Copertina
Autore Gioachino Lanotte
Titolo Cantalo forte
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2006, Eretica speciale , pag. 270, cop.fle., dim. 150x210x15 mm , Isbn 978-88-7226-931-2
LettoreGiovanna Bacci, 2006
Classe storia contemporanea d'Italia , musica
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Indice

Introduzione                              5

Canto e Resistenza                        9

Gli eventi e il quadro politico          10
Canto popolare e lotta di Liberazione    18

Canti della Resistenza                   49

La dimensione "patriottica"              50
La dimensione "civile"                   63
La dimensione "di classe"                83

Canti sulla Resistenza                  101

Dalla Liberazione al '68                105
Ora e sempre Resistenza!                118
Una nuova sensibilità                   127

Antologia dei canti (1943-'45)          151

Canzoni popolari o popolaresche         153
Canzoni dal repertorio militare della
    guerra 1915-'18 o precedenti        174
Canzoni da canti risorgimentali o
    quarantotteschi                     196
Canzoni operaie e rivoluzionarie
    prefasciste                         201
Canti da motivi in voga, da canzonette
    del periodo della guerra, da canti
    fascisti                            214
Canzoni rivoluzionarie di altri paesi   227
Canzoni originali                       235
Conclusioni                             261

Bibliografia                            265

 

 

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Pagina 5

Introduzione


Questa ricerca esamina aspetti della lotta partigiana attraverso l'analisi di canzoni del vasto repertorio che quell'esperienza ha prodotto a proposito del canto popolare.

Da tempo grazie alle riflessioni di studiosi nuovi ambienti e ambiti sono entrati nell'atlante geografico territori che le storie "classiche", misurate dai cambiamenti, dei governi o sulle dinamiche di tipo economico, non riuscivano ad esplorare. Solidi riferimenti metodologici hanno aperto la strada a inediti temi come la famiglia, l'amore, i costumi sessuali, i rapporti di genere, il senso del tempo e della morte o, ancora

«l'aumento della statura degli uomini collegata alle rivoluzioni nell'alimentazione e nella medicina, il cambiamento della visione spaziale derivante dalla rivoluzione dei trasporti, lo sconvolgimento delle conoscenze provocato dalla comparsa dei nuovi mezzi di comunicazione, la stampa, il telegrafo e il telefono, il giornale, la radio, la televisione ...»

Per approfondire l'analisi dei fatti sociali è diventata necessaria una estensione dei tradizionali confini entro i quali si era svolta la ricerca storiografica, con uno sguardo alla

«molteplicità di testimonianze: scritti di ogni genere, documenti figurativi, reperti archeologici, documenti orali, ecc. Una statistica, una curva dei prezzi, una fotografia, un film o, per un passato più remoto, del polline fossile, un utensile, un ex-voto sono, sono per la nuova storia, documenti di prim'ordine».

A questo punto, ogni reperto è una potenziale fonte per lo storico del passato, compresa la canzone popolare, anche se, in questa enorme massa di documenti, una distinzione fondamentale va fatta tra le testimonianze di tipo "volontario" e quelle di tipo "involontario". La seconda di queste tipologie, quella delle testimonianze "loro malgrado" è particolarmente cara agli studiosi del passato per la sua autenticità e schiettezza. Come

«L'uomo delle palafitte che gettava i rifiuti della sua cucina nel lago vicino da cui l'archeologo oggi li rimuove, si proponeva soltanto di tener pulita la sua capanna; [...] in tutte quelle cure la preoccupazione di formare l'opinione sia dei contemporanei, sia dei futuri storici non aveva parte».

Così anche gli uomini che coraggiosamente avevano scelto di impegnarsi nella lotta di Liberazione dall'occupazione nazi-fascista, quando nei brevi e rari momenti di tregua si dedicarono a comporre canti o alla rielaborazione di vecchie canzoni popolari, non pensavano di fare storia. Per loro questi momenti costituivano occasioni di coesione attorno alle quali si rafforzava il senso di appartenenza ad una comune identità e di partecipazione ad una stessa causa. La storia "vera" si faceva nelle rischiosissime azioni militari. Emblematica è la testimonianza firmata "Zona partigiana, dicembre 1944" che introduce l'opuscolo Canti partigiani pubblicato dalla Sezione stampa "Sergio" della Sesta zona operativa.

