Copertina
Autore Stefano Lanuzza
Titolo Maledetto Céline
SottotitoloUn manuale del caos
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2010, Fiabesca 100 , pag. 240, ill., cop.fle., dim. 12x16,7x1,6 cm , Isbn 978-88-6222-110-8
LettoreGiorgia Pezzali, 2010
Classe biografie , storia letteraria
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Indice


  7 Céline. Un'autobiografia... Quasi

 37 Lessico céliniano
    Céline come 'Nuoveau Philosophe'

103 Opere di Céline


105 Il dottor Semmelweis
108 La Medicina presso la Ford
111 Viaggio in fondo alla notte
121 La Chiesa
123 Per eliminare la disoccupazione elimineremo i disoccupati?
125 Morte a credito
130 Mea culpa
132 Bagattelle per un massacro
142 La scuola dei cadaveri
144 La bella rogna
146 Banda dei burattini
149 Casse-pipe
152 Pantomima per un'altra volta I
155 Pantomima per un'altra volta II
157 Colloqui con il professor Y
159 Da un castello all'altro
163 Scandalo negli abissi
165 Nord
168 Rigodon
172 Il Ponte di Londra
174 Progresso


177 Louis Ferdinand Céline
    à la guerre comme à la guerre

195 Temi céliniani

231 Prime edizioni francesi delle opere di L.F. Céline

233 Selezione bibliografica


 

 

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Pagina 7

Céline
Un'autobiografia... Quasi



Anzitutto, a cominciare da oggi il critico di me stesso sono io. (L.E Céline, Bagattelle per un massacro)


Ma biographie?... Inventez-là... Per una volta senza depistare indagatori e ficcanaso, spulciando tra le mie carte o citando dai miei scritti, composta di fila e senza esagerare coi puntini sospensivi ecco la ricostruzione oggettiva d'un po' della mia già malfamata biografia, qui quasi mai apocrifa e più veritiera, o appenappena inventata, di un'epigrafe.

Sono Louis Ferdinand Auguste Destouches, ovvero Céline (mio nome d'arte e nome proprio di mia madre e della mia nonna materna, favolatrice in argot). Sono nato a Courbevoie (Seine), sobborgo di Parigi, al n. 12 della Rampe du Pont, il 27 maggio del 1894: lo stesso anno dell'inizio delle guerre italo-etiopica e cino-giapponese; lo stesso anno dell'affaire Dreyfus, accusato innocente di spionaggio filotedesco e scagionato solo nel 1906; lo stesso anno dell'assassinio del presidente della Repubblica francese Sadi Carnot, pugnalato al cuore dall'anarchico italiano ventenne Sante Caserio per avere negato la grazia all'altro anarchico Auguste Vaillant, autore nel 1893 d'un attentato dinamitardo, comunque senza vittime, contro la Camera dei deputati.

Sono proprio io, uno venuto dalla piccolissima borghesia di provincia, figlio unico di Fernand, fiammingo, modesto impiegato d'una compagnia di assicurazioni, e di Marguerite Louíse Céline Guillou, bretone, merlettaia con piccoli commerci di ricami, passamaneria, porcellane, oggetti antichi e vestiti usati.


Piccolino, mi mandano, prima, a Voisines, a balia da tale madame Bouland; e, dopo, da madame Jouhaux a Puteaux. Ed è proprio a Puteaux, sentiero d'armenti e pastori, che, ancora in braccio alla balia, mi nasce l'idiosincrasia per la campagna francese: tragico paesaggio e, con le sue strade che non vanno da nessuna parte, troppo disperante per í miei nervi più sensibili delle corna delle lumache.

Nel 1897, tutt'e tre della famiglia ci trasferiamo da Courbevoie a Parigi dove, all'inizio, ci sistemiamo alla meglio; trovando, poi, nel 1899, un'abitazione presso il Passage Choiseul al n. 67, un posto dove i parigini vanno ogni giorno a sputare o a far di peggio. Strada centrale, ma brutta e buia, sporca e maleodorante, situata nei paraggi dell'Opéra e della Borsa; e non lontana dalla luccicante rue de la Paix... La mia infanzia al Passage, insomma? Ancora più squallida del periodo a Puteaux.


