Copertina
Autore Gian Luigi Le Divelec
Titolo Va dove ti porta il promotore
SottotitoloTutto quello che c'è da sapere su promotori e consulenti finanziari e che nessuno vi ha mai detto in un romanzo dalla parte deel consumatore
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2006 , pag. 150, cop.fle. dim. 12x16,7x1 cm , Isbn 978-88-7226-957-2
LettorePiergiorgio Siena, 2007
Classe narrativa italiana , economia finanziaria
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Indice


P/339                                    3

La vendita                               9

Il reclutamento                         53

Fine della prima avventura              91

Nasce un consulente                    102


 

 

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Pagina 3

Pf 339



Pf, che non è la sigla d'un extraterrestre, sta per "promotore finanziario". Assegnato dalla Camera di Commercio, 339 è il numero di matricola del protagonista di questo racconto: numero che non cambia mai, sino alla fine della vita professionale del promotore. Invece cambia il codice che la società mandante assegna al promotore proveniente da altra organizzazione. Attualmente è in atto un frenetico passaggio da una società all'altra grazie ai bonus-premio promessi dai vari gruppi, in gara fra loro per accaparrarsi nuovo personale.

La legge 1/91, pubblicata sulla "Gazzetta Ufficiale" del 4 gennaio 1991, ha creato l'albo dei promotori di servizi finanziari, prima chiamati consulenti. Chi svolgeva la professione da almeno 4 anni è stato iscritto d'ufficio; tutti gli altri, da quel momento, hanno dovuto sostenere un esame per entrare nell'albo. Per la società mandante contano soprattutto due numeri del promotore: il numero della Camera di Commercio e quello attribuitegli dopo.

Gli antenati dei promotori hanno iniziato a vendere fondi comuni un po' meno di cinquant'anni fa. Erano venditori duri e puri, temprati a superare qualsiasi difficoltà. Li definivano "ditoni" per l'indice della loro mano destra, gonfio per aver suonato innumerevoli campanelli. Gratificati con rilevanti provvigioni, non avevano remore a farsi chiamare venditori di fondi comuni. I fondi, allora erano quotati in dollari e, per concludere, bisognava portare il cliente da un notaio che rogitava l'acquisto.

Lo status professionale era basso, ma ampiamente compensato dai buoni guadagni. Le tecniche di vendita, importate dagli USA, dovevano essere conosciute a memoria e applicate con fermezza: pena l'esclusione dalla rete.

Aleggiava l'orgoglio d'appartenere a un manipolo di uomini rotti alle difficoltà e al superamento d'ogni ostacolo. Imperversavano classifiche o gare dette "contest e convention motivanti".

Dopo gli antenati, giunsero i pionieri e le tecniche di vendita furono modificate adattandole alla realtà italiana. Sul venditore di fondi fu spalmata una vernice di professionalità per portare a livelli più appetibili lo status di chi voleva fare il mestiere.

In fase di reclutamento, si esaltavano le attitudini necessarìe a intraprendere l'attività e il ruolo sociale svolto nell'aiutare il risparmiatore a scegliere la soluzione idonea alle sue esigenze grazie all'ampia gamma di prodotti da promuovere, dalle polizze assicurative ai fondi di diversa natura, purché tutti con lo stesso marchio di fabbrica. Fu coniata la definizione di consulente finanziario, un soggetto che doveva affiancare il risparmiatore. La figura del consulente finanziario veniva spacciata come quella d'un libero professionista indipendente: un imprenditore di se stesso, capace di raggiungere alti guadagni a provvigione e destinato a diventare manager di altri consulenti su cui avrebbe lucrato ulteriori provvigioni. Ciò serviva per ridurre i costi della rete quasi a zero, facendo sì che i diversi uffici o studi fossero avviati a cura e spese dei consulenti stessi.

Qualcuno cominciò a interrogarsi sulla libera imprenditorialità, visto che di davvero libero c'era solo l'orario di lavoro. Per il resto, se non si voleva essere esclusi dal branco o licenziati, doveva essere concordato un budget da raggiungere privilegiando la vendita di alcuni prodotti-pilota.

