|
|
| << | < | > | >> |Indice7 Prefazione alla prima edizione italiana 9 Posizione del tema 15 I. Di questa glossa a Freud 18 Note 20 Dove Freud poteva vedere l'istituzione 32 Note 34 Articolare un seguito 47 Note 49 Fondazione del discorso canonico. Un ritorno al suo medioevo 53 Note 55 II. I primitivi della censura in Occidente 61 Il genitore della Parola 74 Il testo come discorso giacente 90 Trattato sulla prestanza del dottore 104 Note 107 III. Il soggetto posseduto dall'istituzione 113 L'ordine sessuale e il suo terrore 129 Politica dei confessori 147 Dove passano i ribelli? Notazioni sull'antinomia 150 Note 155 IV. L'istituzione e la sua arte del tratto 166 Note 167 V. Il discorso sospeso 175 Note 176 L'utopia patriota e la sua legge 192 Note 195 Paradigma. La burocrazia come universo felice e colpevole 211 Note 213 Inoltre, la questione del sabato. Chi occupa oggi il posto del canonista? 224 Note 227 VI. A mo' di conclusione: la funzione dogmatica e il suo unico dizionario 235 Note 237 Appendici 239 Viatico del lettore 243 Distinzioni per fondare la buona scienza. Testi esemplari 246 Note |
| << | < | > | >> |Pagina 9Questo libro tratta del Potere e dei suoi aspetti eruditi in un certo luogo della storia. Si tratta di osservare come si propaghi la sottomissione, diventata desiderio di sottomissione, quando la grande impresa del Potere consiste nel farsi amare. Il compimento di tale prodigio ha sempre presupposto una scienza particolare, che appunto eriga questo amore e mascheri mediante il proprio testo la prestigiosa abilità di un puro e semplice addestramento. In altri termini, la Legge in ciascun sistema istituisce una scienza in proprio, un sapere legittimo e magistrale, per assicurare anche ai soggetti la comunicazione delle censure e far prevalere l'opinione dei maestri. Sullo stretto spazio delle tradizioni occidentali, ma grazie all'ininterrotta successione di commentari giuridici e di nuove versioni del testo, ci si offre questa materia preservata in un modo sorprendente, una scienza perenne del Potere. Dai teologi-legisti dell'Antichità ai manipolatori delle propagande pubblicitarie, si è venuta perfezionando un'unica e medesima attrezzatura dogmatica con lo scopo di adescare i sudditi con quel mezzo infallibile che qui è in questione: la credenza d'amore. Sarà dunque riaperta la vecchia trincea dei dogmatismi in cui ancora si radicano le mirabolanti scienze umane, troppo male informate circa il loro terreno. Bisognerebbe mettere in evidenza una trasmissione, e poi il più moderno giuoco delle tecniche ancestrali del far credere. Senza queste tecniche, non c'è istituzione, non c'è quindi né ordine né sovversione. Il titolo del saggio L'amore del censore sta a ricordare, secondo lo stile ingenuo dei teorici medievali della Legge, fondatori in occidente di una medicina dell'anima, che il Potere arriva a toccare il nodo del desiderio; per questo prodigio, l'oppositore può essere definito colpevole e l'errore una colpa. Mi accosto quindi all'istituzione per questa via particolare, il Diritto, riconosciuto come la più antica scienza delle leggi per reggere, cioè dominare e far marciare il genere umano. E qui vedremo i tecnici delle propagande occupare il posto prestigioso un tempo riservato alle diverse specie di giuristi. Il testo degli antenati è stato trasmesso; per certe vie che per l'antropologia sono diventate oscure, esso è stato accolto nelle organizzazioni nazionalistiche dei tempi moderni; con i suoi bei pezzi originali, mutuati dal Diritto romano e dalla teologia cristiana, prosegue la carriera, trasforma la propria lingua, migliora e sviluppa la propria casistica. Il taglio che do è evidentemente parziale, poiché non intende considerare l'istituzione nella sua totalità, così come gli occidentali l'hanno costruita dietro una cortina tradizionale, in cui la filosofia tedesca del XIX secolo ed Hegel in primo piano hanno ben distinto gli elementi romano-cristiani. Entro questo saggio intendo soltanto dimostrare l'affossamento dei temi