Copertina
Autore Robin Kinross
Titolo Tipografia moderna
SottotitoloSaggio di storia critica
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2005, Scritture 15 , pag. 302, ill., cop.fle., dim. 140x210x27 mm , Isbn 978-88-7226-900-8
OriginaleModern typography
EdizioneHyphen Press, London, 2004 [1992]
TraduttoreGiovanni Lussu
LettoreCorrado Leonardo, 2006
Classe libri , scrittura-lettura , design , storia della tecnica , scienze tecniche , storia dell'arte
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Indice


    Prefazione e ringraziamenti 9
1   La tipografia moderna 15
2   Origini illuministiche 25
3   Il complesso dell'Ottocento 39
4   Reazione e ribellione 51
5   Valori tradizionali in un mondo nuovo 61
6   Nuovo tradizionalismo 73
7   Culture della stampa: Germania 93
8   Culture della stampa: Belgio e Paesi Bassi 109
9   La nuova tipografia 115
10  Emigrazione del moderno 135
11  Postumi e rinnovamento 153
12  La tipografia svizzera 165
13  Modernità dopo il modernismo 179


14  Esempi 207
    Poscritto sulle riproduzioni 258
15  Le fonti: commentario 261
16  Le fonti: bibliografia 279
    Indice analitico 291



 

 

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Pagina 15

1 Tipografia moderna


Tipografia moderna?

Se la stampa è stata una delle componenti che più hanno contribuito allo sviluppo del mondo moderno, allora l'espressione "tipografia moderna" può costituire una duplicazione di senso non necessaria. Forse che la tipografia non è tutta moderna? Uno storico della cultura può certo vedere il 1450, i caratteri mobili di Gutenberg, come un momento assai vicino all'intersezione tra il "tardo medioevo" e la "prima modernità". E, qualunque cosa suggeriscano i grandi schemi di periodizzazione, la natura del nuovo procedimento sembra aspirare alle caratteristiche della modernità. Si trattava di produzione di massa: testi e immagini potevano ora essere riprodotti in quantità e in copie identiche. Per quanto i testi manoscritti fossero stati duplicati in quantità considerevoli, la stampa introdusse cambiamenti fondamentali: nella quantità, nella velocità di produzione, e soprattutto nell'assicurare l'identica natura dell'informazione in tutte le copie (permettendo d'altra parte variazioni nella pressione e nell'inchiostrazione e modifiche al testo nel corso della tiratura). La standardizzazione del prodotto, nelle sue implicazioni, fu essenziale quanto qualunque altra innovazione portata dal nuovo procedimento. Fu su queste basi di conoscenza condivisa, stabile ed esatta che il mondo moderno venne alla luce.

Il procedimento stesso implicava ed esigeva una standardizzazione dei materiali. Un prodotto soddisfacente dipendeva dal corretto allineamento e avvicinamento dei caratteri e dall'uniformità dell'impressione, e queste cose, a loro volta, dipendevano dalla normalizzazione delle dimensioni dei materiali. I primi stampatori potevano non avere materiali ben coordinati, anche all'interno di una singola bottega, ma le premesse di tale coordinazione erano nella natura del procedimento. Analogamente il procedimento suggeriva una divisione del lavoro, per quanto le prime botteghe di stampa potessero essere abbastanza piccole da implicare la condivisione delle funzioni, e per quanto in certi periodi e in certi luoghi la produzione di testi manoscritti fosse invece piuttosto brutalmente frammentata dall'affidamento di diverse parti del testo a diversi scribi (il sistema dei pecia).

Considerazioni di questo tipo attengono senz'altro all'ambito sociale della tipografia. In questa discussione condensata, "tipografia" tenderà inevitabilmente a diventare un'idea astratta, a sfavore della realtà umana e materiale della quale essa è costituita. Ma, per quanto le realtà sociali possano definire generalizzazioni sulla natura fondamentale della tipografia, rimane il fatto che la scrittura a mano è un processo singolo, mentre nella tipografia ce ne sono due: la composizione e la stampa. Qui sta l'origine della differenza tra un'attività unitaria e un'altra che può essere svolta da operatori che possono non sapere nulla l'uno dell'altro.

Per questo, in termini generali, la stampa è fondamentale per lo sviluppo del mondo moderno: da una parte come principale mezzo per la diffusione della conoscenza, che ha attivato il passaggio dall'atteggiamento medievale a quello moderno; e dall'altra in quanto tale, perché incorporava in sé caratteristiche moderne, di produzione in serie e standardizzazione, di specializzazione e divisione del lavoro.