«Dopo la riunione serale, cantiamo. [...] Di rado c'è il vino, né si canta per far passare la nostalgia: non è fatta di questo la vita partigiana che consiste nel camminare, nel fare azioni, nell'eliminare intorno e dentro di sé ogni residuo di fascismo diventando liberi, eguali, coscienti moralmente e politicamente [...]. Si canta tutti insieme nel casone seduti in due tre file attorno al fuoco, presso le armi, sotto le calze che asciugano, e la contentezza nasce appunto dal sentirsi così uniti: [...] anche i piccoli dissensi della giornata si sciolgono in quel canto e i cuori sono pieni della stessa gioia.

Sul ritmo di vecchie canzoni antifasciste ed alpine (e anche questo è naturale per la somiglianza che c'è tra la vita alpina e quella partigiana, per il fatto che reparti interi di alpini hanno disertato passando nelle nostre file e perché antifascista è sempre stato il sentimento delle canzoni alpine, come di quelle della Julia proibita dai fascisti) e su nuove cadenze sono nati i canti partigiani.

Alcune delle voci che li intonavano con noi, tra le più coraggiose e oneste, si sono taciute. Quando tutti insieme, dopo la riunione serale cantiamo, ci pare che tra le nostre voci unite ci siano anche quelle: pure e serene esse sostengono il nostro canto, gli danno la certezza della prossima liberazione».

Veramente la costruzione e il rafforzamento di una comune identità politico-sociale, si deve considerare fattore secondario nella gerarchia dei fatti "storici"? Oppure, per la sua capacità di agire, di incidere sulla materia della realtà, non è il caso di considerarla come un momento decisivo e perciò "storico"?

L'utilizzazione della canzone partigiana come strumento di analisi storiografica della Resistenza si profila come un approccio tutt'altro che marginale, oltre che come una sfida intrigante.

Scrive Roberto Battaglia in un suo studio che da qualche decennio costituisce un prezioso riferimento per la comprensione degli eventi resistenziali: «Nell'estate del '44, cioè al culmine della guerra di Liberazione, non vi è reparto partigiano di qualche importanza che non abbia il suo giornale e la sua canzone corale». Questa affermazione indica la fondamentale importanza che rivestono in quei mesi le produzioni letterarie partigiane. Stampa clandestina e canzoni sono efficaci strumenti di comunicazione per diffondere storie e fatti di cronaca, e anche per trasmettere e far filtrare gli ideali.

In particolare, secondo ciò che viene manifestato dalle canzoni, questo libro vuole individuare le diverse anime che componevano la lotta di Liberazione, ricostruire un quadro dettagliato delle formazioni coinvolte, dei loro sentimenti, delle loro idee di patria, delle loro somiglianze e differenze a livello ideologico come a livello di progettualità per il dopoguerra.

Inoltre, continuando ad utilizzare come segnali luminosi le trame e le sensibilità che scorrono in modo spontaneo e immediato all'interno di quei canti, si intende focalizzare anche il progressivo percorso, non privo di qualche ombra, che la Resistenza ha dovuto compiere come luogo della memoria a livello istituzionale e anche nella coscienza collettiva.

Per rischiarare queste due aree all'interno di un argomento di per sé complesso, sono state prese in esame sia canzoni scritte nei mesi che vanno dal settembre '43 all'aprile '45 e cioè durante la lotta di Liberazione, sia produzioni elaborate in seguito che hanno come oggetto avvenimenti successivi. In definitiva, canzoni della e sulla Resistenza.

Ma la colonna sonora di un passato che ha conosciuto toni così "alti" non sarebbe ricostruita per intero se non si aggiungessero agli armonici che compongono quel suono anche due altri importanti timbri: la 'voce dei partigiani', modulata attraverso le trasmissioni delle poche emittenti radiofoniche clandestine che, spesso in modo avventuroso e problematico (e per questo ancora più denso di significato e di valore), riuscivano a portare fra la popolazione preziose informazioni sull'andamento della lotta ed infine il 'suono della memoria' e cioè il carattere così profondo e intenso che ancora oggi segna le testimonianze dei protagonisti di quelle vicende qui soltanto sfiorate.