che fondavano la credenza nel Potere nell'Europa medievale: temi progressivamente sommersi dalle più affabili interpretazioni e nondimeno sempre presenti nel cuore del testo. Mi propongo di fare apparire la funzione del dogmatismo in quella grande parata sociale che per comodità chiamiamo sistema giuridico e quindi di far rilevare il punto del passaggio obbligato di ogni dottrina che enunci la sottomissione: una sessuologia, per assicurare e giustificare il potere dei capi. In questo inevitabile passaggio (in cui può essere avvertita, nella sua forma delirante ma rigorosamente ordinata nel testo, la mitologia primordiale recitata alla maniera occidentale) il Diritto divulga un certo regime delle credenze e si inaugura quale utensile politico. Comprendere come giuochi una così radicale manipolazione dei simboli sessuali, a partire da tale sapere arcaico, dovrebbe aiutare — o almeno così voglio sperare — a rappresentarci più chiaramente i giuochi contemporanei del dogmatismo nell'istituzione che ci contiene. In entrambi i casi la psicanalisi pretenderà di farci cadere il suo sguardo più da vicino. Il presente lavoro s'inscrive nell'ambito di questa impresa: penetrare il camuffamento dogmatico per osservare il fenomeno istituzionale. Le questioni si enunceranno sufficientemente, di pagina in pagina, senza che sia necessario dichiararle una per una in questo preambolo. Tengo invece a dare il tenore della cosa al lettore. Questo libro non varrà ad affrancare nessuno, poiché io non pretendo di mostrare il rovescio o il dritto delle carte. La psicanalisi non si riduce alla chiave dei sogni, e tanto meno al sospiro di sollievo che sempre accompagna il diniego della loro storia in tanti soggetti di una vecchia monarchia governata pontificalmente (parlo della Repubblica francese), in cui si riconosce, l'ho sempre detto, la fattura occidentale di uno stato selvaggio prescritto anche sotto il regime industriale. | << | < | > | >> |Pagina 63[...] A. Generazione del testo: il pontefice è innanzitutto proposto come simbolo, per giustificare o verificare ogni enunciato L'insieme del Diritto canonico, eretto nel medioevo a Diritto pontificio, non può essere isolato da questa necessaria introduzione: il riconoscimento del pontefice. Si comincerà quindi da questa, con i commentatori classici, considerando l'enunciato grezzo di una rappresentazione simbolica, ritenuta da tutti fondamentale, poiché avvolge l'intero sistema; poi occorrerà accorgersi di una perentorietà della maschera e tentare di recuperare, per lo meno in parte, una realtà messa così al riparo. Il discorso canonico mostra, in primo luogo, il pontefice unico e sovrano. Seguiamo puntualmente la grammatica di Graziano, grande raccoglitore della tradizione (si veda l'Appendice 1) e osserviamo la posizione fissata. Il papa si trova localizzato molto precisamente, tramite una teoria sull'origine e la classificazione normativa dei testi; queste domande molto tecniche sulla gerarchia delle fonti del Diritto (come guidare il canonista tra queste migliaia di frammenti, di provenienza estremamente varia: concili generali e locali, opere dei santi autori, legislazione secolare, ecc.?) sono a una delle prime svolte della dialettica, poiché si tratta di superare i contrari designando per tutti i casi il garante ultimo. Il papa, tuttavia, se è vero che effettivamente tale garante è lui, non giunge al discorso in un modo qualsiasi. Vi si mostra al posto di un altro; è autenticamente innalzato a rappresentare l'Assente. Che cosa si dice a questo proposito? Il riferimento alla teologia della Scrittura, al gesto di Mosè che consacra il grande sacerdote, al rituale salomonico che istituisce il potere e la funzione dell'esorcista per liberare i corpi posseduti dai demoni ricorda che il pontefice romano ha ricevuto l'incarico disumano di comandare all'alto e al basso. Egli tiene le chiavi mistiche. La sua sentenza secondo questa dottrina del trasmettitore dichiara la Legge e mantiene la Chiesa sacrosanta. I glossatori hanno