Copertina
Autore Benito La Mantia
CoautoreGabriella Cucca
Titolo Libri proibiti
SottotitoloQuattro secoli di censura cattolica
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2007, Eretica , pag. 264, cop.fle., dim. 12x16,8x1,5 cm , Isbn 978-88-7226-961-9
LettoreLuca Vita, 2007
Classe storia contemporanea , storia moderna , religione , libri
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Indice

Prefazione 	                                  3

Tra intolleranze e censure 	                  6

De iusta haereticorum punitione 	         21

«Nessun bisogno vi è de libri» 	             49

«Esortiamo tutti fedeli, anzi comandiamo» 	 72

«E porto maschera, ma per forza» 	         96

La «sfrenata libertà di pensare» 	        123

Epilogo (provvisorio) 	                    149

Elenco parziale di autori e opere presenti
negl'Indici romani dei libri proibiti dal
1557 al 1966, con l'aggiunta di autori
censurati ma non inseriti 	                154

Bibliografia essenziale 	                237

Indice dei nomi 	                        244

 

 

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Pagina 3

Prefazione


Quando mi arrivò l'invito a scrivere le parole introduttive e di accompagnamento della ricerca – che ora si pubblica – sulla pratica dell'Indice dei libri proibiti da parte della Chiesa cattolica, dapprima mi prese una specie di sconforto: «Ancora l'Indice? Ma chi se lo ricorda?». Eppure dopo l'Indice la Chiesa ci provò anche con il cinema, tramite il famoso CCC (Centro Cattolico Cinematografico), sottoponendo a giudizio tutte le produzioni filmiche di ogni specie, anche con l'intenzione di stimolare la produzione cattolica di film, sogno restato tale. Sui quotidiani i bollini del CCC sul valore morale delle varie pellicole erano ben visibili e impegnativi; all'Università cattolica, se si andava alla biblioteca per avere un libro in lettura o prestito, poteva capitare che si venisse rinviati/e a chiedere il permesso di lettura "per motivi di studio". Cosí appena si nominava il titolo di un film subito si veniva informati che era vietato "ai minori'; "sconsigliato" "da evitare"; ecc. ecc. Oggi l'atteggiamento è molto piú soft, per il libro non c'è piú (abolito con il Concilio Vaticano II), ma prosegue con le indicazioni televisive per le opere visibili da tutti, da adulti, da minori assistiti, ecc. ecc.

Ogni tanto tuttavia ancora libri vengono "indicati" ("messi all'Indice") e si fa da parte della Chiesa una campagna contro la loro lettura. Non si arriva alla damnatio (come ancora succede in alcune aree islamiche, nelle quali contro un'opera o un autore può essere emessa una fatwa, con un grado di arbitrarietà elevatissimo – almeno cosí appare a noi –, certo superiore a quello cattolico, dato che nell'Islam non esiste una gerarchia di carattere universale), ma è ben magra consolazione.

Ciò che colpisce di piú è che la Chiesa, dopo essere stata per secoli egemone in fatto di cultura e avere ben meritato dalla storia della cultura per aver copiato, salvato e trasmesso quasi tutto ciò che abbiamo di produzione filosofica, giuridica, poetica e teatrale dell'Antichità, appena viene colpita dal crescente peso e importanza e razionalità delle scoperte geografiche, scientifiche, invenzioni poetiche fondate sul piacere estetico, scelte etiche fondate sulla ragione, sulla storia e non sulla rivelazione, abdica al suo tipico atteggiamento inglobante e aperto e produce una serie mai finita di aree chiuse, di istituzioni totali, di luoghi separati, di trasmissione regolata, di aree privilegiate, di forme identitarie di giudizio. Comincia il periodo della resistenza alla ragione, dell'uso della forza per diffondere la fede, cioè quel lunghissimo processo di secolarizzazione che la Chiesa cattolica ha cercato di frenare non già misurandosi sul terreno della ragione, delle tradizioni, della forza di convinzione accumulata nel tempo, bensí con i divieti, le scomuniche, l'Indice e la costruzione di istituzioni di riferimento (la famiglia, la scuola privata) in una società via via invasa dalla capacità permeativa delle forme moderne della trasmissione del sapere.