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Gli eventi e il quadro politico


«Il Governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare l'impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate angloamericane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze angloamericane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza».

Con queste parole, l'8 settembre 1943, il maresciallo Pietro Badoglio annuncia alla radio l'armistizio firmato il 3 settembre a Cassibile dal generale Giuseppe Castellano.

L'Italia risulta divisa in due entità distinte: il Sud dove continua a vivere il vecchio Stato monarchico con un governo presieduto dallo stesso Badoglio in collaborazione con gli Alleati, e il Nord dove persiste il fascismo sotto la protezione nazista.


Le prime formazioni armate prendono vita subito dopo l'8 settembre nei monti dell'Italia centro-settentrionale, che costituiscono per loro natura un rifugio naturale. Vi confluiscono ex-militari "sbandati", piccoli gruppi di antifascisti militanti già attivi nel paese principalmente con azioni di sabotaggio e disturbo alle divisioni tedesche e infine volontari civili che dalle città salgono nelle valli. Queste bande agiscono in particolar modo lontano dai centri abitati. Nelle città invece sono attivi i Gap (gruppi di azione patriottica), piccolissime formazioni di tre o quattro elementi che compiono attentati contro personalità naziste o repubblichine, e le Sap (squadre di azione patriottica), organizzazioni di fabbrica che a differenza delle prime sono composte da molti individui e non devono agire in totale clandestinità. Nell'ultimo periodo della Resistenza, le Sap avranno un ruolo importantissimo contribuendo alla salvaguardia degli impianti industriali minacciati dalla furia distruttiva dei soldati tedeschi.


Intanto, fra la caduta del fascismo (25 luglio) e l'armistizio, i vecchi partiti antifascisti, costretti alla clandestinità, si ricostituiscono. Il quadro politico è composto dal Partito d'Azione, nato poco prima della caduta del fascismo dalla confluenza di diversi gruppi collocati a metà strada fra liberalismo progressista e socialismo, dalla Democrazia Cristiana, una nuova formazione destinata a raccogliere l'eredità del Partito Popolare e che gode dell'appoggio delle autorità ecclesiastiche, dal Partito Liberale, costituito subito dopo il 25 luglio, dal Partito Repubblicano e Socialista che rinascono col nome di Partito socialista di unità proletaria e infine dal Partito Comunista nel quale gran parte del vecchio gruppo dirigente si è ricostituito dopo la liberazione dal carcere o il ritorno dal "confino" di molti suoi leader.


Il 12 settembre un commando di aviatori e paracadutisti tedeschi guidati da Skorzeny libera Mussolini a Campo Imperatore (Gran Sasso). Il duce viene trasportato in aereo a Monaco di Baviera, dove concorda con Hitler la nascita di un governo "fantoccio": la Repubblica Sociale Italiana, che nasce a Salò, sul lago di Garda. Questi i quattro punti programmatici esposti il 18 settembre da Mussolini nel suo celebre discorso alla radio: «ripresa delle armi a fianco della Germania, del Giappone e degli altri alleati; riorganizzazione delle forze armate intorno alla milizia; eliminazione dei "traditori" del fascismo; intenzione di "annientare le plutocrazie e fare del lavoro finalmente il soggetto dell'economia e la base infrangibile dello Stato». Tuttavia la dipendenza troppo stretta della RSI dagli occupanti tedeschi non consente a tale programma di decollare e la sola funzione che la cosiddetta Repubblica Sociale Italiana riesce ad esercitare consiste nel combattere tenacemente il movimento partigiano.

Il ventaglio dei nemici dei repubblichini è ampio e comprende, oltre ai militanti partigiani, anche tutti gli altri artefici del tradimento del 25 luglio: monarchici, "badogliani" e fascisti moderati. Cinque ex-gerarchi del vecchio regime, fra i quali Ciano, genero di Mussolini, vengono fucilati a Verona nel '44 dopo un sommario processo. A queste azioni, i tedeschi rispondono con ondate di arresti nelle città e rastrellamenti che colpiscono duramente partigiani e popolazione civile.