denominato perfettamente questa situazione, con l'aiuto del termine, evocativo per il giurista, di vicarius Christi, con allusione allo schiavo vicario, lo schiavo che, secondo la tipologia del Diritto romano antico, ha ricevuto la missione generale di rappresentare il padrone e gestire in sua assenza i suoi affari di qualunque tipo. A questa designazione di un ruolo si accompagna il seguente formidabile contributo: il giuoco di essere anche Romano. Più avanti si valuterà la conseguenza principale, quella di non sapere mai dove finisce il Potere. È vero che ci sono, come ho già detto, secondo la distinzione, il papa e l'imperatore, un Diritto canonico, un Diritto romano. Ma è avvenuta una traslazione d'impero (translatio imperii) e il sommo pontefice appare nella catena dei segni come doppio dell'imperatore romano, fino al punto di ricevere le stesse formule simmetriche, lo stesso attributo per cui è l'oracolo. Il valore del sistema ci guadagna, poiché acquisisce un elemento supplementare, che unisce contemporaneamente il dissimile e il simile, che viene ad accrescere la capacità energetica dell'insieme e a rafforzare il significante degli enunciati. Ecco, raccolta nella produzione letteraria della famosa Disputa delle Investiture (fine dell'XI secolo), una concisa esposizione delle qualità del pontefice sotto la rubrica «i dettami del papa» (dictatus papae): [...] — Solo il papa può far uso delle insegne imperiali. — Il papa è il solo uomo a cui tutti i principi bacino i piedi. — È il solo il cui nome venga pronunciato in tutte le chiese. — Il suo nome è unico nel mondo. — A lui è permesso deporre gli imperatori. — A lui è permesso, in caso di necessità, trasferire un vescovo da una sede a un'altra. — Può, ove lo voglia, ordinare un chierico di qualunque chiesa. — Nessun sinodo può essere chiamato generale senza il suo ordine. — Nessun testo canonico esiste al di fuori della sua autorità. — La sua sentenza non deve essere emendata da nessuno ed egli può emendare da solo quella di tutti. — Non deve essere giudicato da nessuno. — Nessuno può biasimare una decisione della Sede apostolica. — La Chiesa romana non ha mai sbagliato e, come attesta la Scrittura, non potrà mai sbagliare. — Dietro suo ordine e con la sua autorizzazione è permesso ai sudditi accusare. — Il papa può sciogliere i sudditi dal giuramento di fedeltà fatto agli ingiusti. Riassumo, a questo punto dell'estratto, l'indicazione dell'onnipotenza: il papa è il primo assoluto, indi il padrone di tutto e di tutti: riferimento, così, agli autori della belle époque. Fino a questa presentazione delle cose fatta dai medievali, la sola, notiamo, che sia chiamata a giustificare la versione del primato pontificio esposta solennemente ancor oggi dagli storici della Santa Sede, si coglie solo l'esplicito riferimento al Padre, detto chiaro e tondo. Ma seguendo più da vicino la globalità del discorso, com'è detto da Graziano, si vede che si inserisce l'esposizione dell'ordine sacerdotale e di una scala per la sottomissione che parte dal papa per governare i chierici. In altri termini, la dottrina del pontefice include il rinvio allo statuto generale del clero, o, come viene detto altrove, a uno dei due generi in cui si suddividono i cristiani, qui quello clericale. E se può comandare ai laici, il sommo pontefice appartiene alla prima classe. Ne viene allora al testo il segno distintivo, che porta il criterio di una disposizione del genere, che da parte sua, come vedremo, fonda anche una seconda logica che non ha posto nell'enunciato. Il fatto che il sacerdote professi la castità. La regola di continenza sancisce nella Chiesa occidentale l'interdetto principale, trattato molto diffusamente dai canonisti, per giustificare e costruire il trinceramento dell'ordine sacerdotale dietro il suo particolare statuto. Entriamo per questo verso in quella zona della Scolastica in cui si distinguono il puro e l'impuro. Ciò che sporca le mani del sacerdote vi si trova definito dai tre temi: la donna, il sangue, il denaro. Queste