Copertina
Autore Joe R. Lansdale
Titolo In fondo alla palude
EdizioneFanucci, Roma, 2004, Immaginario Dark , pag. 310, cop.fle., dim. 140x220x22 mm , Isbn 978-88-347-0981-8
OriginaleThe Bottoms
EdizioneWarner Books, New York, 2000
TraduttoreFrancesco Salvi
LettoreAngela Razzini, 2004
Classe narrativa statunitense
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Pagina 9

Prologo



Una volta le notizie non viaggiavano come adesso. Non a quei tempi. Non funzionava cosi né per radio né sui giornali. Non nel Texas orientale. Le cose erano diverse. Ciò che succedeva negli altri posti erano affari loro.

Le notizie provenienti dal resto del mondo ci interessavano, naturalmente, ma non dovevamo per forza sapere ogni dettaglio su cose che non riguardavano da vicino Bilgewater nell'Oregon, o El Paso dall'altra parte dello stato, o su verso gli stati del nord, in quel buco del culo di Amarillo.

Al giorno d'oggi tutto ci aiuta a conoscere ogni piú truculento dettaglio degli omicidi piú eclatanti o di quelli da cronaca, e te li ritrovi dappertutto, anche se si tratta di qualche commesso di drogheria ucciso nel Maine che non ci riguarda nemmeno di striscio.

Negli anni Trenta poteva avvenire un assassinio a qualche contea di distanza e tu non ne avresti mai saputo niente, a meno di esserne direttamente coinvolto. E ciò perché, come ho detto, le notizie a quei tempi viaggiavano meno veloci e i tutori della legge preferivano badare ai fatti loro.

Certo, sarebbe stato meglio avere notizie trasmesse piú velocemente, o almeno trasmesse e basta.

Ciò che è stato è stato, però, e ancora adesso che sono sugli ottanta e vivo nell'ospizio dei vecchi, nella stanza che ha ormai lo stesso odore del mio corpo che sta andando in malora, in paziente attesa di un piatto di non-si-sa-cosa tagliato a dadi e senza alcun sapore, con un tubo infilato nei polmoni, la televisione su qualche ta1k show da idioti, ho ben stampati nella mente gli avvenimenti di allora, quasi settant'anni fa, come se fossero appena successi. Tutto accadde, ricordo, negli anni '33 e '34.

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Pagina 13

Credo che c'era anche allora gente coi soldi, ma non eravamo certo noi. Si era in piena Depressione. E se anche fossimo stati una di quelle famiglie coi soldi non ci sarebbe stato molto da comprare, a parte maiali, galline, verdura e roba da mangiare, e dato che i primi tre li allevavamo, ci arrangiavamo col baratto.

Papà coltivava un campo, e dove stavamo noi non era casi male per farci crescere della roba. Il vento aveva spazzato via tutta la parte nord-occidentale del Texas, come del resto anche l'Oklahoma, ma in tutto il Texas orientale abbondava il verde, e il suolo era ricco e c'era abbastanza pioggia da far crescere presto e bene un sacco di roba. Anche durante i periodi secchi il terreno manteneva abbastanza umidità, e se anche il grano non era buono come al solito, almeno cresceva. In effetti mentre il resto del Texas era stremato e ridotto in polvere, la parte est andava soggetta a tremendi temporali e inondazioni. Sarebbe stato piú facile perdere un raccolto per le piogge che per la siccità.

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Pagina 45

Rimasi in giro per un po', ma papà fece un solo cliente, e nessuno parlava di qualcosa di interessante. Non c'era nessuna rivista nuova da leggere e cosi, dopo avermi fatto spazzare da terra i capelli tagliati, papà mi diede un paio di penny e mi spedí fuori.

Mi recai all'emporio, dove mi piace stare a guardare gli abiti colorati, i finimenti per i muli, tutti i tipi di cibo fresco e secco, gingilli e roba del genere. Alla fine puntai dritto verso gli stick alla menta piperita. Coi miei due centesimi ne compravo quattro. Il gestore, il signor Groon, calvo, faccia rosa, generoso, pieno di rughe, me ne diede sei e li mise in un sacchetto. Lo portai con me al negozio e lo lasciai da parte per prenderlo piú tardi; poi, visto che non c'erano capelli da spazzare e nient'altro da fare, me ne andai via.

