Copertina
Autore Hartmut Lange
Titolo Leptis Magna
EdizioneVoland, Roma, 2007, Libri piccoli 17 , pag. 138, cop.fle., dim. 12x16,6x0,9 cm , Isbn 978-88-88700-71-7
OriginaleLeptis Magna
EdizioneDiogenes, Zürich, 2003
TraduttoreMonica Pesetti
LettoreGiorgia Pezzali, 2007
Classe narrativa tedesca
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Pagina 9

1

Van der Velde aveva promesso di sposare Sibylle. Non in modo diretto e nemmeno con la fermezza che lei avrebbe desiderato, così da potersi regolare per l'immediato futuro, ma erano legati da talmente tanto tempo e in modo talmente ovvio che continuare a rimandare quest'ultimo passo, che era solo una formalità, aveva in sé qualcosa di ridicolo. Vivevano in un appartamento di proprietà in Nikolsburger Platz, che Sibylle aveva ricevuto in regalo dai genitori, e van der Velde aveva insistito per coprire una parte delle spese d'acquisto. Vale a dire, pagava delle rate mensili, circa trecento euro, e Sibylle non era riuscita a dissuaderlo dal compiere questo gesto dettato dall'orgoglio e dal significato più che altro simbolico.

Van der Velde era consulente informatico da Schering e guadagnava a sufficienza. Era apprezzato da tutti perché particolarmente affidabile, e quello che non riusciva a terminare in ufficio se lo portava a casa. Spesso il fine settimana lavorava fino a tarda notte, e la domenica mattina sedeva davanti alla libreria con una tazza di caffè, sforzandosi di scacciare un certo torpore. Il pomeriggio riceveva visite nella stessa stanza, e a volte poteva capitare che la porta si aprisse. In quei casi entrava Sibylle che, senza dire una parola, si dirigeva alla libreria, dove cercava o rimetteva a posto un libro, per poi, silenziosa e discreta com'era entrata, scomparire di nuovo.

A metà ottobre Sibylle festeggiò il suo trentacinquesimo compleanno. Vale a dire: nell'appartamento in Nikolsburger Platz le tende erano ancora tirate, in cucina c'erano i piatti sporchi del giorno prima, un asciugamano giaceva sul tappetino del bagno, il rubinetto della vasca gocciolava, ma verso le otto, quando in corridoio cominciò a essere visibile il chiarore del giorno, nella biblioteca si accese all'improvviso una candela e sul tavolino, che era stato spostato al centro della stanza, erano posati i regali. Libri, tra cui uno degli ultimi usciti nel campo della giurisprudenza, e un astuccio allungato, con il coperchio alzato, che conteneva un collier con una pietra verde chiaro. Van der Velde era sgusciato dalla camera da letto senza fare rumore. Attese con pazienza e naturalmente Sibylle, dopo essersi svegliata ed essere uscita in corridoio, si accorse del bagliore oltre la soglia della biblioteca.

"Happy birthday to you!" esclamò van der Velde secondo una consuetudine che durava da anni.

Sibylle aprì la porta, si fermò davanti al tavolino e nella commozione che provò, nel fatto che prima ancora di accorgersi dei regali abbracciò van der Velde, anche in questo non era cambiato nulla. Ancora una volta il compleanno era la testimonianza di quanta intimità condividessero, e Sibylle poteva essere sicura che anche in quell'occasione van der Velde avrebbe scelto un ristorante particolare.

La sera lei indossava la collana nuova, lui il completo con il gilet colorato, la sera si recarono a Prenzlauer Berg e mangiarono abbondantemente, benché avessero deciso di dimagrire. A mezzanotte bevvero qualche altro bicchierino di grappa e durante il tragitto di ritorno, mentre erano in taxi, van der Velde non lasciò mai la mano di Sibylle.

La mattina dopo, lui sedeva davanti alla libreria con una tazza di caffè, sforzandosi di nuovo di scacciare un certo torpore. Sibylle sfogliava i libri ricevuti in regalo, e soprattutto i commenti di una qualche causa controversa le ricordarono che era tempo di tornare all'università. Aveva cambiato indirizzo di studi più volte, a giurisprudenza non aveva superato il primo esame di Stato.