Passa l'Esposizione universale di Parigi del 1900, anno d'inizio della modernità come del mio ingresso alla scuola comunale, e, nel 1908 e 1909, dopo il conseguimento, nel 1907, della licenza media, mi faccio due viaggetti con soggiorno: il primo in Germania (Volksschule di Diepholz, Bassa Sassonia; e a Karlsruhe da settembre a dicembre 1908) e il secondo, 1909, in Inghilterra (Rochester e dalle parti di Ramsgate, Broadstairs)... Sapendomi pessimo studente, i miei mi preparano a un lancio nel dorato mondo del commercio; e pretendono che impari le lingue.

Non vi nascondo che profitto delle occasioni per perdere, a Diepholz, la verginità con la mia affittacamere (per questo, mi cacciano dalla scuola) e, in Inghilterra, per spassarmela anche più allegramente... E come dimenticare, nel Meanwell College di Rochester, la moglie del direttore, la bella bellissima Nora Merrywin. La immortalo così, in Morte a credito: "Aveva un culo ch'era una meraviglia, non solo un bel faccino... Una bombettina compatta aggiustata a puntino, non grossa né piccola, aderente alla gonna, una festa di muscoli".

Ero un ragazzino indiavolatamente precoce, io: lo scrive tale Marcel Brochard su "L'Herne"... Nora? Lei, poi si suicida.


[...]


Finché, nel 1928, inizio nell'ambulatorio di Clichy, banlieue di Parigi, la mia attività di medico: che – voglio affermarlo ancora e sempre – mantiene la precedenza su quella di scrittore.

Viaggio per studio dal 1929 al 1930, anni di grande crisi economica mondiale: Londra, Anversa, Oslo, Stoccolma, Copenaghen, Amburgo, Dresda, Praga, Vienna.

Intanto, nel settembre del 1930, noto che sono 107 i nazisti nazionalsocialisti eletti al Reichstag tedesco.

Nel 1931, divenuto medico-capo (mica poco!) del Dispensario Municipale di Clichy, mi trasferisco a Montmartre in rue Lepic numero 98. Ah, ora sto con Elizabeth: dedico a lei il mio Viaggio, che, cominciato nel 1929, finisco di scrivere nel 1931. Propongo il libro agli editori Bossard e Figuier, che lo stamperebbero sì; ma a mie spese.

Lascio perdere l'ignominiosa genia degli editori a pagamento e, nel 1932, ho la fortuna di pubblicare il Viaggio dopo che Elizabeth si reca a presentarlo alla Denoël & Steele, la casa editrice di Robert Denoël finanziata dall'ebreo americano Bernard Steele. Il romanzo – uscito il 23 ottobre 1932, lo stesso giorno, dopo quattro secoli, del Pantagruel di Rabelais – lo firmo adottando, per la prima volta, lo pseudonimo di Céline.

Mancando per poco il premio Goncourt con questo mio libro costatomi quattro ore al giorno di fatica per cinque anni, vinco subito il Théophraste-Renaudot... E il Goncourt? Lo danno al 'grande scrittore', per chi lo conosce, Guy Mazeline...


Inaspettato successo e celebrità per il mio Viaggio: a destra e, ancora di più, a sinistra. Lodi da parte di Jünger, Léon Daudet, René Schwob; e di Sartre, Aragon, Barbusse, Simone de Bouvoir, Valéry, Maurois, Lucien Descaves, Bataille, Queneau...

"Céline è stato creato da Dio per dare scandalo" se n'esce quel baciapile di Bernanos; mentre vi sono gli esagerati che, non sapendo cosa dire, mi paragonano al satirico Giovenale e pure a Swift, Rimbaud, Jarry, Zola, Huysmans.