Il dibattito sulla storia della modernità non si concluderà mai. Diverse definizioni di questa nozione ne consentono collocazioni diverse, e l'inizio del "moderno" è stato posto più tardi, rispetto all'epoca dei primi stampatori: con la macchina a vapore e l'industrializzazione, o anche dopo, con la Prima guerra mondiale. Il libro colloca l'inizio della discussione attorno al 1700 (e non nel 1450, né nel 1800, o nel 1900 o nel 1914), e questo fa parte delle sue argomentazioni. Se la modernità era implicita nella stampa, essa non è stata interamente o immediatamente realizzata dall'invenzione di Gutenberg. La stampa rese possibile la modernità, ma l'evidenza o la riconoscibilità di attitudini moderne nella tipografia cominciarono a emergere solo circa 250 anni dopo la sua introduzione.

L'evidenza decisiva che consente questa valutazione è relativa alla disponibilità ad articolare conoscenza e consapevolezza. Prima che emergessero questi atteggiamenti moderni, gli stampatori certo sapevano già cosa stavano facendo. Lo si può vedere semplicemente dal fatto che i libri a stampa vennero prodotti con successo: perché la realizzazione di qualunque testo così ampio richiede una pianificazione e una progettazione considerevoli. Per quanto non ci sia rimasto molto che lo documenti, si può supporre che fossero usati bozzetti disegnati, copie annotate, diagrammi di imposizione; si può anche congetturare un procedimento di copiatura di modelli esistenti. Ma questa conoscenza non era condivisa. I primi stampatori, secondo le usanze del loro tempo, tenevano segrete le proprie attività: per ragioni pratiche (mantenere un vantaggio commerciale) ma anche per una promozione quasi magica dell'"arte nera". Il fatto che l'epiteto sia sopravvissuto così a lungo suggerisce che la sorpresa e il mistero fossero persistentemente, e in una certa misura intrinsecamente, connessi ai procedimenti di stampa. La carta viene passata su una superficie discontinua e incoerente riflessa a specchio, che istantaneamente produce testo e immagini ricchi di significato; e il procedimento può essere ripetuto, ancora e ancora. Comunque sia, questa "arte nera" è stata la pratica di un mestiere organizzato secondo criteri massonici: segreto, riservato ai maschi e pervicacemente resistente ai cambiamenti. "Il mestiere" appare in questo libro come un personaggio principale, anche se perlopiù silenzioso, il fondamento della stampa. Al suo meglio, esso è stato il depositario di una solida saggezza. Ma è apparso anche come un ostacolo, specialmente a brillanti outsider che avrebbero voluto avere il controllo delle procedure di stampa e di pubblicazione.

Il primo passo del lungo processo di disgregazione del mestiere della stampa fu la separazione della funzione redazionale dalla bottega, verso quella che sarebbe diventata la redazione editoriale. Con questa divisione, la stampa cominciò ad aprirsi, e i suoi segreti cominciarono a essere resi espliciti. Si potrebbe anche suggerire, come ipotesi di lavoro, che questo fu il punto dove la "stampa" si separò dalla "tipografia". La distinzione tra i due termini era latente nei ragionamenti sulla questione sin dalla pubblicazione dei Mechanick exercises di Joseph Moxon alla fine del Seicento, ma non fu mai completamente spiegata. Per semplificare al massimo, la differenza è tra la pratica non elaborata criticamente con i materiali di produzione ("stampa") e la configurazione consapevole del prodotto, secondo istruzioni date ("tipografia").

[...]

Questo saggio, quindi, ha un qualche obiettivo polemico nella sua preferenza per le argomentazioni. E, nello stesso spirito, assume che il valore stia nella qualità editoriale, nel contenuto di testi e immagini, nella loro accurata trasmissione, e che la nozione di "bellezza" sia meglio lasciarla da parte, o almeno strutturarla alla luce di questi primari obiettivi dello stampare. Ciò può spiegare la selezione dei temi qui discussi, e il trattamento spiccio riservato a qualcuno tra quelli usualmente considerati principali nella storia della tipografia - Baskerville, Bodoni, le stamperie private successive alla Kelmscott -, la cui reputazione riposa su libri superflui di dubbia accuratezza, intesi per essere guardati piuttosto che letti, oppure realizzati come meri investimenti commerciali. Il culto della "bella stampa", con il suo feticcio del frontespizio, è stato contestato abbastanza, e da celebrati tipografi (Jan Tschichold, Eric Gill), ma sembra persistere. Di fronte a monumenti compiaciuti, si preferisce il lavoro che mostra un po' di vita.

