Copertina
Autore Alexandra Laignel-Lavastine
Titolo Il fascismo rimosso: Cioran, Eliade, Ionesco
SottotitoloTre intellettuali rumeni nella bufera del secolo
EdizioneUTET Libreria, Torino, 2008 , pag. 466, cop.ril.sov., dim. 15,5x23,7x3,5 cm , Isbn 978-88-02-07869-4
OriginaleCioran, Eliade, Ionesco: l'oubli du fascisme
EdizionePresses Universitaires de France, Paris, 2002
TraduttoreLaura Verrani
LettoreGiorgia Pezzali, 2008
Classe biografie , storia letteraria
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Indice

VII Avvertenza
 IX Introduzione

  3 I. BUCAREST, FINE DEGLI ANNI VENTI: NASCITA DELLA GIOVANE GENERAZIONE

    - Un incontro, p. 8
    - Primi passi. Origini e percorsi, p. 10
    - Anticonformismo e «weltanschauung» di una piccola nazione, p. 21
    - Bucarest, cosmopolita e nazionalista, p. 23
    - La nebulosa generazionista: orientamenti ideologici, p. 33

 49 II. GLI ANNI TRENTA: ANATOMIA DI UN IMPEGNO

    - «Noi, i relitti di una cultura naufragata», p. 50
    - Il maestro nascosto: Nae Ionescu (1890-1940), p. 57
    - La Guardia di Ferro: ideologia e violenze, p. 69

 81 III. EMIL CIORAN, RIVOLUZIONARIO-CONSERVATORE E ANTISEMITA CONVINTO

    - La rivoluzione conservatrice di Cioran, p. 85
    - Il periodo trascorso nel Reich: Berlino e Monaco (1933-1935), p. 90
    - Ritorno in patria: i rapporti con la Guardia di Ferro
      (1935-1937), p. 100
    - L'odio antiebraico di Cioran, p. 110

119 IV. UNO STORICO DELLE RELIGIONI AL SERVIZIO DELLA RIVOLUZIONE
        NAZIONALE: MIRCEA ELIADE

    - Il curriculum vitae di un simpatizzante legionario, p. 126
    - Religione e politica, p. 150
    - Organizzazione «l'insurrezione delle etnie»:
      Rumeni, Ebrei e stranieri, p. 165
    - Ambiguità rispetto alle violenze naziste.
      Riflessione sul mezzo migliore per «eliminare le tossine», p. 169

179 V. EUGČNE IONESCO DI FRONTE AI RINOCERONTI

    - Un uomo tra gli «uomini nuovi», p. 180
    - «Sono orrendi, razzolano nel fango, gridano», p. 184
    - Le Parigi parallele di Ionesco e Cioran (1938-1940), p. 201

213 VI. LA GUERRA DI ELIADE CONTRO GLI «ANGLO-BOLSCEVICHI»

    - Londra: un adepto della Guardia di Ferro sotto la lente
      del Foreign Office, p. 216
    - Lisbona: il servizio della propaganda e l'adesione
      al maresciallo Antonescu (1941-1944), p. 222
    - Fine della parte: «penetrare l'Europa» come «un cavallo
      di Troia nel campo scientifico», p. 254

259 VII. CIORAN E IONESCO, BUCAREST-VICHY-PARIGI

    - Ultimo omaggio al «Capitano»: il ritorno di Cioran in Romania
      (autunno 1940-febbraio 1941), p. 261
    - «La legione si pulisce il c... con questo paese! (Cioran), p. 269
    - Bucarest, l'isola mostruosa «tagliare la corda!» (Ionesco), p. 271
    - Cioran e Ionesco, diplomatici a Vichy, p. 275
    - Doppio gioco, p. 284
    - Breviario di un vinto: Cioran sotto l'occupazione, p. 291

305 VIII. IL DOPOGUERRA O LE STRADE INCERTE DELL'ESILIO

    - Tre emigrati rumeni nella Francia liberata, p. 306
    - Undici anni di correzionale per un «certo Eugène Ionesco,
      poeta fallito e squilibrato...», p. 312
    - Il muro di protezione dell'esilio, p. 329

335 IX. LA MEMORIA E L'OBLIO: IL PASSATO NELLE OPERE

    - Lo sfondo: analisi, p. 335
    - Dalla storia personale alla grande storia, p. 337
    - L'eterno ritorno degli Ebrei, p. 345
    - Coerenza degli universi politici, p. 365
    - Da sinistra a destra: la costante antitotalitaria di Ionesco, p. 365