Elie Faure, bontà sua, scrive: "È il libro puro di un uomo puro". E Lévi-Strauss: "È l'opera più notevole degli ultimi dieci anni". Valéry si spreca ad avvertire che ho scritto un "capolavoro criminale" e Nizan che "la rivolta di Céline può arrivare dappertutto: tra noi, contro di noi, da nessuna parte". Più cortese l'americano Henry Miller, che viene a trovarmi a Clichy. Dopo avere letto il mio Viaggio, lui riscrive da cima a fondo il suo Tropico del Cancro, iniziato nel 1930 e uscito nel 1934.


[...]


1936: vittoria del Fronte popolare in Francia, inizio della guerra civile in Spagna, occupazione della Renania da parte dei tedeschi e proclamazione dell'Asse Roma-Berlino.

1937: distruzione di Guernica in Spagna, dimissioni di Blum in Francia e io pubblico Bagattelle per un massacro, scritto anti-israelita, va bene (ma è vero che, dapprima, mi costa il licenziamento dall'ambulatorio di Clichy e ben presto mi rovina la vita). Una carogna, quel libro: su di esso, proprio quando l'antisemitismo è in Francia diffusissimo, s'accaniscono tutte le specie di avvoltoi, sciacalli, cornacchie scornacchiate, gufi e iene.

Che faccio? M'imbarco come medico di bordo sulla linea Bordeaux-Terranova.

Periodo frenetico e gravido d'incertezze. Non contento d'essermi guadagnato le accuse di antisemitismo, m'autorincaro la dose pubblicando, nel 1938, La scuola dei cadaveri, corpo di reato nel processo del 1939 dove mi si condanna per diffamazione.

Da notare che, contemporaneamente, in Germania le mie opere vengono proibite dal governo nazista.

Nel settembre 1938, a Monaco, il premier inglese Chamberlain e quello francese Deladier sbracano e accolgono le pretese di Hitler sulla Cecoslovacchia.

Nel 1939, anno della morte di Freud, la Germania e l'Urss firmano un patto per il quale Berlino e Mosca si spartiscono la Polonia. Ora, Francia e Gran Bretagna dichiarano guerra al Terzo Reich. Ha inizio la Seconda guerra mondiale.

Ma io? A questo punto, mi rendo conto dell'inutilità di tutti i miei interventi contro la guerra... Mi chiamo fuori... Solo voglio stare!... Ma poi, dovere di patriota quantunque invalido per tre quarti, io Destouches, medico della Marina da guerra, navigo da Marsiglia sul piroscafo "Chella" che fa rotta su Casablanca.


In questo 1939, a causa di Bagattelle e Scuola dei cadaveri, vengo condannato per diffamazione. Ma non vedono cosa scrive contro di me, il 4 marzo del medesimo anno, il giornalaccio delle SS "Das Schwarze Korps"? Scrive: "La stampa ebraica e di sinistra fu all'origine del suo successo. Forse perché si poteva supporre, alla lettura di questo libro [si tratta del Viaggio ] che non ha in sé nessun valore letterario, che fosse stato scritto da un ebreo".


[...]


Tornato in libertà nel 1947 (ordine del ministro danese della Giustizia), nel 1948 sto con mia moglie a Körsor, scrivo molto, cerco in tutti i modi di sostenere la mia innocenza contro le accuse di collaborazionismo. Niente da fare: nel 1950 la Corte di Giustizia francese, che assolve la mia casa editrice, Denoël, m'accusa d'"indegnità nazionale" condannandomi in contumacia a un anno di prigione, a 50.000 franchi di multa, alla confisca della metà dei miei "beni presenti e futuri".

Ecco il dottor Jekyll trasformato nell'orrido Mr. Hyde. Ecco colui che ha denunciato le lobbies ebraiche mondiali metamorfosare in turpe antisemita. Io che, pure, nel 1944, in un articolo intitolato "Omaggio a Louis Ferdinand Céline", vengo difeso dal mensile "SHEM" del Movimento Nazionale Ebraico: "Céline resta un grande incompreso [...]. Il suo individualismo, la sua solitudine intellettuale lo fanno fratello degli ebrei". E il 24 dicembre 1948, il direttore dell'"Aux écoutes", l'ebreo Paul Lévy, scrive: "Céline scrittore, Céline poeta non può essere considerato responsabile del massacro dei nostri fratelli. Non è stato lui a creare il mostruoso Hitler che, siatene certi, ignorante e rozzo, ha ignorato fino alla morte l'esistenza stessa di Céline".