Un mezzo per circoscrivere le idee discusse in questa storia e per risalire alle loro radici è la riproduzione degli artefatti. Questo è uno degli obiettivi delle illustrazioni che costituiscono la componente visiva del saggio. Le intenzioni e i metodi che hanno portato alla scelta delle immagini sono tratteggiati nella nota che segue la sequenza (pagg. 258-59).

Il testo del saggio si basa considerevolmente sulle fonti a stampa, incluso molto materiale che è secondario rispetto al suo tema, o addirittura ancora più remoto. Non si tratta di una situazione ottimale: c'è un forte rischio di raccontare di nuovo storie che sono già state raccontate (e deformate) molte volte in precedenza. Il meno che un autore possa fare è di essere molto franco al proposito, presentando e discutendo le fonti. I capitoli 15 e 16 sono dedicati a questo: sono pensati per fornire al lettore qualche aiuto per estendere le sue conoscenze, e per suggerire che questo libro è il prodotto di una voce in dialogo con molte altre. È stato scritto nel desiderio di stimolare la discussione critica e allo stesso tempo la pratica critica.

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9 La nuova tipografia


Nel suo periodo "eroico", tra la fine della Prima guerra mondiale e la presa nazionalsocialista del potere in Germania nel 1933, il modernismo nella tipografia del Novecento fu un fenomeno dell'Europa continentale. La Gran Bretagna non vi ebbe alcuna parte, e gli Stati Uniti furono significativi solo come lontano emblema della vita moderna. La Germania fu il centro e il terreno d'incontro di uno scambio internazionale di esperimenti e di idee. Un'analisi completa dovrebbe contemplare l'esame separato dei contributi della Russia postrivoluzionaria. Dovrebbe occuparsi del caso particolare dei Paesi Bassi, e anche dei più distanti e poco conosciuti sviluppi in Polonia e Cecoslovacchia, come di quel che accadeva in Austria, in Svizzera e in Italia. La Francia, persino in un resoconto più dettagliato della nuova tipografia, potrebbe essere rapidamente tralasciata. Proprio come era accaduto con il movimento di revival della stampa, la Francia fu assai poco influenzata dal modernismo tipografico dell'Europa centrale; esso fu perlopiù confinato a espressione stilistica, come un aspetto dell' art décoratif.

L'espressione "nuova tipografia" viene qui adottata come termine descrittivo del fenomeno, seguendo l'uso dell'epoca, in particolare nel manuale del movimento scritto da Jan Tschichold, Die neue Typographie (1928). In questo libro veniva delineata la prospettiva storica del movimento: quello che era venuto prima del nuovo (1440-1914) era trattato in un capitolo sulla "vecchia tipografia" (Tschichold, Die neue Typographie, pagg. 15-29). Tschichold trovava qualche conferma per la nuova tipografia nel lavoro dei primi stampatori tedeschi (la pratica del comporre in due colonne, e il senso del contrasto piuttosto che dell'equilibrio) e negli stampatori "moderni" del Settecento (in particolare nei Didot). Ma per il resto, la storia della tipografia fino al 1914 era nient'altro che una preistoria. Segni del cambiamento avevano cominciato a essere evidenti nell'Ottocento, quando la tipografia si era liberata dall'essere solo tipografia del libro, si erano sviluppati nuovi caratteri (specialmente quelli senza grazie) ed erano stati introdotti nuovi mezzi di riproduzione (litografia, fotografia). La reazione di William Morris al degrado della tipografia dell'Ottocento era falsa, in quanto rifiutava la macchina. I designer Jugendstil tentarono almeno di mettere in qualche modo in relazione l'arte e la vita, ma nello scegliere di imitare le forme naturali imboccarono un vicolo cieco. Gli "artisti del libro", come Tschichold li chiamava (spesso tra virgolette ironiche), che avevano preso l'ispirazione iniziale dalle stamperie private inglesi, avevano finito col mettersi in ridicolo. Nei casi più semplificati e migliori (come C. E. Poeschel), il loro lavoro era una specie di punto zero tra la vecchia tipografia decorata e la nuova tipografia progettata ("gestaltend").