Mi faceva piacere ogni tanto passare a trovare la signorina Maggie. La conoscevano tutti con quel nome. Non Maggie o Zietta, come sono soliti chiamarsi fra loro gli anziani di colore, ma semplicemente la signorina Maggie.

Si diceva in giro che avesse cent'anni. Lavorava tutti i giorni e riusciva anche a prendersi cura di un pezzetto di terra con Matt, il mulo piú mansueto che mai avesse tirato un aratro in un campo di granoturco, persino piú buono di Sally Redback. Maggie diceva che la parte piú dura nel portare Matt ad arare era attaccargli l'attrezzatura. Poi faceva tutto lui. Considerando che il paio di acri che coltivava era tutto sabbia e che le sue gambe arrivavano si e no alle maniglie dell'aratro, bisogna dire che qualche merito doveva avercelo anche lei.

Era nera come la mezzanotte, rugosa come la terra quando viene erosa, e i capelli crespi erano molto diradati. Indossava un'avvizzita sottoveste di cotone fatta coi sacchi delle patate o del mangime, oppure abiti da uomo e scarpe nere da pochi soldi scelte sul catalogo Sears & Roebuck. Portava un grosso cappello nero con la tesa piatta. Dicevano che apparteneva a suo marito, un tipo che non faceva complimenti quando si trattava di picchiarla e che era fuggito con una donna di Tyler.

La sua terra era appartenuta al padre di Old Man, Flier, che dopo la Guerra civile e la liberazione degli schiavi l'aveva presa alla fattoria come domestica. Piú tardi, per ricompensarla, le lasciò in eredità una parte di terra, venticinque acri in tutto. Lei si era tenuta cinque acri per una casa, un fienile e una piccola fattoria, vendendo il resto alla città di Marvel Creek.

All'esterno della casa c'era il recinto per il mulo. Consisteva in una corda legata ai pali in modo da formare un quadrato. Matt trovava riparo al suo interno ed era sempre pieno di acqua fresca, granaglie, scarti di granoturco e cose del genere. Il tutto si basava sulla fiducia e Matt non la tradiva mai, restando all'interno della corda. C'era un patto e lui lo rispettava.

C'era anche il recinto dei maiali con un porcellino che si muoveva nel fango appiccicoso che gli arrivava a metà delle zampe, annusando con aria interessata una tinozza.

La casa era una fatiscente baracca con il tetto in carta catramata non inchiodata, un portico piccolo e corto sotto il quale un bel po' di galline e un cane randagio amavano prendere il sole. Sul portico c'era una sedia a dondolo di vimini. La casa pendeva leggermente sulla destra. Aveva una sola porta e una protezione contro la polvere. Aveva anche persiane gialle oleate che lei abbassava sulle tre finestre con la zanzariera rattoppata, quando c'era bisogno di ombra e di privacy (e anche il vetro ne aveva una contro le mosche).

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Pagina 140

«Allora cos'hai deciso con Mose?»

«Non ho ancora deciso. Certo, non posso lasciarlo dov'è adesso. Qualcuno lo verrà a sapere. Dovrò andare a prenderlo e portarlo al palazzo di giustizia o lasciarlo andare. Non ci sono vere prove contro di lui, a parte qualche indizio. Ma dove ci sono un uomo di colore e una donna bianca non ci sarà mai un processo equo. Credo che lo lascerò andare, ma prima devo essere sicuro che non è stato lui.»

«Mi sembrava che avessi detto che la donna era di colore, o in parte bianca.»

«Hai ascoltato in qualche modo quello che ci siamo detti a casa Canerton?»

Lo ammisi.