Ma io resto un disarmato bastiancontrario ridotto a capro espiatorio delle colpe dei governi e degli schieramenti, dei nazifascismi e dei comunismi stalinisti o fascismi rossi.

Lo sanno che quando i nazisti giungono a Parigi, io non mi schiero coi gruppi filotedeschi né accetto di collaborare alle iniziative giornalistiche o radiofoniche dei collaborazionisti.

Lo sanno che, in Germania, dall'avvento di Hitler, il Viaggio e gli altri miei libri vengono condannati come "arte degenerata".

Lo sanno che il mio ultimo editore tedesco è l'ebreo Julius Kittel.

Lo sanno che, negli anni di Bagattelle, quel mio abominio fatto libro, io non posso manco immaginare le camere a gas. Io, lì, in quelle pagine schiumanti, intendo denunciare la plutocrazia, cioè il 'denaro anonimo', le schifose ricchezze che guidano nascostamente ogni potere e, sottraendosi a ogni controllo, governano sia le oligarchie e burocrazie politiche, sia l'economia del mondo.

Lo sanno che quando Goebbels, quello delle campagne antisemitiche, lo stratega della politica culturale del nazismo, convoca più volte in Germania gruppi di artisti e scrittori francesi (pittori e incisori, e gli scribi Valéry, Colette, Cocteau, Giraudoux, Morand...), io non vengo mai invitato? Messo accuratamente fuori d'ogni 'collaborazione', dunque (il che mi sta benissimo).

Lo sanno che non frequento l'Ambasciata tedesca né i circoli filonazisti e che non prendo mai posizione contro la Resistenza francese.

Ma come farglielo capire? Oltre che medico — io, proprio io, io che salvo tante persone, e animali —, io non sono che UNO SCRITTORE? Lo spiego anche a Mikkelsen, l'avvocato dei partigiani. Glielo scrivo e sottoscrivo: mai lavorato per conto di radio o giornali, mai stato membro di partiti o movimenti, mai fatto politica né fatto alcunché contro il governo francese. Gli scrivo che ho solo cercato d'impedire la guerra, ecco tutto. Che poi esistano ancora gli ebrei bellicosi e guerrafondai è cosa nota: basta riferirsi alla situazione in Palestina dopo la proclamazione, nel 1948, dello Stato d'Israele...


Vissuto nella violenza (due guerre!), io la respingo del tutto. La guerra è stupida e dannosa per qualunque società. I miei libri giudicati violenti sono, invece, contro la violenza. Ancora mi perseguitano, ma bisognerebbe ricordare a certi balordi merdoni ignoranti che non sanno niente e blaterano su tutto che pure gli incolpevoli Villon, Rabelais e Voltaire, Verlaine e Rimbaud, Vallés e Zola vengono perseguitati dalla giustizia francese. Anche Baudelaire. E Hugo? Vent'anni in esilio. Cartesio rischia il rogo e Chenier finisce sul patibolo. Corneille, Flaubert? Oltraggio al pudore. Condannati! Carne braccata, siamo...

Quanto a me, purtroppo lo so che basta una sola parola del mio stile per farmi impiccare! Lo dico sempre, e si sa, che sono un autore paradossale, ironico, effervescente. Tutto in me si traspone. Mica scrivo per il Codice Civile. Io, lo ripeto fino all'ossessione, io non sono che un poeta.

Soprattutto sono lo scrittore che, prima, sa fare la perfetta simulazione letteraria dell'argot e poi, se vi pare poco, inventa una lingua letteraria nuova! Una mia possibile epigrafe la trovate tutta in un libruccio come La scuola dei cadaveri. Questa: "Quello che scrivo io lo penso, tutto da solo, e nessuno mi paga o mi spinge a pensarlo. Quasi nessuno può vantarsi di fare altrettanto, né di pagarsi questo lusso. Io posso. È il mio lusso. Il mio unico lusso. Credo bene di essere l'uomo meno comprabile del mondo. Orgoglioso come trentasei pavoni, non traverserei la strada per raccogliere un milione caduto nel fango".