"Che problema c'è. Lo ridai e finisce lì!" aveva detto van der Velde.

Intanto i mesi erano passati, e il fatto che non avesse più accennato all'argomento ma le avesse regalato quel libro fu interpretato da Sibylle come una delicata esortazione ad andare finalmente avanti. Andare avanti... Era un desiderio su cui lei negli ultimi tempi aveva riflettuto, e van der Velde si rendeva conto chiaramente che le risultava sempre più difficile tenere a bada le sue crisi di insicurezza.

Forse ha bisogno di cambiare aria, pensò, e un giorno le disse che avrebbe avuto voglia di fare un viaggio in Nord-Africa. Non in Tunisia o in Marocco, mete ormai diventate di moda, no, lui intendeva le necropoli sulla costa della Libia...

"In pratica sono posti dimenticati," spiegò.

Teneva un volume illustrato aperto sulle ginocchia. Sibylle, che guardava da dietro le sue spalle, dovette ammettere che le fotografie a doppia pagina che lui le apriva davanti erano suggestive. Si vedeva il mare, e di fronte antiche rovine che si estendevano per chilometri, e van der Velde le assicurò che la celebre città archeologica poteva essere raggiunta senza problemi.

"Prenotiamo un viaggio lungo la costa settentrionale," disse "oppure prendiamo un aereo fino a Tripoli per conto nostro e lì affittiamo una jeep," e la sera, erano andati a trovare i genitori di Sibylle, la sera ritornò sull'argomento.

"Volete andare a Leptis Magna?" il padre sollevò le sopracciglia. "E passando da Tripoli! Non ve lo consiglio." Anche quando van der Velde fece notare che il turismo in Libia era totalmente organizzato dallo stato, i genitori di Sibylle rimasero scettici: mai e poi mai bisognava lasciarsi convincere a fare un viaggio in zone così poco sicure, e per giunta in mezzo al deserto! C'erano posti più confortevoli che valeva la pena vedere. "E nel caso alla fine decidiate di fare quello che avevate programmato," aggiunse la madre di Sibylle "il viaggio in Nuova Zelanda ve lo paghiamo noi."

Già, il viaggio in Nuova Zelanda... Sibylle e van der Velde erano andati un paio di volte in agenzia, ma non avevano mai preso seriamente in considerazione le offerte descritte nei dépliant. A quel punto Sibylle, per non far sentire nessuno in imbarazzo, cambiò discorso. "Ma bambina," disse la madre mentre i due uomini giocavano a scacchi nella stanza accanto "non puoi farti sempre e solo scrupoli. E per cosa in fin dei conti! Non sarebbe certo pretendere troppo, visto che lo volete entrambi e lo avete deciso da tempo, andare finalmente in luna di miele! Van der Velde però in giro ci va eccome. Oggi Amburgo, domani Milano. Poco tempo fa è stato una settimana in Siberia."

"Sono viaggi di lavoro. Non può dire di no."

"E cosa fa quando è via?"

"Forma il personale per il corretto utilizzo dei software," rispose Sibylle. E quando la madre ribadì che era ora che si sposassero, cercò di spiegarle i motivi che la spingevano a essere un po' troppo indulgente, ed era proprio questo che irritava la madre, nei confronti di van der Velde.

Quello che la madre stette a sentire non era una novità. Van der Velde temporeggiava per carattere, e di sicuro aveva anche qualche timore a legarsi in modo definitivo. Però nonostante questo ci si poteva fidare di lui.

"Van der Velde mi ama," disse Sibylle. "E sa perfettamente cosa mi aspetto da lui."

