Copertina
Autore François Laplantine
CoautoreAlexis Nouss
Titolo Il pensiero meticcio
EdizioneEleuthera, Milano, 2006, didascabili , pag. 104, cop.fle., dim. 110x180x7 mm , Isbn 978-88-89490-13-6
OriginaleLe Métissage [1997]
TraduttoreCarlo Milani
LettoreFlo Bertelli, 2006
Classe sociologia , antropologia , natura-cultura
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice

PREFAZIONE                            7

UN MONDO METICCIO                    11

I primi esempi                       13

I meticciati linguistici             29

Meticciati e culture                 37

PER UN PENSIERO METICCIO             55

Basi teoriche                        57

Una filosofia meticcia               75

Un'arte meticcia                     81

Un'etica meticcia                    91

APPENDICI                            95
Glossario                            97
Bibliografia                        101

 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 7

Prefazione



Nella parola francese métissage (meticciato) si trova, con fantasiosa etimologia (d'altra parte, il meticciato è gioioso quando viene valorizzato), tissage, ovvero tessitura, lavoro del tempo e del molteplice. Il termine métis (meticcio), proveniente dal latino mixtus, che significa «mescolato», compare per la prima volta in spagnolo e in portoghese in epoca coloniale (così come le parole «mulatto»*, «creolo»*, «sanguemisto»). Tuttavia, la nozione prende forma nell'ambito della biologia per designare gli incroci genetici e la produzione di fenotipi, ossia di fenomeni fisici e cromatici (il colore della pelle) che serviranno come supporto alla stigmatizzazione e all'esclusione.

----------
* I termini seguiti da asterisco sono inclusi nel Glossario che si trova nelle Appendici.
----------

La prima questione posta dal meticciato è quella dello spostamento e dell'estensione di questa nozione al di fuori della disciplina (la biologia) nella quale si è costituita. Se da una parte sembrerebbe ormai accettata dalla linguistica (le lingue creole) e dallo studio delle religioni, dall'altra il suo ingresso nel campo antropologico è assai più timido (gli incroci culturali), come pare esitante in campo artistico (per designare, ad esempio, il barocco), fino a divenire problematica, e per alcuni addirittura inaccettabile, nel dominio della scienza e dell'epistemologia.

L'ambizione di questo libriccino è di contribuire a trasformare questa nozione in concetto, anzi in paradigma, e di mostrare non solamente la sua legittimità, ma anche la sua pertinenza in ambiti estremamente diversificati. Il meticciato non è mai solamente biologico, ed esiste solo in riferimento ai discorsi che si tengono su tale nozione – che oscillano fra il rifiuto puro e semplice e la rivendicazione – e ai valori egemonici dominanti di identità, stabilità e anteriorità.

Il meticciato, se malinteso, implicherebbe l'esistenza di due individui originariamente «puri» o, più in generale, di uno stato iniziale (razziale, sociale, culturale, linguistico), di un insieme omogeneo*, che a un certo punto avrebbe incontrato un altro insieme, dando così luogo a un fenomeno «impuro» o «eterogeneo»*.

Il meticciato invece si contrappone alla polarità omogeneo/eterogeneo. Si presenta come una terza via tra la fusione* totalizzante dell'omogeneo e la frammentazione differenzialista dell'eterogeneo. Il meticciato è una composizione le cui componenti mantengono la propria integrità. Basti questo a esprimere tutta la sua pertinenza politica nei dibattiti sociali odierni (razzismo, integrazione, nazionalità, ecc.).

Se il meticciato è sempre esistito su uno sfondo di antimeticciato (come il viaggio e la scoperta del molteplice su uno sfondo di sedentarietà e di valutazione a partire dal medesimo), cioè di un pensiero che privilegia l'ordine e l'origine, ci proponiamo qui di mostrare che le categorie di mescolanza, miscela, assemblaggio sono insufficienti, anzi inadeguate a renderne conto, poiché esse suppongono ancora l'esistenza di elementi ontologicamente e storicamente primari che si sarebbero incontrati accidentalmente per produrre qualcosa di derivato.