Tschichold cominciava quindi con il fornire una storia della nuova tipografia, parlando prima di tutto della "nuova arte", "perché le leggi di questo nuovo tipo di design tipografico non sono altro che l'applicazione pratica delle leggi del design scoperte dai nuovi pittori" (Tschichold, Die neue Typographie, pag. 30). L'arte astratta non dipendeva più dall'imitazione e dal sentimento privato; era invece costruttiva e apparteneva alla sfera collettiva. La vecchia epoca enfatizzava l'individualità e l'unicità; quelli nuovi erano tempi di riproducibilità e di dissolvimento dell'arte nell'architettura e nelle forme fruibili pubblicamente. Venivano quindi tratteggiati i passi immediatamente precedenti alla nuova tipografia: l'interesse per i caratteri senza grazie all'inizio del secolo, il manifesto futurista del 1909 (Les mots en liberté futuristes); dada; de Stijl; l'elementarismo russo. Le idee e gli approcci di questi movimenti si erano fusi attorno al 1923 in quella che era allora diventata la nuova tipografia. Questo resoconto delle origini della nuova tipografia, in quanto essenzialmente artistici, è entrato nell'ortodossia; e il movimento stesso, come si sviluppò negli anni venti e nei primi anni trenta, è stato visto per estensione anche come fenomeno artistico.

È certamente vero che molto dell'impulso alla nuova tipografia era venuto da persone al di fuori dei mestieri della stampa e del più vasto mondo della tipografia. È però anche vero, per quanto non se ne faccia spesso cenno, che se queste persone erano "artisti", erano allo stesso tempo intenti a minare o a demolire la nozione di arte come veniva allora concepita. Questo è il legame che accomunava le motivazioni, per il resto quanto mai disparate, dei futuristi italiani, dei costruttivisti russi, del gruppo olandese de Stijl, dell'internazionale dei dadaisti. Nel rifiutare la concezione borghese dell'arte, confinata alla pittura da cavalletto, ai salotti e alla sala d'aste, essi cercavano forme di produzione che sfuggissero a queste pastoie. Le componenti più concretamente utopiche - i costruttivisti e il gruppo de Stijl - andarono oltre questo rifiuto, producendo i modelli di una nuova arte, nei quali le distinzioni tra arte e vita erano state dissolte. I loro interessi per il design grafico e tipografico erano quindi parte di un impegno nella globalità del mondo costruito dall'uomo. Inoltre, avendo idee forti, erano portati a scrivere e a pubblicare - specialmente piccole riviste - e, essendo visivamente orientati, volevano che la forma di queste pubblicazioni corrispondesse al loro contenuto. Questa è la spiegazione più diretta del loro interesse per la tipografia.

La formulazione di alcune delle idee portanti della nuova tipografia può essere rintracciata nei "manifesti" e negli articoli pubblicati in particolare da El Lisitskij e László Moholy-Nagy, e, in posizione meno centrale, da Kurt Schwitters. Tra il 1923 e il 1925 essi pubblicarono dichiarazioni riassuntive sulla natura e gli scopi della nuova tipografia, ciascuno riprendendo le idee espresse dall'altro. La dichiarazione Topographie der Typographie di Lisitskij, del 1923, può essere presa come rappresentativa di questa prima fase visionaria della nuova tipografia, nella quale tutte le convenzioni venivano messe in discussione:

1 Le parole del foglio stampato vengono guardate, non udite.

2 Per mezzo di parole convenzionali si comunicano concetti, il concetto dev'essere configurato per mezzo di lettere.

3 Economia dell'espressione: ottica invece che fonetica.

4 La configurazione dello spazio del libro, per mezzo del materiale compositivo secondo le leggi della meccanica tipografica deve corrispondere alle tensioni di trazione e di pressione del contenuto.

5 La configurazione dello spazio del libro per mezzo del materiale dei cliché che realizzano la nuova ottica. La realtà supernaturalistica dell'occhio perfezionato.

6 La sequenza continua delle pagine: il libro bioscopico.

7 Il libro nuovo esige uno scrittore nuovo. Calamaio e penna d'oca sono morti.

8 Il foglio stampato supera spazio e tempo. Il foglio stampato, l'infinità dei libri, devono essere superati. L'elettrobiblioteca.