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La vendita



L'idea gli era venuta attraversando il polveroso viale della fabbrica. I capannoni mostravano ancora, dopo l'ultima guerra, i colori mimetici sbiaditi dal tempo e sui muri si vedevano i fori delle pallottole lasciati da qualche sventagliata dei mitra tedeschi o partigiani. I carrelli elevatori trasportavano al capannone della linea di montaggio cataste di barre e colli d'oca d'acciaio. Maurizio, che gli camminava accanto, disse: "Lo sai che hanno deciso di chiudere i telai?". Fu allora che Luigi pensò di cambiare mestiere. Era la primavera del 1978, e Luigi aveva quarant'anni suonati.

Spesso gli accadeva di fare un sogno comune a tanti: già adulto, si ritrovava sui banchi del liceo per sostenere l'esame di maturità. Il banco di scuola gli stava stretto, i compagni erano ragazzini e lui doveva prendere di nuovo la licenza liceale: altrimenti la laurea già conseguita e dodici anni di lavoro nell'azienda non avrebbero avuto valore; e, per giunta, sarebbe stato licenziato.

Il suo impiego, che lo portava in giro per il mondo a vendere, era interessante; ma quanto vendeva non lo era altrettanto. Lo rattristava, poi, constatare come la sua ditta, produttrice di telai per tessuto tradizionale, avesse i magazzini pieni di macchine invendute. Da ricerche statistiche fatte da lui stesso risultava che, nel mondo, la produzione di telai era di centodiecimila unità all'anno; mentre il mercato poteva assorbirne non più di centomila. Per diverse ragioni, non lo si poteva dire in giro.

Annualmente, la fabbrica produceva duemila telai e Luigi era convinto che, per le loro caratteristiche tecniche non proprio d'avanguardia, appartenessero quasi tutti a quei diecimila di troppo sul mercato mondiale.

C'era dell'altro a pesargli: quel posto lo aveva ereditato da suo padre, ingegnere nella stessa azienda scomparso prematuramente a cinquantanove anni per un intervento chirurgico sbagliato. Trascorsi pochi mesi da quella morte, il direttore generale aveva chiamato Luigi dicendogli che, per onorare la memoria, la dirittura morale e il prestigio del padre, un posto per lui era disponibile. Avendo in quel momento solo incarichi saltuari di assistente volontario all'Università, Luigi aveva accettato. La scintilla che lo aveva aiutato a decidere fu anche una cartolina-questionario d'una rivista cui era abbonato. Vi si proponevano corsi economico-finanziari dopo i quali una ristretta cerchia di eletti sarebbe stata inserita in un ambiente dinamico e gratificante, con favolose possibilità di carriera e lauti guadagni prodotti da una libera professione proiettata nel futuro. Luigi aveva sempre avuto un debole per i curricula di se stesso ed era bravo a compilarli calibrando le parole e chiosando i pochi titoli o meriti acquisiti. Lasciandosi la scappatoia d'una decisione sempre rimandabile, pensava che, se non altro, il corso gli avrebbe dato la possibilità d'accrescere la sua cultura in un campo sconosciuto. La possibile scelta d'iniziare un nuovo lavoro avrebbe però comportato tanto coraggio perché risparmi da parte non ne aveva, ma in compenso aveva moglie, cinque figli e uno stipendio che garantiva da vivere a tutta la famiglia. La ruggine sui telai, sempre allineati in magazzino e che disperatamente Luigi provava a vendere in Messico, India o Cile, gli faceva immaginare l'alternativa d'uno splendido avvenire nel mondo finanziario. Mandò la cartolina fingendo indifferenza, ma in cuor suo speranzoso.

Per mesi alternò brevi soste nella vecchia fabbrica di Firenze a puntate in qualche triste paese dell'Est. La fiera di Poznan era stata l'ultima d'una lunga serie nell'Europa orientale. Un giorno del mese di maggio, all'ora di colazione, ricevette la telefonata d'una squillante voce maschile che lo convocava per un colloquio. Gli andava bene la mattina, o il pomeriggio del giorno dopo? Luigi scelse il pomeriggio.