tre dottrine si collegano strettamente con la vasta teoria dei poteri del pontefice, giacché sollevano nel più profondo la questione di un Diritto e di una teologia della Penitenza, cioè la questione di un ministero ecclesiastico della riconciliazione che assume lo scambio del peccato contro la pena. Questa ricostruzione dell'innocenza sarà presa in considerazione più avanti. Tuttavia, si deve precisare fin da adesso che l'obbligo sacerdotale della castità sta nel testo medievale in diretto rapporto con un'altra divisione della sessuologia, che invece riguarda i laici, in cui si è costituita una tematica molto diversa che rappresenta come motivo centrale la donna punita. Di questo riparleremo, principalmente dalla parte dell'uomo, il soggetto-padrone del Diritto canonico (per il fatto che tale soggetto figura come portatore del fallo). Qui, dunque, appare soltanto il sacerdote sottomesso alla continenza e, per questo, rivestito dei segni. Indicazione reiterata, che enuncia nello stesso tempo i propri simboli complementari. Scelgo come esempio questo, che traduce il rito della rasatura del capo: per istituzione della Chiesa romana, si dice espressamente, si vuole così designare la corona del regno mistico e la castrazione fittizia. | << | < | > | >> |Pagina 113Consideriamo questa funzione essenziale: l'istituzione regola e misura la paura. Che la Legge sia investita dell'onnipotenza, lo mostrava già prima la messinscena del pontefice, il prestigio che accresce il testo, l'autorità che fonda la scienza del dottore. Viene ora il momento di dischiudere quell'imponente dottrina che in definitiva traccia il cerchio in cui devono operarsi le elementari perdite di possesso, dove cioè si emanano consegne più gravose, mediante cui l'istituzione avvia davvero la sua grande opera, il riassorbimento cioè del desiderio attraverso la sottrazione dell'oggetto d'amore. Affrontiamo qui le divisioni principali tra il lecito e l'illecito. Per apprezzare i prodigi di questa psicologia dogmatica, bisognerà sopra tutto lasciarsi condurre dall'iniziazione primaria; quella che mira alla sinderesi, chiamata ancora dagli scolastici «la scintilla dell'anima» (scintilla conscientiae); ossia l'esistenza in ogni uomo di una facoltà innata, parte superiore della Ragione, che distingue infallibilmente il bene dal male. L'istanza del rimorso, ecco la sinderesi: un giudice interiorizzato, inserito nelle facoltà dell'anima, secondo il concatenamento naturalistico della macchina come la si vede descritta dai teorici del XIII secolo, fondatori di quella Scolastica messa durevolmente a profitto dalla Chiesa romana. Si cercherà qui di cogliere la teoria delle virtù e dei vizi che ne consegue e il suo enunciato fondamentale sotto una classificazione così generale degli atti umani. Se quest'informatica tradizionale comporta, con le sue nomenclature e i suoi precisi criteri, la certezza assoluta che tutti i casi particolari troveranno necessariamente un posto nella classificazione complessiva, questo funzionamento normalizzante e automatico ci svela un'altra logica, che inaugura il contrasto del Tragico, il processo dell'infelicità e del godimento. A questo proposito ci verranno indicate molte notazioni che potranno dimostrare come l'intero sistema si premunisca contro le rotture dell'equilibrio.
Quindi, nel discorso medievale s'instaura lo sforzo per alterare il
desiderio e rivelare una sublime parata. La sessuologia canonica, preziosa a
tutte le società nazionali del cosiddetto occidente cristiano, particolarmente a
quella francese che non abdicò mai a una delle versioni più persecutorie, ha
assunto la forma di una Regola delle regole e si propone come guardiano nel
vasto dispositivo istituzionale. Una delle osservazioni più importanti che si
possano fare consiste nel rilevare
la costanza del tema sessuale per sottolineare con ostentazione,
in seno al sistema canonico, l'indiscutibilità della Legge,
il suo fondamento scritturale e l'eccellenza dei suoi principi nel governare gli umani.