«Bene, lascia che ti dica una cosa. Quella donna era bianca. Non aveva un goccio di sangue nero, per quanto ne sanno tutti. Era nera perché è rimasta appesa sull'albero con la pioggia che la martellava. Quelli che l'hanno trovata l'hanno scambiata per una nera dal modo in cui la pelle era ridotta. Da queste parti basta che uno diventi scuro perché prende il sole in estate e subito si mettono a dire che ha un po' di sangue nero. Il corpo diventa cosi, e non si riesce piú a capire la razza. La morte ci fa diventare tutti uguali, figliolo.»

«Chandler diceva che era di colore.»

«Aveva la pelle scura. Proprio come avevo detto io.»

«Ma tu hai detto che...»

«Ho messo in giro quella voce per non eccitare la gente. Se metti bianchi e neri nella stessa frase, la gente comincia a infiammarsi.»

«Tu hai messo bianchi e neri nella stessa frase. Hai detto che era in parte bianca.»

«È vero.»

Papà fece una pausa per prendere la pipa dalla tasca, la riempi di tabacco e la accese. «Non sono sicuro che sia stata una buona idea, ma stavo facendo dei tentativi. Ho detto che era di colore e nessuno se ne è interessato. Se avessi detto che era bianca ci sarebbero stati linciaggi in tutta questa parte della contea. Ma lei ha una parte di sangue bianco, e allora la gente si ferma e comincia a pensare a lei come a un essere umano. D'altra parte non è abbastanza bianca da scatenare reazioni eccessive. È triste, ma cosi stanno le cose.»

«Com'è che hai scoperto che era bianca?»

«Pensando che fosse di colore l'ho portata a Pearl Creek per sapere se il dottor Tinn o il reverendo Bail la conoscevano. E infatti la conoscevano, ma non perché era di colore. Era bianca, aveva una brutta reputazione e frequentava la gente di colore di Pearl Creek. Una donna bianca che va con gente di colore perde il rispetto delle donne che vanno con quelli della loro razza. Ma a una cosí tutto ciò non interessa molto. Vagabondava per raggiungere Pearl Creek e poi saltava sul primo treno merci che trovava per tornare indietro. Faceva il suo lavoro dentro e fuori delle balere. Ma le voci girano ed è saltato fuori che era bianca. Be', questo non interessava molto ai cosiddetti benpensanti e a quelli che magari le davano qualche dollaro, gli stessi che adesso sono pronti a prendere le armi e diventano matti perché uno di colore può averla uccisa o perché tutte le donne bianche sono in pericolo.»

«Non è vero?»

«Tutte le donne sono in pericolo, figliolo. E non solo le donne, con un assassino come questo. Ma credo che lui cerchi piú le donne. Fosse stata uccisa da un treno o annegata per un incidente non ci sarebbero funerali. Ma finché c'è gente come Nation, tutti quelli come Mose possono finire linciati.»

Portammo i due secchi in casa.

«Hai detto che devi essere certo che Mose è innocente, ma non credi che sia stato lui, vero?»

Eravamo sotto il portico sul retro. Lui mise giú il suo secchio. Io posai il mio. «È come se avessi aperto questa scatola e adesso non so come chiuderla. L'errore che ho fatto è stato parlarne. È stato solo per orgoglio.»

«Eri orgoglioso di aver arrestato Mose?»

«Ero orgoglioso per il fatto che stavo facendo qualcosa. Ma fino a questo punto tutto quello che ho fatto è stato guardare due corpi morti e parlare a un po' di gente, e questo è tutto. Non ne so piú di quando ho cominciato. A parte che ora queste donne hanno un nome e da qualche parte c'è qualcuno che le amava. E la cosa peggiore è che non ne sono nemmeno sicuro. Non ho tentato di rintracciare nessuna delle famiglie né sono andato a fargli visita. Avrei dovuto fare delle vere indagini, ecco cosa. Ed è quello che sono tenuto a fare. L'errore è stato arrestare Mose prima di tutto, poi dire che avevo arrestato qualcuno. E ho fatto questo a causa del dottor Stephenson.»