L'ufficio, posto sui lungarni in un seminterrato con moquette, mobili chiari e luci soffuse, era di quelli che s'affittano per brevi periodi. L'uomo in attesa era piuttosto giovane, ma con gli eleganti occhiali, i baffetti, la barba rada e curata pareva volesse aumentarsi gli anni. Senza dare troppo l'impressione che quello fosse l'unico appuntamento del pomeriggio, accolse Luigi congratulandosi per la puntualità. "Mi chiamo Tarchi e sono stato incaricato dalla mia società di costituire una prestigiosa agenzia a Firenze. Vengo da Trieste... Ah, non guardi quest'ufficio dove siamo di passaggio: abbiamo già firmato il contratto d'affitto per un'importante sede nel palazzo storico d'una delle più note strade di Firenze... La nostra società appartiene a un gruppo con millecinquecento miliardi di premi d'assicurazione nel bilancio consolidato. Banca Nazionale del Lavoro, Credito Italiano, Banca Commerciale... Gli elementi che le ho fornito le danno sufficiente fiducia per affrontare il discorso d'un suo inserimento nella nostra organizzazione. Mi dirà, poi, cosa la convince o le fa pensare che un'assunzione sia per lei positiva". Continuò parlandogli di professionalità e di mestieri del futuro, di anno Duemila e del computer al servizio dell'uomo per risolvere i problemi della gestione del risparmio. Non mancò di porre anche l'accento sulla "funzione sociale" che avrebbe "l'educare il risparmiatore a mettere da parte". Osservato che in USA la professione aveva molte decine di migliaia di funzionari, mentre in Italia erano al massimo duemila, rilevò che il risparmio sui libretti al portatore e sui conti correnti degli italiani toccava diverse centinaia di migliaia di miliardi. Concluse chiedendo di nuovo a Luigi cosa apprezzava o trovava entusiasmante nella professione prospettatagli.

Ma non c'era bisogno che Luigi rispondesse: l'altro, col suo modo affermativo di parlare, si dava da solo le risposte. Finalmente s'era ammutolito, ma per poco. Dopo una studiata pausa, cominciò a chiedergli chiarimenti sul curriculum, facendo pure spericolati sforzi di fantasia nell'immaginare le situazioni vissute da Luigi, sempre più sbalordito ma anche colpito da tante frasi a effetto che volevano far intravedere fascinosi scenari. Rimasero d'accordo che Luigi avrebbe ripensato alla proposta e scritto una serie di domande e obiezioni da sottoporre a Tarchi in un successivo colloquio; cui, possibilmente, sarebbe seguita l'ammissione al corso economico-finanziario. Luigi era uscito nelle luci del crepuscolo e aveva camminato sul lungarno come un automa. L'avevano incantato la foga, l'entusiasmo e la fede di quel giovanotto che, giunto sulle rive dell'Arno dalla lontana Trieste, procedeva spedito e senza incertezze. Perché tanta fede? Quel giovane aveva parlato della sua società come di un'organizzazione straordinaria che proponeva i servizi migliori del mondo e alla quale tutti ambivano di consegnare i propri risparmi. Doveva esserci qualcosa che Luigi non afferrava. A sera ne parlò con la moglie, ma la reazione fu come sempre concreta: diffidare d'un fanatico.

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Pagina 48

"Caro lei, vedrà che prima o poi torneremo all'orcio". "Scusi?". Luigi era seduto davanti a un pellettiere di grido, che vendeva valigie all'aristocrazia fiorentina e di varie città. Si diceva che un Rothschild fosse suo cliente, "Sa, all'epoca di mio nonno, quando si riusciva a risparmiare qualcosa — allora nessuno portava i quattrini in banca—, s'arrotolavano le banconote, si infilavano in una capsula di metallo col coperchio a vite e si nascondevano negli orci dell'olio. Cosa c'era di più prezioso dell'olio? E la coppaia veniva sprangata da una porta sicura come una cassaforte. Vedrà che torneremo a fare così". Era poi giunta la moglie: "O Gino, e c'è un funzionario della Banca d'America e d'Italia che ti vole parlare". "O che siamo diventati come Rocchefellere, che tutti ci cercano pe' i quattrini... Lo vede, sono perseguitato. Io non so se qualcuno s'è fatto delle idee sbagliate su di noi".

Andandosene, a Luigi non rimaneva che gratificarlo: "Vede che non c'è niente da fare? Lei è famoso. Averla come cliente, per noi è importante". Ma il pellettiere scuoteva la testa con aria torva...

