamentale, che cambiò per sempre il corso della civiltà. Un giorno, muovendo una calamita nei pressi di una bobina di filo elettrico, Faraday notò che poteva indurre nel filo una corrente elettrica senza neanche toccarlo. Voleva dire che un campo invisibile, generato dal magnete, poteva attraversare lo spazio vuoto e spingere gli elettroni presenti nel filo, inducendo una corrente.

I "campi di forza" di Faraday, ritenuti fino ad allora scarabocchi inutili, rappresentavano forze reali, materiali, in grado di muovere oggetti e di generare energia. È probabile che la luce che state usando in questo momento per leggere questa pagina sia alimentata dalle scoperte di Faraday sull'elettromagnetismo. Un magnete in rotazione crea un campo di forza che fa muovere gli elettroni in un filo, dando origine a una corrente elettrica. Questa stessa elettricità può poi essere usata per accendere una lampadina. Lo stesso principio permette di generare l'elettricità che alimenta le città di tutto il mondo. L'acqua proveniente da una diga, ad esempio, fa girare una turbina che contiene un enorme magnete, il quale a sua volta mette in moto gli elettroni in un cavo, generando una corrente elettrica che viene trasportata dalla rete dell'alta tensione fino alle nostre case. In altre parole, i campi di Michael Faraday sono le forze che fanno muovere la civiltà moderna, dai bulldozer elettrici ai computer, da internet agli iPod.

I campi di forza di Faraday hanno ispirato i fisici per più di un secolo e mezzo. Einstein ne fu così influenzato da scrivere la sua teoria della gravitazione in termini di campi di forza. Io stesso ne sono stato ispirato. Anni fa riuscii a formulare la teoria delle stringhe in termini di campi di forze di Faraday, fondando così la teoria di campo delle stringhe. In fisica, quando si dice di qualcuno che "pensa come una linea di forza", si tratta di un gran complimento.


Le quattro forze

Uno dei più grandi successi della fisica negli ultimi duemila anni è stato l'aver isolato e identificato le quattro forze che governano l'universo. Ognuna di loro può essere descritta nel linguaggio dei campi introdotto da Faraday. Purtroppo, però, nessuna di loro possiede realmente le proprietà che vengono attribuite ai campi di forza in quasi tutta la fantascienza. Le forze sono:

1.

La gravità, la forza silenziosa che tiene i nostri piedi incollati a terra, che impedisce alla Terra e alle altre stelle di disintegrarsi e che tiene insieme il Sistema Solare e la galassia. Senza la gravità, la rotazione terrestre ci proietterebbe nello spazio a 1600 km/h. Il problema è che la gravità si comporta proprio all'opposto dei campi di forza che troviamo nella fantascienza. La gravità non è repulsiva, ma attrattiva; rispetto alle altre interazioni, è debolissima, e infine fa sentire il suo effetto attraverso distanze enormi, astronomiche. In altre parole, è quasi il contrario di quelle barriere sottili, piatte e impenetrabili dei libri e dei film di fantascienza. Ad esempio, ci vuole tutto il pianeta Terra per attirare al suolo una piuma, ma basta un dito per sollevarla, annullando l'effetto dell'attrazione terrestre. L'azione del nostro dito può opporsi alla forza di gravità di un pianeta che pesa più di sei milioni di miliardi di miliardi (10^24) di chili.

2.

L'elettromagnetismo (EM), la forza che illumina le nostre città. I laser, la radio, la televisione, i dispositivi elettronici, i computer, internet, l'elettricità, il magnetismo — sono tutte conseguenze della forza elettromagnetica. Si tratta probabilmente della forza più utile che l'umanità abbia mai imparato a controllare. Diversamente dalla gravità, può essere attrattiva o repulsiva. Esistono diverse ragioni, però, che la rendono inadatta al ruolo di campo di forza. Anzitutto è facile da neutralizzare. Le materie plastiche e altri isolanti, ad esempio, possono penetrare senza problemi in un campo elettrico o in un campo magnetico. Un pezzo di plastica scagliato contro un campo magnetico lo attraverserebbe senza problemi. In secondo luogo, l'elettromagnetismo agisce a grandi distanze ed è difficile da focalizzare su un piano. Le leggi dell'interazione elettromagnetica sono descritte dalle equazioni formulate da James Clerk Maxwell, e queste non sembrano ammettere tra le soluzioni i campi di forza.

3. e 4. Le interazioni nucleari forti e deboli. L'interazione debole è responsabile del decadimento radioattivo. È la forza che riscalda il centro della Terra, che è radioattivo. È la forza che sta alla base dei vulcani, dei terremoti, e della deriva dei continenti. L'interazione forte mantiene unito il nucleo dell'atomo. Dall'interazione forte nasce l'energia del Sole e delle altre stelle: è lei che tiene acceso il cosmo. Il problema è che l'interazione forte è a corto raggio, poiché non va al di là delle dimensioni di un nucleo. Essendo così strettamente legata alle proprietà dei nuclei, è estremamente difficile da controllare. Attualmente, l'unico modo per manipolarla consiste nel disintegrare le particelle subatomiche in un acceleratore o nel far esplodere le bombe atomiche.


Non è detto che i campi di forza della fantascienza debbano necessariamente obbedire alle leggi fisiche a noi note; ci sono scappatoie che potrebbero permettere ugualmente la creazione di un campo di forza. Tanto per cominciare, potrebbe esistere una quinta forza, finora mai osservata sperimentalmente. Una forza del genere, ad esempio, potrebbe avere un raggio d'azione dell'ordine di qualche centimetro, anziché estendersi su distanze astronomiche. (I primi tentativi di rivelarne la presenza, però, hanno avuto esito negativo.)

C'è poi la possibilità di riprodurre alcune proprietà di un campo di forza servendosi di un plasma. Il plasma è il "quarto stato della materia". Gli stati della materia che conosciamo bene sono tre: solido, liquido e gassoso. Lo stato della materia più comune in tutto l'universo, tuttavia, è il plasma, un gas di atomi ionizzati. In un plasma, gli atomi sono privi di tutti i loro elettroni, e quindi, essendo elettricamente carichi, possono essere controllati facilmente con campi elettrici o magnetici.

