Copertina
Autore Frédérik Leboyer
Titolo L'arte di partorire
EdizioneRed, Milano, 2008 , pag. 94, cd, ill., cop.fle., dim. 14x21x0,7 cm , Isbn 978-88-7447-736-4
OriginaleAtmen, singen, gebären
EdizionePatmos, Düsseldorf, 2006
TraduttoreMara Ronchetti
LettoreSara Allodi, 2009
Classe salute
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Indice


  5 Introduzione

    LETTERE

  9 A Lisa che aspetta un figlio:
    una lettera di Frédérick Leboyer
 23 Lo zen e l'arte del parto
 50 Il dolore: una introduzione
 54 Il parto cesareo

    L'ARTE DEL CANTO E DELLA RESPIRAZIONE

 69 La respirazione
 76 Il canto del suono

    APPENDICE

 91 Come utilizzare il Cd


 

 

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Pagina 9

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A Lisa che aspetta un figlio:
una lettera
di Frédérick Leboyer



                                        Quando si nasce si piange
            perché ci si ritrova in questo palcoscenico di matti.

                                              William Shakespeare



Cara Lisa,

grazie della tua bella lettera nella quale mi racconti di essere in dolce attesa. Congratulazioni, sono davvero felice per te!

So che un'amica ti ha prestato il mio primo libro intitolato Per una nascita senza violenza e che dopo averlo letto ti è venuto spontaneo esclamare soddisfatta e piena di entusiasmo: «Ecco, è esattamente questo il modo in cui desidero partorire!». Ora mi chiedi l'indirizzo di un ospedale, di una clinica ostetrica, di un medico o di una ostetrica ai quali rivolgerti per essere assistita così. Spero tu non me ne voglia se, invece, mi permetto di dirti che credo tu non abbia perfettamente inteso le mie parole. Invece di fornirti nomi e indirizzi preferisco, spiegandomi meglio, aiutarti a chiarire in che senso ritengo tu mi abbia frainteso.

Vero è che hai confuso un po' le cose, ma non è solo colpa tua: il parto è per sua natura ambivalente, ha due facce come una medaglia e anche questo è un concetto che spero mi consentirai di approfondire.

Al termine della gravidanza la donna ha le doglie e dà alla luce un figlio – in altre parole 'partorisce'. Per quanto riguarda il bambino, invece, egli 'viene al mondo' o 'nasce'. Come intuisci già dalle parole usate si tratta di un evento doppiamente straordinario: da un lato è l'esperienza di una madre che 'dà alla luce' un bambino, dall'altro è l'esperienza di un figlio costretto a lasciare l'utero per vedersi 'messo al mondo', cioè sbalzato in un ambiente tanto diverso da quello a cui è abituato da fargli rischiare di non riaversi mai più dallo shock.

Vedi Lisa, mentre tutti riconoscono che il parto possa essere una delle esperienze forse più dolorose della vita di una donna, nessuno, prima della pubblicazione del mio libro Per una nascita senza violenza, si era mai chiesto se nascere potesse essere un'avventura altrettanto lacerante e sconvolgente per il bambino. Certo, rispetto alla concezione di una volta oggi si è disposti a credere che anche il bambino 'viva intensamente' la propria nascita, il suo affacciarsi al mondo: al momento del parto egli è già consapevole – in effetti, lo è da parecchio tempo – e prova già delle sensazioni; dispone persino di uno spiccato senso di giustizia per il quale è spinto a chiedersi: «Perché? Perché mai? Che cosa ho fatto di tanto terribile per essere messo alla porta in questo modo, per essere scacciato dal paradiso del grembo materno?». Ma il bambino è stato davvero scalzato dal suo universo o ha invece avvertito la necessità di uscire per trovare una nuova strada? Di questo tratta Per una nascita senza violenza.

Nel libro si prende in considerazione il dilemma della nascita da parte del bambino, il dramma dell'essere nato, ma non si fa accenno alcuno a ciò che il parto significhi fisicamente per la donna. In altre parole: se un neonato è già 'qualcuno' e non 'qualcosa' – somebody e non something, per dirla all'inglese – è dunque una persona e non un oggetto, allora cambia tutto. Un oggetto si tocca, si maneggia senza particolare riguardo. Con una persona è diverso: a una persona si presta attenzione.

Per mettere a fuoco la differenza basta affidarsi ai modi di dire più comuni: una donna di solito non dice di 'avere partorito', ma di 'avere avuto un bambino'; come se fosse un dono o una visita – e che visita! La visita di un principe.