All'inizio dell'attività di promotore finanziario, si tende a escludere parenti e amici dalla lista dei potenziali clienti temendo che presentarsi a loro possa provocare reazioni negative o disagio: non potendo rifiutare, diventano elusivi e s'ingegnano d'inventare scuse. La mamma di Luigi era stata la prima cliente e gli aveva dato fiducia a occhi chiusi, senza avere il più piccolo dubbio; ma già le sorelle mostravano delle perplessità. Per non parlare dei cognati, molto dubbiosi. Le zie materne, poi, tremavano all'idea che Luigi potesse affrontare l'argomento facendo pressioni perché affidassero i loro risparmi alla sua società.

Il mese di maggio del '79 fu eccezionale: Luigi arrivò ad accumulare provvigioni per circa cinque milioni, quanto, in altri tempi, guadagnava a stento in cinque mesi di lavoro vendendo telai. Decise che finalmente poteva, insieme alla moglie, premiarsi con una vacanza. Andò in un'agenzia di viaggi a prenotare, per i primi di giugno, cinque giorni in un albergo di Palau di fronte all'isola della Maddalena. Furono giornate ventose e piene di sole sulle spiagge ancora deserte, assaporando le prime sorsate del successo tanto magnificato da Micol, Tarchi e compagni. Sembrava che la vita cominciasse a prendere una piega diversa dal tran tran dell'impiegatuccio.

La fortuna o il caso vollero che il lunedì, rientrando Luigi per partecipare alla riunione del gruppo diretto da Micol, tornasse in Palazzo Pucci il pelato primario in pensione. Portava altri settanta milioni di risparmi prelevati dalla banca per consegnarli a Luigi che, ora, giungeva a toccare il ciElo con un dito. Micol, con aria pomposa, aveva detto al gruppo: "Ecco come si fa: si va in vacanza e si da appuntamento ai clienti affinchè, al rientro, portino i loro risparmi per contribuire alle spese del viaggio fatto"...

I controlli e le verifiche rimanevano pressanti ed esosi. Era cominciato a venire più spesso a Firenze Cissevic, che indagava su tutta l'attività del gruppo. Era stato introdotto l'uso d'un grande tabellone su cui, giorno per giorno, venivano riportate le telefonate fatte con relative risposte, le visite, i calL-back ottenuti, i contratti chiusi nei diversi tipi, il nuovo cash apportato e le provvigioni ricevute.

Si stava palesando la reale struttura gerarchica dell'organizzazione, che fino a quel momento era stata lasciata in una specie di nebulosa: Taschi dipendeva da Cissevic, che a sua volta dipendeva da Micol; e tutt'e tre riscuotevano una percentuale sui contratti conclusi da Luigi. In una di queste riunioni a sei occhi, gli dissero che presto sarebbe stato invitato a cercare nuove persone da istruire e avviare all'attività di promotore. In altre parole, Luigi sarebbe diventato a sua volta supervisore con gli onori e gli oneri che ciò comportava. Anche lui, oltre ai supervisori e dirigenti che lo sovrastavano, avrebbe preso una percentuale sul lavoro altrui, dunque. Gli strizzavano l'occhio con aria compiaciuta, promettendogli di cooptarlo "nella nomenclatura".

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Pagina 102

Nasce un consulente



"Questa è un'occasione da non perdere. L'ingresso d'una banca straniera, che fa corporate e consulenza da tanti anni, ci permette di introdurre — primi in Italia — il private-banking. Non ti sembra formidabile?". Luigi perorava l'argomento con Galeazzo Moggi, amministratore delegato della SIM. Fra loro, i rapporti erano sempre stati cordiali e improntati a reciproca stima.

Moggi lo aveva convocato a Milano per comunicargli in anteprima che aveva finalmente raggiunto l'accordo con una banca austriaca per la cessione del cinquantuno per cento del pacchetto. Alla spicciolata, aveva anche convocato gli altri sei promotori, supervisori della SIM sparsi in Italia. "Io penso che, dietro la definizione private-banking, attualmente non ci sia nulla in Italia. Č una parola che riempie la bocca e alimenta la fantasia, però non credo che per il momento sia questo il piano industriale che la Sparkasse intende mettere a punto per noi. Loro vogliono entrare in Italia gradualmente, adeguandosi al nostro sistema orientato alla raccolta del risparmio medio-piccolo. Hanno fondi di diverse specializzazioni e vorrebbero venderli tramite noi".