La madre non capì cosa intendesse dire. Sibylle sorrise, poiché nemmeno al padre era mai riuscita a far comprendere il motivo per cui di van der Velde amasse soprattutto le debolezze. Anche quelle di cui non valeva la pena parlare, benché spesso le procurassero un dolore. Non sapeva mentire senza arrossire, non sapeva tenere per sé una confidenza, neppure se qualcuno si raccomandava espressamente, e in alcuni casi non aveva riguardo per gli altri, ma lo faceva senza malizia. Come adesso per esempio, che giocava di nuovo a scacchi troppo a lungo. E il fatto che, malgrado gli avesse gridato per la terza volta "è tardi, non iniziare una nuova partita, per favore", ignorasse in maniera tanto ostinata la sua richiesta di smettere una volta per tutte senza neanche risponderle, questa era una cosa che la faceva arrabbiare. Nonostante ciò:

Gioca volentieri, pensò Sibylle e prestò di nuovo attenzione alla madre, che aveva finito di dispensare i suoi consigli a fin di bene.

Cosa aveva detto? Che a Sibylle, se voleva avere dei bambini, non era rimasto molto tempo.

"Non sei più giovanissima. Potrebbero esserci complicazioni. E naturalmente," disse la madre "prima che tu abbia dato l'esame, sarebbe da irresponsabili mettere al mondo dei figli."

Si udì battere l'orologio a pendolo del soggiorno. Era un pezzo avuto in eredità che risaliva alla belle époque.

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13

Un angelo sterminatore! Non è un po' esagerato? Una cosa a ogni modo poteva essere affermata con certezza: l'aria di Königsheide di Berlino non era in grado di vantare nulla di simile, e sarebbe sciocco paragonarla all'antica Libia, tuttavia anche qui gli uomini si sforzavano di conservare ciò che erano riusciti a creare. Nella zona coltivata a orti sul lato destro della strada maestra di Johannisthal l'impressione di povertà veniva mitigata di anno in anno con nuove aiuole fiorite, oppure si riempivano i vialetti di ghiaia lavata di fresco. Anche l'agglomerato antistante era formato da desolate abitazioni unifamiliari, scatole squadrate, intonacate e prive di balconi, ma gli edifici degli anni '20, i cui tetti a volta e bovindi aggettanti si potevano ancora attribuire a uno stile architettonico, avevano un aspetto grazioso, e dove i giardini erano delimitati da siepi scrupolosamente potate, dove si potevano esibire arbusti di rododendri, magnolie e pini silvestri, lì si aveva la sensazione di trovarsi, anziché nel quartiere sud-orientale di Berlino, a Zehlendorf, situato a ovest.

Anche al numero 4 di Agavensteig negli ultimi tempi stava accadendo qualcosa, e quello che per primo colpì i vicini fu la determinazione con cui Sibylle aveva deciso di ridare forma al giardino incolto. Tagliò la forsizia, eliminò le erbacce, fece in modo che la fontana a zampillo fosse rimessa a posto, diede concime fresco alla tulipifera, e anche all'interno della casa sembrava instancabile. Le finestre furono pulite, la si sentì affaccendarsi con l'aspirapolvere. Staccò le tende per riappenderle pochi giorni più tardi lavate e stirate. Ma perché e per chi lo facesse, nessuno sapeva dirlo. Compariva due o tre volte alla settimana, e in quei casi poteva capitare che la stesse aspettando un operaio, che poco dopo controllava il tetto o le fondamenta in cantina. La madre, a cui apparteneva il terreno, in pratica non si vedeva più nel piccolo centro abitato, la figlia invece, sebbene non vivesse ancora lì e sebbene le condizioni della casa potessero esserle indifferenti, la figlia sembrava non trovare pace per il timore che il giardino e l'edificio iniziassero a presentare danni irreparabili. Per il resto ogni cosa restò invariata, e del fatto che nelle stanze di Agavensteig non trovò né i libri che van der Velde aveva portato via dall'appartamento né il computer, di questo Sibylle non si preoccupò.

Avrà sistemato le cose, visto che la mamma abita ancora qui, da qualche altra parte, pensò, e le sembrò di ricordare che van der Velde avesse nominato l'indirizzo di un deposito.