381 X. L'ARTE DELLA DISSIMULAZIONE: LE STRATEGIE SOCIALI

    - Eliade, la critica francese e il Nobel, p. 382
    - L'accorta prudenza di Cioran, p. 385
    - Le amicizie utili: Celan, Bellow, Scholem, p. 387
    - Un passato colpevole, p. 405

411 CONCLUSIONE - Interesse e attualità di questi tre itinerari
    intellettuali

    - La dimensione europea, p. 412
    - Il post-1989 e la recezione: rottura con il paternalismo, p. 413
    - La questione etica, p. 423

427 Bibliografia

455 Indice dei nomi

 

 

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Pagina IX

Introduzione
Aspetti di un mito



Emile Cioran , Mircea Eliade e Eugène Ionesco sono ormai riconosciuti come tre importanti classici della cultura francese ed europea della seconda metà del XX secolo. Nati in Romania precisamente a due anni di distanza l'uno dall'altro – nel 1907 Eliade, nel 1909 Ionesco e nel 1911 Cioran – i tre giungeranno, sul filo di percorsi peraltro accidentati, a imporsi come maestri pressoché incontestati nel proprio campo: Cioran come esteta dell'apocalisse e «La Rochefoucauld del XX secolo»; Ionesco, primo scrittore francese a essere pubblicato, ancora vivente, su «La Pléiade», quale principe dell'assurdo; Eliade come «uno dei più grandi storici delle religioni del nostro tempo», secondo un'espressione comparsa un po' ovunque al momento della sua morte, nel 1986.

Non c'è da stupirsi se un tale risultato ha relegato in secondo piano per molto tempo il periodo rumeno della loro biografia, che è stato, se non proprio ignorato, quanto meno ridotto al rango di «preistoria», senza grande considerazione per la comprensione del loro percorso d'anteguerra. Diciamo subito che la strategia annunciata molto presto da Cioran e Ionesco – «fare tabula rasa della propria origine e ricominciare da zero» – farà parte per molto tempo di questa rimozione. Nello stesso tempo la consacrazione internazionale di Eliade si presenta oggi come il frutto di un lungo e paziente lavoro di negazione delle condizioni a un tempo storiche e ideologiche che sono state all'origine della sistematizzazione dei grandi temi della sua opera nel corso degli anni 1920 e 1930. Dal punto di vista della recezione delle sue opere e a causa della sua nota esotica, il fatto non banale di essersi formato all'ombra dei Carpazi continuerà a trovare spazio nella formazione del mito, mentre lo stereotipo caro a Paul Morand di una Bucarest del periodo intermedio tra le due guerre, tratteggiata come una «piccola Parigi dei Balcani», francofona e cosmopolita, troverà piena corrispondenza. Cioran, Eliade e Ionesco stanno per diventare quei «tre grandi rumeni di Parigi» che gli articoli editoriali invocano continuamente.

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Pagina XVII

Negazione e nebbia: l'avventura di un successo

Per motivi di ordine diverso si tratterà di esplorare apertamente la militanza fascista di Eliade e Cioran, anche se essi, durante la loro vita, non giungeranno mai a una chiara ammissione. In altri termini, mai i due intellettuali giudicheranno necessario dare spiegazione di ciò o rispondere del loro passato ai loro contemporanei.