Così visibilmente posta quasi all'avanguardia del giuoco strategico, di cui, in
questa fase dello studio, ricerco le regole pratiche, la teorizzazione sessuale
del Diritto canonico obbedisce rigidamente alla funzione di cui costituisce
l'argomento. Dopo questa premessa:
A. Una dialettica dell'infelicità e del godimento. L'istituzione mira a un punto di annullamento L'istituzione affascina con il suo oggetto. La dottrina ne rende conto esattamente, al termine di uno sforzo grazie a cui il giurista giunge a trasporre nella materia del precetto e dell'interdetto tutto ciò che riguarda il desiderio. Ma prima di arrivarci, in quel luogo unico in cui s'instaura il vantaggio della Regola che il Diritto presenta come tale, prodotto finito della lunga svolta, sarà stata necessaria quell'alchimia che trasforma la pulsione in peccato (analisi dei movimenti principali dell'anima), che idealizza il timore come dono dello Spirito Santo (economia dei sette doni divini), che infonde alla simbolica dei sette peccati e delle dodici virtù un'assiomatica che sappia anche fare un posto, sia pure minimo, all'idea sovversiva di un'indifferenza degli atti umani. Poiché trae profitto da un tale apparato, attraverso nozioni logiche attinte principalmente da Aristotele, dai retori latini e da Sant'Agostino — eretti ad autorità, garanti del segno —, il discorso canonico è senza falla e si rivolge a tutti i suoi sudditi senza accezioni, vale a dire a tutta l'umanità e innanzitutto a quella occidentale, di cui traduce l'alterco, una versione storica dell'Uomo immerso nell'istituzione della sua cultura. Cogliere in che cosa e per quali precise ragioni attinenti ai bassifondi della scienza questo discorso s'imponga quale Parola solenne atta a far tremare rimanda, di conseguenza, alla fondamentale perentorietà di una teoria in grado di dirci ciò che fa andare avanti l'uomo. Se ne fornisce la chiave (proprio quella che fa problema in psicanalisi) con la teologia del peccato originale, senza cui non è possibile intravedere lo stretto passaggio in cui si collegano la Scolastica e l'antropologia. Riprendiamo il filo dei testi, scelti tra quelli più classici. Che il godimento, in quanto designa il fallo come luogo della spartizione assoluta e come simbolo originale che istituisce gli opposti versanti di ogni soggetto umano, sia l'iniziale della teoria, di qualsiasi morale dei medievali, di questo seguirò la traccia e la prova meno dubbia nell'opera dei fondatori, tra la scuola di Anselmo di Laon e San Tommaso d'Aquino, venerato sopra tutto, bisogna ricordarlo, sotto il sublime tratto del Dottore Angelico. In questo vivaio dottrinale si trovano le giustificazioni del sapere canonico per le questioni della Penitenza, matrice delle regolamentazioni particolari. Vi si spiega che prima del peccato Adamo viveva in paradiso immune da malattie ed esente dalla morte. Se avesse conservato l'innocenza di quello stato, avrebbe ignorato la passione a tal punto che nell'atto generatore non avrebbe provato maggior piacere di quello che si prova toccando un sasso con la mano. Avrebbe così generato una razza santa e pura. Ma sopravvenne il peccato, da cui deriva tutto il male per l'intera umanità che in tal modo subì la condizione di Adamo, genitore primordiale secondo un famosissimo testo di Agostino commentato a non finire dagli scolastici. Una volta consumato il loro crimine, i nostri primi genitori conobbero la vergogna di vedersi nudi; come conseguenza immediata del peccato, gli organi genitali erano corrotti per sempre, essendo divenuti ora la sede del piacere. I commenti differiranno quanto all'interpretazione della felicità paradisiaca e in particolare circa l'assenza di una morte fisica; riguardo alla concupiscenza, invece, indissolubilmente collegata al peccato di Adamo, le obiezioni si limiteranno a sfumature o affettazioni giuridiche (nozione estensiva del male, passando da una dottrina della giustizia originale). La corruzione del corpo ha falsato l'ordine naturale tramite l'instaurazione del godimento. | << | < | > | >> |Pagina 195Fra queste osservazioni sulla situazione francese, è per noi