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Capitolo 4

Il teletrasporto


Il fatto che ci siamo imbattuti in un paradosso è fantastico. Adesso abbiamo qualche speranza di realizzare dei progressi. Niels Bohr

Capitano, non posso cambiare le leggi fisiche! Scotty, ingegnere capo in Star Trek


Il teletrasporto, ovvero la capacità di trasportare istantaneamente una persona o un oggetto da un posto a un altro, è una tecnologia che potrebbe cambiare il cammino della civiltà e il destino delle nazioni. In guerra, le regole di combattimento potrebbero esserne trasformate in maniera irreversibile: un esercito potrebbe trasportare le proprie truppe dietro le linee nemiche, o, più semplicemente, teletrasportare i comandanti nemici per catturarli. I mezzi di trasporto attuali — automobili, navi, aerei, treni — diventerebbero obsoleti, e con loro tutte quelle industrie che contribuiscono al loro funzionamento; basterebbe teletrasportare noi stessi al lavoro, o i nostri prodotti al mercato. Con la possibilità di teletrasportarci direttamente a destinazione si potrebbe andare in vacanza senza alcuno sforzo. Il teletrasporto cambierebbe tutto.

I primi cenni al teletrasporto si trovano in testi religiosi, come la Bibbia, dove gli spiriti si portano via la gente in un batter d'occhio. In un brano degli Atti degli apostoli, nel Nuovo Testamento, sembra quasi che Filippo venga teletrasportato da Gaza ad Azoto: «Quando furono usciti dall'acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l'eunuco non lo vide più e proseguì pieno di gioia il suo cammino. Quanto a Filippo, si trovò ad Azoto e, proseguendo, predicava il vangelo a tutte le città, finché giunse a Cesarea» (Atti, 8:39-40).

Il teletrasporto fa anche parte del bagaglio di trucchi e illusioni di ogni mago: conigli estratti dai cappelli, carte che appaiono nelle maniche, e monete che spuntano dietro le orecchie di uno spettatore. In uno dei trucchi più ambiziosi realizzati negli ultimi tempi, un elefante fu fatto sparire davanti agli occhi di un pubblico esterrefatto. Si trattava di un esemplare di grosse dimensioni, del peso di alcune tonnellate, rinchiuso in una gabbia. Con un colpo di bacchetta il mago lo fece sparire, lasciando il pubblico a bocca aperta. (Naturalmente l'elefante non era scomparso davvero: era solo il frutto di un gioco di specchi. Nascosto dietro ogni sbarra della gabbia c'era uno specchio lungo e sottile, che poteva essere fatto ruotare. All'inizio del numero di magia, gli specchi, allineati dietro le sbarre, erano invisibili al pubblico che così poteva vedere l'elefante. Non appena gli specchi venivano ruotati di 45 gradi rispetto agli spettatori, però, l'elefante spariva, e la gente si ritrovava a osservare, senza rendersene conto, l'immagine riflessa della parete laterale della gabbia.)


Il teletrasporto e la fantascienza

Il primo cenno al teletrasorto nella letteratura di fantascienza risale al 1877, con la pubblicazione del racconto di Edward Page Mitchell The Man Without a Body. È la storia di uno scienziato che scopre come disintegrare un gatto e inviare per telegrafo i singoli atomi che lo compongono. Quando lo scienziato prova a teletrasportarsi, però, la batteria si esaurisce, e a destinazione giunge solo la testa.

Sir Arthur Conan Doyle, noto soprattutto per le avventure di Sherlock Holmes, era affascinato dall'idea del teletrasporto. Dopo anni passati a scrivere storie di detective, si stancò di Sherlock Holmes e finì per uccidere l'investigatore, facendolo precipitare in una cascata insieme al professor Moriarty. L'indignazione dei lettori, però, fu così grande che Doyle dovette farlo risorgere. Non potendo sbarazzarsi di Sherlock Holmes, Doyle decise di creare una serie completamente nuova, il cui protagonista era il professor Challenger. Challenger è il complemento di Sherlock Holmes: entrambi dotati di un'intelligenza brillante e di un grande talento per la soluzione di misteri intricati, ma, mentre Holmes risolve i suoi casi applicando freddamente la logica deduttiva, il professor Challenger esplora il mondo oscuro della spiritualità e dei fenomeni paranormali, tra cui il teletrasporto. Nel romanzo La macchina disintegratrice (1927), il professore incontra l'inventore di una macchina in grado di disintegrare una persona per poi ricomporla da qualche altra parte. Costui afferma orgoglioso che se la sua invenzione cadesse nelle mani sbagliate sarebbe possibile disintegrare intere città e milioni di persone semplicemente schiacciando un bottone. Disgustato, Challenger utilizza la macchina per disintegrarne l'inventore, e lascia il laboratorio senza ricomporlo.

In seguito è toccato a Hollywood scoprire il teletrasporto. Il film L'esperimento del dottor K (1958) mostra le conseguenze orribili di un problema nel teletrasporto. Uno scienziato si teletrasporta da un capo all'altro di una stanza, ma nel corso dell'operazione i suoi atomi si mescolano con quelli di una mosca entrata accidentalmente nella cella di teletrasporto, e il protagonista si trasforma in un orrendo mostro mutante, metà uomo e metà insetto (nel 1986 è uscito un remake del film con Jeff Goldblum, intitolato La mosca).

Il teletrasporto divenne realmente popolare con Star Trek. Il creatore della serie, Gene Roddenberry, lo introdusse perché il budget dei Paramount Studios non consentiva di realizzare gli effetti speciali necessari per simulare il decollo e l'atterraggio delle astronavi. Teletrasportare a destinazione l'equipaggio della Enterprise era meno costoso.

