Copertina
Autore Lawrence Lessig
Titolo Il futuro delle idee
EdizioneFeltrinelli, Milano, 2006, Serie bianca , pag. 272, cop.fle., dim. 142x220x18 mm , Isbn 978-88-07-17123-9
OriginaleThe future of ideas [2001]
TraduttoreLeonardo Clausi
LettoreRenato di Stefano, 2006
Classe diritto , informatica: politica , informatica: reti , copyright-copyleft
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Indice


        Parte prima - Dot.Commons

  9 1.  "Gratuito"

 23 2.  Materiali da costruzione: "commons" e "layers"
        I commons, p. 23;
        Strati, p. 27.

 30 3.  Commons via cavo

 53 4.  Commons tra i cablati

 77 5.  Commons, wireless

 89 6.  Lezioni di commons


        Parte seconda - Dot.Contrasti

107 7.  Creatività nello spazio reale
        Creatività nell'Epoca oscura, p. 108;
        Fisico, p. 114;
        Codice, p. 115.

124 8.  Innovazione da Internet
        Nuovi prodotti del net, p. 126;
        Nuovi mercati, p. 130;
        Nuovi mezzi di distribuzione, p. 130;
        Nuova domanda, p. 136;
        Nuova partecipazione: p2p, p. 138.


        Parte terza - Dot.Control

147 9.  Il vecchio contro il nuovo

149 10. Controllare i cavi (e dunque lo strato di codice)
        L'end-to-end nella telefonia, p. 151;
        Cavi capienti, p. 153;
        Il via cavo AT&T, p. 155.

175 11. Controllare i cablati (e dunque lo strato di contenuto)
        Aumentare il controllo. Bot di copyright, p. 178;
        Cphack, p. 181;
        DeCss, p. 184;
        iCravetv, p. 187;
        Mp3, p. 189;
        Napster, p. 190;
        Eldred, p. 193;
        Conseguenze del controllo, p. 194.

208 12. Controllare il wireless (e dunque lo strato fisico)

221 13. Che cosa sta succedendo?

226 14. Alt.Commons
        Lo strato fisico, p. 226;
        Lo strato di codice, p. 228;
        Lo strato di contenuto, p. 230;
        Ricostituire i commons creativi, p. 236.

243 Note

 

 

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Pagina 9

1.
"Gratuito"



Davis Guggenheim è un regista cinematografico. Ha girato vari film, tra cui alcuni commerciali. La sua passione, come quella di suo padre prima di lui, sono i documentari, e il suo film più recente - e forse migliore - The First Year, è incentrato su alcuni insegnanti di scuola privata al loro primo anno d'insegnamento, una specie di Hoop Dreams sull'istruzione privata.

Nel corso della realizzazione di un film, un regista deve "liquidare i diritti". Un film basato su un romanzo protetto da copyright deve ottenere il permesso dal titolare dei diritti; una canzone nei titoli di testa deve ottenere il permesso dell'artista che la interpreta. Questi sono limiti ordinari e ragionevoli al processo creativo, resi necessari da un sistema legislativo sul copyright. Senza un sistema del genere, non avremmo niente di simile alla creatività prodotta da registi come Guggenheim.

Ma le cose che appaiono accidentalmente nel film? I poster sulla parete di un dormitorio, la lattina di Coca-Cola in mano all"uomo con la sigaretta", la pubblicità su un camion sullo sfondo? Anche questi sono lavori creativi. Il regista ha forse bisogno di un permesso per mostrarli nel proprio film?

"Dieci anni fa," spiega Guggenheim, "se una persona qualunque riconosceva del lavoro artistico accidentale," bisognava liquidarne il copyright. Oggi le cose stanno assai diversamente: "Se un qualunque pezzo artistico è riconoscibile da chicchessia... bisogna liquidare il copyright e pagare" per usarlo. "[...] Quasi ogni lavoro creativo, che sia un mobile o una scultura, deve essere liquidato prima che possa essere usato."