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Pagina 165

L'altra notte, qui nell'ospizio, mentre stavo sotto le coperte calde, col nevischio che picchiava con forza contro le finestre, mi sono appisolato svegliandomi al suono di un clacson, e nonostante fosse diverso da quelli delle vecchie automobili, quando l'ho udito ho pensato subito a mia nonna.

Forse ho anche chiamato il suo nome, perché in quel momento, col suono di quel corno ancora nelle orecchie, mentre capivo lentamente che proveniva dall'autostrada vicino all'ospizio, m'è tornato in mente il suo entusiasmo. Lei amava il suo clacson e non perdeva occasione per farlo sentire a tutti.

Mi svegliai pensando a lei e le lacrime mi sgorgarono dagli occhi. Non solo per il ricordo, ma perché, ancora di piú, mi erano tornati in mente quei tempi, e poi di colpo mi sono ritrovato qui, ora, e non mi piace, perché sono vecchio. Piú vecchio di quanto era lei. E io non sono certo la persona giusta per essere cosi vecchio. Perché quando non puoi vivere la vita, ti limiti a bruciarla, succhi l'aria e fai la cacca.

Forse non è l'età che conta, ma la salute. Se vivi a lungo e stai bene, è tutto okay. Se vivi a lungo e stai male, è un inferno vivente. E io sono qui a letto. E non sto bene per niente. Solo il passato sembra essere importante, ora; solo il passato può aiutare la mia anima.

Fu piú o meno due giorni dopo l'incontro con il Klan che la nonna venne ad abitare da noi. Spuntò su una Ford nera arrugginita con il parabrezza rotto e un coniglio aggrappato sul paraurti davanti. Suonava il clacson come volesse far spostare un treno.

Le donne guidavano le macchine anche a quei tempi, ma non era una cosa normale fra la gente delle paludi, soprattutto se la donna era anziana e ci si aspettava da lei un atteggiamento dignitoso. Guidare era una cosa da uomini come fumare, dire parolacce, masticare tabacco e fare a pugni. La nonna faceva un po' di tutte queste cose. Lei e il nonno erano stati un accidente di coppia, e ora che lui era morto e lei era intorno ai settanta, mi sarei aspettato che fosse un po' piú calma.

Ma il giorno che arrivò, tutti corremmo a vedere chi era, e lei saltò fuori dalla macchina con lo stesso aspetto di sempre. Era un po' appesantita, ma era davvero in forma per essere una donna anziana, alta e dall'aspetto forte e sano. I capelli erano un misto fra castani e bianchi, e li aveva raccolti in una crocchia sulla testa. Aveva scarpe da uomo marrone con i lacci e una specie di vestito di juta che doveva essere stato verde, ma che ormai era diventato grigio.

«Ehi, eccoli qua!» disse mentre uscivamo dalla casa. «Ecco qua tutto il mio pacco di parenti al completo. Oh, Gesu, quella non sarà mica Tom?»

Tom stava spiando da dietro la gonna della mamma. Era molto piccola quando aveva visto la nonna e non poteva ricordare che razza di terremoto fosse.

«Vieni qui da me» disse la nonna.

Poi tirò indietro la testa e scoppiò in una sonora risata. «Guardatela: non è la monella piú carina del mondo?»

Toby, sorpreso, cominciò ad abbaiare.

Muovendosi come se danzasse, la nonna si abbassò, prese una zolla di terra e gliela tirò. La zolla si ruppe prima di raggiungere l'obiettivo, ma Toby schizzò spaventato sotto il portico, da dove continuò ad abbaiare fino a quando papà lo fece tacere.

Poi la nonna mi gettò uno sguardo. «Tu, ragazzo, vieni qua e dammi un poderoso abbraccio!»

Mi sommergeva sempre, ma c'era qualcosa in lei che ti faceva sentire tranquillo e fiducioso. Era forte. Mi sollevò dal terreno e mi rimise giú cosí forte che mi fece sbattere i denti. Poi procedette ad abbracciare papà, ma in realtà sollevò anche lui, quindi abbracciò la mamma, che impallidi un po' e disse: «Adesso calmati, mamma, io non sono come quei ragazzi. Non resisto a tutto questo sollevamento.»