Nel corso degli anni gli scienziati hanno sollevato ogni sorta di obiezioni nei confronti del teletrasporto. Per teletrasportare un essere vivente bisognerebbe conoscere l'esatta posizione di ogni atomo del suo corpo, e con ogni probabilità ci si scontrerebbe con il principio di indeterminazione di Heisenberg (per il quale non si può conoscere simultaneamente e con precisione assoluta la velocità e la posizione di un elettrone). Inchinandosi ai critici, i produttori di Star Trek aggiunsero dei "compensatori Heisenberg" alla sala di teletrasporto, come se bastasse aggiungere un optional al teletrasportatore per compensare una violazione delle leggi fisiche. Vedremo però che i compensatori Heisenberg potrebbero rivelarsi superflui. I critici della prima ora e gli scienziati potrebbero essersi sbagliati.


Il teletrasporto e la teoria dei quanti

Secondo la teoria di Newton, il teletrasporto è chiaramente impossibile. Le leggi di Newton si fondano sull'idea che la materia sia assimilabile a un insieme di piccolissime palle da biliardo. Gli oggetti si muovono solo se vengono spinti, e non possono scomparire per riapparire improvvisamente da qualche altra parte.

Nella teoria dei quanti, però, è proprio quello che fanno le particelle. Nel 1925, quando Werner Heisenberg, Erwin Schrödinger e i loro colleghi svilupparono la teoria quantistica, le leggi di Newton, che avevano dominato la scena per 250 anni, furono spodestate. L'analisi delle proprietà bizzarre degli atomi portò i fisici a scoprire che gli elettroni si comportavano come onde e che nel corso del loro moto — apparentemente caotico — all'interno dell'atomo potevano fare dei salti quantizzati.

Le onde quantistiche sono associate soprattutto al fisico viennese Erwin Schrödinger, che formulò la famosa equazione che oggi porta il suo nome. Si tratta di una delle equazioni più importanti di tutta la fisica e la chimica. Alla sua risoluzione vengono dedicati interi corsi universitari, e nelle biblioteche di fisica ci sono pareti piene di libri che analizzano l'importanza delle sue conseguenze. In linea di principio, tutta la chimica può essere ridotta a un insieme di soluzioni di questa equazione.

Nel 1905 Einstein aveva dimostrato che le onde luminose possono avere proprietà corpuscolari, cioè che era possibile descriverle come pacchetti di energia, i fotoni. Verso il 1920, però, Schrödinger aveva capito che era vero anche l'opposto: particelle come gli elettroni potevano comportarsi come onde. Il primo a suggerirlo fu il fisico francese Louis de Broglie, che per la sua ipotesi ricevette il Nobel. (Ai nostri studenti di fisica ne viene data una dimostrazione sperimentale: si genera un fascio di elettroni con un tubo catodico, simile a quelli utilizzati comunemente nei televisori, e lo si fa passare in un forellino piccolissimo. Secondo le leggi classiche, sullo schermo posto dietro il foro dovremmo vedere un puntino, e invece osserviamo una serie di anelli concentrici, tipici di un fenomeno ondulatorio e non corpuscolare.)

Un giorno, nel corso di un seminario, Schrödinger parlò di questo fenomeno curioso. Intervenne allora un suo collega, il fisico Peter Debye, che gli chiese: se gli elettroni possono essere descritti in termini di onde, qual è la loro equazione?

Fin da quando Newton introdusse il calcolo differenziale i fisici erano stati in grado di descrivere il comportamento delle onde in termini di equazioni differenziali: Schrödinger, quindi, prese la domanda di Debye come una sfida a formulare l'equazione differenziale per le onde elettroniche. Quello stesso mese Schrödinger partì per le vacanze, e quando tornò aveva trovato l'equazione. Così, proprio come Maxwell, prima di lui, era partito dai campi di forza di Faraday e ne aveva derivato le equazioni di Maxwell per la luce, Schrödinger partì dalle onde di materia di de Broglie e ne derivò l'equazione di Schrödinger per gli elettroni.

(Gli storici della scienza si sono affannati a capire che cosa stesse facendo esattamente Schrödinger quando scoprì la famosa equazione che cambiò il volto della fisica e della chimica dei nostri tempi. Sembra che Schrödinger fosse un sostenitore del libero amore, e che spesso le sue vacanze si svolgessero in compagnia delle sue amanti e di sua moglie. Teneva anche un diario in cui parlava delle sue tante amanti, annotando ogni incontro con una serie complicata di codici. A quanto pare, il fine settimana in cui giunse all'equazione, Schrödinger si trovava nelle Alpi, a Villa Herwig, con una delle sue ragazze.)

Quando si mise al lavoro per risolvere la sua equazione nel caso dell'atomo di idrogeno, Schrödinger scoprì con stupore gli stessi livelli energetici che erano stati classificati con cura da altri fisici prima di lui. Capì così che il modello dell'atomo proposto da Niels Bohr, con gli elettroni che sfrecciavano intorno al nucleo (e che ancora oggi viene utilizzato nei libri e nelle pubblicità quando si vuole rappresentare la scienza contemporanea) era in realtà sbagliato. Le orbite intorno al nucleo andavano sostituite da onde.

Il risultato ottenuto da Schrödinger generò anche altre onde, più precisamente onde d'urto, che scossero la comunità dei fisici. All'improvviso diventava possibile guardare all'interno dell'atomo stesso ed esaminare nei minimi particolari le onde associate ai livelli elettronici, derivando per questi ultimi un insieme di previsioni che riproducevano in maniera perfetta i dati sperimentali relativi ai livelli energetici.

Restava tuttavia una questione spinosa, che ancora oggi turba i sonni dei fisici. Se l'elettrone è descritto come un'onda, cos'è che ondeggia? La risposta è stata data da Max Born: le onde, in realtà, sono onde di probabilità, e vi dicono solamente la probabilità di trovare un certo elettrone in un certo posto a un certo istante. In altri termini, l'elettrone è una particella, ma la probabilità di trovare quella particella è data dall'onda di Schrödinger. Più grande è l'onda in un punto, più grande è la probabilità di trovare la particella proprio lì.