Bene, immaginate solo cosa questo significhi. Nella descrizione di Guggenheim: "[...] Prima di girare, un certo numero di persone stipendiate ha il compito di informare gli avvocati di tutto ciò che andrà utilizzato sul set". Questi spulciano la lista e dichiarano che cosa può essere usato e cosa no. "Se non si trova l'originale di un lavoro creativo... non lo si può usare," e anche se lo si trova, spesso verrà negato il permesso. Sono dunque gli avvocati a stabilire che cosa può apparire nel film, e sempre loro a decidere cosa potrà o non potrà esserci nella storia.

Gli avvocati insistono su questo controllo perché il sistema giuridico ha insegnato loro che un controllo ridotto può comportare costi ben più alti. Il film Il pianeta delle dodici scimmie fu bloccato dal tribunale ventotto giorni dopo la sua uscita perché un artista sosteneva che una sedia nel film rassomigliava allo schizzo di un pezzo da lui disegnato. Nel film Batman Forever si rischiò perché la Batmobile percorreva un cortile protetto da un presunto copyright e l'architetto aveva chiesto del denaro prima che il film uscisse. Nel 1998, un giudice bloccò per due giorni l'uscita de L'avvocato del diavolo perché uno scultore affermava che il suo lavoro era visibile sullo sfondo di una scena. Eventi simili hanno insegnato agli avvocati che bisogna controllare i registi e convinto gli "studios" che il controllo della creatività è, in fin dei conti, una faccenda legale.

Questo controllo crea non soltanto spese, ma anche impedimenti. "Il costo, per me," dice Guggenheim, "è in creatività... Improvvisamente il mondo che stai cercando di creare diventa completamente generico e privo degli elementi che utilizzeresti normalmente... Il mio lavoro è concettualizzare e creare un mondo, portare la gente nel mondo che io vedo. Ecco perché mi pagano in quanto regista. E se io vedo una persona con un certo stile di vita, una certa immagine appesa al muro, che vive in un determinato modo, tutto questo è essenziale alla visione che io cerco di ritrarre. Ora devo in qualche modo giustificarlo e questo è sbagliato."


Questo non è un libro sul cinema. I problemi dei cineasti sono, in fin dei conti, poca cosa. Ma ho cominciato con quest'esempio perché ci porta a un più complesso ordine di problemi, che qui cercheremo di indagare. Cos'è che induce una persona a creare una regola tanto sciocca ed estrema? Perché dovremmo appesantire il processo creativo, non solo nel cinema e nell'arte in generale, ma addirittura nell'innovazione intesa nel senso più ampio del termine?

La legislazione sul copyright, ha scritto la professoressa Jessica Litman, abbonda di regole che la gente comune commenterebbe dicendo: "Non può esserci una legge del genere. Sarebbe sciocco". Eppure in realtà simili leggi esistono, dicono proprio questo e sono, proprio come la gente comune giustamente pensa, stupide. E allora? Qual è la mentalità che fa sì che degli avvocati molto qualificati e ben pagati si affrettino a negoziare i diritti sul poster che s'intravede nella scena di un film sulla festa di una fraternity universitaria? O che si affannino per far rimuovere in fase di montaggio dei cartelloni pubblicitari non firmati? Cos'è che ci porta a costruire un mondo giuridico nel quale il consiglio che un regista affermato può dare a un giovane regista è il seguente:

A un artista diciottenne direi: "Sei completamente libero di fare tutto ciò che vuoi". Ma poi gli darei una lunga lista di tutte le cose che non potrebbe includere nel suo film perché non sarebbero legalmente approvate. Per le quali dovrebbe pagare. [Dunque la libertà? Eccola]: "Sei completamente libero di fare un film in una stanza vuota, con i tuoi due amici".

Un'epoca è caratterizzata non tanto dalle idee che vi sono discusse, ma da quelle che sono date per scontate. Il carattere di un'era dipende da ciò che è indisputabile. Il potere funziona grazie a idee che solo un folle metterebbe in dubbio. Il "dato per scontato" è prova di sanità mentale, "quello che sanno tutti" la linea di demarcazione tra noi e loro.

Questo significa che una società, a volte, s'inceppa. A volte, per l'interferenza di queste idee indiscusse, il costo della discussione diventa troppo alto. Il compito più difficile per gli attivisti sociali e politici di questi tempi è trovare il modo di indurre le persone a ripensare ciò che tutti noi diamo per vero. La sfida sta nel seminare il dubbio.