Ecco qui Ferdinand, bello e scodellato.

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Pagina 37

Lessico céliniano
Céline come 'Nuoveau Philosophe'



Figli spuri del Sessantotto, giocolieri letterari e del 'pensiero poetante', iconoclasti e provocatori, ex maoisti ed ex marxisti, piagnoni e reazionari; oppure, più verosimilmente, precursori d'una 'nuova sinistra' senza Marx: sono i Nouveaux Philosophes (Benoist, Dollé, Glucksmann, Lardreau, Jambet, Guerin, Levy, Nemo) che, negli anni Settanta, in rivolta contro i tradizionali maestri del pensiero e il vecchio logos, percorrono nuove strade filosofiche e propongono forme inusitate di riflessione.

Censurati da destra e da sinistra, rifiutano ogni rapporto coi partiti politici, contestano la fede nella storia verbalizzata dagli interessi del potere, criticano il mito del progresso, la scienza manipolatrice e la tecnica che condiziona il comportamento e i consumi delle masse.

Pare che i loro mentori siano da ricercare, oltre che nella letteratura (soprattutto Solzenicyn), in personalità come Kant, Nietzsche, Merleau Ponty, Camus, Lacan, Foucault, Levi-Strauss, Althusser; ma è possibile che un sottaciuto guru, un 'maestro nascosto', sia proprio quel Céline dagli imbarazzanti trascorsi; tuttavia recuperato, nel 1981, sulla rivista di sinistra "Le Nouvel Observateur", da Bernard Henry Levy, il più noto quanto discusso dei Nouveaux Philosophes.

Già dichiaratosi "figlio naturale di una coppia diabolica, il fascismo e lo stalinismo"e dopo avere affermato, da 'célinista', che "noi non abbiamo più né politica, né lingua, non abbiamo più risorse" (La barbarie dal volto umano, 1977), Levy definisce Céline "il più grande e il più attuale degli storici del XX secolo, un secolo di cui egli è anche il sintomo e il rivelatore". Il più grande e attuale poiché, quasi a introdurre i suoi epigoni Nuovi Filosofi, egli, in tutti i suoi libri — continua Levy —, dà una precisa idea di questo nostro universo occidentalizzato ancora "grondante di orrori, di crimini, di massacri" e col suo lessico en poète o metafilosofico precorre le attuali analisi sulla massificazione degli individui, ridotti alla stregua di "folle e greggi istupidite".


Abiezione

Vi è un paradiso per carogne sia in cielo sia in terra... no, non muoiono la canaglia, la schifezza, l'abiezione, ma trascorrono da un paradiso all'altro... (Pantomima per un'altra volta II)


Affanni

Averci dei problemi non è tutto, bisognerebbe poter ricominciare la musica, andare a cercare ancora altri problemi. (Viaggio in fondo alla notte)


Alimentazione

Gli uomini si occupano di faccende grossolanamente alimentari e aperitive [...]. Li vedo, insomma, oltremodo presi da basse funzioni digestive [...]. Non sono più altro che apparati digerenti [...]. Se si tentasse di allevare i porci come si allevano gli uomini, nessuno ne vorrebbe: dei maiali alcolizzati! Noi siamo allevati peggio dei maiali, allevati peggio dei cani, delle anatre, delle galline... Nessuna specie vivente resisterebbe al regime alimentare degli umani. (M. Hanrez, Céline, Paris, Gallimard, 1961; da un'intervista del marzo 1959, registrata nella casa di Céline a Meudon)


Amore

L'amore è come l'alcol, più sei impotente e sbronzo e più ti credi forte e furbo, e sicuro dei tuoi diritti. (Viaggio)

L'amore di cui abbiamo ancora il coraggio di parlare in questo inferno, come se si potessero comporre delle quartine in un mattatoio. L'amore è impossibile, oggi come oggi. (Intervista a M. Bromberger, "L'Intransigeant", 8 dicembre 1932)