Penso quanto dovesse essere incombente il giudizio della Chiesa sulle opere, se Boccaccio preso da scrupoli aveva quasi deciso di distruggere il Decamerone e solo la superiore e ferma coscienza estetica di Petrarca sottrasse l'opera dallo scomparire; e i travagli di Torquato Tasso che lo convinsero a riscrivere secondo canoni imposti la Gerusalemme liberata, quasi impazzendo di paura, e Giordano Bruno e Galileo e storie infinite altre, distruggendo bellezza ovvero conoscenza, attraverso un petulante tribunale sulla ragione. Singolare la sorte di Machiavelli, condannato solennemente e poi recuperato sotto il termine di "ragion di Stato".

Chi ha fatto la ricerca strenua e difficile, pesante e meritoria che vede ora la luce, lo fa documentando un accanimento, una lotta senza posa di puri divieti dei quali non si coglie nemmeno il verso, la logica, se non che opere di assai diverso valore vengono confuse e messe insieme in un fascio e respinte e rigettate nella condanna.

In un momento nel quale il papa, non contestato o quasi, può presentare il Cristianesimo come una religione aliena dalla violenza e dedita alla ragione, questa ricerca è una risposta documentatissima e convincente di quanto invece la ragione e la ricerca siano difficili in ambito ecclesiastico e quanto i divieti siano il fondamento dell'autorità e dell'etica cattolica. Per convincersene basta scorrere i giornali con le continue condanne a forme di sessualità non conformi, a unioni non benedette, a ricerche scientifiche non autorizzate: mentre chi progetta armi di distruzione di massa non viene nemmeno ripreso sommessamente, e chi usa la religione per il potere è accolto e serve per chiedere che l'Europa, invece di essere citata e definita per la sua lunghissima storia di violenza non condannata dalla Chiesa, ma anche di ricerca della bellezza, fondazione della filosofia, dell'estetica e della scienza, del diritto, della politica, dell'uso della ragione e dell'espressione delle passioni e dei sentimenti, spessissimo condannati, venga legata e bloccata dalle famose "radici cristiane". Davvero no.

Lidia Menapace

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Pagina 72

«Esortiamo tutti fideli, anzi comandiamo»


            Uccidere un buon libro è quasi lo stesso che uccidere un
            uomo. E in un certo senso è ancor peggio: perché chi uccide
            un uomo, uccide una creatura dotata di ragione, fatta
            a immagine di Dio; ma chi distrugge un buon libro uccide la
            ragione stessa, distrugge — direi quasi — la pupilla di
            quell'immagine divina.
                                           (John Milton, Areopagitica).


La soppressione di un libro è, dunque, atto molto piú grave dell'uccisione di un essere umano, poiché nel primo caso il dominante mira ad annullare le idee non consone, a impedire la trasmissione del pensiero non canonico, a reprimere ogni conoscenza non consentita, a soffocare nella culla ogni dubbio. Chi compie tale delitto si pone solitamente il disegno (che a lungo andare si rivela stupido e controproducente) di affidare ogni comunicazione a una dottrina, a un balbettio dato e ricevuto nel solco dell'ovvio imposto e talvolta benedetto, con lo scopo di disporre di una tipologia umana subalterna e consenziente. La Chiesa cattolica di quegli anni, stretta nella morsa della perdita di consenso e della minaccia alla sua sopravvivenza, reagiva dunque con la piú feroce repressione esercitata, attraverso la macchina inquisitoriale e censoria, non soltanto sui dissenzienti ma anche sui libri, applicando su entrambi le medesime regole: o piegarsi (abiura o espurgazione) o finire sul rogo.

Indici dopo Indici, quindi, processi dopo processi, fuochi dopo fuochi, scomuniche dopo scomuniche. La vicenda che stiamo seguendo non ha possibilità di sfuggire da questi termini. Alla comparsa dei nuovi Indici di Anversa del 1569, 1570 e 1571 fece eco in Italia il caso della Magia naturalis di Giambattista Della Porta ch'era stata editata a Napoli nel 1558. Arrestato in quella stessa città nel 1574, Della Porta fu trasferito a Roma per essere sottoposto a un processo inquisitoriale che si sarebbe concluso con l'imposizione di rinnegare gli 'errori' da lui sostenuti in quell'opera e con l'erogazione di pene canoniche a suo carico. La seconda edizione napoletana della Magia del 1589 recherà i segni evidenti di quella censura.

