Copertina
Autore William Least Heat-Moon
Titolo Colombo nelle Americhe
EdizioneEinaudi, Torino, 2003, L'Arcipelago 23 , pag. 170, dim. 124x182x14 mm , Isbn 978-88-06-16531-4
OriginaleColumbus in the Americas [2002]
TraduttoreMarco Bosonetto
LettoreRenato di Stefano, 2003
Classe storia , storia moderna , narrativa statunitense , viaggi , mare , paesi: Spagna , storia: America
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Indice

    3   Prologo

    7   Il Primo Viaggio

   87   Il Secondo Viaggio

  121   Il Terzo Viaggio

  137   Il Quarto Viaggio

  161   Note
  163   Cronologia colombiana
  165   Ringraziamenti

 

 

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Pagina 7

Il Primo Viaggio


Una calma ingannevole precedette l'alba di quel venerdi, 3 agosto, con l'acqua del Rio Tinto che riposava quieta come l'aria, senza far presagire che il mondo di li a poco sarebbe stato riplasmato in profondità, ampiamente, con forza e talvolta con violenza. Ogni inizio ha migliaia di inizi che ne hanno altre migliaia ciascuno, sicché ogni principio porta con sé innumerevoli antecedenti. Posto che è sempre miope dire di qualsiasi cosa: «Tutto ebbe inizio in quel dato momento e in quel dato luogo», possiamo miopemente affermare che la trasformazione dell'America a opera dell'Europa e la trasformazione dell'Europa a opera dell'America ebbe inizio su un pigro e anonimo fiume spagnolo nei pressi dell'altrettanto anonima città di Palos, vicino al confine portoghese. Il re del Portogallo, cioè della principale potenza navale dell'epoca, aveva rifiutato di finanziare una spedizione esattamente come quella che si accingevano a intraprendere le tre imbarcazioni pronte a salpare con la marea, mezz'ora prima dell'alba estiva.

Cristoforo Colombo, il comandante della piccola flotta, ricevette la comunione in una cappella vicina prima di salire a bordo della nave ammiraglia e, «in Nomine Domini Nostri Jesu Christi», impartire l'ordine di levare le ancore dei tre vascelli di legno, piuttosto piccoli anche in base agli standard del 1492. I marinai si chinarono sui lunghi remi e frustarono la superficie levigata del fiume, magari intonando un canto adatto all'impresa, facendo muovere le navi cariche di provviste sufficienti a molti mesi di traversata. Novanta uomini cominciarono cosí un lungo viaggio su acque inesplorate verso una terra mai vista ma in qualche modo immaginata, tra i gemiti del legno e il cigolio dei remi, sotto le vele flosce, nella speranza di trovare una rotta mai sperimentata per raggiungere 1'Asia, culla di una civiltà piu antica di quella europea. I marinai non sapevano che le coste su cui sarebbero approdati appartenevano in realtà a quello che ben presto sarebbe stato ribattezzato il «Nuovo Mondo», un continente abitato da popoli i cui antenati erano giunti li da almeno venticinque mila anni. Inoltre, fatto ancora piu importante, i marinai erano l'esigua avanguardia di un movimento di uomini che non solo avrebbe schiuso agli Europei nuovi territori ma che avrebbe altresi inaugurato una nuova era, un'era che si sarebbe lentamente, e talvolta catastroficamente, diffusa in tutto il mondo. Quei pochi marinai, inconsapevolmente ma con motivazioni altamente materialistiche, avrebbero dato origine a concezioni della civiltà del tutto nuove. Manovrando i remi, quegli abili marinai non si rendevano certamente conto del fatto che cosí stavano spingendo se stessi e tutti coloro che sarebbero venuti dopo verso un'epoca nuova che avrebbe dato un nuovo significato al concetto di umanità.

Quando la Santa Maria, la Pinta e la Niņa superarono i banchi di sabbia che proteggevano il fiume dall'Atlantico, un centinaio di miglia a ovest dello Stretto di Gibilterra, erano le otto del mattino. Il vento che proveniva dal mare gonfiò le vele pendenti e costrinse la flotta a puntare a sud finché, dopo il calar del sole, il comandante ordinò di far rotta verso le Isole Canarie. Gli uomini poterono vedere la linea del litorale per tutto il primo giorno di navigazione, ma quando si svegliarono l'indomani la terra era ormai scomparsa.