L'esatto opposto del meticciato non è solamente il semplice (concretamente, la semplificazione), il separato (la separazione), il chiaro e il distinto (la chiarificazione e la distinzione), la purezza (la purificazione) della lingua, del territorio, della memoria, ma anche la totalità, o più precisamente la totalizzazione* che introduce il compatto, l'essenza e l'essenziale nel pensiero. Si tratta di mettere in discussione una certa concezione dell'universalismo, fatta di standardizzazione, di livellamento e di uniformità, che conduce a una banalizzazione dell'esistenza. È anche ciò che si chiama sincretismo*. Ad esempio, una sovrabbondanza di divinità accatastate l'una sull'altra. Se ne aggiungono sempre di più finché non si va in overdose. Il kitsch, il patchwork, il melting pot, la New Age*, la cucina internazionale sono l'esatto contrario del meticciato. Quest'ultimo presuppone non il pieno e il troppo pieno, ma anche il vuoto, non solamente attrazioni ma anche repulsioni, non esclusivamente congiuzioni ma anche disgiunzioni e alternanze. Il meticciato non è la fusione, la coesione, l'osmosi, bensì il confronto e il dialogo.

Quando il sincretismo procede all'abolizione delle differenze attraverso addizioni, aggiunte e innesti, invece che mediante sottrazioni e ablazioni come il purismo, è all'opera la stessa violenza che riduce all'unità, lo stesso processo d'integrazione in un tutto omogeneo e indifferenziato. Il molteplice si ritrova vinto, in quanto ormai assorbito nell'uno.

A nostra conoscenza, non esiste alcuna opera sul meticciato in quanto tale; ciò è dovuto senza dubbio al fatto che si tratta di un fenomeno eminentemente diversificato e in continua, perpetua, evoluzione. Sfuggendo a ogni stabilizzazione, non giungendo mai al termine, scoraggia ogni tentativo di classificazione.

L'unica grande regola del meticciato è l'assenza di regole. Non è possibile alcuna anticipazione, alcuna previsione. Ogni meticciato è unico, particolare, e traccia il proprio divenire. Ciò che nascerà dall'incontro rimane sconosciuto. Una ragione in più per proporne innanzi tutto uno sforzo di comprensione, senza cercare di erigere tipologie.

Non meraviglia, infine, che quest'opera sia frutto di un lavoro a quattro mani. E non dimentichiamo – in piena logica meticcia – che un libro è fatto dai suoi lettori tanto quanto dai suoi autori.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 57

Basi teoriche



«Tutte le cose a questo mondo sono mescolate e stemperate con i loro opposti... Tutto è mescolato, nulla è puro fra le nostre mani», scriveva Pierre Charron nel XVI secolo. Cominceremo dunque dalla constatazione del meticciato (e non dalla sua rivendicazione). La mescolanza è un fatto che non ha nulla di circostanziale, di contingente, di accidentale. La condizione umana (il linguaggio, la storia, l'essere al mondo) è incontro, nascita di qualcosa di differente che non era contenuto nei termini dati. Perciò rivendicare la mescolanza come se ci trovassimo di fronte a un'alternativa, intraprendere un'arringa a favore del meticciato, non s'impone affatto, poiché quest'ultimo è semplicemente il riconoscimento della pluralità dell'essere nel suo divenire.

In compenso, se non abbiamo altra scelta che essere meticci, paradossalmente il meticciato è stato raramente pensato in quanto tale. Il pensiero meticcio è un pensiero minoritario. Esso non è mai esistito, per così dire, nelle società non occidentali, ed è stato sistematicamente occultato in Occidente durante un periodo molto lungo che ha inizio con Platone e termina con Nietzsche, benché questo periodo conti alcune eccezioni degne di nota che si chiamano Giordano Bruno (bruciato per aver difeso la teoria della pluralità dei mondi), Rabelais, Erasmo, Shakespeare.