Nel 1925 la teoria essenziale del movimento era stata espressa. In quell'anno apparve la prima antologia ricapitolativa, Elementare Typographie, pubblicata come numero speciale di "Typographische Mitteilungen", la rivista della Bildungsverband der Deutschen Buchdrucker (l'organizzazione tedesca per la formazione nei mestieri della stampa). Il numero era a cura di Jan Tschichold, il quale quindi, in questa sua prima pubblicazione, si imbarcava nella missione di spiegare e diffondere le idee dell'avanguardia nel mondo della stampa di tutti i giorni. Vi era riprodotta una selezione dei lavori di coloro che avevano cominciato ad applicare il nuovo approccio, ed erano contenuti testi di spiegazione e programmatici, inclusa la seguente dichiarazione di Tschichold:

Tipografia elementare

1 La nuova tipografia è orientata a uno scopo.

2 Lo scopo di qualunque stampato tipografico è la comunicazione (il mezzo attraverso cui essa si mostra). La comunicazione deve apparire nella forma più breve, semplice e immediata.

3 Perché la tipografia possa essere usata a fini sociali, essa esige l' organizzazione interna dei propri materiali (l'ordinamento dei contenuti) e la loro organizzazione esterna (i mezzi della tipografia configurati in relazione gli uni con gli altri).

4 L' organizzazione interna è la limitazione ai mezzi elementari della tipografia: lettere, numeri, segni, spazi - dal cassetto del compositore e dalla macchina compositrice.

Nel mondo presente visivamente consapevole anche l'immagine esatta - la fotografia - appartiene ai mezzi elementari della tipografia.

Le forme elementari delle lettere sono quelle senza grazie, in tutte le variazioni: chiaro, neretto, nero, e dallo stretto al largo.

Le forme di lettere che appartengono a particolari categorie stilistiche o che portano caratteristiche nazionali definite (gotica, slava ecclesiastica) non sono progettate in modo elementare, e limitano considerevolmente la possibilità di essere capite internazionalmente. Il Mediaeval-Antiqua ["romano"] è la forma di carattere tipografico più usuale per la maggior parte delle persone. Per la composizione di testi correnti - per quanto non progettato elementarmente - esso ha il vantaggio di una migliore leggibilità rispetto a molti caratteri senza grazie.

Finché non esisteranno forme esaurientemente elementari che siano leggibili anche nella composizione dei testi, è meglio scegliere (invece di un carattere senza grazie) la forma meno invadente di Mediaeval-Antiqua - una nella quale il periodo o le caratteristiche personali siano meno evidenti.

Una straordinaria economia può essere raggiunta attraverso l'uso di sole lettere minuscole - l'eliminazione di tutte le maiuscole; un modo di scrivere e di comporre raccomandato da tutti gli innovatori del campo. Vedi il libro Sprache und Schrift [Lingua e scrittura] del dott. Porstmann (Beuth-Verlag, Berlin SW19, Beuthstraße 8, prezzo: 5,25 marchi). la nostra scrittura non perde nulla a essere scritta solo con le minuscole - piuttosto diventa più leggibile, più facile da imparare, essenzialmente più economica. per un suono, ad esempio "a", perché due segni A e a? un suono, un segno. perché due alfabeti per una parola, perché una doppia quantità di segni, quando la metà raggiunge lo stesso scopo?

Per mezzo di forme e dimensioni fortemente differenziate, e senza considerare gli atteggiamenti estetici precedenti, la disposizione logica del testo stampato diventa visivamente percepibile.

Le aree non stampate del foglio sono un mezzo di design quanto le forme che appaiono visivamente.

5 L' organizzazione esterna è la formazione del contrasto più forte (simultaneità) attraverso l'uso di forme, dimensioni e pesi differenziati (che devono corrispondere al valore del loro contenuto) e la creazione di relazioni tra i valori formali positivi (nero o colore) e quelli negativi (bianco) della carta non stampata.

6 Il design tipografico elementare è la creazione di relazioni logiche e visive tra lettere, parole e testi, come esse sono determinate dal lavoro specifico.

7 Per incrementare il senso di slancio della nuova tipografia, possono essere utilizzate, come mezzi di organizzazione interna, anche linee verticali e diagonali.

8 Il design elementare esclude l'uso di qualunque ornamento (compresi tutti i tipi di fregi). L'uso di filetti e forme elementari inerenti (quadrati, cerchi, triangoli) deve essere basato in modo convincente sulla costruzione totale.