Così è per noi. Le conseguenze della rivoluzione tecnologica, dunque culturale, più significativa dei tempi moderni ci stanno tutte attorno. Questa rivoluzione ha prodotto la spinta più forte e diversificata all'innovazione dei tempi moderni. Eppure siamo confusi da una serie di idee su un aspetto centrale di questa prosperità, comunemente definita "proprietà". Tale confusione ci porta ad alterare il contesto in modi che cambieranno la prosperità. Stiamo modificando le regole nelle quali vive la rivoluzione di Internet, credendo di sapere cos'è che fa funzionare la prosperità circostante ma in effetti ignorandone completamente le cause. Questi cambiamenti porranno fine alla rivoluzione stessa. E un'affermazione forte per un libro così sottile e, per indurvi a continuare, va specificata un minimo. Non sto dicendo che Internet finirà. Internet sarà con noi per sempre, anche se sarà il carattere di Internet a cambiare. E non pretendo di poter provare questa fine di cui mi faccio ammonitore: c'è troppo ancora di contingente e di incompiuto, troppo pochi i dati certi per fare previsioni convincenti.

Ma voglio indurvi a credere all'esistenza di un cono d'ombra nella nostra cultura e del danno che questo cono d'ombra genera. Nel comprendere questa rivoluzione e la creatività da essa indotta, il ruolo di una parte di importanza cruciale ci sfugge sistematicamente. E dunque non ci accorgiamo nemmeno di quando questa parte scompare, o - fatto ancora più importante - di quando è rimossa. Non vedendone gli effetti, non ne vediamo nemmeno la scomparsa.

Questa cecità danneggerà il contesto dell'innovazione. Non soltanto quella degli imprenditori di Internet (sebbene si tratti di una parte assai importante del mio discorso) ma anche l'innovazione di autori e artisti più in generale. Questa cecità porterà a dei cambiamenti in Internet, tali da minarne le potenzialità nel creare qualcosa di nuovo - potenzialità attuate dall'Internet originaria ma sempre più compromesse man mano che questa subisce delle modifiche.

La lotta contro questi cambiamenti non è quella tradizionale tra destra e sinistra o tra liberal e conservatori. Mettere in questione delle teorie sulla "proprietà" non è mettere in discussione la proprietà stessa. Io sono fanaticamente a favore del mercato, nella sfera del mercato propriamente intesa. Non dubito del prezioso e importante ruolo giocato dalla proprietà in molti, probabilmente quasi tutti, i contesti. Il mio non è un argomentare sul commercio contro qualcos'altro. L'innovazione che difendo è commerciale e non commerciale allo stesso tempo. Gli argomenti cui faccio ricorso per difenderla sono fortemente legati alla destra come alla sinistra. La disputa reale, al momento, è tra vecchio e nuovo. Quella delle pagine seguenti è la storia di come tribunali, legislatori e proprio coloro che hanno creato la Rete originaria hanno trasformato un contesto designato a promuovere il nuovo in modo da proteggere il vecchio.

Vecchio contro nuovo. Questa battaglia è tutt'altro che una novità. Come scrisse Machiavelli nel Principe:

Perché lo introduttore ha per nimici tutti quelli che delli ordini vecchi fanno bene, et ha tepidi defensori tutti quelli che delli ordini nuovi farebbono bene. La quale tepidezza nasce, parte per paura delli avversari, che hanno le leggi dal canto loro, parte dalla incredulità delli uomini; li quali non credano in verità le cose nuove, se non ne veggono nata una ferma esperienza.

Così è oggi per noi: Internet minaccia quanti prosperarono nel vecchio regime. Questa è la storia di come reagiscono. Chi potrebbe prosperare nel nuovo regime non si è schierato a difenderlo dal vecchio. La domanda che pone questo libro è se lo farà. La risposta fino adesso è chiara: no.

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Pagina 20

La tesi di questo libro è che le libere risorse sono state cruciali per l'innovazione e la creatività sempre e ovunque; che, senza di esse, la creatività è monca. La questione chiave dunque, soprattutto nell'età digitale, non sarà stabilire se siano il governo o il mercato a controllare una risorsa, ma se una risorsa debba essere controllata, punto. Solo perché il controllo è possibile, non ne consegue per forza che sia legittimato. In una società libera, il peso della legittimazione dovrebbe piuttosto ricadere su colui che difende i sistemi del controllo.