Lei si fece una gran risata, l'afferrò e le scoccò un sonoro bacio su una guancia. Nonostante masticasse tabacco, fumasse e bevesse caffè in continuazione, aveva i denti bianchi come l'avorio di un pianoforte. Diceva che li puliva sempre con un rametto di salice sfilacciato e un po' di soda, ma credo che fosse una dote naturale. Dubito che abbia mai avuto una carie. Masticava continuamente foglie di menta piperita per tenere l'alito fresco e ne aveva sempre una scorta in un sacchetto di carta che teneva nella borsa. «Amore» mi disse «vai a togliere quel coniglio dal paraurti, puliscilo, portalo qui e preparerò qualcosa per colazione.»

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Pagina 210

Il dottor Tinn e sua moglie, vestiti come per andare in chiesa, si incamminarono con me verso l'emporio. All'interno la nonna stava chiacchierando con Pappy e Camilla. Pappy era sempre il solito scoordinato, stava dietro la cassa con la parte superiore del corpo che sbandava in una direzione e poi veniva spinta da mani invisibili nella direzione opposta.

Camilla era dalla nostra parte della cassa e indossava un vestito fatto con tanta di quella iuta ricavata dai sacchi di patate da poter contenere tutte le patate irlandesi della contea e una buona percentuale della produzione nazionale di patate dolci. Era seduta su uno sgabello e rideva per qualcosa che la nonna aveva appena detto.

I sacchi di cui era fatto il suo vestito erano stati tinti di blu, ma la tintura non aveva preso bene e cosi era diventato grigio, con la debole traccia di un marchio di patate proprio all'altezza delle chiappe.

I capelli di Camilla erano pieni di brillantina e c'erano due lunghi ferri da maglia piantati in uno chignon alla sommità della testa. Quando la luce prendeva le punte dei ferri, schizzavano scintille. Dicevano in giro che Camilla usava i ferri da maglia per difesa personale. La nonna stava su uno sgabello abbastanza vicino a lei da poter chiacchierare a bassa voce e sembravano divertirsi molto. Bevevano una bibita tutti e tre. Presentai la nonna al dottor Tinn e a sua moglie e poco alla volta la nonna si allontanò dai suoi amici verso i Tinn e ci sedemmo proprio dove io e papà ci eravamo seduti il giorno che eravamo venuti a far esaminare il corpo. Presi una sedia di legno con i braccioli rivestiti di stoffa e lasciai la sedia imbottita e la poltrona ai grandi.

La porticina della stufa era stata aggiustata, e un cane marrone con una macchia bianca sul naso ci stava sdraiato di fronte. Visto che la stufa non era accesa, pensai che stesse li per abitudine. Il cane ci vide, si alzò e si diresse verso di me a testa bassa. Zoppicava. Notai che parte della sua zampa destra era stata persa in qualche incidente. Lo accarezzai e lui m'infilò il muso tra le gambe in cerca di coccole. Gli strofinai il muso.

La nonna raccontò brevemente di papà al dottor Tinn, che ascoltò con attenzione, facendo cenno di si con la testa ogni tanto. Era imbarazzante, e io avrei evitato di dire come era conciato papà, ma nessuno chiese il mio parere. La nonna aveva i suoi metodi personali.

Quando ebbe finito il dottor Tinn scosse la testa. «È davvero un peccato. Mi piace Jacob. Molto.»

«C'è una ragione se ci siamo rivolti a lei. Cerchiamo un appiglio per trovare il colpevole di questi omicidi.»

«Se sapessi chi è, signora, l'avrei detto.»

«Lo immagino. Ma che tipo di persona può aver fatto delle cose simili?»

«Vi ho sentito parlare con papà» dissi. «Ero sul soffitto della ghiacciaia. Da quello che dicevate m'è sembrato che ve ne intendiate molto di questo genere di cose.»

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