L'uso decorativo-artistico-lezioso di forme essenzialmente elementari non ha a che fare con la progettazione elementare.

9 L'ordinamento degli elementi nella nuova tipografia sarà basato in futuro sulla standardizzazione (DIN) dei formati della carta del Normenausschuß der Deutschen Industrie (NDI): soltanto questa rende possibile un'organizzazione complessiva di tutto il design tipografico (vedi: dott. Porstmann, Die Dinformate und ihre Einfürung in die Praxis, Selbstverlag Dinorm, Berlin NW7 Sommerstraße 4a, 3,00 marchi).

Il formato DIN A4 (210:297 mm), in particolare, dovrebbe essere la base di tutte le carte intestate e commerciali. La carta intestata commerciale è stata essa stessa standardizzata: DIN 676 Geschäftbrief, ottenibile direttamente da Beuth-Verlag, Berlin SW19, Beuthstraße 8, 0,40 marchi. Lo standard DIN Papierformate è il numero 476. I formati DIN sono stati introdotti nella pratica solo recentemente. In questo numero speciale è presente solo un lavoro consapevolmente basato su un formato DIN.

10 La progettazione elementare, nella tipografia come in altri campi, non è assoluta né conclusiva. Gli elementi cambiano per mezzo di scoperte che creano nuovi strumenti di progettazione tipografica - ad esempio la fotografia -, e quindi anche la concezione di design elementare cambierà continuamente.


Riprodotto, come qui, nella sua interezza, il testo fornisce un utile riassunto delle aspirazioni della nuova tipografia al momento della sua prima autodefinizione. L'idea portante è quella del perseguire uno scopo (Zweck), che pervade sia i dettagli dell'oggetto progettato che il più ampio contesto dell'artefatto nella società. Così le questioni formali, sull'uso dello spazio e sugli elementi visivi della tipografia, sono unite alle considerazioni sociali. Molto era già stato suggerito da Lisitskij e Moholy-Nagy, ma mentre questi artisti-tipografi avevano posto l'accento sull'espressione - non espressione personale, ma espressione di un contenuto attraverso una forma - l'enfasi di Tschichold è più sull'ordine e sull'organizzazione. Il contrasto non è visto in quanto tale (come in alcune delle tendenze più dionisiache del modernismo), ma perché esso riveli "la disposizione logica del testo stampato". Questo tema conduce a specifici riferimenti agli standard per i formati della carta e alla riforma dell'ortografia. Le informazioni pratiche che Tschichold qui fornisce sarebbero diventate tipiche della sua costante opera pedagogica (vedi esempio 15, pagg. 236-37). Come il contrasto con le dichiarazioni di Lisitskij in Topographie der Typographie suggerisce, Tschichold era paziente e preciso dove gli artisti-tipografi erano vaghi e profetici.

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Pagina 179

13 Modernità dopo il modernismo


Gli anni cinquanta e sessanta erano stati un periodo nel quale il sogno del "moderno" poteva avverarsi, sul guanciale del comfort materiale e in una stabile situazione di relazioni internazionali (la Guerra fredda). Era un modernismo addomesticato e sicuro, il cui centro spirituale stava nella neutrale Svizzera; non era l'avventura utopica che i pionieri europei per un breve periodo avevano immaginato, negli anni tra le due guerre. E in verità fu solo dopo il 1945 che il termine "modernismo" (almeno nella sua forma inglese, modernism) cominciò a essere applicato massicciamente, in retrospettiva. L'avanguardia tra le due guerre non pensava sé stessa come "modernista", ma piuttosto si rappresentava in movimenti discreti - "costruttivista", "suprematista", "surrealista" e così via. Nel tempo che il termine arrivò a essere contemporaneo del lavoro che esso descriveva, qualcosa di diverso stava andando avanti.