Non c'è risposta semplice a una simile domanda. La scelta non è fra tutti o nessuno. Ovviamente, molte risorse devono essere controllate se le si vuole produrre o sostenere. Io dovrei poter controllare l'accesso alla mia casa o alla mia automobile, voi non dovreste essere autorizzati a cambiare di posto gli oggetti sulla mia scrivania, Microsoft dovrebbe avere il diritto di controllare l'accesso ai propri codici sorgente, Hollywood quello di far pagare l'accesso ai propri film. Se non si potesse controllare l'accesso a simili risorse, che definiremmo "mie", si avrebbe uno scarso incentivo a lavorare per produrre queste risorse, quelle "mie" comprese. Ovviamente però, allo stesso tempo, molte sono le risorse che dovrebbero essere libere. Il diritto di criticare un funzionario del governo è una risorsa che non è controllata, né dovrebbe esserlo. Non dovrei essere tenuto a chiedere il permesso alla fondazione Einstein per verificare le teorie di Einstein alla luce di nuovi dati appena scoperti. Queste e altre risorse guadagnano valore nell'essere mantenute libere anziché controllate. Una società matura realizza questo valore proteggendo le risorse sia dal controllo pubblico sia da quello privato.

Questa lezione va appresa di nuovo. L'opportunità di questa istruzione è Internet. Nessun fenomeno contemporaneo dimostra meglio di Internet l'importanza delle risorse libere per l'innovazione e la creatività. Internet è la risposta più semplice e diretta a chi sostiene che il controllo sia necessario se si vuole produrre innovazione, e che un maggiore controllo generi sempre maggiore innovazione. Questo perché, come si vedrà nei capitoli seguenti, la definizione fondante di Internet sta nel lasciare libere le risorse. Internet ha offerto a gran parte del mondo la massima dimostrazione del potere della libertà e se vogliamo conservare i suoi benefici dobbiamo apprenderne gli insegnamenti.

Eppure, proprio nel momento in cui ci rammenta lo straordinario valore della libertà, Internet viene cambiata in modo tale da privarci di quella libertà. Proprio mentre cominciamo a vedere la potenza prodotta dalle libere risorse, certi cambiamenti nell'architettura di Internet, sia legali sia tecnici, la privano di tale potenza. Spinti da un'inclinazione a favore del controllo e da coloro i cui interessi sono a favore del controllo, le nostre istituzioni sociali e politiche stanno ratificando cambiamenti in Rete che ristabiliranno il controllo e a loro volta ridurranno l'innovazione, sia in Internet sia nella società in generale.

Sono assolutamente contrario a questi cambiamenti, ma è troppo ritenere di potervi convincere del fatto che proprio tutti sono sbagliati. Il mio scopo è assai più limitato: mostrarvi l'altra faccia di ciò che è divenuta un'idea scontata, cioè che qualunque controllo sia per il meglio, e in ogni caso. Se mi seguirete fino alla fine, vorrei che lasciaste questo libro semplicemente chiedendovi se il controllo sia davvero la cosa migliore. Non ho documenti per provare niente di più che questa limitata speranza. Qui c'è una storia a dimostrare che qualcosa di importante va capito.


Questa dimostrazione procede per tre fasi. Nella parte che segue, descrivo più formalmente ciò che intendo per "libero". Correlo questo concetto alla nozione di "beni in comune" (the commons) e poi introduco tre contesti in cui sono condivise le risorse su Internet. Tali beni in comune sono correlate all'innovazione prodotta da Internet. Il mio scopo in questa prima parte è soltanto di dimostrare come. Nella seconda parte considero poi un ambiente parallelo per l'innovazione e la creatività in uno spazio "reale" — lo spazio non propriamente di Internet, ma che è influenzato da essa in modo crescente. È lo spazio dove si producono i dischi, dove ancora si scrivono i libri e dove principalmente si fa cinema. In esso non figurano i "beni in comune" che costituiscono Internet, e per una buona ragione. Nello spazio reale, il carattere della produzione non ammette la libertà consentita da Internet. Le restrizioni alla creatività che essa genera sono una necessaria, sebbene spiacevole, caratteristica di tale spazio.