Dopo una prima fase caratterizzata dallo spontaneismo, le aggregazioni si organizzano in base all'orientamento politico. Le più numerose e attive sono le Brigate Garibaldi, composte principalmente da comunisti. Consistenti sono anche le formazioni di Giustizia e Libertà che si ricollegano al Partito d'Azione, le Brigate Matteotti che si riconoscono politicamente nel Partito Socialista. Ci sono poi formazioni composte da cattolici e liberali e infine bande autonome formate da militari di orientamento monarchico. Questi ultimi nuclei, numerosi nei primi mesi della resistenza armata, mantengono un formalismo marziale che ha la funzione di colmare le lacune ideologiche, e un attivismo militare che prevale sull'azione politica.

I partiti succitati insieme a Democrazia del Lavoro, fondata da Ivanoe Bonomi, si riuniscono a Roma e costituiscono il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) che si propone come guida e rappresentanza dell'Italia democratica in contrapposizione ai fascisti, agli occupanti nazisti, alla Corona (giudicata corresponsabile della appena trascorsa dittatura) e al governo di Badoglio di cui il Comitato chiede la destituzione. Tuttavia il CLN non riesce ad imporre la propria posizione in quanto diviso al suo interno fra sinistra (Pci, Psiup e Pda) e destra (Dc, Pli e Democrazia del lavoro) e perché il governo Badoglio gode della fiducia degli alleati.

La situazione si sblocca nel marzo '44 quando Palmiro Togliatti, leader del Pci al suo ritorno da Mosca dopo un esilio di quasi vent'anni, intervenendo al consiglio nazionale del Partito convocato per il 29 marzo, propone di scavalcare le pregiudiziali contro la Corona e Badoglio e collaborare alla formazione di un governo di unità nazionale per concentrare le energie sul problema della guerra e della lotta al fascismo.

La cosiddetta "svolta di Salerno" porta alla formazione di un Governo di unità nazionale varato il 24 aprile nella città campana che in quel momento è capitale provvisoria del "Regno del Sud". Il nuovo governo è presieduto da Badoglio e comprende i sei partiti del CLN. Per quanto riguarda la corona, il re Vittorio Emanuele III si impegna a passare provvisoriamente la mano ad Umberto, una volta liberata Roma, in attesa che – a guerra finita – sia il popolo stesso a decidere le sorti della monarchia. A questo quadro istituzionale viene dato il nome di Luogotenenza Generale del Regno. Dopo la liberazione di Roma, nel giugno '44, Badoglio rassegna le dimissioni ed il governo di unità nazionale viene presieduto da Ivanoe Bonomi che, in quanto fondatore della Democrazia del Lavoro, rappresenta una emanazione diretta del CLN.

Il governo Bonomi segna un momento di stretta collaborazione fra i poteri istituzionali e la realtà partigiana che infatti, nell'estate del '44, conosce il suo momento di maggior vitalità. Mentre le forze alleate avanzano nel centro Italia, dal gennaio viene istituito il CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale dell'Alta Italia) che imprime una direzione militare e un comando unificato al movimento di Liberazione e la base del reclutamento delle bande si allarga progressivamente fra operai, contadini e renitenti alla leva della Repubblica di Salò. Si intensificano le azioni dei partigiani e inizia una serie di successi per i combattenti "ribelli" che vede fra i suoi momenti più significativi la creazione di Repubbliche partigiane in alcune zone (in Val d'Ossola, nelle Langhe e nell'Oltrepò Pavese) amministrate secondo modelli di autogoverno popolare, la formazione del governo libero della Carnia, proclamato il 26 settembre e rimasto in carica fino a dicembre, e la liberazione di alcune importanti città prima dell'arrivo degli alleati, ad esempio Firenze.