Questi sviluppi portarono all'improvviso il caso e la probabilità nel cuore stesso di quella fisica che fino ad allora ci aveva consentito di prevedere con esattezza le traiettorie dei corpi, dalle comete alle palle di cannone.

L'incertezza fu sancita una volta per tutte da Heisenberg con il suo principio di indeterminazione, che esprime il concetto per cui non è possibile conoscere simultaneamente e con esattezza la posizione e la velocità di un elettrone. Allo stesso modo non è possibile misurarne con esattezza l'energia nell'arco di un certo intervallo di tempo. Nel mondo dei quanti, tutte le leggi fondamentali del buon senso non valgono più: gli elettroni possono scomparire per riapparire altrove, e possono essere addirittura in più posti contemporaneamente.

(Per ironia della sorte, Einstein, il padrino della teoria dei quanti che nel 1905 contribuì a dare il via alla rivoluzione, e Schrödinger, autore dell'equazione d'onda, rimasero scandalizzati dall'introduzione del caso nella fisica fondamentale. «La meccanica quantistica», scriveva Einstein, «è degna di ogni rispetto, ma una voce interiore mi dice che non è ancora la soluzione giusta. È una teoria che ci dice molte cose, ma non ci fa penetrare più a fondo il segreto del grande Vecchio. In ogni caso, sono convinto che Egli non gioca a dadi».)

La teoria di Heisenberg era rivoluzionaria e controversa, però funzionava. Grazie a essa i fisici riuscirono a giustificare in un colpo solo una miriade di fenomeni inesplicabili, tra cui le leggi della chimica. Ogni tanto, per far notare ai miei studenti quanto è strana la teoria dei quanti, chiedo loro di calcolare la probabilità che gli atomi del loro corpo spariscano all'improvviso, e si rimaterializzino dall'altra parte di un muro di mattoni. Per la fisica newtoniana un evento di teletrasporto del genere è impossibile, mentre è permesso nell'ambito della meccanica quantistica. La risposta, comunque, è che affinché ciò accada bisognerebbe aspettare un tempo superiore alla vita dell'universo. (Provate a usare un computer per rappresentare graficamente la funzione d'onda di Schrödinger del vostro corpo: vedrete che assomiglia in tutto e per tutto ai vostri tratti fisici, a parte un leggero effetto di sfocatura, e delle onde che si allontanano in ogni direzione. Qualcuna potrebbe addirittura raggiungere le stelle più remote. Esiste quindi una probabilità, per quanto minuscola, che un giorno vi ritroviate su un altro pianeta.)

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Il teletrasporto senza entanglement

Il teletrasporto progredisce sempre più rapidamente. Nel 2007 un gruppo di fisici ha raggiunto un altro risultato di importanza fondamentale, presentando un metodo di teletrasporto che non richiede l'entanglement. Ricordiamoci che l'entanglement è l'aspetto più complicato del teletrasporto quantistico. Liberarsi del problema potrebbe aprire al teletrasporto orizzonti nuovi.

«Stiamo parlando di un fascio di circa 5000 particelle che spariscono da un posto e riappaiono da un'altra parte», afferma Aston Bradley dell'Australian Research Council Centre of Excellence for Quantum Atom Optics di Brisbane, in Australia. Bradley è uno dei fisici che hanno contribuito a sperimentare la nuova tecnica di teletrasporto. «Crediamo che il nostro schema si avvicini di più, concettualmente, a quello descritto nelle storie di fantascienza». Nell'esperimento realizzato dal gruppo di Bradley, l'informazione contenuta in un fascio di atomi di rubidio è trasferita in un fascio di fotoni che viene trasmesso lungo una fibra ottica e utilizzato, una volta giunto a destinazione, per ricostruire il fascio di partenza. Se si rivelasse corretta, la tecnica di Bradley permetterebbe di rimuovere l'ostacolo principale al teletrasporto, e spianerebbe la strada che porta al teletrasporto di oggetti sempre più grandi.

Per distinguere il suo metodo da quello quantistico, Bradley lo ha battezzato "teletrasporto classico" (la cosa potrebbe generare un po' di confusione, visto che anche il suo metodo è totalmente dipendente dalla teoria dei quanti: tuttavia non dipende dall'entanglement).

La chiave di questo nuovo tipo di teletrasporto sta in un nuovo stato della materia, il "condensato di Bose-Einstein" (o BEC, da Bose-Einstein condensate), una delle sostanze più fredde di tutto l'universo. Le temperature più basse che si possano trovare in natura sono quelle dello spazio cosmico, che si trova a 3 gradi al di sopra dello zero assoluto (a causa del calore residuo del Big Bang, che permea ancora tutto l'universo). La temperatura del BEC, invece, è compresa tra un milionesimo e un miliardesimo di grado al di sopra dello zero assoluto, un valore che può essere raggiunto solamente in un esperimento di laboratorio.

Quando si portano certi tipi di materia a una temperatura prossima allo zero assoluto, gli atomi che la compongono precipitano tutti nello stato di energia minima, finendo per vibrare all'unisono in uno stato coerente.Tutte le loro funzioni d'onda si sovrappongono, e in un certo senso il BEC può essere visto come un "superatomo" i cui componenti vibrano tutti in fase. Questo stato della materia così strano era stato previsto da Einstein e da Satyendranath Bose nel 1925, ma si è dovuto aspettare fino al 1995 perché due gruppi di ricercatori, uno al MIT e l'altro all'Università del Colorado, riuscissero a ottenerlo.

Ecco come funziona il dispositivo di teletrasporto di Bradley e soci. Si prende un insieme di atomi di rubidio ultrafreddi — così freddi da trovarsi in uno stato di BEC — e lo si fa interagire con un fascio di materia (composto ugualmente da atomi di rubidio). Gli atomi del fascio vogliono portarsi anch'essi nello stato di minima energia, e dunque emettono l'energia in eccesso sotto forma di impulso luminoso. Il fascio di fotoni così generato è inviato in una fibra ottica. Da notare che i fotoni contengono tutte le informazioni quantistiche necessarie per descrivere il fascio di materia originale (vale a dire posizioni e velocità di ogni suo atomo). Infine il fascio viene inviato su un altro BEC, e il risultato dell'interazione è un fascio di materia uguale a quello di partenza.