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Pagina 16

Cionondimeno, sapendo che i suoi uomini avevano paura di superare il punto di non ritorno e di essere condannati alla morte in mare, Colombo, con prudenza e saggezza, annotava ogni giorno due diversi dati riguardanti la distanza coperta dalle navi quotidianamente: uno «reale», o presunto tale in base ai suoi calcoli, e uno per difetto a beneficio dell'equipaggio. La stima minore serviva inoltre a non alimentare troppe aspettative e a far si che gli uomini sopportassero piú facilmente le lunghe giornate trascorse in mare senza segni dell'avvicinarsi dell'approdo. Qualcuno di loro aveva sentito di sicuro che per raggiungere l'India navigando verso ovest e ritornare in Spagna era necessaria una flotta capace di resistere in mare per tre anni; dunque, giacché appariva improbabile incappare in terre ignote fra l'Europa e l'Asia dove approvvigionarsi, chi si fosse imbarcato in un viaggio del genere, si diceva, sarebbe morto senz'altro. Colombo, almeno come esploratore, era fortunato: anche gli errori di geografia gli furono spesso utili. Il suo successo fu il frutto di molte cose: un'incredibile determinazione, un grande coraggio, notevoli doti di navigatore e di leader. Ma piú importante di tutte fu la sua capacità di convincere Ferdinando e Isabella, quest'ultima in special modo, della possibilità che le sue tesi fossero corrette. Se il continente americano non si fosse trovato li in mezzo, Colombo e i suoi uomini sarebbero quasi certamente morti prima di raggiungere il Giappone, cinque volte piú lontano dalla Spagna di quanto prevedessero i calcoli del genovese.

Una delle annotazioni piú significative fra quelle rintracciabili sui libri appartenuti a Colombo è un passo del filosofo e letterato romano, nato in Spagna, Lucio Anneo Seneca: «Verrà un'epoca in cui l'Oceano scioglierà le catene dell'universo, e apparirà un'immensa terra, e Tifi rivelerà nuovi mondi, né piú esisterà sul globo terrestre un'ultima Tule! [Islanda]». Ecco un altro errore che incoraggiò Colombo: Tifi è il pilota della leggendaria Argo, la nave di Giasone; ma il nome citato da Seneca era in realtà quello di Teti, una ninfa del mare. Per somma ironia, la versione della profezia trascritta da Colombo in maniera errata, volontariamente o no, è assai piú attinente all'esito reale del suo viaggio che non a quello che lui s'immaginava.

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Pagina 32

La notte avanzava, le vele si tendevano spettrali sotto la luna, le prue tagliavano i neri marosi, i marinai stanchi cedevano con riluttanza al sonno. Quelli che si addormentarono, si sarebbero svegliati al cospetto non solo del Nuovo Mondo delle Americhe ma anche di un Nuovo Mondo di concetti e oggetti, politiche e possibilità, geni e genocidi. Neppure il comandante, l'uomo dall'immaginazione e dalla comprensione piú ampia fra quelli a bordo delle tre navi, il futuro Ammiraglio del Mare Oceano, avrebbe mai capito bene a che cosa avevano dato vita quelle prue di legno.


8.

Venerdi 12 ottobre, alle due del mattino, Juan Rodriguez Bermejo, a bordo della Pinta, urlò ai compagni: «Tierra! Tierra!» Davanti a loro, fiocamente illuminata dalla luna, sorgeva una scarpata biancastra sopra la linea di una costa scura. In base alle supposizioni di Colombo, doveva essere un pezzo d'Asia, forse un'isola dalle parti del Giappone. Dunque avevano avuto ragione, lui e pochi altri: la distanza fra l'Europa e l'Estremo Oriente non era poi cosí grande! La sua flotta aveva attraversato il Mare Oceano in soli trentatre giorni di navigazione e senza particolari difficoltà (i fondatori inglesi di Jamestown, in Virginia, avrebbero viaggiato in mare per quattro mesi e mezzo nel 1607). La traversata era stata molto piú agevole che ardua, tranne che per le incertezze degli equipaggi.