giunto il momento di considerare la burocrazia. Anche con questo oggetto, — oggi essenziale al discorso dogmatico — l'istituzione recita la sua parte, sotto i nostri occhi, nel grande spostamento delle censure. La devozione più rigida e le parole di disgusto, la solennità giuridica e la fantasmagoria sui temi antagonistici della felicità tramite l'organizzazione e poi di una radicale sconfitta dei gruppi umani tiranneggiati da Amministrazioni giganti automatizzate, tutti questi elementi di una complessa liturgia mantengono qui l'enigma e la parata. Nei confronti delle dottrine tradizionali, siamo al capitolo delle passioni, in cui si mercanteggia il giusto prezzo per la certezza di essere sottomessi e di comunicare l'amore del Potere. In questo breve passo cercherò di indicare dove bisognerebbe andare, per comprendere la funzione di questo luogo di angoscia, che deve fissare la gelosia e gratificare mediante qualcosa. In maniera estremamente diretta e solida vi si determina un nodo sociale, assai ingarbugliato perché si possa, di tanto in tanto, far finta di troncarlo. Notiamo innanzitutto che la scienza, su questo terreno della burocrazia, viene a compiere meccanicamente il suo lavoro di oscuramento, sbarrando gli accessi. Infatti in questa materia nevralgica in cui si trasmettono e si ammodernano le più vecchie tecniche dell'addestramento, è in questione la credenza fondamentale, poiché si tratta di fissare la frontiera invalicabile del sacro e di sistemare (nel nuovo stile della verosimiglianza) il luogo logico dell'onnipotenza, dell'onniscienza, ecc. Ecco perché la conoscenza delle realtà burocratiche resta in Francia strettamente dipendente da una scienza ufficiale, in particolare dal Diritto amministrativo, sapere quanto mai cauto, le cui origini canoniche sono state perfettamente identificate; la scienza dei giuristi perpetua in buona parte il testo ancestrale e procura un rifugio al mito storico del pontefice, qualunque cosa accada. Malgrado la riconosciuta audacia dei pamphlets, si prende ancora dai legisti un manierismo erudito, per parlare per sottintesi della burocrazia (associata all'idea stessa di Stato), faccenda di specialisti che in Francia continuano a essere una specie di teologi; annotazione straordinaria agli occhi di certi osservatori stranieri, poco abituati ai condizionamenti mitologici del nazionalismo francese. Senza dubbio la sociologia, scesa finalmente dal suo piedistallo, non ha mancato di interessarsene. Conosciamo ormai un po' meglio, grazie a queste ricerche, la tecnica per aggirare gli sbarramenti dell'informazione; è stata penetrata la zona, sino ad allora notevolmente camuffata, dei rapporti di lavoro; si sono pure affrontate certe questioni, più o meno benigne, attinenti alla difesa dei vertici su cui troneggiano gli intoccabili. Per la comprensione, è sempre tanto di guadagnato, ciascuno lo ammetterà. Ma chi non vede che questo grosso lavoro, nonostante i suoi risultati, giunge a impantanarsi nei paraggi di quella consueta tentazione in cui, secondo l'uso e nelle forme, perisce in Francia la critica delle cose del Potere: servire lo Stato? Il recupero è in definitiva sufficientemente avanzato, sotto l'egida di una propaganda governativa che esalta le dolcezze della Nuova Società, perché sia possibile riconoscere questo apporto della scienza dello sblocco (la cosiddetta sociologia delle Organizzazioni): stabilire i canoni di una critica sopportabile. Questo processo di digestione politica è importante da parecchi punti di vista; non solo autorizza la riconduzione e il rafforzamento delle chefferies che gestiscono pontificalmente lo Stato e tutti i suoi annessi (risultato contrario alle pie intenzioni ostentate dalla sociologia specializzata), ma traduce quel costante fenomeno di ripetizione grazie a cui i sistemi dogmatici ricreano o rimodellano le loro ortodossie. Su questo fatto considerevole dell'assimilazione selettiva delle produzioni delle scienze cosiddette umane o sociali nel discorso dogmatico, il mio saggio dovrà ritornare in seguito per identificare alcune sue essenziali conseguenze. | << | < | > | >> |Pagina 