Gli eventi del 1968 - sollevamenti e agitazioni politiche in Europa occidentale e nel Nord America, e in parti del blocco sovietico - possono essere visti, in una prospettiva storica, come segnali premonitori. Gli anni del comfort finirono certamente nel 1973, con l'impennata del prezzo del petrolio da parte dei produttori OPEC. Venne meno un elemento fondamentale della prosperità, e in tutto il mondo le economie nazionali furono gettate in un ingranaggio diverso. Allo stesso tempo furono accelerati i processi di integrazione commerciale transnazionale. Così, nel 1979, la Linotype (che aveva le sue sedi soprattutto negli uSA e in Germania) fu acquistata dalla Allied Chemical. Già nel 1973 la Monotype Corporation (presente principalmente in Gran Bretagna) era stata acquisita da una società di investimenti. Per la Monotype si trattava del primo di una serie di passaggi di proprietà, lungo gli anni settanta e ottanta, che culminarono nel 1997 con l'acquisizione da parte dell'Agfa (prodotti fotochimici) della Monotype Typography (come era arrivata a chiamarsi allora), per formare l'Agfa Monotype. A quel tempo l'Agfa faceva già parte dell'ancor più vasto gruppo Bayer. L'ascesa delle società chimiche nel campo della tipografia corrispondeva al passaggio dai caratteri in metallo e dalla stampa in rilievo alla fotocomposizione e alla stampa offset.

[...]

Il momento del PostScript

Due sviluppi tecnici strettamente legati possono essere messi in rilievo nel sintetizzare i cambiamenti della tipografia tra la metà e la fine degli anni ottanta. Il primo fu l'introduzione del "personal computer", e in particolare del Macintosh della Apple, che oltre a essere piccolo e abbordabile per singoli acquirenti, veniva gestito per analogie visive (invece che con istruzioni da tastiera) con risultati che erano mostrati quasi esattamente su uno schermo. Il secondo era rappresentato da linguaggi di programmazione che potevano descrivere tutti gli elementi di una pagina - lettere, immagini al tratto e a mezzi toni - e istruire qualunque dispositivo di output predisposto a ricevere queste descrizioni. La stessa descrizione poteva quindi essere trasmessa a unità ad alta risoluzione (che prendevano il posto delle tradizionali macchine per la composizione di testi) e a stampanti laser a bassa risoluzione (che prendevano il posto delle macchine da scrivere e di altre analoghe attrezzature da ufficio). Di regola, i testi venivano inviati a queste ultime per le bozze, e magari anche per la stampa di copie per la circolazione informale, e infine impostati sui dispositivi ad alta risoluzione. C'è un'area di intersezione tra l'interesse commerciale delle società produttrici di dispositivi particolari e quello degli utilizzatori di questi dispositivi, che vogliono una comunicazione facile e fluida tra macchine e programmi. Questa divenne spesso l'area del conflitto e delle difficoltà: le innovazioni tecniche sembravano promettere un'apertura del campo, che veniva però vista come contraria all'interesse delle stesse aziende che avevano introdotto le innovazioni. La storia del PostScript, il linguaggio di descrizione di pagina [PDL] sviluppato in California dalla Adobe Systems, ha dimostrato questo schema: in un primo tempo la protezione dei caratteri per mezzo di un codice crittato e non apribile, e poi la pubblicazione del codice, sotto la pressione della concorrenza commerciale.

[...]

Dibattiti sul moderno

Nel periodo trattato in questo capitolo - dal 1973 fino a oggi - il dibattito sul moderno è stato implacabile, e così rumoroso e contraddittorio che si ha la tentazione di arrendersi e di abbandonare del tutto l'uso del termine. Una descrizione di quel che è accaduto può avvicinare alla verità più di una disputa su slogan e definizioni. Ma nel chiudere questo libro sul moderno, è necessario fornire almeno un cenno di quel che è stato detto: anche questo, infatti, è accaduto.

Il modernismo, nelle sue varietà del dopoguerra occidentale, giunse al termine negli anni settanta. Fu seguito da quello che divenne noto, soprattutto in architettura, come postmodernismo. In breve, esso denotava l'accoglimento di tutto quello che il modernismo si diceva avesse rifiutato. Si diceva che il postmodernismo abbracciasse la complessità (contro la semplicità), la non ortogonalità (contro la griglia), l'essere popolare (contro l'elitismo), la diversità (contro la monocultura), l'antico (contro il nuovo) e così via. Ma già queste categorie, come l'ultima opposizione della lista comincia a mostrare, diventarono confuse. Talvolta il postmodernismo, più correttamente, veniva visto semplicemente come il passo successivo al modernismo (figure come il compositore John Cage o, in una generazione successiva, l'architetto Rem Koolhaas, possono essere considerate allo stesso tempo molto moderniste e molto postmoderniste). E culture diverse offrivano contesti diversi per lavorare: la lenta cultura svizzera era molto diversa da quella britannica, più febbrile, ed entrambe, a loro volta, erano ancora altro da quelle degli Stati Uniti - spesso molto lente a cambiare (Iowa) e spesso molto veloci (California).