Non che essi, peraltro, siano rimasti semplicemente silenziosi sul loro periodo rumeno. Molto presto infatti Eliade si lancia in un'impressionante impresa di riscrittura del suo passato, divenendo così in qualche modo l'artefice del proprio mito. Il fatto stesso che pubblicherà a intervalli regolari importanti frammenti delle sue Memorie (due tomi imponenti) e del suo Giornale (in tre volumi), senza contare le innumerevoli interviste disseminate lungo tutta la sua vita, costituisce un aspetto essenziale di questa strategia di padronanza della situazione, molto abilmente condotta. In questi testi, con un tono distaccato, quasi neutro, lo studioso evoca diffusamente l'atmosfera ideologica e culturale della Romania del periodo tra le due guerre, i suoi maestri di allora, le tappe della propria formazione intellettuale e persino la Guardia di Ferro, presentata come una «setta mistica», mossa da nobili ideali etici, senza alcuna allusione al suo feroce antisemitismo né alla sua sistematica pratica del crimine. Quale vero esperto di quella che i tedeschi definiscono la Selbstilesirung, Eliade giunge talvolta anche a negare l'essenziale. Ossia la sua partecipazione, quale attore protagonista, agli avvenimenti politici dell'epoca: la sua risoluta opzione in favore della dittatura a partire dal 1934-1935, la sua entusiastica adesione al culto del capo, allo spirito di sacrificio, ai valori ascetici e virili espressi dalla «rivoluzione nazionale e spirituale», incarnati nel Movimento legionario, dal quale vede elevarsi una «nuova aristocrazia», unica in grado di far trionfare lo spirito cristiano in Europa, di rigenerare una «sostanza nazionale» aggredita ovunque da istanze straniere e corrotte, in particore dagli Ebrei. Di tutto ciò non resta praticamente nulla negli scritti autobiografici dello storico delle religioni: il tutto scompare dietro lo schermo nebuloso di uno scenario iniziatico che nessun esame di coscienza verrà a turbare. Lontano da qualsiasi rimorso, Eliade, dopo il 1945, si riferirà invece a più riprese al proprio passato come a un «passato da favola», alla sua gioventù come a una «gioventù esemplare». Questo stato d'animo non si discosta molto da quello di Cioran. Questi sarà sicuramente più tormentato dalla sua militanza, come dimostra in modo evidente la sua corrispondenza, e, in una certa misura, la sua opera di saggista, per quanto i fatti vi siano evocati soltanto in modo allusivo e molto estetizzato. L'impresa di cancellare le tracce avrà così in Cioran, meno calcolatore, e che preferirà a lungo presentarsi come un «uomo senza biografia», una piega contemporaneamente più nebulosa e più ambigua. Si trovano nondimeno, sotto la sua penna, numerose annotazioni che testimoniano disposizioni interiori vicine a quelle di Eliade, come per esempio questo passo dei Quaderni: «Penso ai miei "errori" passati — scrive nel 1963 — e non posso rammaricarmene. Significherebbe calpestare la mia giovinezza». In compenso la tattica consistente nell'essere sfuggenti sarà identica quando, a partire dagli anni Settanta e Ottanta incominceranno a circolare documenti relativi al loro passato e i due saranno oggetto in diverse occasioni di richieste di chiarimenti sulle loro rispettive relazioni con il fascismo. Eliade mantiene la sua strategia di sempre — negare tutto completamente — anche davanti al suo amico e collega Gershom Scholem, nel 1972. Cioran, soprattutto nelle sue conversazioni, a volte edulcora e minimizza le cose, altre volte ricorre al registro deresponsabilizzante della «follia» o persino della passione amorosa. Dieci lunghi anni di lotta perché nasca una Romania «resa fanatica» e finalmente libera dagli Ebrei, «nemici di tutte le cause nazionali»; centinaia di pagine per convincere dell'esemplarità del nazionalsocialismo — c'è ben più di uno iato tra la gravità e la costanza di queste prese di posizione, in cui la preoccupazione dell'analisi non è mai completamente dissolta nel vortice della retorica e la leggerezza del registro lessicale nel quale Cioran sceglierà di isolarsi dopo la guerra e in cui ci saranno solo più la stravaganza, il delirio, addirittura la comicità, le teorie strampalate.

Sarà opportuno approfondire il paragone con la produzione parallela di questi due autori. Per esempio, questa arte consumata di dissolvere l'errore nella tragedia della Storia. Questo tempo lineare da cui si vuole fuggire, non raccoglie anche, appunto, la loro storia personale? Che cosa ci insegna a questo proposito il tema, centrale in Eliade, del «terrore della storia», un terrore quasi comico, che troverà le sui variazioni più meteorologiche, abbondantemente riprese dai commentatori, nel luogo comune di una Romania presa nell'«occhio del ciclone»? Come non accostare a questa la concezione del motivo tipico di Cioran della «caduta nel tempo» – e che cosa c'è di più fatale di una caduta? – in cui il «peccato personale» è dissolto in un'antropologia pessimista del peccato originale? Approfondire qui gli scritti personali e quelli sulla storia, nonché la storia del loro successo, implicherà la considerazione di molte dimensioni. Bisognerà innanzi tutto interrogarsi sulle forze in atto nella riuscita durevole di questa strategia consistente nel dissimulare, forze sulle quali Eliade e Cioran stessi hanno brillantemente giocato. C'è sicuramente la motivazione dell'ignoranza: l'uno e l'altro scommetteranno sul carattere non disponibile delle «prove» come sulla conoscenza molto approssimativa della storia della Romania contemporanea, da parte dei loro interlocutori e del loro pubblico.

Altre ragioni, più oscure, saranno ugualmente da analizzare, come il lato imbarazzante, troppo complesso, forse troppo penoso, di questa parte della loro storia. E in particolare ciò che suggerisce Philippe Borgeaud, dell'Università svizzera, un esperto studioso di Eliade: «C'è effettivamente anche per noi, ancora oggi, qualcosa che ci scomoda», e anche «qualcosa di doloroso», dice, «in ciò che Eliade ha voluto tacere, il più a lungo possibile, lasciando così intendere di non averlo completamente rinnegato». L'osservazione poteva applicarsi anche al caso di Cioran.