A questi successi si contrappongono sanguinose rappresaglie ad opera del battaglione SS del maggiore Walter Reder che non lasciano scampo nemmeno alla popolazione civile. La terribile scia di massacri inizia alle Fosse Ardeatine (Roma, marzo '44), dove vengono uccise 335 persone scelte fra detenuti ebrei, antifascisti, militari badogliani come ritorsione a un attentato partigiano nel quale erano morti 32 tedeschi. Il 12 agosto, a S. Anna di Stazzema, vengono uccise 560 vittime civili; a Valla il 19 agosto si contano 107 vittime del massacro, tra cui molti neonati; a S. Terenzio vengono impiccati 53 ostaggi; il 24 agosto gli uomini di Reder radono al suolo Vinca e molti altri villaggi del comune di Fivizzano; il 15 settembre vengono fucilati 108 civili provenienti dal campo di concentramento di Mezzano; dal 29 settembre all'1 ottobre, mentre le altre truppe della Wermacht riescono a fermare l'avanzata alleata approntando un sistema di difesa lungo la "linea Gotica", le SS distruggono il paese di Marzabotto, massacrando 1386 civili.


Dall'autunno '44, in concomitanza della strategia alleata di allentare la morsa sul fronte italiano, si registra un momento difficile per la Resistenza. L'inverno è particolarmente duro: il freddo, il bianco della neve dove ogni traccia è più visibile, le difficoltà nei rifornimenti e nelle comunicazioni, i boschi privi di fogliame che nascondono a malapena un uomo in fuga rendono la minaccia dei rastrellamenti ancora più micidiale. Le forze partigiane, già costrette così a una riduzione della azioni di guerriglia, vengono invitate, attraverso un proclama emanato dal generale Alexander nel novembre '44, a sospendere le operazioni. Si accendono contrasti fra i capi della Resistenza e il governo appoggiato dagli Alleati. Tali dissidi vengono presto superati e il movimento partigiano riesce a superare il difficile inverno '44-'45 segnato in profondità anche dai sistematici rastrellamenti di tedeschi e repubblichini.


In primavera, con la ripresa dell'offensiva alleata coadiuvata dalle vigorose spallate dell'esercito partigiano che conta circa 130 mila uomini e il definitivo cedimento delle difese hitleriane, la Resistenza promuove l'insurrezione generale che coinvolge progressivamente grandi città. La prima è Genova, che insorge il 23 aprile e viene liberata dopo tre lunghi giorni di battaglia. Segue Torino, insorta il 25 e liberata dai partigiani il 29, così come Cuneo. Il 25 a Milano viene proclamato lo sciopero generale e iniziano i combattimenti che porteranno alla liberazione della città il 29 aprile. I reparti fascisti si sciolgono e il Duce prende la via della fuga in direzione di Como. Individuato da un gruppo di partigiani della 52esima brigata Garibaldi a Dongo, mentre cerca di fuggire vestito da tedesco, viene fucilato insieme a Claretta Petacci il 28 aprile 1945. I loro cadaveri, trasportati a Milano, vengono esposti in Piazzale Loreto assieme a quelli di altri gerarchi. Udine e Trieste vengono liberate il primo giorno del mese di maggio rispettivamente dalle formazioni friulane e dai partigiani iugoslavi. Il giorno seguente alle ore 14 avviene la resa totale delle truppe tedesche, con un armistizio firmato presso il quartier generale di Caserta il 29 aprile.

La lotta di Liberazione si conclude vittoriosamente, ma il prezzo pagato dal paese è altissimo: 45 mila partigiani uccisi, 20 mila mutilati e invalidi, 10 mila civili massacrati dalle rappresaglie nazifasciste.

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Naturalmente anche il canto partigiano, in quanto repertorio popolare legato ad una pratica creativa e di trasmissione principalmente orale, instaura un solido rapporto con la tradizione dei canti popolari nati precedentemente.

Il caso più eclatante è Bella ciao, una delle canzoni simbolo della Resistenza. Questa canzone pare avere origini illustri, risalendo ad una ballata del Cinquecento francese successivamente filtrata in Italia dal Piemonte per diventare la tradizionale La darè d'cola montagna. Il motivo si sarebbe in seguito diffuso a tutto il nord trasformandosi in Trentino ne Il fiore di Teresina (conosciuta nelle varianti di Il fior della Rosina e Fior di tomba) e in Veneto nel canto Stamattina mi sono alzata. Retaggi di questa melodia si trovano nel repertorio infantile (La me nona l'è vecchierella), in molti canti della guerra 1915-1918, nel repertorio delle "mondine":