A Parma, nel 1580, vede la luce un ulteriore Indice locale cui ha messo mano anche l'Inquisizione romana costantemente al lavoro per aggiornare con piú rigore gli elenchi dei divieti librari. Nuovi nomi e nuove opere inflessibilmente castigati: le satire di Luigi Alamanni e di Ludovico Ariosto (i cui versi bersagliano anche la corruzione del clero); le rime del cardinale Pietro Bembo, del barbiere Domenico Burchiello, di Dolce Gacciola e di Gabriele Fiamma (pur ispirato ai principi della Controriforma); le novelle di Matteo Bandello, di Giovanni Sabadino degli Arienti, di Giovanni Battista Giraldi Cinzio, di ser Giovanni Fiorentino, di Giovanni Francesco Straparola, di Agnolo Firenzuola (oscillante fra tradizione boccacciana e neoplatonismo) e di Francesco Sansovino (presente in quell'Indice con altre due opere); tutte le opere di Arnaldo da Brescia, dello spagnolo Arnaldo da Villanova, del commediografo e attore Andrea Calmo, del grande scienziato Gerolamo Cardano, del cardinale Gasparo Contarini, dello 'scapigliato' Anton Francesco Doni, di Erasmo da Rotterdam, [...]

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Pagina 123

La «sfrenata libertà di pensare»


            [...] questo guazzabuglio di errori che serpeggiano per
            ogni dove [...] questa sfrenata libertà di parlare, di
            pensare e di scrivere [...].

                 (Pio IX, enciclica Qui pluribus, 9 novembre 1846).


«Passata la tempesta», dunque, la Chiesa cattolica tornò sull'usato cammino, anche se l'incidenza dei propri precetti continuava a perdere estensione ed efficacia; si avvertivano distintamente, infatti, i crescenti segnali di una diffusa rivendicazione di libertà politiche e intellettuali provenienti soprattutto dai ceti borghesi. Ma anziché adeguarsi alle mutazioni sociali e culturali in atto, la Chiesa scelse ancora una volta di rispondere con la forza e con ulteriori censure a chi osava mettere in discussione il suo atteggiamento e il suo potere. Ai moti risorgimentali che minavano il suo assetto politico, il papato reagí con spietata ferocia, non diversamente da altri Stati 'laici'; e allorquando questi poteri assoluti furono costretti a concedere «Costituzioni», per altro assai poco consistenti, le revocarono alla prima favorevole occasione, per tornare al «tallone di ferro». Al fine di dare un'idea della repressione dei moti liberali nello Stato della Chiesa, si citano due operazioni che ebbero come teatro le Romagne. La prima, condotta nel 1825 dal tristemente noto cardinale Agostino Rivarola, produsse la condanna di 508 'ribelli', a sette dei quali fu inflitta la pena capitale (successivamente commutata in galera a vita) e a molti altri una durissima carcerazione. L'altra si verificò a seguito di un attentato al Rivarola accaduto l'anno dopo a Ravenna: monsignor Filippo Invernizzi, che sostituí il cardinale richiamato a Roma, si prodigò con identica ferocia per punire i responsabili, ma il numero delle persone arrestate fu cosí elevato da rendersi necessaria la creazione di un vero e proprio campo di concentramento nei pressi della basilica di san Vitale; il processo si concluse nel 1828 con un diluvio di anni di galera e cinque condanne a morte, di cui quattro eseguite e una commutata in ergastolo.

Anche sul versante di nostro interesse nulla cambiò se non in senso peggiorativo. La libertà di coscienza, di opinione e di stampa, nonché l'indifferentismo (ossia il convincimento che la salvezza si possa conseguire indipendentemente dalla religione scelta), il razionalismo, la scienza, il progresso, il socialismo, il comunismo, il liberalismo, le rivendicazioni giurisdizionali degli Stati 'laici', gli attacchi al potere temporale romano furono i 'mostri' da combattere per i papi dell'Ottocento. La condanna di alcuni di questi 'errori' e l'immutato atteggiamento della Chiesa sulla censura dei libri possono essere riassunti con le parole che Gregorio XVI adoperò nella sua enciclica Mirari vos del 15 agosto 1832:

Superba tripudia la disonestà, insolente è la scienza, licenziosa la sfrontatezza. [...] Non leggi sacre, non diritti, non istituzioni, non discipline, anche le piú sante, sono al sicuro di fronte all'ardire di costoro, che solo eruttano malvagità dalla sozza loro bocca. [...] Veniamo ora ad un'altra sorgente trabocchevole di mali, da cui piangiamo afflitta presentemente la Chiesa: vogliamo dire l' indifferentismo [...]. Da questa corrottissima sorgente dell'indifferentismo scaturisce quell'assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che si debba ammettere e garantire a ciascuno la libertà di coscienza: errore velenosissimo, a cui apre il sentiero quella piena e smodata libertà di opinione che va sempre aumentando a danno della Chiesa e dello Stato [...]. A questo fine è diretta quella pessima, né mai abbastanza esecrata ed aborrita libertà della stampa nel divulgare scritti di qualunque genere; libertà che taluni osano invocare e promuovere con tanto clamore. [...] Ma assai ben diverso fu il sistema adoperato dalla Chiesa per sterminare la peste dei libri cattivi fin dall'età degli Apostoli, i quali, come leggiamo, hanno consegnato alle fiamme pubblicamente grande quantità di libri. [...] Pertanto, per tale costante sollecitudine con la quale in tutti i tempi questa Sede Apostolica si adoperò sempre di condannare i libri pravi e sospetti, e di strapparli di mano ai fedeli, si rende assai palese quanto falsa, temeraria ed oltraggiosa alla stessa Sede Apostolica, nonché foriera di sommi mali per il popolo cristiano sia la dottrina di coloro i quali non solo rigettano come grave ed eccessivamente onerosa la censura dei libri, ma giungono a tal punto di malignità che la dichiarano perfino aborrente dai principi del retto diritto e osano negare alla Chiesa l'autorità di ordinarla e di eseguirla.

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Pagina 142

La deplorazione del connubio Chiesa-fascismo (che era costata al suo autore anche un tentativo di assassinio da parte di alcuni squadristi) e dell'indifferenza del clero nei confronti della povertà e delle ingiustizie, nonché la richiesta di un ritorno all'aspetto originario del cristianesimo furono la causa della persecuzione di un altro noto sacerdote: don Primo Mazzolari. Alcune sue opere, pur non inserite negl'Indici, furono ritirate dal commercio per ordine del S. Uffizio nel 1934 e nel 1946, un'altra ancora fu censurata nel 1943; inoltre la rivista quindicinale Adesso da lui fondata subí attacchi e censure tali da determinarne la sospensione delle pubblicazioni. Le gerarchie cattoliche, insomma, mirarono al completo silenzio di quel sacerdote; tale volontà fu ufficialmente espressa nel 1951, allorquando un apposito decreto del S. Uffizio rammentò al Mazzolari, in base agli articoli 1385 e 1386 del diritto canonico, di dover sottoporre ogni suo scritto alla revisione e approvazione dei suoi superiori. Anche don Lorenzo Milani ebbe a subire persecuzioni e censure da parte delle autorità ecclesiastiche. Ritenuto un antimilitarista e un pericoloso socialista, il sacerdote fu confinato in uno sperduto paesino toscano, Barbiana, dove fondò un'esemplare scuola per diseredati. Nel 1958 la sua opera Esperienze pastorali, nella quale denunciava – come don Mazzolari – l'abbandono dei poveri da parte della Chiesa, fu ritirata dal commercio per disposizione del S. Uffizio che nell'occasione definí quel parroco «falso prete, ribelle e comunista».

Volgendo ora la nostra attenzione ai filosofi che furono inseriti negl'Indici del Novecento c'imbattiamo nel francese Henri Bergson, premio Nobel per la letteratura nel 1928, condannato nel 1914 per le sue opere Saggio sui dati immediati della conoscenza, L'evoluzione creatrice (che prendeva le mosse dal pensiero di Herbert Spencer) e Materia e memoria; nonché in Benedetto Croce, Giovanni Gentile e Jean-Paul Sartre. Del filosofo napoletano fu censurata nel 1932 la Storia d'Europa nel secolo decimonono che non risparmiava critiche all'operato della Chiesa; due anni dopo il seguente decreto del S. Uffizio ne bandi l'intera produzione:


Opera omnia Benedicti Croce declarantur ipso iure prohibita et in Indicem librorum prohibitorum inseruntur.