Si tratterà infine di tornare sul ritmo delle rivelazioni che andranno susseguendosi nel corso degli ultimi decenni della loro vita, in modo inizialmente molto sommesso per poi crescere decisamente verso la fine degli anni Ottanta e nel corso degli anni Novanta, in Italia, negli Stati Uniti, in Romania e, in modo meno accentuato, in Francia. Sembra inoltre possibile stabilire oggi le situazioni di questi interventi e delle questioni che hanno contribuito a sollevare, spesso con esattezza. Vi faremo riferimento, strada facendo, senza tuttavia pretendere di formulare un bilancio esaustivo.

Come spiegare il carattere relativamente tardivo di questa ondata di riflessioni critiche? Ci sembra che solo un approccio sociostorico sia in grado di fornire una risposta. Dimostreremo che, senza voler amplificare il discorso accusatorio o conseguire una «autentica specializzazione in un iconoclastismo post mortem», consistente nel mettere in moto «campagne furenti contro alcuni pensatori proprio quando non hanno più la possibilità di pronunciare la benché minima parola in propria difesa» – ma Eliade e Cioran hanno avuto più volte questa possibilità – siamo piuttosto di fronte a un complesso insieme di fattori. Tra questi citiamo l'effetto di una doppia censura: una legata alla protezione degli intellettuali emigrati durante la guerra fredda, l'altra ai cambiamenti politici e culturali avvenuti in Romania dal 1945 al 1989 e poi nel periodo postcomunista. A questo si aggiunge, dopo dieci anni, la circolazione di numerosi documenti che prima erano di difficile accesso.

La maggior parte delle affermazioni precedenti non si applica al percorso di Ionesco. Alcune zone d'ombra tuttavia sono presenti anche nel suo caso. La versione che egli ha sempre dato della sua biografia nasconde una parte segreta. Che ne è soprattutto delle origini ebraiche del drammaturgo, per parte di madre, sempre presentata dai suoi biografi come «francese», senza ulteriori precisazioni? In che misura questo aspetto, conosciuto da alcune delle persone a lui più vicine e che lui stesso sfiora qua e là nei suoi scritti, ha giocato un ruolo nei viaggi di andata e ritorno di Eugen Ionescu/Eugène Ionesco tra la Francia e la Romania alla fine degli anni Trenta – e poi tra il 1940-1942, mentre la Romania aveva attivato la legislazione antisemita a partire dalla fine del 1937? Che senso attribuire al «noi» che utilizza l'autore di Passato e presente quando, all'indomani del pogrom perpetrato dai legionari a Bucarest nel gennaio 1941, egli scrive: «Noi siamo sfuggiti di misura alla serie dei decreti-legge, ma d'ora in avanti ci aspettano i pericoli maggiori»? E come spiegare che egli si troverà un anno dopo in quello che chiamerà «l'orribile pantano di Vichy», come segretario culturale, al servizio di un regime che detesta sopra ogni cosa e contro il quale non aveva cessato di battersi?

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Pagina 335

Capitolo nono
La memoria e l'oblio: il passato nelle opere



Si impone una domanda, all'inizio di questo percorso: in che modo il passato rumeno dei tre autori, divenuti i mostri sacri che sappiamo, turberà la loro coscienza e tornerà ad assillare, dagli anni Sessanta agli anni Ottanta, queste tre produzioni così diverse? Una cosa è innegabile e troppo spesso dimenticata dai critici, che si ostinano ad avvicinare questi tre intellettuali in modo decisamente antistorico: in tutti e tre i casi il confronto con il passato precedente il 1945 è imprescindibile.

Esploreremo più avanti la natura di questo legame che esprime bene il concetto di past dependency caro alle scienze sociali anglosassoni. Rinnegamento o rinuncia? Scrivere per cancellare, per esorcizzare o per riaffermare un passato che assolutamente non è stato rinnegato, anche negli aspetti ideologici? La scrittura autobiografica, ossessiva in Eliade, in Ionesco, ma anche in Cioran, come dimostrano i suoi Quaderni, ha a che fare con un esercizio di sincerità o piuttosto con un tentativo di dissimulazione, se non di falsificazione, segnato da un'abile pratica di amnesia selettiva? Quanta parte vi è di calcolo, di cinismo perfino, e quanta di rimorsi? Quanto spazio hanno la paura (di essere smascherato) e la continuità con le prese di posizione politiche precedenti il 1945?