          Alla mattina appena alzata
          O bella ciao, bella ciao,
          Bella ciao, ciao, ciao
          Alla mattina appena alzata
          In risaia mi tocca andar
          E fra gli insetti e le zanzare
          O bella ciao, bella ciao,
          Bella ciao, ciao, ciao
          E fra gli insetti e le zanzare
          Duro lavoro mi tocca far

          O mamma mia o che tormento
          O bella ciao, bella ciao,
          Bella ciao, ciao, ciao
          O mamma mia o che tormento
          Io ti invoco ogni doman.

per arrivare, dopo molte trasformazioni, alla celeberrima versione partigiana:

          Questa mattina mi sono alzato,
          o bella ciao, bella ciao,
          bella ciao, ciao, ciao,
          questa mattina mi sono alzato
          e ho trovato l'invasor.

          O partigiano, portami via,
          o bella ciao, bella ciao,
          bella ciao, ciao, ciao,
          o partigiano, portami via,
          che mi sento di morir.

          E se muoio da partigiano
          o bella ciao, bella ciao,
          bella ciao, ciao, ciao,
          e se muoio da partigiano
          tu mi devi seppellir.

          E seppellire lassù in montagna,
          o bella ciao, bella ciao,
          bella ciao, ciao, ciao,
          e seppellire lassù in montagna
          sotto l'ombra d'un bel fior.

          E le genti che passeranno,
          o bella ciao, bella ciao,
          bella ciao, ciao, ciao,
          e le genti che passeranno
          e diranno: «O che bel fior!».

          Θ questo il fiore del partigiano,
          o bella ciao, bella ciao,
          bella ciao, ciao, ciao,
          è questo il fiore del partigiano,
          morto per la libertà.

L'attualizzazione di contenuti delle canzoni cambiando i versi preesistenti vede altri casi illustri, come Pietà l'è morta, una canzone composta da Nuto Revelli nel marzo '44, intonata sull'aria di Sul ponte di Perati che, a sua volta, si rifaceva alla famosa Sul ponte di Bassano bandiera nera della Prima guerra mondiale.

Altro esempio è La Badoglieide, composta tra il 25 e il 26 aprile 1944 da un gruppo di partigiani della IV Banda (tra cui Livio Bianco e Nuto Revelli), che utilizza la musica di E non vedi che sono toscano, un antico canto popolare regionale.

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Il sarcasmo dei partigiani non mancò di prendere di mira l'inno "ufficiale" del regime, quel Giovinezza che accompagnò il fascismo fin dagli esordi come movimento. L'enfatico inno del PNF viene screditato nella visione dei volontari dal perentorio ed espressivo 'invito' di Giovinezza, pe' 'ntal cù (cioè Giovinezza, calci nel sedere)

          Giovinezza, pe' 'ntal cù
          giovinezza, pe' 'ntal cù
          primavera di Gaeta, pe' 'ntal cù!

          E 'l fascismo, pe' 'ntal cù,
          Θ la schifezza, pe' 'ntal cù,
          Della nostra libertà, pe' 'ntal cù!

I versi non si limitano al dileggio e alla speranza di uno smantellamento del fascismo da risolversi con sanzioni di tipo morale (pe' 'ntal cù). L'augurio dei partigiani, è che la condanna storico-politica dei repubblichini si risolva con il duro carcere militare da scontare nella fortezza di Gaeta.

Così, come ha scritto Boldini, questi versi, con la loro semplicità e immediatezza, «confermano ancora una volta l'uso del modello popolare della 'parodia' con la sua funzione critica e i suoi limiti».

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CANTI sulla RESISTENZA



«Per la prima volta, solo nel 1995, compare, tra i temi di italiano degli esami di maturità, una traccia – quella tradizionalmente riservata all'argomento storico – che evoca esplicitamente la Resistenza». Questo riconoscimento è uno degli indizi della legittimazione istituzionale della Resistenza quantomeno tardivo e contingente. Tardivo, perché arriva solo dopo cinquant'anni dai fatti, e contingente perché si colloca nel quadro delle commemorazioni per il cinquantesimo anniversario, organizzate e patrocinate peraltro da differenti livelli istituzionali di una Repubblica motivata a rinsaldare le fondamenta del suo impianto etico e morale scosso dalla bufera "mani pulite" che lo ha da poco investito.