Le potenzialità di questa nuova tecnica di teletrasporto sono enormi, poiché non si ha a che fare con l'entanglement degli atomi. Tuttavia non mancano i problemi. Vi è una dipendenza cruciale dalle proprietà dei BEC, che sono difficili da ottenere in laboratorio. I BEC, poi, si comportano come se fossero un unico, gigantesco atomo. In teoria un BEC potrebbe consentire di vedere a occhio nudo qualche bizzarro effetto quantistico altrimenti osservabile solo su scala atomica. Un tempo una cosa del genere sarebbe stata considerata impossibile.

Un'applicazione pratica diretta dei BEC è la creazione di "laser atomici". I laser, come si sa, sono formati da fasci coerenti di fotoni. Un BEC, dal canto suo, è un insieme di atomi che vibrano all'unisono, e dunque lo si può usare per creare fasci di atomi BEC in uno stato coerente. In altri termini, un BEC può creare l'equivalente del laser tradizionale, il laser atomico o laser di materia, formato da atomi provenienti da un BEC. Le applicazioni commerciali di un laser sono tantissime, e quelle di un laser atomico potrebbero essere altrettanto numerose. Il fatto che i BEC esistano solo a temperature prossime allo zero assoluto rallenterà i nuovi sviluppi, ma non li fermerà.

Dati tutti i progressi che abbiamo fatto, è possibile stimare quando saremo in grado di teletrasportare noi stessi? I fisici sperano di riuscire a teletrasportare una molecola complessa nei prossimi anni. Dopodiché, tra qualche decina di anni forse si riuscirà a teletrasportare una molecola di DNA, o addirittura un virus. In linea di principio non ci sono ostacoli al teletrasporto di una persona in carne e ossa, proprio come accade nei film di fantascienza, ma i problemi tecnici sono davvero incredibili. Per realizzare la coerenza tra qualche fotone e singoli atomi ci vogliono i migliori laboratori al mondo. La coerenza quantistica per un corpo macroscopico, come una persona, è discussione ancora per un bel po'. In realtà ci vorranno ancora secoli, se non di più, prima che si possano teletrasportare oggetti di uso quotidiano.

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Capitolo 13

Universi paralleli


«Ma davvero lei ritiene», signore, disse Peter, «che possano esserci altri mondi — un po' dappertutto, che so, magari dietro l'angolo?».

«Nulla di più probabile», disse il Professore [...] mentre tra sé e sé borbottava: "Mi chiedo che cosa gli insegnino a scuola!".

C.S. Lewis, Il Leone, la Strega e l'Armadio


Ascoltami! Ci sono molti buoni universi qui vicino: muoviamoci!

E.E. Cummings


Possono davvero esserci altri universi, oltre al nostro? Gli universi alternativi sono uno degli espedienti preferiti degli sceneggiatori di Hollywood, come ben dimostra l'episodio di Star Trek intitolato Specchio, specchio. Il capitano Kirk viene accidentalmente trasportato in un bizzarro universo parallelo, in cui la Federazione dei Pianeti è un impero malvagio, basato su brutali conquiste, avidità e razzie. In quell'universo Spock porta una barba minacciosa, e lo stesso capitano Kirk è il capo di una banda di feroci pirati, con un solo obiettivo in mente: assassinare i superiori e ridurre gli avversari in schiavitù.

Grazie all'ipotesi degli universi paralleli possiamo esplorare la dimensione del "e se?", in tutte le sue meravigliose, appetitose possibilità. Tanto per citare un altro esempio, nei fumetti di Superman vengono contemplati diversi universi alternativi in cui Krypton, il pianeta da cui proviene l'eroe, non è mai esploso, o in cui Superman rivela infine la sua vera identità, quella del mite Clark Kent, o ancora sposa Lois Lane e genera dei superfigli. Ovviamente, per quanto concerne questo nostro percorso, l'interrogativo è se tali universi paralleli siano di semplice competenza delle repliche di Ai confini della realtà o trovino qualche conferma nelle leggi della fisica moderna.

Gli esseri umani, fin dall'antichità, hanno sempre creduto all'esistenza di altri piani di esistenza, dimore degli dei o degli spiriti dell'aldilà. Nel cristianesimo si crede nel paradiso, nel purgatorio e nell'inferno. I buddhisti hanno il nirvana e diversi stati di coscienza, mentre gli induisti parlano di migliaia di piani di esistenza.

I teologi cristiani, non riuscendo a trovare una miglior soluzione per quanto concerneva la collocazione del paradiso, hanno spesso ipotizzato che Dio possa dimorare in una sorta di dimensione superiore. L'aspetto curioso della faccenda è che, se una tale dimensione dovesse realmente esistere, molte delle proprietà che vengono attribuite agli dei sarebbero possibili. Infatti un essere appartenente a una dimensione superiore potrebbe apparire e scomparire a piacimento, o passare attraverso i muri, servendosi dei poteri comunemente attribuiti alle divinità.

Da qualche tempo quello degli universi paralleli è diventato uno degli argomenti più "caldi" tra quelli discussi in seno alla comunità della fisica teorica. In pratica, molti dei possibili tipi di universi paralleli ci costringono a riconsiderare la nostra stessa definizione di "realtà", e l'esito di una discussione del genere potrebbe addirittura mettere in discussione ciò che abbiamo sempre preso per "vero".

Nel contesto della letteratura scientifica, sono almeno tre i tipi di universi paralleli al centro di un acceso dibattito:

- l'iperspazio, o le dimensioni superiori;

- i multiversi;

- gli universi quantistici paralleli.