Lo sfondo: analisi

La prima osservazione che si impone riguarda l'impossibilità di una lettura sui generis dei testi francesi: il punto di partenza è rumeno. Se la maggior parte delle opere di Ionesco è in larga misura autobiografica, la comprensione delle opere di Eliade e di Cioran esige invece che si prenda in considerazione la completezza del dittico, in quanto gli scritti francesi, a ben vedere, non fanno che rielaborare implicitamente quelli rumeni.

Gli esegeti più benevoli nei confronti del lavoro di Mircea Eliade lo hanno sottolineato spesso, che si tratti di Zwi Werblowski che nel 1984 insiste sull'importanza del retroterra culturale rumeno del suo collega per comprendere il suo approccio alla nozione di storia, o di Raffaele Pettazzoni che, nelle «note ultime» della loro corrispondenza, osserva ugualmente che il desiderio di sfuggire alla linearità del tempo deriva indubbiamente, nel teorico del mito dell'eterno ritorno, più che da una ricerca propriamente accademica, dalla biografia di uno studioso preso nella bufera del suo secolo, «e forse dalle sue vicissitudini personali». Lo stesso Eliade, bisogna dirlo, ha sempre posto l'accento sull'unità del suo progetto intellettuale: «Il mio dovere è di mostrare la grandezza, talvolta primitiva, talvolta mostruosa, tragica, dei modi d'essere arcaici», scriveva per esempio nel 1963, facendo un'autopresentazione della sua missione che sostanzialmente riprende il bilancio del 1944 sui suoi lavori rumeni.

Anche il caso Cioran è emblematico. Quanti lo hanno conosciuto, ma anche la testimonianza dei suoi Quaderni e dei suoi saggi, tutto attesta che la Romania lo ha assillato fino alla fine. Anche i suoi commentatori che, come chi scrive queste pagine, passeranno attraverso la particolare esperienza di una triplice lettura - quella del Cioran inizialmente francese, poi del Cioran rumeno e nuovamente francese - ne trarranno la medesima sensazione: la seconda lettura non ha più nulla a che vedere con la prima. Sono pochi i libri di Cioran, nota per esempio il docente americano Matéi Calinescu, che possono chiarirsi senza l'«intertesto nascosto» degli scritti politici degli anni Trenta. Si trova la stessa considerazione nel giovane Pierre-Yves Boisseau, oggi insegnante di lettere a Tolosa, che, dopo aver imparato il rumeno e tradotto Schîmbarea la fata a României [La Trasfigurazione della Romania], concluderà che le opere francesi del suo autore «sono da leggere come cancellature che nascondono un peccato (quasi) originale». Cercare di rispondere alle domande formulate all'inizio di questo capitolo, domande che non sono altro che variazioni di quella, fondamentale, che consiste nel chiedersi se questi tre autori siano cambiati oppure no, esige che li si ponga in una triplice dimensione. Vi è innanzi tutto il registro morale, anch'esso in evoluzione, dell'uomo davanti alla propria coscienza; poi vi è ciò che definiamo, seguendo Maurice Halbwachs, i «contesti sociali» della memoria, che rimandano al fatto che non ricordiamo mai noi stessi in solitudine, ma sempre in un modo che tiene conto anche della presenza di altri. Nessuno dei tre autori, nella loro relazione col proprio passato, potrà astrarsi del tutto da questa inscrizione collettiva del ricordo nel contesto delle società che li circondano. Ciò vale in modo particolare per il ricordo della Shoah, che è il cuore del problema: il ricordo, con i suoi riti e i suoi ritmi, le sue implicite esigenze, le sue leggi e le sue periodizzazioni, che del resto non seguiranno per forza un corso del tutto identico in Francia e negli Stati Uniti (per Eliade, a partire dalla fine degli anni Cinquanta). Come si comporteranno rispetto a queste norme? C'è infine l'aspetto della polemologia, che interessa le rivelazioni progressive sul periodo rumeno, che iniziano a filtrare molto presto per amplificarsi nettamente negli anni Ottanta e Novanta, all'interno del quale si manifestano ulteriori rivalità. Per esempio tra l'esilio rumeno e l'esilio ebraico-rumeno, distinzione che, in questo caso, nel contesto di quella specifica emigrazione, nasconde una realtà sociologica effettiva, o ancora, tra lo spazio internazionale della critica e quello nazionale della difesa o dell'incondizionata riabilitazione dei tre scrittori. Tre miti del mondo letterario per i quali il Primo Ministro rumeno, Adrian Nastase, poteva elegantemente affermare sulla prima pagina di Le Monde, nel 2001, che costituiscono, dal punto di vista del potenziale apporto della sua nazione all'Europa, un autentico «plusvalore culturale».

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