Luigi si domandava perché mai Moggi avesse voluto informare la rete della faccenda. Non certo per chiedere consigli o pareri, essendo abituato a decidere tutto da solo. Probabilmente intendeva coinvolgerli e motivarli, o temeva che la novità potesse portare qualcuno a lasciare per spingersi verso altri lidi. Comunque, li aveva chiamati a cose fatte. Non era certo nell'intenzione di Luigi lasciare quella società con cui s'era trovato bene, ormai, da otto anni. I rapporti erano stati, a tutti i livelli, franchi e cordiali. Lo dimostrava il fatto che fosse seduto lì, all'ultimo piano della sede milanese insieme al fondatore e dominus della SIM, a chiacchierare del futuro della società. "Guarda, Galeazzo, che un argomento di grande attualità per la nostra categoria è la consulenza. La legge ci ha chiamato promotori, ma siamo nati consulenti e tali vogliamo ridiventare. Dovrebbe essere spiegato a chiare lettere agli austriaci, provvisti dei mezzi per distribuire servizi superiori alla semplice vendita di fondi comuni. Questo ci permetterebbe d'avere maggior successo anche nel reclutamento, visto che molti colleghi di altri organismi sarebbero attratti dalla prospettiva di fare un salto di qualità con noi". "La consulenza rimane puramente velleitaria e pochi sono pronti a farla. Lo sforzo per formare e preparare dei bravi professionisti, capaci d'affiancare risparmiatori e operatori economici nelle loro esigenze a trecentosessanta gradi, sarebbe enorme. Non credo che gli austriaci, appena entrati, sarebbero disposti a sostenerne i costi. A noi, intanto, fa comodo che entrino perché potremmo collegare alle nostre gestioni patrimoniali personalizzate i loro fondi comuni, accedendo così a una clientela di piccoli risparmiatori". Sedevano in un salotto all'ultimo piano con le vetrate che davano sui tetti e le nuvole di Milano. Fuori, sul davanzale, tubavano due piccioni. Dentro, l'atmosfera era calda nei colori caffè del pavimento e nocciola chiaro delle poltrone. Moggi sedeva rilassato dietro un grande tavolo sgombro, su cui facevano bella mostra la sua pipa e la borsa del tabacco dall'odore forte. Aveva occhi chiari e una faccia sincera, incorniciata dalla corta barba. "Non dico debba essere per subito, ma cominciamo a pianificare uno sviluppo nella direzione della consulenza. Non siamo esperti nella gestione personalizzata dei portafogli? Servendoci della società fiduciaria che fa parte del nostro gruppo, possiamo proporre ai clienti di farsi gestire il portafoglio-titoli conservando le posizioni presso le loro banche e dando a noi il mandato d'impartire gli ordini d'acquisto e vendita. L'anonimato sarebbe fatto salvo e s'eliminerebbe il conflitto d'interessi". "Sicuro. Ma dovrebbe essere messo su un grosso ufficio-studi per monitorare in tempo reale i mercati, in modo da potere indirizzare gli ordini al momento giusto. Però non credo che la nuova banca intenda farlo. E poi, siamo convinti che il conflitto d'interesse sarà totalmente eliminato proprio per la presenza della banca nel nostro azionariato?". "Ma la banca in Austria non ha forse queste strutture funzionanti e non lo fa già per i suoi clienti stranieri?". "Sì, ma dovrebbe mettere su l'ufficio in parallelo con l'Italia, chiedendo le relative autorizzazioni a Bankitalia: pena sanzioni da parte dell'ufficio italiano dei cambi". "Nel complesso, Galeazzo, sono contento che entri la banca austriaca. Č una novità che ci sprona a proseguire. Ma perché hai chiesto il mio parere, se tutto era già deciso e previsto?". "Perché ho stima di te e m'interessa conoscere il tuo punto di vista. Tieni presente che da cosa nasce cosa e non è escluso che, col tempo, si possa andare nella direzione da te suggerita. Per adesso, cominciamo a lavorare con loro". Guardava Luigi con aria sorniona. Lo conosceva da qualche tempo e aveva capito come prenderlo. Allo scadere d'ogni anno, insieme agli auguri riceveva un rapporto di due o tre cartelle in cui Luigi metteva in risalto ciò che, a suo parere, non funzionava. Le critiche, per lo più, erano sull'operato dei gestori che s'incaponivano a insistere su una borsa particolare o su un titolo senza essere capaci d'anticipare i mercati nelle loro oscillazioni cicliche. Diverse volte Luigi gli aveva chiesto a muso duro se era proprio convinto d'avere scelto le persone giuste, tenuto conto dei molti soldi da sborsare. Moggi aveva dato risposte un po' fumose sull'esistenza di algoritmi predisposti in base a certe variabili computerizzate che davano indicazioni circa i momenti giusti per comprare e vendere. Gli algoritmi erano certamente più economici degli uffici-studi.