La volgarità, miei signori, comincia nel sentimento, tutta la volgarità, tutta l'oscenità! Nel sentimento! Gli scrittori così come le scrittrici, puttani allo stesso modo [...]. E allora niente gli sembra più bello, più puro, che raccontare storie d'amore... per l'Amore... dell'Amore... insomma l'intero 'bidet lirico'... Tanto che si riempiono la bocca questi rammolliti porci degenerati, del loro 'Amore'! (Bagattelle per un massacro)


Anarchia

Per essere veri anarchici bisognerebbe non aver più bisogno di mangiare... Veri anarchici sono i ricchi. (La Chiesa)

Céline non è 'costruttivo'. Costruttivo con che cosa? Co' 'sti stronzi? Pensate un po'! [...] libero, assolutamente libero [...] anarchia sempre! (Lettera di Céline a J. Lestanti, "Au Pilori", 10 settembre 1942)


Angoscia

Sono sempre dei riccastri delicatucci, figli di arcivescovi con tanto di dote a parlarvi delle bellezze dell'angoscia [...] glielo farei passare io il gusto di soffrire! (La bella rogna)


Anima

L'anima è la vanità e il piacere del corpo finché uno è in salute, ma è anche la voglia di uscire dal corpo quando questo è malato o le cose vanno male. (Viaggio)

Decisamente avevo un'anima sbottonata come una brachetta. (idem)


Animali

Tutti gli animali sono artisti, hanno le loro ore di svago, le loro illusioni, i loro periodi di rigodon, di sollazzo, le peggiori strane bestiole, le meno attraenti del regno, gli avvoltoi più volgari, le tarantole così ripugnanti, tutto danza! Si agita! Scherza! Al momento giusto! Le lucertole cieche, le piattole, i crotali furiosi di veleno, hanno i loro momenti di libertà, improvvisazione, incanto. (La bella rogna)


Antisemita

Ti vanti come un ebreo, Ferdinand!... [...]. Ogni pretesto sarebbe valido per eliminarti... Si parla di te in modo odioso... Tu sei venale... perfido, falso, fetido, astuto, volgare, sordo e maldicente... Ora, anche antisemita – il conto è completo!... (Bagattelle)


Apocalisse

S'avvera il peggio – stiamo andando dal fascismo alla guerra all'apocalisse. Il popolo è un vero affare per la Morte. (La scuola dei cadaveri)

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Pagina 111

Viaggio in fondo alla notte
(Voyage au bout de la nuit)
1932



Un libro che rivoluziona la storia della letteratura, le strutture del romanzo, il modo di scrivere; e anche un epicedio sulla vitalità, sulle disillusioni, sul dispendio e sulla fine della giovinezza.


Forse l'usuale traduzione italiana del titolo (Viaggio al termine della notte) non rende il giusto senso voluto dall'autore per il proprio romanzo: che qui si potrebbe tentare di tradurre Viaggio al limite, ovvero .cor al fondo oppure, più decisamente (ed eufonicamente), in fondo alla notte...

Scrive appunto Céline nel romanzo: "Coraggio, Ferdinand, ripetevo a me stesso, per farmi coraggio, a forza d'essere sbattuto fuori dovunque, finirai di sicuro per trovarlo quel qualcosa che fa tanta paura a tutti, tutti gli stronzi in circolazione, e che deve stare in fondo alla notte. È per questo che quelli non ci vanno in fondo alla notte".


Record d'asta a Parigi: il 15 maggio 2001, il manoscritto originale, prima stesura del Voyage, viene venduto per 1,82 milioni di euro, più di tre miliardi e mezzo tradotti in lire.

All'acquirente, un collezionista anonimo, s'oppone la Biblioteca Nazionale di Francia annunciando di volere esercitare il suo diritto istituzionale di prelazione sulle 876 pagine, scritte a penna e a matita, talora sulle due facciate, con una scrittura ora fitta, diseguale e piena di annotazioni e cancellature, ora nitida e senza ripensamenti.