Se quindi l'anti-meticciato è in genere la regola (la regola, la legge, la norma, il paradigma), è opportuno esaminare in primo luogo le sue due tendenze, rivali ed entrambi fittizie, che paradossalmente si ricongiungono nel punto essenziale: da una parte, il pensiero della separazione, pensiero analitico della scomposizione in elementi, ma anche della purezza, che dà luogo a tante finzioni identitarie; dall'altra, il pensiero della fusione, pensiero questa volta sintetico, che mira alla riconciliazione dei contrari e che spesso è alla radice di numerosi totalitarismi.


L'inquietante realtà del meticciato e l'illusione rassicurante della purezza

Il pensiero ancora oggi largamente dominante è un pensiero della separazione che procede tanto a una organizzazione binaria del nostro spazio mentale quanto a una ripartizione dualista delle persone e dei generi: il civilizzato e il barbaro, l'umano e l'inumano, la natura e la cultura, gli aborigeni e gli allogeni, il corpo e lo spirito, il ludico e il serio, il sacro e il profano, l'emozione e la ragione, l'oggettività e la soggettività. Questo pensiero trova una delle sue espressioni nella costituzione di forme pure distribuite attorno ai due poli del sapere razionale e della finzione artistica, che non devono frequentarsi e ancor meno mischiarsi. Michel Serres ha riassunto così questa posizione, criticandola: «Non c'è mito nella scienza e non c'è scienza nel mito».

La logica delle separazioni a «cascata» appena evocate e alle quali aggiungeremo ancora le opposizioni tra l'astratto e il concreto, il generale e il particolare, ha condotto a un ritrarsi di ciascuno dei protagonisti sulle proprie posizioni e alla conferma rassicurante che gli spazi (culturali, ma anche mentali) dovevano restare tramezzati. A dispetto delle smentite subite (spesso sanguinose), il positivismo è lontano dall'essere morto. Permane il presupposto dell'oggettività assoluta come modello della razionalità scientifica, col suo pigro ronfare abitudinario che caratterizza quello che il filosofo della scienza Thomas Kuhn chiama «lo stato normale della scienza». Questo stato di cose non può che confortare e alimentare in permanenza il movimento di rivolta romantica così caratteristico di quest'ultima fine secolo, che trova parecchie delle sue espressioni negli ambiti separati dell'arte, della letteratura, della religione, così come in tutti i movimenti di rivendicazione differenziale.

[...]

Il discorso del puro, del semplice, del chiuso, del distinto e della frontiera (ciò che è chiaramente identificato, concepito come ciò che deve restare identico, l'essere che è solamente se stesso senza mischiarsi con nient'altro, l'appartenenza a un campo e il suo corollario, la trasgressione, che vi bolla di complicità, d'intelligenza col nemico) è un discorso privativo: senza alcol, senza macchia, senza peccato, senza contaminazione. Come se esistesse un'eternità non turbata né intorbidita dalla temporalità. Come se ci fosse qualcosa di essenziale fattosi miscuglio per puro accidente. E quando ci si rassegna a pensare il cambiamento è solo per deplorare ciò che sarebbe dovuto restare immutabile e inalterabile. Mentre il meticciato è un processo di bricolage senza fine, la purezza è dell'ordine della cernita. Essa è la stabilizzazione disperata della storia, ricostruita retrospettivamente in aiuto alle categorie del primo, del primordiale e dell'autentico, a partire dalle quali si sarebbe prodotta un'alterazione. Tuttavia, anche ponendo un punto di partenza assoluto in rapporto al quale ci sarebbe un derivato, essa non sfugge al movimento. È essa stessa un processo: quello della purificazione, della semplificazione e della mistificazione, che ha per effetto quello di sostanzializzare, naturalizzare, destoricizzare e infine neutralizzare l'incontro con gli altri.