Il giorno successivo fece un incontro memorabile. Cominciò con il rumore della portiera di un'auto che sbatteva proprio di fronte al garage. Sibylle stava per uscire di casa per fare ritorno in Nikolsburger Platz, aveva già le chiavi in mano, però si era fermata in corridoio, perché cercava la borsa. Aspettò i passi energici diretti all'ingresso, la sagoma della madre dietro il vetro opalino, poi, senza sapere il perché, indietreggiò nella sua stanza. Dato che la porta non era chiusa a chiave, era convinta che la madre se ne accorgesse. Invece la signora Bertram era già sulle scale che conducevano al piano di sopra, e Sibylle la sentì camminare avanti e indietro, per aprire armadi e cassetti. Intanto parlava da sola. Era una specie di inveire sommesso, incessante, come se avesse motivo di essere arrabbiata e, dopo essere scesa di nuovo al piano terra, entrò nella stanza del padre. Anche qui un affaccendarsi impaziente alla scrivania, e come se non avesse trovato ciò che cercava, come se per un attimo non sapesse cosa fare, all'improvviso tutto divenne silenzioso. A quel punto Sibylle si aspettò che la madre entrasse anche in camera sua, ed era decisa a evitarla.

Il silenzio, in cui origliava, non finì, e a un certo punto, pur non avendo sentito né la portiera sbattere né il motore avviarsi, credette che la madre se ne fosse andata.

Inorridì di fronte al disordine che aveva lasciato dietro di sé nelle stanze: le ante degli armadi spalancate, i cassetti fuori dalle guide, i documenti, tra cui la madre aveva rovistato, sparpagliati sul pavimento. Sibylle iniziò a rimettere in ordine, e quando andò in corridoio per controllare che l'armadio di van der Velde, che voleva spostare lì, non fosse troppo grande, a un tratto si ritrovò la madre alle spalle.

"Non devi nasconderti," disse. "Potete trasferirvi qui quando volete. Io resto a Potsdam," aggiunse, e guardò con disapprovazione i fogli che Sibylle aveva raccolto dal tappeto, con l'intenzione, malgrado non sapesse dove, di sistemarli.

"Qual è la data del matrimonio?"

"Il sedici dicembre," rispose Sibylle.

Suonarono alla porta. La signora Bertram, come se stesse attendendo visite, uscì in corridoio. Tornò in compagnia di un uomo di mezza età, con il quale si diresse in soggiorno, e Sibylle udì attraverso la porta chiusa che la madre tentava di persuadere lo sconosciuto. Non riuscì a capire ciò che diceva, ma ecco ancora la sensazione che si lamentasse a proposito di qualcosa che aveva a che fare con il padre. Sibylle decise, anche se fu solo per imbarazzo, di non ascoltare più la conversazione tra i due, e quando entrò nella stanza del padre ebbe una leggera vertigine.

Si distese sul divano, e si vietò anche soltanto di fare ipotesi sul comportamento della madre. Lei stessa, da quando aveva ricevuto e bruciato la lettera, era in uno stato di continua difesa, e ora doveva, nell'eventualità che il trasloco dovesse essere organizzato prima delle nozze, raccogliere tutte le forze. Quando il visitatore se ne fu andato, la madre le si parò di nuovo davanti, e volle sapere come mai van der Velde, contrariamente a quanto avevano stabilito, non si era più fatto vedere all'ufficio della ditta.

"È in viaggio un'altra volta?" domandò. E senza aspettare la risposta di Sibylle, come se sapesse che la figlia l'avrebbe considerata solo un'opportunità per lamentarsi, aggiunse: "Già, deve essere così. Anche con un contratto di matrimonio firmato dovrai abituarti a certe cose. E dato che non gli hai mai chiesto dove va, non hai nemmeno ricevuto una risposta."

La sua voce aveva un tono amareggiato, e Sibylle si rese conto che la madre, probabilmente dopo la morte del padre, doveva essere venuta a sapere qualcosa che la obbligava a imporsi un estremo autocontrollo. Tuttavia mantenne la parola: neanche tre settimane dopo, un furgone per il trasporto dei mobili era davanti alla casa al numero 4 di Agavensteig e, di quanto indicato sull'inventario, caricò quello che la signora Bertram aveva elencato su un foglio di carta.

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