Nel 1943, Céline vende il manoscritto al mercante d'arte Etienne Bignou, che lo paga con un piccolo quadro di Renoir e diecimila franchi. Morto Bignou nel 1950, il brogliaccio scompare; finché finisce nelle mani del libraio-bibliofilo Pierre Berès, che spiega d'averlo acquistato da un collezionista inglese.

Pare, infine, che non siano poche le differenze presentate dal manoscritto rispetto al testo stampato.


Iniziato a scrivere verso il 1929, anno della Grande Crisi americana, questo libro, che rompe tutti gli schemi narrativi tramandati e si presenta come un''opera aperta' scevra di moduli concettuali, è un 'antimodello' di scrittura romanzesca dapprima respinto dall'editore Gallimard e bocciato al Prix Goncourt. Edito, poi, da Denoël (in 3.000 copie di tiratura iniziale, presto moltiplicate; fino al raggiungimento di cinquecentomila copie), viene, al suo apparire, segnalato dai giornali (da ottobre 1932 a marzo 1933, più d'un centinaio di recensioni) e quasi unanimemente promosso dalla critica.

Divisibile in tre parti o 'arcate' (nella prima, la guerra, le avventure in Africa e l'esperienza americana: New York e Détroit; nella seconda, il periodo a Rancy; nella terza, il ritiro a Vigny-sur-Seine), il romanzo accoglie e rivoluziona la tradizione naturalistica.

Con la viandanza del protagonista negli scenari disperanti dell'umana commedia assumono risalto la Guerra del 1914-'18, il colonialismo, il degrado delle periferie metropolitane, la città di New York, tutta 'verticale', "dritta da far paura", lo sfruttamento del proletariato operaio nelle fabbriche d'automobili Ford a Detroit.

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Pagina 125

Morte a credito
(Mort à crédit)
1936



'Romanzo di formazione' che al suo apparire viene immediatamente bollato da tale Youri Alliecha come "anarchico, nichilista e cinico"; nonché spregiatore dell'uomo, dell'umanità tutta e della stessa vita ("La Revue littéraire internationale", n. 7, luglio 1936).


Seppure inferiore al Viaggio quanto a compattezza narrativa, Morte a credito, edito con assurde censure di talune frasi considerate oscene, ha il pregio d'accentuare l'inedito e inconfondibile stile-Céline: espressionisticamente acceso e 'gridato', barocco e visionario, infine liberato in un argotico vortice verbale pulsante d'ogni gioia e rabbia, collera e furore, strazio e disperazione. Il tutto, sufficientemente reso dalla traduzione in italiano parlato-toscaneggiante di Giorgio Caproni (nel 1964, circa trent'anni dopo la sua uscita in Francia).

"Céline [...] scrive in argot" osserva il poeta. "E la difficoltà maggiore, per chi lo traduce, è che noi in Italia non abbiamo una lingua popolare nazionale, in grado di restituire propriamente molte espressioni. Il traduttore deve compiere un tradimento. Deve inventare un linguaggio che tenti di dare, insieme, l'argot e il francese. Ci sono tutti i doppi sensi, fra gastronomici ed erotici, che non hanno alcuna corrispondenza nella nostra lingua. Anche Genet usa l'argot, e tradurlo è anche più difficile. Ma Genet è più letterario. Céline raccatta le parole dalla strada" ("Tuttolibri/La Stampa", 16 giugno 1979).


In questo lungo romanzo tutto 'parigino', brulicante di personaggi, per lo più popolani metropolitani, l'autore racconta nei modi del suo caratteristico narcisismo 'rovesciato', come dire autodenigratorio, la favola cupa d'una prima giovinezza che magari non è esattamente la sua pur esprimendosi come la soggettivistica mimesi d'un controllato, autoreferenziale delirio.

Tema narrativo principale è il tempo dell'infanzia e dell'adolescenza, dei rapporti conflittuali coi genitori e un mondo dove ogni uomo è un 'esistente sospeso', un 'morto a credito' che testimonia per un po' e come può il proprio essere nel mondo e poi sparisce per sempre. Tuttavia, il senso di morte pervadente il testo non ne intacca la vitale tenuta linguistica che trasforma il dialetto parlato in letteraria neolingua.