Questa tesi della purezza è refrattaria alla sua stessa teorizzazione perché non sopporta la prova dei fatti. Essa si riconosce votata all'assurdità. L'identità «propria», concepita come proprietà di un gruppo esclusivo, sarebbe inerziale, poiché non essere che se stesso, identico a ciò che si era ieri, immutabile e immobile, è non essere, o piuttosto non essere più, cioè morto. Essere è essere con, essere insieme, condividere – la maggior parte delle volte conflittualmente – l'esistenza. Privati del rapporto con gli altri, siamo privati dell'identità, ovvero spinti all'autismo mediante l'autosufficienza e il narcisismo.

[...]

A nostro avviso, un'epistemologia meticcia non deve cercare di abolire, ma piuttosto di problematizzare, di affinare e render complessa l'analisi delle categorie, che non saranno più solamente pensiero nello spazio ma anche nel tempo. Essa ci conduce a non considerare più il locale come opposto al globale (o l'inverso), la periferia al centro, le donne agli uomini, il folle al normale, il futuro al passato (o l'inverso). Il che determina una questione che non può essere risolta dalla logica della tesi e dell'antitesi, e nemmeno della sintesi: è il non totalmente bianco né totalmente nero, il non esclusivamente uomo né solamente donna, il non veramente malato ma non per questo in buona salute, non è il passato né il futuro in sé, è la presenza del Terzo Mondo nell'Occidente (il sud del Bronx a New York) e dell'Occidente nel cuore del Terzo Mondo (Sào Paulo), è l'ibridazione che genera la natura-cultura, la politica-scienza, l'intelligenza artificiale, è «l'essere a mezza via», ma anche il pescegatto, il serpente piumato (Quetzalcóatl), la donna-ragno e soprattutto il lupo mannaro, che non è lupo a tempo pieno.

Per la razionalità scientifica la difficoltà non è rendere conto della bella alterità o di ciò che i medici chiamano talvolta la «vera malattia», quella che si può perfettamente identificare. Nella gelosia amorosa come nel sincretismo religioso – l' Umbanda in Brasile, la New Age negli Stati Uniti – si ricerca la possessione, la fusione, il godimento dell'altro come totalità omogenea indifferenziata. E, correlativamente, si negano gli scarti differenziali, quegli spazi intermedi infinitamente fluidi e fluttuanti che ritagliano e ri-dispiegano i confini e accolgono gli incontri. Quello che oggi rende necessaria un'epistemologia meticcia è tentare finalmente di pensare il distinto che non è molto lontano (l'incontro con la Romania per gli abitanti dell'Europa dell'Ovest), il lontano che non è molto distinto (i francesi per i quebecchesi e i quebecchesi per i francesi, gli argentini e la gente del Brasile meridionale per gli europei).

Questo presuppone un lavoro sulle cerniere, sulle intersezioni e soprattutto sulle transizioni, e poi un lavoro sulle parole per interpretarle, poiché la molteplicità «nomade» del meticciato implica una pluralità del dire e dello scrivere che non può più rimandare a una parola e una scrittura «sedentarie». Dobbiamo allora domandarci: potrebbe esistere un processo comparabile alla composizione musicale nella ricerca scientifica, che così non mirerebbe più (o non più solamente) a scomporre, proteggendosi da ogni contaminazione con ciò che non è se stessa? Quale potrebbe essere l'equivalente nel campo del sapere della capacità pittorica e musicale di cogliere non le asperità, le opposizioni, i contrasti e le antinomie – cosa in cui l'epistemologia classica eccelle – ma le gradazioni e le sfumature?

Tra la dolente necessità della semplificazione e della trasparenza e le esigenze del metodo, tra il monismo della totalizzazione e il dualismo della separazione, la via è estremamente stretta. Tuttavia, esistono nell'epoca contemporanea un certo numero di teste pensanti che possono aiutarci ad avanzare in questo tentativo.

| << |  <  |