Feria IV, die 20 Iunii 1934.

In generali consessu Supremae Sacrae Congregationis Sancti Officii E.mi ac R.mi Domini Cardinales, rebus fidei et morum tutandis praepositi, audito DD. Consultorum voto, decreverunt tanquam praedamnata ac ipso iure prohibita, ad normam can. 1399 Codicis Iuris Canonici, habenda esse atque in Indicem librorum prohibitorum inserenda Opera omnia Benedicti Croce. Et sequenti Feria V, die 21 eiusdem mensis et anni, SS.mus D. N. D. Pius Div. Prov. Papa XI, in solita Audientia Exc.mo ac Rev.mo D.no Assessori Sancti Officii impertita, relatam cibi E.morum Patrum resolutionem approbavit, confirmavit et publicandam iussit.

Datum Romae, ex Aedibus Sancti Officii, die 22 Iunii 1934.

Iosue Venturi, Supremae S. C. S. Officii Notarius.


Il richiamato canone 1399 del Codice di diritto canonico prevedeva 11 categorie di libri da proibire per varie motivazioni.

Il giudizio del liberale Croce sulla Chiesa fu oscillante: per fare qualche esempio, da un lato giustificava l'Inquisizione ed esprimeva gratitudine alla medesima per aver spento «le faville delle divisioni religiose», consegnando cosí «l'Italia ai nuovi tempi tutta cattolica» (Storia dell'età barocca in Italia); dall'altro accusava la Chiesa di essere una potenza politica fondata su credenze mitologiche (Perché non possiamo non dirci cristiani). Ma le lodi espresse in un testo non furono sufficienti a controbilanciare le osservazioni negative fatte nell'altro, né a convincere il Vaticano a non porre il veto alla candidatura del filosofo a primo presidente provvisorio della Repubblica italiana nell'immediato secondo dopoguerra.

Nello stesso giorno del decreto emesso dal S. Uffizio nei confronti di Croce, fu proibita, con identica formula, l'opera omnia di Giovanni Gentile. La Chiesa sicuramente gradí la riforma scolastica del filosofo del 1923 che consentí l'insegnamento religioso nelle scuole da parte di elementi che riscuotevano la propria fiducia, ma non apprezzò l'opposizione al Concordato del '29 espressa dal Gentile, tanto da accusarlo di «paganesimo statolatrico». Ma ciò che condusse alla condanna delle opere gentiliane fu, oltre al loro taglio filosofico, il recupero in esse della memoria e del valore di pensatori (Pomponazzi, Bruno, Campanella, Spaventa e altri ancora) che la Chiesa avrebbe preferito tenere sepolti per sempre.

La scelta dell'esistenzialismo ateo (sulla linea tracciata da Heidegger nel '27) fu all'origine, invece, della censura dell'opera omnia di Jean-Paul Sartre decretata dal S. Uffizio nel 1948. Due anni dopo (12 agosto) Pio XII condannò, nella sua enciclica Humani generis, «le pericolose tendenze della odierna filosofia», fra le quali era certamente da annoverare tale aspetto dell'esistenzialismo.