L'iperspazio

Le dimensioni superiori sono sicuramente la forma di universo parallelo che viene discussa da più lungo tempo. Siamo tutti ben consapevoli delle tre dimensioni (lunghezza, larghezza e profondità) che caratterizzano il nostro ambiente. Spostando un qualsiasi oggetto nello spazio, possiamo descriverne la posizione attraverso queste tre coordinate. In pratica, grazie a questi tre valori possiamo localizzare qualsiasi cosa nell'universo, dalla punta del nostro naso alla galassia più lontana.

L'ipotesi di una quarta dimensione spaziale sembra violare le regole del buon senso. Ad esempio, il fumo può riempire una stanza, ma di certo nessuno l'ha mai visto scomparire in un'altra dimensione. Non è mai successo, da nessuna parte, che un oggetto si smaterializzi improvvisamente, o finisca in qualche altro universo. Ciò significa che le dimensioni superiori, sempre che esistano, devono essere più piccole dell'atomo.

Le tre dimensioni spaziali costituiscono le fondamenta della geometria greca. Ad esempio, Aristotele scrisse nel suo saggio Sul Cielo: «La linea ha una sua ampiezza in una direzione, il piano in due direzioni e il solido in tre direzioni; oltre a ciò non c'è nessun'altra direzione perché sono in tutto tre». Nel 150 d.C. Tolomeo di Alessandria propose la prima "prova" dell'impossibilità dell'esistenza di dimensioni superiori. Nel suo saggio Sulla distanza, offrì il ragionamento seguente: tracciate tre linee che siano tutte perpendicolari tra loro (come quelle che disegnano l'angolo di una stanza). Ovviamente, osservò Tolomeo, non sarà possibile tracciare una quarta linea che sia perpendicolare alle altre tre, quindi una quarta dimensione non può esistere. (In realtà con ciò si dimostrava soltanto che il nostro cervello non è in grado di visualizzare la quarta dimensione. I PC di cui ci serviamo continuamente non fanno altro che operare nell'iperspazio.)

Per circa duemila anni, qualsiasi matematico osasse parlare apertamente della quarta dimensione si esponeva al ridicolo. Nel 1685 il matematico John Wallis attaccò apertamente l'eventualità di una quarta dimensione, dichiarando che si trattava di «un mostro della natura, qualcosa di ancor meno probabile di una chimera o un centauro». Nel XIX secolo fu la volta di Karl Gauss, definito "principe dei matematici", che, pur essendo riuscito a risolvere buona parte della matematica della quarta dimensione, non osò pubblicare i suoi risultati, temendo che ciò gli avrebbe procurato troppi nemici. Per contro, anche se di nascosto, Gauss non trascurò di condurre esperimenti volti a dimostrare se la piatta geometria tridimensionale dei greci fosse realmente in grado di descrivere l'intero universo. In uno di questi esperimenti, Gauss dispose tre suoi assistenti sulla cima di altrettante vette. Ognuno dei tre era dotato di una lanterna, e contribuiva a disegnare un gigantesco triangolo. Gauss passò quindi alla misurazione degli angoli interni di quel triangolo, e con suo grande disappunto, scoprì che il totale era pari a 180 gradi. Giunse così alla conclusione che se la geometria standard dei greci era errata, le deviazioni dovevano essere di tale entità da non poter essere individuate con il sistema che aveva escogitato.

Gauss lasciò a un suo studente, Georg Bernhard Riemann, il compito di buttar giù la matematica fondamentale delle dimensioni superiori (che poi, decenni dopo, sarebbero state importate in massa nella teoria della relatività generale di Einstein). Con un solo, energico colpo di spugna, Riemann tenne nel 18S4 una celebre lezione, con cui si rovesciavano duemila anni di geometria greca, stabilendo le basi matematiche (tuttora in uso) delle dimensioni superiori curve.

Quando, negli ultimi decenni dell'Ottocento, la straordinaria scoperta di Riemann venne divulgata in tutta Europa, la "quarta dimensione" colpì e affascinò artisti, musicisti, scrittori, filosofi e pittori. In realtà, il cubismo di Picasso fu almeno in parte ispirato dalla quarta dimensione, o almeno così l'ha interpretato la storica dell'arte Linda Dalrymple Henderson. (I ritratti di Picasso, contenenti volti di donne con gli occhi sporgenti e il naso di lato, sarebbero un tentativo di visualizzare una prospettiva tetradimensionale, giacché contemplando il nostro mondo dalla quarta dimensione potremmo vedere simultaneamente il viso, il naso e la nuca di una persona.) Henderson scrive: «Simile a un "buco nero", la "quarta dimensione" possedeva qualità misteriose, che non potevano essere comprese completamente, neppure dagli stessi scienziati. Eppure l'impatto del concetto di "quarta dimensione" ebbe un influsso molto più esteso di quello di "buco nero" o di tutte le altre ipotesi scientifiche successive al 1919, eccezion fatta per la teoria della relatività».

Picasso non fu il solo pittore ad attingere dalla quarta dimensione. Nel Christus Hypercubus di Salvador Dai, il Cristo è crocifisso su una bizzarra croce tridimensionale sospesa nel nulla, che è in realtà un "tesseratto", ovvero un cubo tetradimensionale dipanato. In un altro celebre dipinto, La persistenza della memoria, Dalí cerca di rappresentare il tempo quale quarta dimensione, e quindi fa ricorso alla metafora degli "orologi molli" .Nel suo Nudo che scende una scala, Marcel Duchamp si provò a rappresentare il tempo come quarta dimensione con il movimento al rallentatore di una figura nuda che scende una scala. La quarta dimensione fa la sua comparsa persino nel Fantasma di Canterville, di Oscar Wilde, in cui il fantasma che infesta una casa vive per l'appunto nella quarta dimensione.