Internet ha cambiato il contesto della creatività. Nel bilancio della seconda parte, offro esempi di come ciò sia avvenuto. Tali esempi mostreranno come molte delle restrizioni che hanno agito sulla creatività nello spazio reale siano state eliminate dall'architettura e dal contenuto legale, originario, di Internet. Tali limitazioni, forse giustificabili prima, ora non lo sono più. O almeno, non lo erano. Perché la tesi della terza e ultima parte di questo libro è che il contesto di Internet stia cambiando. Le caratteristiche dell'architettura, sia legale sia tecnica, che avevano creato originariamente questo contesto di libera creatività sono in corso di mutamento: vengono cambiate in modo da reintrodurre proprio quelle barriere che Internet aveva originariamente rimosso.

Queste barriere, tuttavia, non hanno la giustificazione neutrale che hanno le limitazioni tipiche dell'economia reale.

Come argomenterò in seguito, vi sono delle forti ragioni per cui sono in molti a tentare di reintrodurre queste restrizioni: esse permetteranno infatti, a interessi perduranti e forti, di proteggersi dalla minaccia competitiva rappresentata da Internet. Il vecchio, in altre parole, sta reinterpretando a proprio uso e consumo la Rete per proteggersi dal nuovo.

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Pagina 26

Non si può dunque direttamente associare l'osservazione del fatto che una data risorsa è tenuta "in comune" alla conclusione che "la libertà di accesso a un commons porta tutti alla rovina". Si deve ragionare invece empiricamente e guardare quello che funziona. Laddove c'è beneficio nel lasciare libera una risorsa bisognerebbe vedere se c'è modo di evitare il consumo eccessivo o gli incentivi inadeguati, senza che questa stessa risorsa finisca sotto controllo statale o privato (del mercato).

La tesi centrale di questo libro è che nelle risorse tenute in comune vi è un beneficio e che Internet è la prova migliore di tale beneficio. Come si vedrà, Internet costituisce un' innovazione in comune. Questo commons è formato non soltanto attraverso norme, ma anche grazie a una specifica architettura tecnologica. La Rete è uno spazio dove la creatività può fiorire. Eppure si è così ciechi rispetto ai possibili valori di un commons da non accorgersi neppure che Internet stessa è un commons. E, a sua volta, questa cecità porta a ignorare tutti quei cambiamenti sulle norme e l'architettura della Rete che indeboliscono questo commons. È qui in atto una tragedia: è la tragedia della perdita di quell'innovazione in comune che è Internet, attraverso i cambiamenti che vi vengono introdotti.


Strati

L'idea del commons forse potrà suonare oscura, mentre il concetto di "strati" (layers) apparirà più comprensibile. Ogni sistema di comunicazione è composto da strati che, assieme, lo rendono possibile. Questo assunto è stato elaborato da quello che è forse il miglior teorico della comunicazione della nostra generazione, Yochai Benkler, professore di diritto alla New York University. Il modo in cui Benkler usa quest'idea aiuta a organizzare il pensiero sul modo in cui funziona una qualsiasi comunicazione. Il suo lavoro aiuta a individuare qualcosa che altrimenti potrebbe sfuggire.

Seguendo la tecnica degli architetti di network, Benkler suggerisce di leggere un sistema di comunicazione suddividendolo in tre "strati" differenti. Alla base pone lo strato "fisico", attraverso il quale viaggia la comunicazione. Questo è il computer, o i cavi che collegano il computer a Internet. Nel mezzo vi è uno strato "logico" o "codice", che fa funzionare l'hardware. Tra questi potremmo includere i protocolli che definiscono Internet e il software che fa funzionare tali parametri. In cima, infine, colloca uno strato "di contenuto", ciò che viene propriamente detto o trasmesso attraverso tali cavi: esso include immagini digitali, testi, film online e cose simili. Questi tre strati lavorano assieme in modo da definire un sistema di comunicazione.