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Pagina 146

La sera, dinanzi ai primi fuochi autunnali nel caminetto, Luigi ripensava ai fatti addensatisi negli ultimi giorni. Si domandava se per caso non fosse ancora sprofondato nelle problematiche lasciate scappando da Firenze. "Finché siamo al mondo, non possiamo esimerci dal dipanare le matasse che continuamente ci vengono sottoposte" si rassegnava. S'era imbattuto in un mestiere che aveva la missione d'aiutare la gente a risolvere problemi, a meno di ritirarsi in un eremo in cima a un monte: un'idea, questa, accarezzata quando gli capitava di guardare le facce tranquille dei vecchi monaci del conventino di San Vivaldo.

Venne Natale, festa attesa con ansia da Luigi e dalla moglie che poteva riavere intorno figli e nipoti. Nei giorni dei festeggiamenti la grande casa non ospitava estranei, ma soltanto la numerosa famiglia distribuita in alcune stanze che l'installazione dei doppi volumi aveva trasformato in spaziosi dormitori.

Cominciavano i festeggiamenti ornando la casa con ramaglie d'alloro e pungitopo, intervallate da cascate di palle rosse e pigne dorate. Sui davanzali e sulle travi dei camini venivano allineate decine di candele dentro ampolle di vetro o galleggianti in bacinelle d'acqua per evitare rischi d'incendio. Si montava l'albero, sempre più imponente e faticoso da addobbare, e venivano tirate fuori le statue d'un presepe che occupava metà della sala da pranzo; con dromedari, elefanti e cavalli del corteggio dei magi. All'aperto, lungo il viale di cipressi, venivano montati festoni con piccole lampadine bianche che illuminavano le chiome degli alberi. Ognuno, arrivando alla spicciolata, si sottoponeva alle direttive della padrona di casa non sempre con entusiasmo; e capitava di sentire qualche borbottio o sbuffo, subito placati per non rattristare la mamma-nonna. Lei conservava il ricordo dei passati Natali e avrebbe voluto che il marito indossasse ancora il costume di Babbo Natale, per tanti anni al centro della festa. Luigi si rifiutava, limitandosi a inchiodare frasche e ad alimentare il grande camino; o prestava la sua opera per cuocere sulle braci porzioni di carne e castagne. Tra le collaborazioni per la buona riuscita di queste grandi feste famigliari c'era anche bisogno di aiuti esterni, tra cui l'opera della pastora con le sue teglie di arrosti e zuppiere fumanti di salse.

Al centro del tavolone di pietra troneggiava un gigantesco prosciutto con accanto un affilato coltello. La cena della vigilia, dopo che verso le nove e mezzo erano tutti arrivati, diventava un capolavoro. Scampi in guazzetto, spaghetti con le vongole, capitone arrostito, insalata di rinforzo, vale a dire palla di cavolfiore cotta intera e ornata di capperi e acciughe. Infine, il croccante di nocciole. A Luigi questo menù faceva venire le lacrime agli occhi, riportandolo all'infanzia; quando, subito dopo la guerra, andava a sfamarsi nella casa dei nonni materni. Nel pomeriggio di Natale si creavano allegre tavolate in cui, dimenticandosi delle differenze d'età, si giocava accanitamente al mercante in fiera oppure a tombola. Erano festività che i giovani celebravano solo in onore dei vecchi, con affetto sincero e un po' di sopportazione. Presto, figli e nipoti se ne andavano: così, come s'era riempita, rapidamente la casa si svuotava. Rimanevano mucchi di bottiglie vuote, sacchi di cartacce, macchie d'unto su divani e pavimenti; ma erano cose che i due vecchi accettavano volentieri, anche se con malinconia, quale prezzo da pagare per il piacere di avere avuto vicini, sia pure per poco, gli affetti più cari.

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