Nonostante queste proscrizioni avessero ormai molto minore efficacia rispetto al passato, il S. Uffizio continuò imperterrito a gonfiare la lista degl'Indici, seguendo le direttive di gerarchie ecclesiastiche ancora convinte non soltanto che fosse essenziale tenere quasi del tutto all'oscuro il gregge cattolico, ma anche di dover imporre a tutto il tessuto sociale «l'insegnamento» della Chiesa romana attraverso il sostegno del potere politico. Sicché anche la compagna di Jean-Paul Sartre, l'anticonformista Simone de Beauvoir, a causa delle sue tematiche femministe ed esistenzialiste fu inserita nell'Indice nel 1956 con le opere Il secondo sesso e I mandarini. Né poteva esser lasciata fuori tutta la produzione di D'Annunzio, ritenuta intrisa di 'morbosità', di erotismo e di disprezzo per la morale comune, pertanto «fidei et morum offensiva». Per la sua adesione alle dottrine socialiste, il taglio epicureista e razionalista del suo pensiero, il suo scetticismo e la sua avversione a ogni forma di fanatismo fu fatto posto in quella lista nera anche al premio Nobel Anatole France con tutta la sua opera. Altri due Nobel, Maurice Maeterlinck e André Gide, furono del tutto 'oscurati' rispettivamente nel 1914 e nel 1952, il primo per aver aderito a una visione anticonfessionale, il secondo a causa della sua polemica anticattolica e del suo nietzschismo. L'enorme serie delle censure librarie dell'Indice che abbiamo fin qui illustrato si chiude con le proibizioni de La pelle di Malaparte, crudo viaggio nell'Italia del secondo dopoguerra; de L'ultima tentazione di Nikos Kazantzakis, un'interpretazione non ortodossa della vicenda di Cristo; di Date a Cesare di Mario Missiroli; de L'esperienza etica dell'Evangelo dello storico Adolfo Omodeo; di un'introduzione all'Antico e Nuovo Testamento di Luigi Salvatorelli; dell'opera omnia di Guido da Verona, Alberto Moravia e del nichilista Alfredo Oriani; nonché di due testi di Miguel de Unamuno, Agonia del cristianesimo e Del sentimento tragico della vita, nei quali si dispiega una religiosità solo in parte coincidente con quella cattolica, ben enucleata nella seguente frase tratta da uno dei suoi saggi: «La Chiesa, che incominciò con l'essere la congregazione di tutti i fedeli cristiani, tanto ecclesiastici che laici, finisce per non essere se non il chiericato, il ceto, il corpo, l'istituto dei tonsurati. E da quel momento lo spirito cristiano minaccia rovina».

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Pagina 149

Epilogo (provvisorio)


            Sulle sue labbra molte lusinge e insieme molte menzogne [...].

                          (Enea Silvio Piccolomini su Borso d'Este, 1463).


Berlino, 10 maggio 1933. Una folla di centomila persone assiste osannante a un grande rogo di circa ventimila volumi ordinato dal regime nazista. La recita solenne di una formula di condanna letta da un improvvisato censore precede la distruzione dei libri di ciascuno dei 24 autori «degenerati» da 'cancellare': Heinrich e Thomas Mann, Bertold Brecht, Karl Marx, Sigmund Freud, John Steinbeck, Emile Zola, Ernest Hemingway, Albert Einstein, Marcel Proust, H.G. Wells, Jack London e alcuni altri. A operazione compiuta, il ministro della propaganda Paul Joseph Goebbels ne tesse l'elogio con queste parole rivolte agli esecutori di tanta impresa: «Stasera avete compiuto il grande gesto di scagliare nel fuoco le oscenità del passato. È una grande azione, un simbolo che dice al mondo intero che la vecchia mentalità è morta. Da queste ceneri sorgerà la fenice di un nuovo pensiero». Il Novecento non fu quindi immune da quella collaudata pratica di ogni potere vòlta a sopprimere e sostituire le idee eterodosse o, se possibile, l'intero patrimonio culturale dell'avversario di turno. A questa necessità di base spesso si aggiunsero, e talvolta ancora oggi si aggiungono, odi razziali o religiosi tali da far assumere alla persecuzione aspetti ancor piú devastanti. I roghi di libri durante la cosiddetta «Rivoluzione culturale» cinese, il bombardamento mirato delle biblioteche del nemico nel corso della guerra degli anni '90 nella ex Jugoslavia sono altri esempi della vitalità di tale comportamento nell'area di nostro interesse.