Ciascuno di questi strati potrebbe, in linea di principio, essere controllato o libero; ciascuno, cioè, essere di proprietà, oppure organizzato in un commons. Si potrebbe immaginare un mondo dove lo strato fisico sia gratuito ma non lo sono quelli logico e di contenuto. Oppure si potrebbe immaginarne uno dove gli strati fisico e di codice sono controllati ma non quello di contenuto. E così via.

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Pagina 223

E allora perché questi cambiamenti? In parte c'è una storia oscura da raccontare. Il cambiamento insidia interessi vigenti. Canalizzarlo è spesso la strategia migliore per conservare quel potere minacciato. Chi occupa la posizione minacciata dal cambiamento rappresentato da Internet ha un forte interesse a provare a canalizzare quel cambiamento. E ne ha i mezzi. È una ferrea legge della politica quella per cui chi è organizzato sconfigge chi non lo è [...]. A Washington, le decisioni vengono prese da rappresentanti che conferiscono con persone i cui interessi subiscono i cambiamenti della Rete. Ma chi rappresenta le innovazioni non ancora fatte? Chi richiede che la piattaforma sia loro lasciata aperta?

Nessuno. Alcuni di quegli interessi non possono permettersi di negoziare con quelli in auge. Altri nemmeno esistono ancora. Il risultato è che la pressione nel sistema vigente è sbilanciata in favore del vecchio; gli interessi del nuovo semplicemente non hanno voce.

Ma la parte più congrua della storia qui non riguarda le forze oscure. Riguarda una cecità che affligge la politica culturale americana in generale. C'è una tale mania nei confronti della proprietà e del controllo in generale da non vedere nemmeno i benefici delle risorse non perfettamente controllate. La resistenza alla proprietà viene letta come sostegno allo stato; la sfida alla proprietà come sostegno alla nazionalizzazione.

Nel contesto della proprietà intellettuale il problema generale è ingigantito da un'altra cecità, l'errore indotto dal pensare alla proprietà intellettuale come proprietà. Semplificando la natura dei diritti protetti dalla legge sulla proprietà intellettuale, parlandone come di una proprietà, in tutto e per tutto simile a quella di case e automobili, il nostro modo di pensare segue un modello molto particolare. Quando la si vede come una proprietà, si vedono infinite ragioni per rafforzarla e poche per resistere a questo irrobustimento.

Questa non è cospirazione: è cecità culturale.

La conseguenza di queste tre storie è un'enorme spinta nella legislazione del cyberspazio verso il ristabilimento di sistemi di controllo. Questa spinta sta avvenendo in tutti e tre gli strati di comunicazione di Benkler: allo strato fisico, con l'architettura per l'accesso via cavo che diventa un'architettura di controllo e con lo spettro che veicola contenuti wireless, venduto all'interno di un sistema di controllo; allo strato di codice, con il sistema legale che attraverso i brevetti privilegia il codice chiuso rispetto a quello aperto e con i fornitori di contenuto che costruiscono un'architettura che permetterà loro di avere un controllo più perfetto sui contenuti della Rete; e sta accadendo allo strato di contenuto, con le regole, sia tecniche sia legali, per facilitare la distribuzione di contenuti che favoriscono sempre di più il controllo di quella distribuzione rispetto al libero fluire della Rete originale.

Questo passaggio è un passo indietro verso un sistema di creatività e distribuzione che è largamente iscritto nel controllo di grossi attori commerciali. Ma questa volta questo sistema di controllo non ha dietro di sé la relativa giustificazione dell'economia. Le limitazioni che rendono necessario il controllo non sono quelle tipiche della natura della scarsità dello spazio reale. Qui, invece, la scarsità è soprattutto artificiale. L'espansione dei diritti della proprietà intellettuale crea una certa scarsità, ma, nella misura in cui essa eccede la necessità di creare progresso, è un inutile e ingiustificato lascito agli interessi preesistenti.

Finché l'architettura è creata per ristabilire il potere di controllo della distribuzione, e quindi dell'innovazione, è una limitazione senza motivazione economica; una limitazione che semplicemente privilegia determinati interessi rispetto ad altri.