Articolato in una scacchiera di episodi dalla complessione pressoché autonoma e che idealmente finisce dove comincia il Viaggio, Morte a credito è come una grande fenomenologia di ossessioni: appunto ossessione della morte, che, doppiata da un disperato desiderio di vivere, introduce gli assilli della miseria, del dolore, della solitudine.

Sostenuta dal massiccio ricorso all'oralità argotico-gergale tradotta in scrittura, la narrazione è idealmente divisibile in sezioni riguardanti rispettivamente la vita familiare, il viaggio del giovane protagonista in Inghilterra e il periodo trascorso col fantasioso Roger Marin Courtial des Pereires. Collettivista e universalista, razionalista e insieme utopista, Courtial è anche cercatore di tesori sottomarini, inventore del moto perpetuo, della "patata extra" e dell'organismo di ricerca genetica "Génitron"; nonché teorico del "radiotellurismo" e del "Familisterio per la Razza Nuova".


Cos'è la famiglia, per l'adolescente Ferdinand? Un luogo del rancore. La madre Clémence? Una che lo sommerge con stupide prediche. Il padre Auguste, un ostile energumeno che lo detesta senza motivo e spesso lo picchia.

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Pagina 132

Bagattelle per un massacro
(Bagatelles pour un massacre)
1937



Che Bagattelle non sia un viatico per i campi di sterminio potrebbe dimostrarlo il fatto che, fin dalla sua pubblicazione, la propaganda nazista lo ignori completamente.


Con questo suo primo libello antisemita, Céline, che nel suo fondamentalismo non distingue le tante differenze che connotano le identità ebraiche sparse nel mondo, contribuisce a favorire la tendenza persecutoria antisemita; senza poter immaginare il costo in milioni di morti causato dalla Seconda guerra mondiale.

Comunque, dal 1942 l'autore proibisce la ripubblicazione di Bagattelle. La sua volontà è, negli anni successivi, confermata dall'erede, la moglie Lucette.

Una versione italiana del testo, anonima e non autorizzata, esce verso il 1981 presso una casa editrice, forse fittizia ("Aurora"), che riprende la vecchia traduzione pubblicata nel 1938 da Alex Alexis con l'editore Corbaccio. Sono evidenti, in tale stampa, alcune manipolazioni che accentuano l'antisemitismo del testo originale: con, tra l'altro, riferimenti a John e Jacqueline Kennedy, a Lyndon B. Johnson o, addirittura, a Sofia Loren. Menzioni che, non tenendo conto della data di stampa del testo originale, rivelano il grossolano falso.

Inoltre, il 2 gennaio 1982, il Tribunale di Milano ordina il sequestro d'una nuova traduzione di Bagattelle, stampata dall'editore Guanda nel 1981. Il provvedimento, non di censura politica, è dovuto, unicamente, all'opposizione della vedova di Céline.


Libello torbido e feroce, antisemita e razzista, dove la qualità estetica non vuol fare rima con l'etica... Uno sfogo rabbioso che, negli anni Trenta, dà voce a quello che indubbiamente è, in Europa, lo spirito del tempo; un fiotto d'odio cieco contro il fantomatico complotto pluto-giudaico-massonico; un'eruzione di collera tra le più multiformi di Céline, stipata d'ogni genere di argomenti: dall'allarme per la diffusione dell'alcolismo in Francia ("il vino, veleno nazionale!...") alle poetizzanti lodi per la danza, dall'evocazione di esemplarità medievali a intemerate contro una supposta linea letteraria "imbellettante" impersonata da Proust, Valéry e Gide; agli ebrei, ancora e sempre fatti segno d'ogni contumelia.

Gli ebrei? Eccoli divenire la causa di tutti i mali d'una degenerata umanità. Fino a sciocchezze del tipo: "Se Einstein non fosse giudeo, se Bergson non fosse circonciso, se Proust fosse soltanto bretone, se Freud non avesse il marchio... non si parlerebbe molto né degli uni né degli altri...".

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