Una cosa è certa: grazie a Colombo duemila anni di teorie geografiche sull'Atlantico, per lo piú sbagliate e puramente immaginarie, venivano archiviate come leggende. In poco piú di un mese, tre piccole imbarcazioni di legno con lo scafo a forma di noce americana avevano ridisegnato la mappa del pianeta azzurro. I marinai erano senz'altro in procinto di scoprire ricchezze favolose. Fin qui, la soddisfazione del comandante era pienamente motivata. Tuttavia, se egli avesse saputo dove si trovava veramente, la sua delusione sarebbe stata profonda. Colombo non voleva scoprire una coppia di continenti gemelli grandi come l'Asia, lui voleva tracciare una nuova rotta marittima per raggiungere le ricchezze dell'Oriente, voleva gli onori e il denaro connessi a quel preciso risultato. Inoltre, voleva conquistare al cristianesimo le anime degli abitanti di terre sconosciute all'Europa.

Martín Alonso Pinzón verificò l'avvistamento e ordinò di fare fuoco con un cannone per comunicare la notizia alle navi sorelle; poi i suoi uomini ridussero le vele per permettere alla Niņa e alla Santa Maria di raggiungere la Pinta. Quando le navi furono affiancate, Colombo gridò: «"Seņor Martin Alonso, avete trovato terra!", e Pinzón rispose: "Signore, la mia ricompensa non è perduta!"; e Colombo replicò: "Vi do cinquemila maravedi, come regalo!"». Il comandante, che evidentemente aveva già deciso di arrogarsi il diritto alla rendita annua (e al giubbone) per l'avvistamento del misterioso lumbre, offri al capitano un premio di consolazione che dovette sembrare a quest'ultimo tutt'altro che soddisfacente. Il marinaio Bermejo (noto anche come Rodrigo de Triana), il primo europeo ad avvistare davvero la costa del Nuovo Mondo cinque secoli dopo i vichinghi, a quanto pare non ricevette nulla.

Dove si trovava precisamente quel tratto di costa, quell'isoletta chiamata Guanahani dai suoi abitanti e ribattezzata San Salvador da Colombo? Gli storici concordano nel situare San Salvador fra le Bahamas o fra le Caicos, a sud del medesimo arcipelago, dove in tutto ci sono piu di settecento isole, isolotti e affioramenti. Negli ultimi centocinquant'anni, studiosi e marinai hanno indicato nove posti diversi, alcuni troppo distanti fra loro per essere credibili. Gli storici piu accreditati citano una di queste due isole, distanti sessanta miglia l'una dall'altra: Watling e Samana Cay. Nel 1926, gli Inglesi cambiarono il nome di Watling in San Salvador sperando di porre fine alla disputa, ma studi recenti avvalorano fortemente la candidatura di Samana Cay.

Le navi spagnole andarono avanti e indietro lungo il litorale finché il mattino non rivelò un ancoraggio sicuro, da cui alcuni uomini armati sarebbero scesi a terra sulle lance. Quando l'alba svelò l'isola, gli Europei videro distintamente una breve striscia di sabbia bianca, alla cui spalle si estendeva una terra piuttosto piatta e verdissima. Il sole che sorgeva alle loro spalle spalmò di luce dorata la foresta di legni duri; subito dopo sbucò dal folto della gente nuda dipinta di rosso, bianco e nero a motivi variegati per osservare la cosa piu strana che avesse mai visto. La curiosità vinse la preoccupazione, cosí gli indigeni rimasero lí in attesa.

Alcuni marinai scelti si misero ai remi delle lance che portarono a riva Colombo, i tre capitani, ufficiali e funzionari, fra cui un interprete che conosceva l'arabo e l'ebraico, considerati da molti gli antenati di tutte le lingue. Chissà chi fece quel primo fugace ma fatidico passo, in mezzo al suono della risacca e tra lo sventolio di bandiere e vessilli. Visto il carattere e il senso del destino di Colombo, viene da pensare che l'abbia fatto il comandante in persona. Quindi s'inginocchiò e, fra lacrime di gioia, rese grazie a Dio; poi si rialzò, battezzò l'isola San Salvador e chiamò a sé i suoi uomini come testimoni del fatto che egli stava prendendo possesso di quella terra in nome dei sovrani di Spagna e in accordo con i decreti papali. Possiamo immaginare l'incredulità dei nativi, se solo avessero compreso la lingua o il cerimoniale, di fronte a un pugno di stranieri che mettono piede sulla spiaggia e dicono, in pratica: «Ciò che era vostro adesso è nostro».