Siccome la tendenza è di ignorare la scelta tra il libero e il controllato, si ignorano i costi di un sistema controllato rispetto a uno che rimane libero. Non si riescono a vedere i benefici della libertà perché la si considera impossibile. Si ritiene che creatività e innovazione si produrranno solo laddove proprietà e mercato funzionano più efficacemente.

Contro questa ideologia c'è Internet. Contro quest'inclinazione c'è una tradizione che ha meglio compreso l'equilibrio. La passata decade ha dimostrato il valore di quanto è libero e che la libertà derivava dall'architettura della Rete. I cambiamenti a cui ora si assiste ignorano semplicemente il valore di quanto è libero: vengono applicati mutando l'architettura della Rete originale. La Rete originale proteggeva aspetti fondamentali dell'innovazione. L'end-to-end significava che le nuove idee erano protette; il codice aperto che l'innovazione non sarebbe stata attaccata; la libera distribuzione che sarebbero state assicurate nuove modalità di connessione. Tali protezioni erano in massima parte inerenti all'architettura. Questa sta cambiando. E mentre cambia, alle minacce alla libertà si aggiungono quelle all'innovazione.

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Pagina 226

14.
Alt.Commons



Ecco i cambiamenti possibili. Questo cammino a ritroso non è necessario né completo. Si è ancora in tempo per indirizzare le scelte in un'altra direzione. La questione sta tutta nel volerlo. C'è la volontà di fissare dei principi che guidino il prossimo passo dell'evoluzione di Internet, o si lascerà il controllo a coloro che hanno interessi incompatibili con quei principi?

Scopo di questo capitolo è evidenziare alcuni di questi cambiamenti. La lista non è completa né definitiva. Ma dovrebbe rappresentare l'inizio di una discussione sul ritorno della Rete a delle condizioni che permettano all'innovazione di fiorire.

Le proposte sono suddivise in base ai tre strati di Benkler. Dei cambiamenti in alcuni di essi potrebbero renderne inutili altri altrove, certo è che in tutti migliorerebbero di molto la situazione.

[...]


LO STRATO DI CONTENUTO



I cambiamenti allo strato fisico e di codice sono importanti. Richiederanno un impegno che dubito i politici americani siano capaci di esprimere. Ma non sono nulla se paragonati a quelli necessari allo strato di contenuto. Perché è qui che ci si è di più allontanati da una politica ragionevole ed è qui che va opposta resistenza al potere politico più forte.

L'idea chiave che noi, intesi come cultura, dobbiamo riconquistare è che il controllo del contenuto non deve essere perfetto. Idee ed espressioni devono, in una certa misura, essere libere. Era quello inizialmente lo scopo della legge sul copyright, l'equilibrio tra controllo e libertà. Ma queste leggi equilibrate hanno ora un alleato che minaccia di distruggere quell'equilibrio: il codice.

La tecnologia, legata alla legge, oggi promette un controllo quasi perfetto sul contenuto e la sua distribuzione. Ed è questo perfetto controllo che minaccia di indebolire il potenziale per l'innovazione promesso da Internet.

Per resistere a questa minaccia servono cambiamenti specifici per ristabilire un equilibrio tra controllo e creatività. Lo scopo dovrebbe essere un sistema di sufficiente controllo che dia agli artisti abbastanza incentivi a produrre, e che lasci altri il più possibile liberi di accedere a quella creatività e completarla.

Nel fissare quest'equilibrio ci sono un po' di idee da tenere a mente. Prima di tutto, che si vive in un mondo che ha i contenuti "liberi" e questa libertà non è un'imperfezione. Si sente la radio senza pagare per le canzoni che vi si ascoltano; si ascoltano amici canticchiare canzoni di cui non hanno pagato la licenza; ci si riferisce a trame di film nelle conversazioni senza aver chiesto il permesso del regista. Il fatto che i contenuti a ogni dato momento siano liberi non dice se il loro uso sia un "furto". Allo stesso modo, il voler aumentare il controllo da parte dei proprietari dei contenuti ha bisogno di altro che di un "non hanno pagato per quell'uso" per essere sostenuto.