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Pagina 240

La teoria delle stringhe

La situazione subì un'ennesima svolta con l'avvento di una nuova, eccitante teoria, chiamata "teoria della superstringhe". Negli anni Ottanta ì fisici affogavano in un mare di particelle subatomiche. Ogni volta che veniva disintegrato un atomo in uno dei tanti e potenti acceleratori di particelle, si scoprivano decine di nuove particelle. La situazione era talmente frustrante che J. Robert Oppenheimer dichiarò che il Nobel per la fisica sarebbe dovuto andare a quel fisico che nel corso dell'anno non avesse scoperto nessuna nuova particella! (Enrico Fermi, inorridito da tutto quel proliferare di particelle subatomiche dalle bizzarre denominazioni di derivazione greca, sbottò: «Se riuscissi a ricordarmi il nome di tutte queste particelle, mi sarei dato alla botanica!»). Dopo decenni di duro lavoro, quella sorta di giardino zoologico delle particelle fu organizzato nel cosiddetto Modello Standard. Il difficoltoso assemblaggio, pezzo dopo pezzo, del Modello Standard è costato miliardi di dollari di investimenti, e ha richiesto la fatica di migliaia di ingegneri e fisici e il contributo di una ventina di premi Nobel. Si tratta di una teoria assolutamente straordinaria, che sembra accordarsi con tutti i dati sperimentali della fisica subatomica.

Tuttavia, malgrado il suo innegabile successo sperimentale, il Modello Standard ha comunque un grave difetto. Come ha dichiarato Stephen Hawking: «È brutto e artefatto». Nel Modello Standard ci sono almeno 19 parametri liberi (compresa la massa delle particelle e la forza delle loro interazioni con altre particelle), 36 quark e antiquark, tre copie precise (e quindi in esubero) di sottoparticelle, e una moltitudine di particelle subatomiche dai nomi più incredibili, come i neutrini tauonici, i gluoni di Yang-Mills, i bosoni dì Higgs, i bosoni W e le particelle Z. Come se ciò non bastasse, nel Modello Standard non si fa cenno alla gravità. È difficile credere che la natura, al suo lívello elementare e supremo, possa essere caratterizzata da un tale inelegante pasticcio. Il Modello Standard è in definitiva talmente brutto che solo una madre potrebbe riuscire ad amarlo! È stato proprio a causa di quella grettezza che i fisici sono stati costretti a riesaminare tutte le loro ipotesi sulla natura. Da qualche parte ci doveva essere un terribile sbaglio.

Analizzando gli ultimi secoli della fisica, si comprende come soltanto nell'ultimo secolo siamo riusciti nella grande impresa di riassumere tutte le leggi fondamentali in due grandi teorie: la teoria quantistica (rappresentata dal Modello Standard) e la teoria della relatività generale di Einstein (con cui si descrive la gravità). È straordinario come queste due teorie rappresentino la somma delle conoscenze della fisica a livello fondamentale. Con la prima teoria si descrive il mondo subatomico quantistico, in cui le particelle danno vita a una danza fantastica, nascendo e morendo nel giro di un istante, apparendo e scomparendo in due posti diversi nello stesso tempo. Con la seconda teoria si descrive invece il mondo sconfinato del cosmo, con i suoi buchi neri e il Big Bang, e si parla di superfici allungate e curve, e di trame deformate. Peraltro le due teorie si scontrano in ogni modo possibile, basate come sono su presupposti matematici, ipotetici e fisici del tutto diversi. È un po' come se la natura avesse lavorato con due mani, che non comunicano l'una con l'altra. Inoltre, qualsiasi tentativo di unire le due teorie porta a risposte insensate. I fisici si sono spremuti le meningi per oltre mezzo secolo, nel vano tentativo di combinare un matrimonio riparatore tra la teoria quantistica e la relatività generale, con il solo risultato di trovarsi sgomenti al cospetto di una serie di risposte infinite e prive di significato.

Tutto ciò è cambiato appunto con l'avvento della teoria delle superstringhe, con cui si è ipotizzato che l'elettrone e le altre particelle subatomiche siano soltanto le diverse vibrazioni di una stringa, che opera come una minuscola fascia elastica. Se si pizzica un elastico, questo vibra in diversi modi, e ognuna delle sue note corrisponde a una diversa particella subatomica. In tal modo la teoria delle superstringhe riesce a giustificare le centinaia di particelle subatomiche che sono state scoperte negli esperimenti finora condotti presso gli acceleratori. In sostanza, la teoria di Einstein emerge come una delle più basse vibrazioni della stringa.

La teoria delle stringhe è stata proclamata a gran voce la "teoria del tutto", tanto attesa e sempre sfuggita a Einstein negli ultimi trent'anni della sua vita. Einstein ambiva infatti a una singola teoria globale, in grado di riassumere tutte le leggi fisiche, fino a permettergli di «leggere la mente di Dio», com'era solito dire. Se la teoria delle stringhe fosse realmente in grado di unificare la gravità con la teoria quantistica, potrebbe rappresentare il più grande successo della scienza sin dal momento in cui, oltre duemila anni fa, i greci si chiesero di che cosa si componesse la materia.

Ma una delle stravaganti caratteristiche di tale teoria è che le stringhe possono vibrare solo in uno spaziotempo caratterizzato da un preciso numero di dimensioni, per l'esattezza dieci. Se si prova a costruire una teoria delle stringhe variando il numero delle dimensioni, la matematica della teoria stessa non regge più.

Come ben sappiamo, il nostro universo è tetradimensionale (tre dimensioni spaziali più una temporale). Ciò implica che le altre sei dimensioni debbono aver subito un qualche collasso, ripiegandosi su se stesse come la quinta dimensione della teoria di Kaluza.

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Il multiverso

Uno degli enigmi più fastidiosi della teoria delle stringhe era il numero di possibili soluzioni al problema dell'unificazione di teoria quantistica e gravità. La teoria delle stringhe poteva infatti riuscire nell'arduo compito in ben 5 modi diversi. Perché? Disporre di 5 diverse soluzioni era piuttosto imbarazzante, se si considera che i fisici non desideravano altro che un'unica "teoria del tutto". Ad esempio, Einstein voleva capire se «Dio avesse avuto una qualche possibilità di scelta nel creare l'universo». Ed era convinto che una teoria di campo unificata dovesse essere unica, non certo quintupla!