229Al termine dell'esercizio, è necessario reinscrivere il legame tra le strutture che si enunciano nel corso di ogni psicanalisi e la costituzione materializzata da ogni discorso giuridico (quand'anche quest'ultimo fosse modernizzato o ricostruito con i mezzi non tradizionali, gli stessi delle cosiddette scienze umane): in entrambi i casi c'è un testo a rendere il conflitto solenne, a escludere altre versioni, a proseguire metodicamente il proprio argomento. Con questa essenziale considerazione, che viene a sottolineare l'unità formale da cui procedono le varie specie del dogmatismo, può dunque essere annodata la ricerca di una teatralità concordante tra due sistemi retorici, tra i loro passaggi rigidamente regolati per fare avanzare la logica senza tradire la verità dei simboli. C'è da condurre un ampio lavoro a condizione tuttavia di percepire la differenza dei monumenti, differenza evidente, ma che deve essere ricordata in ogni circostanza agli esegeti che vogliano raffrontare i due testi: non si potrebbe passare da un piano all'altro, dal giuoco analitico in cui si produce il testo parlato del paziente alla simulazione giuridica in cui la Legge si dice sotto la copertura di una Scrittura, senza prima riflettere e senza tornare spesso alle componenti elementari da cui si può riconoscere la funzione dogmatica. Noto anche questo: accanto al suo valore euristico in generale, è il caso di ricordare l'importanza di un tale raffronto, dal punto di vista della psicanalisi, come presa in considerazione da parte di ogni analista sia della grande opera freudiana sia della propria esperienza corrente. A questo proposito ci sarebbe molto da ricavare da una prosecuzione di questo sforzo, al fine di situare in maniera più certa l'eresia del discorso di Freud, indi il sovvertimento del soggetto in balìa dell'analisi, su un piano qualsiasi dell'assetto occidentale; al fine di considerare, quanto all'avvenire e all'illusione, se la psicanalisi, trasformata a poco a poco in dottrina nell'ordine moderno delle tattiche del Potere, sarà stata solo un incidente di una particolare cultura, e se le società industriali (quella francese in particolare) sopporteranno a lungo il terrore di essere smascherate. L'iperbole, per la grande opera della sottomissione, si è rinchiusa in tante cappelle e celle di isolamento, ha rinnovato l'immemorabile tirannia manovrando cosi bene l'oblio che il mio incollare ancora pezzi mitologici sembrerà una stramberia; si leggerà infatti in questo saggio l'argomento contrario all'annuncio pomposo che non esita a proclamare la fine delle leggi o della storia, la fine dell'artificio e dei persecutori. Se non altro, c'è ancora posto, nel presente arcaismo in cui si scorge la tragica giuntura dell'industria assolutistica con i suoi antecedenti, per ricordare e tentare di capire i procedimenti inediti del giuoco di prestigio. Ecco perché una trattazione sull'apparato dei dogmi, di cui in questo ambito nazionalistico i giuristi sono stati così a lungo i principali portatori, potrebbe essere un contributo fondamentale, al fine di ottenere il rilevamento preciso dei discorsi sulla Legge nella topologia delle scienze. A partire da questo angolo di osservazione, la scienza del Diritto è una macroscopica raffigurazione dell'Uomo-Macchina, allo stesso modo in cui la teoria della nevrosi riesce a definire la liturgia dell'ossessionato tramite un sapere di Scuola. Si tracciano in questo modo i modelli schematizzati, che offrono sufficienti tratti comuni per condurci all'intelligenza di queste tecniche uniformi di cui dispone, in varia misura, qualsiasi religione del Potere. Si tratta di accedere alla retorica degli assoggettamenti, agli enunciati del simbolo principale, ai camuffamenti del desiderio, in ogni caso alla grammatica di un Diritto erudito. La mia breve descrizione ha messo in evidenza come il dogmatismo in fondo sia una legge di conservazione, proprietà a cui la matematica potrebbe del resto aggiungere i propri interessanti modelli di riferimento. Ma uno sviluppo realmente teorico, qui, presupporrebbe che si riprendesse parallelamente in esame il