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Pagina 42

Fra le cose positive che si possono dire di questa prima caccia all'oro spagnola nell'emisfero occidentale c'è il fatto che Colombo prese nota di tanti particolari riguardanti i popoli e la natura dei Caraibi che sarebbero andati probabilmente persi se al comando ci fosse stato un uomo meno interessato all'esplorazione in sé, come un Pizarro o un Ponce de León. Colombo non è Las Casas, ma non è nemmeno come quasi tutti gli altri conquistadores che dietro di sé lasciarono soltanto devastazione.

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Pagina 51

C'è un'annotazione di Colombo che suona davvero funesta per il destino della civiltà amerindia, almeno alla luce della carneficina di cui il Nuovo Mondo stava per diventare teatro; infatti Las Casas la cita testualmente:

Sono certo, Serenissimi Principi, [...] che quando persone devote e religiose venissero e ne conoscessero la lingua, subito diventerebbero tutti cristiani, e cosí confido in Nostro Signore che faccia si che le Vostre Altezze si dedichino a ciò con grande diligenza, per riunire alla Chiesa si grandi popoli e che li convertano cosí come hanno sgominato coloro che non vollero riconoscere il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo; e, finiti i loro giorni, posto che tutti siamo mortali, lasceranno i loro regni in pace e scevri da eresia e malvagità, e saranno ben ricevuti al cospetto dell'Eterno Creatore.

Queste parole, se possono piacere a chi è animato da un fervido spirito messianico, fanno gelare il sangue a chiunque consideri un valore la diversità culturale e si preoccupi del diritto delle civiltà aborigene a conservare le loro tradizioni peculiari. Per quanto Colombo non sia mai riuscito a comprenderlo, la cultura taino era spiritualmente ricca, piena di usanze e credenze, nessuna delle quali induceva i nativi a imporre le proprie convinzioni agli altri né a ucciderli in nome di una divinità. Che i Taino imitassero meccanicamente il segno della croce non significava che fossero disposti a convertirsi, malgrado ciò che pensava Colombo, ma piu probabilmente che si divertivano a farlo, che amavano compiacere e mostrare rispetto verso gli stranieri, ignari del fatto che il capo dei forestieri e la sua regina morivano dalla voglia di impossessarsi delle loro anime cosí come del loro oro e delle loro spezie.

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Interrogando approfonditamente le guide taino, nella misura resa possibile dagli ostacoli linguistici, Colombo riuscí a tracciare un itinerario transatlantico cosí intelligente che le diciassette navi attraversarono le quasi tremila miglia che separavano le Canarie occidentali dall'approdo del Secondo Viaggio in soli ventun giorni (la Mayflower perseguitata dal maltempo impiegò piú di due mesi a raggiungere l'America circa un secolo piú tardi e mancò la meta desiderata di cinquecento miglia pressappoco). Il Secondo Viaggio fu funestato da una sola tempesta, molto meno intensa di quelle del febbraio precedente; uscite dalle zone di bonaccia delle Canarie, le navi furono accompagnate dal vento favorevole giorno e notte. La facilità di questa traversata aveva come origine un altro colpo di fortuna: i ritardi nei preparativi della spedizione avevano tenuto la flotta in porto fino al termine della stagione degli uragani caraibici. E tuttavia il viaggio sarebbe potuto essere ancora piú breve se la nave ammiraglia non fosse stata piuttosto lenta; cionondimeno, la Mariagalante sarebbe diventata la favorita dell'ammiraglio fra le tante imbarcazioni al suo comando. Il medico di bordo della Mariagalante scrisse: «Filavamo dritti e sicuri come se stessimo seguendo una rotta ben conosciuta e consolidata». La competenza nautica dell'ammiraglio, combinata con le informazioni dei Taino e con la fortuna, o la Provvidenza, che ancora una volta accompagnava Colombo, consentirono alla spedizione di compiere la traversata dalla Spagna alle Indie Occidentali seguendo la rotta piú breve e rapida, quella utilizzata a tutt'oggi da chi naviga a vela.