Nel 1994 c'è però stato un ennesimo fulmine a ciel sereno. Edward Witten, del Princeton Institute for Advanced Study, e Paul Townsend della Cambridge University hanno ipotizzato che tutte e 5 le teorie delle stringhe non siano che la stessa teoria, è sufficiente aggiungere un'undicesima dimensione. Dalla posizione vantaggiosa offerta dall'undicesima dimensione, tutte e 5 le teorie delle stringhe si riassumono in una sola! Alla fin fine quella teoria si dimostra essere davvero unica, come auspicato, ma solo se si è pronti a scalare la vetta di un'undicesima dimensione.

Nell'undicesima dimensione viene introdotto un nuovo oggetto matematico, chiamato membrana (come la superficie di una sfera). Ed ecco che cosa accade: se dalle 11 dimensioni si torna a 10, tutte e 5 le teorie delle stringhe emergono da una singola membrana. Se ne può dedurre che le cinque teorie delle stringhe sono soltanto modalità diverse del passaggio di una membrana dall'undicesima alla decima dimensione.

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La teoria del multiverso ha comunque un punto a suo favore. Analizzando le costanti della natura, scopriamo che sono "tarate" con gran precisione, così da permettere la vita. Se dovessimo aumentare l'intensità della forza nucleare, le stelle brucerebbero troppo rapidamente per poter dare origine alla vita. E se dovessimo ridurla, non si accenderebbero affatto, cosicché la vita non avrebbe nessuna possibilità. Aumentando la forza di gravità, il nostro universo perirebbe rapidamente in un "Big Crunch" (un'immane implosione), mentre riducendola si espanderebbe rapidamente, fino a un "Big Freeze" (una morte termica). In pratica, nelle costanti della natura ci sono decine di "eventi fortuiti" che favoriscono la vita. Sembrerebbe proprio che il nostro universo viva una sorta di "situazione fiabesca", in cui molti parametri si armonizzano alla perfezione così da permettere la vita. Quindi, o ne concludiamo che c'è un Dio di qualche tipo che ha scelto il nostro universo affinché fosse quello "giusto" per permettere la vita, o ci sono miliardi di altri universi paralleli, molti dei quali inanimati. Come ha osservato Freeman Dyson: «Sembrerebbe quasi che il nostro universo sapesse che stavamo arrivando».

Sir Martin Rees, della Cambridge University, ha scritto che questa messa a punto costituisce in realtà una prova a favore della teoria del multiverso. Ci sono cinque costanti fisiche (come l'intensità delle varie forze) che sono finemente regolate in modo da permettere la vita, e Rees è convinto che ci sia anche un numero infinito di universi in cui le costanti della natura non sono compatibili con la vita.

Si tratta del cosiddetto "principio antropico". Nella sua forma debole presuppone che il nostro universo sia tarato per permettere la vita (tant'è vero che siamo qui a poterlo constatare). Nella versione forte si ipotizza invece che la nostra esistenza sia un sottoprodotto di un progetto o un disegno. Buona parte dei cosmologi sarebbe probabilmente disposta ad accogliere il principio antropico debole, ma resta il fatto che si discute tuttora sull'eventualità che il principio antropico, anziché rappresentare un nuovo principio scientifico, capace di portare a nuove scoperte e risultati, sia soltanto la constatazione di qualcosa di ovvio.


La teoria quantistica

Oltre alle dimensioni superiori e al multiverso, c'è un altro genere di universo parallelo, ovvero l'universo quantistico previsto dalla meccanica quantistica ordinaria, un'ipotesi che procurò a Einstein dei bei mal di testa e che continua a tormentare i fisici contemporanei. Nel contesto della fisica quantistica i paradossi sembrano insolubili, al punto che il Nobel Richard Feynman aveva preso l'abitudine di dire che nessuno poteva realmente comprendere la teoria quantistica.

Per colmo d'ironia, malgrado la teoria quantistica sia la teoria più riuscita mai proposta dalla mente umana (tant'è che spesso raggiunge un'accuratezza pari a 1 parte su 10 miliardi), si basa su una mistura di casualità, fortuna e probabilità. A differenza della teoria newtoniana, che fornisce risposte precise e concrete a qualsiasi domanda sul moto degli oggetti, la teoria quantistica ci offre unicamente probabilità.

Le meraviglie dell'era moderna, come i laser, internet, i computer, la TV, i cellulari, i radar, i forni a microonde ecc. sono tutti basati sull'andamento mutevole delle probabilità.

Il più nitido esempio degli enigmi della meccanica quantistica è probabilmente il celebre problema del "gatto di Schrödinger" (formulato da uno dei fondatori della teoria quantistica, che paradossalmente lo propose al fine di stroncare l'interpretazione probabilistica). Schrödinger inveì contro quell'interpretazione della sua teoria, dichiarando: «Se davvero ci si dovesse attenere a questi dannati salti quantistici, vuol dire che dovrei rimpiangere di essermi lasciato implicare in questa faccenda!».

Il paradosso del gatto di Schrödinger descrive la seguente situazione: un gatto viene posto all'interno di una scatola sigillata, dove gli viene puntata un'arma, il cui grilletto è collegato a un contatore Geiger, posto nelle vicinanze di un minerale d'uranio. Normalmente, al decadere di un atomo di uranio, il contatore Geiger lo rileverà, azionando il grilletto e quindi uccidendo il gatto. Il gatto chiuso là dentro può essere vivo o morto: questione di comune buonsenso.

Ma nella teoria quantistica, non possiamo essere certi che l'uranio abbia subito un decadimento. Quindi dobbiamo aggiungere due possibilità, ovvero la funzione d'onda di un atomo decaduto e la funzione d'onda di un atomo intatto. Ma ciò implica che, per poter descrivere il gatto, dobbiamo aggiungere anche le sue due possibili condizioni, arrivando ad affermare che non è né morto né vivo, ma rappresentato dalla somma di un gatto morto e di un gatto vivo!

Come il già citato Feynman ebbe a scrivere: «La meccanica quantistica dice che la natura è assurda dal punto di vista del senso comune. E concorda pienamente con gli esperimenti. Quindi spero che accetterete la natura per quello che è: assurda».

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