Un excursus della travagliata memoria della Resistenza è stato tracciato da Adriano Ballone nel volume curato da Mario Isnenghi I luoghi della memoria, strutture ed eventi dell'Italia unita. Ballone riporta queste parole formulate dal Comando generale delle Brigate Garibaldi per la morte di Dante di Nanni:

«Gli anni e i decenni passeranno [...]. Nomi di vie e di piazze, di paesi e di città, monumenti di marmo e di bronzo, edifici pubblici e grandi fabbriche ne porteranno il nome e ne rinnovelleranno il ricordo, ad esempio e monito per i cittadini di una libera e bella Italia di domani».

mettendo in evidenza come la speranza contenuta in quelle frasi sia stata sostanzialmente disattesa. Tuttavia è innegabile che in momenti cruciali per il cambiamento e il rinnovamento nella vita della Repubblica la memoria della Resistenza abbia rappresentato un solido punto di riferimento. Perciò:

«In questa disarmonia si può leggere una caratteristica che ha distinto la memoria della Resistenza in Italia: [...] una sfasatura tra l'uso istituzionale della memoria e la memoria stessa sedimentata (o in corso di sedimentazione) nella mentalità collettiva».


Così, a fronte di una scarsa volontà (o possibilità) della cultura politica italiana a utilizzare questa memoria come "mito fondativo" della Repubblica, si registra invece la produzione di molteplici memorie prodotte dalla società italiana e dalla sua cultura popolare.

Se si osservano tutte le produzioni della lotta di Liberazione, elaborate dagli anni Sessanta fino agli anni Novanta, ci si accorge che la Resistenza è stata raccontata quasi esclusivamente attraverso la letteratura. Viene meno la saggistica, e si lascia spazio invece a una materia che – grazie alla sua grande idoneità a trasmettere conoscenza – «sa cogliere e risolvere più intuitivamente quello che altre elaborazioni di pensiero sono più lente a metabolizzare e a formulare compiutamente». La storia viene restituita attraverso splendidi romanzi come Il partigiano Johnny di Beppe Fenoglio o Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino, ricchi di intuizioni e materiali rilevanti dal punto di vista storiografico. La letteratura non è fatta però di soli romanzi, infatti anche:

«narrativa, musica e cinema hanno svolto un ruolo di supplenza rispetto alle istituzioni nella costruzione di una memoria pubblica della Resistenza e non solo sul versante propriamente artistico: l'afasia istituzionale infatti non ha coinvolto solo la scuola, ma anche l'altro grande strumento d'informazione dell'immaginario e della cultura che è la televisione (e in parte la radio)».

Anche la canzone, a suo modo, si è assunta l'incarico di sopperire a una grave lacuna ed è attraverso l'infaticabile raccolta di canzoni del periodo, la loro reinterpretazione e la creazione di testi con riferimenti alla lotta partigiana, che si è dato grande sostegno al ricordo della Resistenza.

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ANTOLOGIA DEI CANTI (1943-'45)



Questa raccolta essenziale di canti partigiani non segue un criterio puramente alfabetico, bensì si affida al lavoro di chi si è confrontato con questo impegno con esiti pregevoli e, nel caso specifico, alla classificazione proposta da Roberto Leydi nella sua introduzione all'opera più volte citata di Tito Romano e Giorgio Solza (Canti della Resistenza italiana). In quello studio, Leydi suddivide l'intero "sistema" di canti partigiani in sette macro-categorie identificate secondo le dimensioni melodiche su cui poggiano i brani:

– Canzoni popolari o popolaresche, con adozione integrale della linea melodica e modificazione parziale del testo poetico.

– Canzoni dal repertorio militare della guerra 1915-'18, o precedenti. In questo caso i canti conservano intatto il motivo originale con poche modificazioni d'occasione.

– Canzoni da canti risorgimentali o quarantotteschi.

– Canzoni operaie e rivoluzionarie prefasciste.

– Canzoni da motivi in voga, da canzonette del periodo della guerra, da canti fascisti.

– Canzoni rivoluzionarie di altri paesi. I modelli più seguiti sono quelli sovietici e quelli slavi, ma non mancano marcette inglesi e americane (inseriamo in questa categoria anche i canti stranieri in generale).