Con la dissoluzione dell'Unione Sovietica, all'inizio degli anni novanta, cambiò un punto di riferimento fondamentale del moderno. Il modernismo della prima parte del Novecento, ma molto meno la sua rimembranza successiva al 1945, era stato legato all'idea di rivoluzione politica, e - per quanto brutale e stantio fosse stato questo punto focale del cambiamento politico, almeno rispetto ai suoi inizi - il panorama del potere ora cambiava. Il mondo sovietico, divenuto nella corruzione e nella natura oligarchica una barriera contro il moderno, forniva anche qualche prova alla visione che la forza veramente radicale e inesorabile del cambiamento fosse il capitalismo, non il socialismo. Certo, dalla fine del comunismo, e con meno impedimenti da parte di forze socialiste e socialdemocratiche, il cambiamento ha preso un passo più rapido: l'allargamento del mercato a proporzioni globali, l'espansione delle multinazionali, la diffusione dell'inglese come lingua mondiale, la quasi universale adozione di modi di edificare razionalizzati, l'uso di Internet come mezzo veramente globale per il traffico della comunicazione. In questo contesto, l'idea di modernità porta con sé significati di specie molto diverse. "Modernità" (in quanto distinta da "modernismo") sembra una parola in codice per "capitalismo", più che per una nuova forma di illuminismo. Lo stile di questa ultima fase dell'Occidente è un'imitazione di un momento di modernizzazione più vecchio e assai più autentico: la cultura pop della metà degli anni sessanta, quando i caratteri senza grazie e la geometria furono scoperti o forse riscoperti per la prima volta.


Prospettive globali

C'è la speranza che al crescente rimescolamento delle culture - la migrazione verso l'Occidente sviluppato, come la diffusione di capitali e tecniche nelle parti del mondo in via di sviluppo - possa seguire qualche risultato umano genuino e inaspettato. Per quel che riguarda la tipografia, la miglior prova di ciò è l'emergere di piccoli centri di design e di produzione in luoghi che non avevano alcuna cultura del settore, salvo averne di molto antica ma in seguito interrotta. Ad esempio, parte della progettazione di caratteri più seria e inventiva viene fatta in paesi e per lingue e scritture che erano rimasti alla periferia delle esperienze americane e nordeuropee: Repubblica Ceca, Russia, Grecia, Portogallo, Spagna, e - per quanto si possa dire che qui la tradizione non si sia mai interrotta - Italia. In America Latina scuole e centri di design mostrano segni di nuova vita. La tipografia e la progettazione di caratteri arabi sono ora oggetto di notevole ricerca. Ora che la tecnologia per un'adeguata rappresentazione tipografica dell'arabo e di altri sistemi di scrittura complessi è diventata disponibile (a un certo prezzo), i risultati cominciano a seguirne.

L'espressione "democratizzazione della tipografia" è diventata usuale, in riferimento alla vasta disponibilità di strumenti di produzione per la tipografia e il type design. Rispetto a questo, si può essere un po' scettici: dopotutto, per la gran parte, l'ideazione e la produzione di questi strumenti è ancora saldamente nelle mani di poche società - per quanto il movimento per il software open source possa offrire un'alternativa. Se la parola "democrazia" implica diffusione del potere tra la gente, non è quella giusta per descrivere quello che sta succedendo: si tratta semplicemente di diffusione della tipografia tra le masse. Lo sbalorditivo sviluppo di questo periodo non è stato il contributo di alcun designer o scrittore, ma piuttosto la disponibilità dei mezzi per fare tipografia sofisticata per chiunque abbia un computer. Il campo della tipografia è stato spalancato, come mai prima, e c'è un interesse per questa attività molto più diffuso di quanto non fosse venti anni fa. Internet fornisce la base per questa ampliata e mutata cultura della tipografia: esempio pratico, vendita e scambio di strumenti, discussione e condivisione della conoscenza. La pagina stampata diventa sia meno diffusa (in quanto superata dal trasferimento e dalla visualizzazione elettronici) che più importante (come stabile registrazione della conoscenza che sopravvive alla transitorietà dei formati digitali). Il grande aspetto negativo del moderno - danni irrevocabili e disastrosi al mondo naturale - avanza in modo terrificante. L'"illuminismo" va comunque avanti, tra balbettii e confusione. Le parole chiave restano le stesse: dubbio, critica, ragione, speranza.

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