Neppure la Chiesa cattolica, come si è visto, si è mai sottratta a questa regola. Sia negli anni del fascismo che in quelli democristiani la sua influenza continuò a esercitarsi in ogni ambito al fine di mettere al bando quanto fosse giudicato contrario alla morale cattolica o al proprio interesse. All'avvento di nuove forme d'arte o di comunicazione, dal cinema alla radio e alla televisione, essa fu pronta a utilizzarne l'efficacia e a condizionarne la sostanza. Né mancò il suo intervento censorio in questi nuovi settori, diretto e indiretto. Con il complice servilismo non soltanto delle autorità politiche ma anche di una diffusa mentalità codina, fatta penetrare dall'insegnamento cattolico in ogni strato sociale, si generarono gravi episodi di divieti, di sequestri e di condanne di opere e personaggi. Al ritiro dalla circolazione di libri, di film e di riviste, alla denuncia dei loro autori ed editori, all'allontanamento dalle cattedre e dagli schermi televisivi di personaggi sgraditi si aggiunse perfino un rogo di volumi decretato dalla magistratura milanese nel 1957: si condannò in quella occasione la traduzione di una silloge di racconti del marchese de Sade editata da Luigi Veronelli; la sentenza trovò applicazione nel cortile della questura di Varese. Neanche l'abolizione dell'Indice nel 1966 decretò la fine delle censure cattoliche. Non soltanto perché i divieti relativi, come si è detto, furono dichiarati sempre validi per i fedeli, ma perché si continuò a censurare con altri mezzi e soprattutto a colpire ogni voce dissonante all'interno del clero. Per quest'ultimo argomento si ritiene sufficiente ricordare i casi dei teologi Bernard Haering, Edward Schillebeeckx, Hans Küng, Jacques Pohier, Leonardo Boff, Eugen Drewermann e Jacques Dupuis. Mostrare perplessità o dissenso, rivisitare sotto altra luce il dettato evangelico, proporre determinate nuove aperture restano ancora oggi attività sostanzialmente non consentite nella Chiesa cattolica. Si esige e si apprezza soltanto l'obbedienza all'ortodossia. Una posizione quest'ultima ben espressa da Pio XI («Se c'è un regime totalitario, totalitario di fatto e di diritto, è il regime della Chiesa») e ribadita da Giovanni Paolo II (la Chiesa è una monarchia assoluta, per cui non possono trovare accoglienza richieste di democrazia). Operare bene per questa istituzione significa, dunque, attenersi ai suoi ordini di varia natura, consentire sempre con le sue scelte e il suo operato; sicché si assolvono e si santificano, per aver agito in difesa della Chiesa, inquisitori, persecutori e papi responsabili di crimini gravissimi; mentre si processavano, s'imprigionavano, si spedivano al rogo e oggi si perseguitano con altri mezzi i dissenzienti.

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Pagina 154

Elenco parziale di autori e opere presenti negl'Indici romani dei libri proibiti dal 1557 al 1966 con l'aggiunta di autori e opere censurati ma non inseriti


Abano, Pietro d' (1250 ca.-1315 ca.): medico e filosofo averroista italiano. Morí a Padova a causa delle torture subite nel corso del processo inquisitoriale che l'ebbe come imputato. Il suo cadavere fu arso.

Geomantia: esplicitamente Indici 1559 e dal 1590 al 1887.

Liber de imaginibus astrologicis: Indici 1559, 1590.

Opere di divinazione; Heptameron, sive Elementa magica: esplicitamente Indici dal 1590 al 1887.

Abelardo, Pietro (1079-1142): filosofo e teologo francese, [...]

Achillini, Alessandro (1463-1512): filosofo e studioso italiano di anatomia. [...]

Agricola, Johann, (Schnitter, Johannes) (1494-1566): teologo protestante e letterato tedesco. [...]

Agrippa di Nettesheim, Henricus Cornelius (1486-1535): filosofo, teologo, astrologo, alchimista e medico tedesco. [...]

Alamanni, Luigi (1495-1556): poeta italiano. [...]

Alberti, Leon Battista (1404-1472): umanista, architetto e scultore italiano. [...]

Alciato, Andrea (1492-1550): giureconsulto e umanista italiano. [...]

Alfieri, Vittorio (1749-1803): scrittore italiano. [...]

Algarotti, Francesco (1712-1764): scrittore, divulgatore culturale e scientifico italiano. [...]

Alighieri, Dante (1265-1321): scrittore italiano. [...]

[...]

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Pagina 234

Wier (o Weyer), Johann (1515-1588): medico tedesco. [...]

Wycliffe, John (1324-1384): filosofo e riformatore religioso inglese, francescano. [...]

Zanchi, Girolamo (1516-1590): monaco agostiniano italiano; [...]

Zasio, Ulrico (Zasius, Ulrich) (1461-1536): giurista tedesco. [...]

Zerola, Tommaso (1549-1603): vescovo italiano di Minori. [...]

Zola, Emile (1840-1902): scrittore francese. [...]

Zorzi (o Giorgio), Francesco (1460-1540): frate e teologo italiano. [...]

Zwingli, Huldrych (1484-1531): riformatore religioso svizzero. [...]

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