– Canzoni originali. Il gruppo più difficile da definire poiché vi rientrano canti dei quali si conosce l'autore del testo, ma che in qualche modo si rifanno, musicalmente, a una delle categorie precedenti.


Canzoni popolari o popolaresche

Si tratta di brani composti con adozione integrale o parziale della linea melodica e di canti con modificazione parziale del testo.


          Bel partigian

          Sull'aria di "Bel soldatin che passi per la via"
          Autore: Il partigiano Principe

          Lasciando la sua casa e la sua mamma
          raggiunge la capanna il partigian
          ricorda Garibaldi e le sue gesta
          il salvatore dell'Italia un dì.

          Accetta con piacer
          il suo dover
          fulgido e fiero
          questo è il guerriero
          dell'umanità.

          Bel partigian
          che sfidi tu la morte
          bel partigian
          non temi più la sorte
          sei tu l'eroe
          della mia patria bella
          del suo valor ritorna vincitor.

          Marciando su per l'aspre mulattiere
          in cerca dei fascisti allegro va
          nell'ora che l'Italia si ridesta
          combatti perché sai che vincerà.

          Abbasso i traditor
          gli affamator
          nella riscossa
          bandiera rossa
          la trionferà.

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Canti da motivi in voga, da canzonette del periodo della guerra, da canti fascisti


          Ardere!

          Sull'aria di "Vincere"
          Autore: Spartacus Picenus

          Fascisti vigliacchi e assassini
          l'Italia leggiadra sfiorì.
          Voi e il truce ladron Mussolini
          l'avete straziata così.
          Mai stanchi di rubar;
          voracissimi
          insaziabili
          del suo sangue,
          godeste a rovinar
          la bellissima
          patria nostra,
          cara e immortal!

          Ardere, ardere, ardere!
          Noi sì arderemo d'odio sovrumano
          contro gl'infami despoti
          che la ridussero così!
          Ardere, ardere, ardere
          ad ogn istante d'odio infernal!
          I nostri cuori vibrano
          nell'ansia di punir
          e i nostri acciari anelano
          gl'infami di ferir!

          Non paghi del sangue e del pianto
          che l'Itala patria versò,
          il corpo suo lacero e infranto
          vendeste al tedesco padron.
          Voleste perpetrar
          il vilissmo
          abbiettissimo
          tradimento.
          Mai sazi di denar,
          la vendeste ancor
          al nemico suo secolar!

          Ardere, ardere, ardere!
          Noi sì arderemo d'odio sovrumano
          contro gl'infami despoti
          che la ridussero così!
          Ardere, ardere, ardere
          ad ogn istante d'odio infernal!
          I nostri cuori vibrano
          la patria vendicar
          e i nostri acciari anelano
          gl'infami d'ammazzar!

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          Benito! Benito!

          Sull'aria di "All'armi siam fascisti"

          Benito! Benito!
          te m'è calà la paga
          te m'è cresό l'affito.

          Quando «Bandiera rossa» se cantava
          cinquanta lire al giorno si pigliava
          e adesso che se canta «Giovinezza»
          si casca in terra dalla debolezza.

          Come l'è sta, come sarà
          l'è sta Benito che n'à fregà
          e in fin de la question
          l'è sta Benito col baston.




          Cameraten, questa guerra

          Sull'aria di "Camerata Richard"

          Cameraten, questa guerra
          ha segnaten la mia sorte,
          mi credevo tanto forte
          ma mi manca già la terra...

          Cameraten, tutti i giorni
          mi ritiren un pochino,
          quando arriverò a Berlino
          già ci troverò Baffon!




          C'è l'Osoppo nel bosco

          Sull'aria di "La strada nel bosco"

          Vieni,
          C'è l'Osoppo nel bosco
          Le brigate conosco
          E non siamo bessoi.

          Vieni,
          un fienile ti accoglie,
          o un bel letto di foglie
          ci son pure i pedoi.
          Quassù tra gli alberi
          Son piazzati i bren
          Mitraglie rapide
          Con l'aggiunta di sten.

          Vieni,
          lascia star la fantata
          per la patria adorata
          fa qualcosa anche tu

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