macchinario degli enunciati che si propongono nello strano soliloquio di un'analisi non solo come enigmi del paziente per il paziente, ma anche come formule di un sistema giuridico perfettamente chiuso. Giacché l'inconscio è eminentemente dogmatico (di questo, sarà necessario dare spiegazione più a lungo al di fuori di questa opera); ogni soggetto, appena entra in processo, ne sente dolorosamente il rigore e, mediante una grammatica appropriata, sa come difendere l'ordine stabilito del suo conflitto o fingere di eluderne l'economia. Le strutture dogmatiche, quelle di cui si è principalmente discusso per attribuirle al fenomeno istituzionale di una società, non possono essere correttamente interpretate e neppure comprese nella loro dinamica senza questo ricorso al fatto clinico, fatto fondamentale, perché proprio a questo singolare livello dell'arte politica la psicanalisi apre in primo luogo i suoi accessi. [...] Ma, se la Legge arriva a generalizzare l'innocenza, durante il tempo storico, una difficoltà ineluttabile consiste nel considerare quel che diventa il mito originario, sottoposto a reiterate negazioni e nonostante ciò in grado di riprodursi sotto altre velate evocazioni e in altri termini, non senza appesantire il proprio testo. Si potrebbe approfittare di un suggerimento di Saussure nel suo Corso di Linguistica e quindi ricercare nell'istituzione, come nella lingua, un fenomeno di agglutinazione dei miti. L'idea viene a confermare che lo studio dell'istituzione deve prendere in considerazione l'istanza dei vecchi nazionalismi, poiché proprio là, in una lingua nazionale, prosegue il discorso giuridico, progressivamente formulato a partire dalla matrice di una Scolastica elementare (quella medievale), le cui proposizioni di attrattiva, se non le stesse classificazioni, sono ancora in uso sotto tanti aspetti. Proprio nel punto nodale della testura nazionalistica, paragonabile per ogni verso alle elaborazioni religiose in Europa, può essere osservata la costituzione degli stili, delle maniere estetiche di sottomettere e dare un'unica tinta alla credenza grazie a cui si sviluppa il giuoco dell'illusione per fondare l'arte dei capi. Un simile giro merita di essere seguito, per l'utile fine delle analisi, se gli analizzanti sono anche costoro: i sudditi, e coloro che dipendono da questa Legge giuridica particolare e non da un'altra che presenterebbe altrimenti il testo e la lettera.
Così si può quindi agevolmente scorgere il legame essenziale del sapere
veicolato dall'istituzione con la specie di scienza in causa e che ci tiene in
una psicanalisi: la ripetizione di un genere di discorso sul tema del Potere e
dell'amore che vi si inscrive. Potrei servirmi ancora di più del titolo del mio
studio, se è manifesto che, in virtù del transfert in cui assume consistenza una
vera Rinascita delle antichità di un soggetto, l'analista occupa il luogo della
Grande Collera e diviene per il paziente, al primo approccio dell'esegesi e
nell'economia del caso, il suo censore, l'onnisciente per eccellenza, colui che
sa e che perdona. Ma si pone l'altro problema all'ordine del giorno, che
dobbiamo spiegare giacché le potenti istituzioni che ci portano lavorano per
trasformare la psicanalisi in dottrina, né più né meno. Per favorire quali
imprese? La questione non è da poco. Il Libro-Freud fa senz'altro problema nei
confronti del testo delle nostre società industrialistiche, che palesemente
seguono ancora la vecchissima lezione dei classici e nello stesso tempo
propongono, con una propaganda al corrente delle nuove liturgie della
sottomissione, la più radicale trasgressione del testo appreso, quando il Potere
si aggiudica le masse sotto la rubrica incantata del: «siamo tutti amici».
Simile antinomia non può fare a meno di appagare il dogmatismo, e l'allentamento
delle censure tradizionali si aggiunge a una rieducazione in cui l'ortodossia è
già trasparente, distinguendo il buono e il cattivo Freud, proprio come una
certa scienza dell'efficace viene portata avanti per trasformare la storia in un
folclore universale, divertente, che ha scongiurato per sempre il tragico.
|