Insomma, nel mio libro Per una nascita senza violenza, mi sono occupato esclusivamente di ciò che sperimenta il bambino. Non mi sono soffermato nemmeno un attimo su quanto provi la donna. Alcune lettrici si sono persino indispettite di questa mancanza: «A Leboyer interessa solo il bambino, le nostre doglie lo lasciano del tutto indifferente».

Ma non si tratta di indifferenza, ti assicuro. Se fra le pagine del libro Per una nascita senza violenza non si trova nemmeno una parola sul dolore della madre durante il parto è per due ragioni: la prima è che ero talmente affascinato e, se posso dirlo, talmente assorbito dalla mia 'scoperta' da non vedere altro. Infatti ero finalmente riuscito a capire quanto terribile e crudele potesse sembrare la nascita a un bambino e dovevo scoprire come quel piccolo nato appena venuto al mondo, il quale avrebbe dovuto essere felice di essersi liberato della sua prigione, potesse riprendersi da tanto sconvolgimento. Avrebbe dovuto essere raggiante di gioia e invece urlava disperato, sconvolto dalla paura e dallo spavento. Era una scoperta straordinaria e io non ho potuto fare a meno di confrontarla con quella dell'uomo che per la prima volta pone un seme nel terreno e lo vede germogliare: in quel momento l'uomo capisce di potere coltivare la terra e inventa l'agricoltura; ecco, allora io ero sul punto di comprendere come un bambino possa nascere senza soffrire, come possa nascere nella gioia.


L'altro motivo per il quale non mi sono occupato né del dolore della donna né della possibilità di alleviarlo è che all'epoca non ne sapevo assolutamente nulla.

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Pagina 69

La respirazione



Cara Lisa,

ora ci separeremo, ma non prima di avere appoggiato saldamente entrambi i piedi per terra.

Questo significa: non prima di averti parlato della respirazione e dell'importanza fondamentale del suo ruolo. Essa sola può salvarti quando ti troverai ad attraversare la tempesta che la grande avventura che stai per affrontare ti porrà di fronte. La respirazione, spesso fonte di confusione e di incomprensione, può aiutarti o, al contrario, se insegnata o eseguita male, esserti fatale.


Partorire è come sopravvivere alla tempesta. Ciò che può salvare la donna dal naufragio e la sua nave dallo sprofondare negli abissi, ciò che non solo l'aiuta ma che le consente di approdare sana e salva in porto con il suo carico prezioso, persino raggiante di gioia e sorridente, è la corretta respirazione. O meglio, la sua resistenza, il suo 'fiato'.


Ormai non è più un segreto per nessuno. Ma di che tipo di respirazione si sta parlando?

Purtroppo occorre dire che le tecniche di respirazione insegnate alle donne durante i molti corsi di preparazione al parto cosiddetto 'indolore' non valgono più delle altre informazioni con le quali le si subissa: così se da un lato si procede all'elenco di una serie di complicazioni che possono insorgere durante il parto, dall'altro ci si dimentica di accennare quanto raro sia il loro manifestarsi, intensificando in questo modo le paure e le ansie delle donne.

Vediamo insieme quali sono le tecniche di respirazione (inutili) di solito insegnate alle donne incinte.


* La respirazione del 'piccolo cane', un tipo di respirazione ansante e superficiale che deriva dallo yoga, nel quale è chiamata bharstrika, o 'mantice', e viene utilizzata per purificare o ravvivare l'energia. Questa tecnica di respirazione può servire alla donna esclusivamente nella fase conclusiva del parto quando le spinte sono eccessive e si rischia la lacerazione.

La respirazione a mantice va praticata solo per un breve periodo e non è adatta alla fase più lunga e a volte più estenuante del parto, cioè alla fase di dilatazione del collo dell'utero.


* «Inspirare, trattenere l'aria...» ecco un'altra tecnica di respirazione a cui fare ricorso solo quando la fase delle contrazioni si è ormai conclusa e iniziano le spinte: «Prenda aria! La trattenga! Spinga!». Anche queste lezioni di respirazione sono ben note allo yoga, ma durante il travaglio hanno come unica conseguenza la colorazione del viso della donna, che da pallido si fa dapprima rosso, per poi diventare viola. Dimenticavo che queste tecniche respiratorie possono anche provocare piccole ecchimosi oculari e fare girare terribilmente la testa alla donna. Dunque sono decisamente da evitare almeno nella fase di dilatazione. Entrambe sono tecniche di respirazione toracica, dunque da evitare, se non a fine parto, durante la fase espulsiva.


Quali altre tecniche si vanno allora consigliando per la fase più lunga del parto, quella che porta alla dilatazione della cervice?

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