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Ciò che era veramente accaduto al primo tentativo spagnolo di colonizzazione stabile nelle Americhe venne alla luce negli anni successivi man mano che gli invasori e gli aborigeni imparavano gli uni la lingua degli altri. E una storia che non dovrebbe sorprendere nessuno. Poco dopo la partenza della Niņa nel gennaio del 1493, gli uomini di La Navidad cominciarono a litigare fra loro per questioni di oro e donne (e per che cos'altro sennò?). I cristiani rapinavano i Taino del primo e li derubavano delle seconde, finché ogni spagnolo arrivò a possedere quattro o cinque femmine. I marinai formarono delle bande rivali e presero a uccidersi a vicenda, continuando nel frattempo a razziare i villaggi per soddisfare la loro lussuria, finché non diedero fastidio a Caonabo, un capo con presunte origini caribe. I suoi guerrieri diedero la caccia alle bande e fecero fuori gli Spagnoli uno a uno, finché non ce ne furono piú abbastanza per difendere la fortezza. Cosí Caonabo poté conquistarla nottetempo ed eliminare gli Europei superstiti. Guacanagari, rimasto fedele a Colombo fino alla fine, presumibilmente provò davvero a difendere La Navidad, e la finta ferita era con ogni probabilità un tentativo maldestro di giustificarsi per il fallimento dell'impresa.

A decretare la sorte degli stranieri furono la loro hybris, il loro disprezzo per il popolo che li ospitava, la barbarie sfrenata della loro lussuria. Per quanto ciò fosse evidente anche in base alla breve storia di La Navidad (evidenza che avrebbe trovato presto tante conferme), Colombo e gli altri Europei non impararono niente. Quello che sarebbe potuto essere l'inizio di un grandioso e pacifico scambio culturale si era trasformato nel primo capitolo della storia dell'infamia di Cristoforo Colombo.

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Pagina 158

La caparbietà di Colombo si rivelò dunque un pregio ma anche un difetto, poiché gli impedi di interpretare in maniera corretta tante informazioni raccolte durante i suoi viaggi, informazioni che avrebbero dovuto fargli capire dove fosse giunto realmente. L'ammiraglio era uno di quegli uomini che possono trarre soltanto le conclusioni che vogliono. Morí il 20 maggio 1506, nel suo cinquantacinquesimo anno di vita, circondato da amici e famigliari, e partí per quell'ultimo viaggio ancora pienamente convinto di essere arrivato dove in realtà non era arrivato e di avere fatto ciò che in realtà non aveva fatto.

Non era sbarcato nelle Indie Orientali, non aveva raggiunto né il Giappone né la Cina, non aveva trovato il mitico passaggio per l'Oceano Indiano. Le sue spedizioni non portarono alla conversione che di pochi «Indiani», almeno finché Colombo fu in vita, e le ricchezze che in seguito sarebbero affluite nelle casse spagnole grazie alle rotte aperte dai suoi viaggi non sarebbero servite alla riconquista cristiana di Gerusalemme. Cristoforo aveva mancato l'opportunità di essere il primo europeo a scoprire l'Oceano Pacifico e il primo europeo a mettere piede con certezza sulla parte continentale di quella che sarebbe diventata la nazione piu potente del mondo, né riconobbe l'importanza di tante merci, al di là dell'oro e dell'argento, che avrebbero arricchito l'Europa e le Americhe, facendo della sua Impresa una svolta davvero epocale.

Questi fallimenti non bastano comunque a sminuire la sua figura. Ciò che getta un'ombra sinistra su Cristoforo Colombo è il fatto che l'Ammiraglio del Mare Oceano inaugurò o diede manforte a pratiche e attitudini che avrebbero condotto allo sterminio di interi popoli e culture, per un numero di vittime che alcuni stimano in quaranta milioni. Nel formulare un giudizio su Colombo non si può ignorare che le forze messe in moto da alcune sue iniziative nell'«altro mondo» avrebbero portato al piu grande genocidio della storia dell'umanità.

Cionondimeno, il navigatore genovese riuscí in ciò che nessuno aveva fatto prima di lui: tracciò una rotta che avrebbe messo definitivamente in contatto l'Ovest e l'Est e diede inizio al grande «scambio colombiano» che avrebbe rimescolato l'alimentazione, la tecnologia, l'arte e la mentalità del pianeta. Cosí facendo scolpí il proprio nome fra quello degli uomini piú celebri, anche se non sempre piu amati, della storia, e le sue gesta gli consentirono di morire relativamente ricco. La Terra non ha alcuna ragione di piangere per Cristoforo Colombo.

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