Secondo, e collegato al primo punto, la ragione per cui non si deve tendere al controllo perfetto è che la creazione è sempre una costruzione su qualcos'altro. Non c'è arte che non riutilizzi. E ce ne sarà sempre di meno se a ogni riutilizzo chi se ne è precedentemente appropriato viene tassato. I controlli di monopolio sono stati un'eccezione nella libera società; ma la regola nelle società chiuse.

Infine, quando il controllo è necessario e perfettamente giustificabile, si dovrebbe tenere in anticipo una condotta chiara: i monopoli non sono giustificati dalla teoria e dovrebbero essere consentiti solo nel caso in cui siano giustificati dai fatti. Se non c'è una base solida per estendere la protezione di un certo monopolio, questa non andrebbe estesa. Questo non significa che ogni copyright debba provare il proprio valore in anticipo: sarebbe un sistema di controllo troppo ingombrante. Dovrebbero farlo però ogni sistema, o categoria di copyright, o brevetto. Prima che un monopolio sia autorizzato, dovrebbero esserci motivi sufficienti per ritenere che questo giovi alla società e non soltanto ai suoi titolari. Con questi ideali in mente, ecco alcuni primi passi per liberare la cultura.


Copyright

La tendenza nella legge sul copyright è stata di intensificarne il raggio e la durata, rendendo il diritto più facile da ottenere e conservare. Mentre lo statuto originale sul copyright rendeva burocraticamente difficile ai proprietari la registrazione del proprio lavoro, il depositarlo presso il governo e il suo rinnovo dopo il termine iniziale, oggi il copyright entra in vigore automaticamente, si estende per la durata della vita dell'autore più settanta anni e senza che questo faccia alcuno sforzo per continuare a goderne. Questo cambiamento è bizzarro. Si è stati spinti verso questa forma di monopolio "senza sforzi" dall'idea che i requisiti "tecnici" non dovrebbero interferire con il diritto di un autore al proprio copyright. Questo ragionamento suona sensato fin quando non si considera l'altro lato della faccenda, il pubblico. I titolari di copyright non dovrebbero vedersi negare la legittima protezione del copyright, certo; ma accertarsi che il raggio dei monopoli, sull'espressione sostenuti dallo stato, non sia più ampio del necessario non è un "dettaglio tecnico". Se i beneficiari dello stato sociale si vedono negare i propri sussidi perché sbagliano a compilare correttamente un modulo, pare legittimo aspettarsi che coloro che richiedono il sostegno statale per difendere il proprio monopolio debbano fare lo stesso. Ma c'è dell'altro.


Termine rinnovabile di cinque anni

Gli autori e i creatori meritano di ricevere benefici dalla propria creazione. Ma quando questi cessano, ciò che creano dovrebbe diventare di dominio pubblico. Adesso, questo non succede. Ogni atto creativo ridotto a medium tangibile è protetto nel futuro fino a centoncinquanta anni, che la protezione sia di beneficio o meno all'autore. Il lavoro precipita così in un buco nero del copyright, prigioniero per oltre un secolo.

Una soluzione a questo è forzare i beneficiari del copyright ad agire per proteggerlo. E nell'era di Internet quest'azione potrebbe essere estremamente semplice.

Il lavoro "pubblicato" da un autore dovrebbe essere protetto per un periodo di cinque anni successivi alla registrazione, e quella registrazione potrebbe essere rinnovata quindici volte. Se non viene rinnovata, il lavoro cade nel pubblico dominio. La registrazione dovrebbe essere semplice. Il Copyright Office degli Stati Uniti potrebbe aprire un sito web in cui gli autori registrano il proprio lavoro. Questo potrebbe essere finanziato dalle tasse per il rinnovo del copyright. Quando un autore vuole il rinnovo, il sistema potrebbe tassare l'autore con una quota di rinnovo. Questa potrebbe aumentare nel tempo o dipendere dalla natura dell'opera. Questo sito di registrazione potrebbe anche ospitare in deposito parti di certi tipi di opere. Potrebbe raccogliere copie digitali di tutti i lavori sotto copyright a scopo d'archivio. E per certi tipi di lavoro, il software in particolare, questi depositi sarebbero motivati dalla necessità di garantire la protezione. Data la facilità con cui oggi la Rete consente questi trasferimenti, i costi di questa operazione sarebbero relativamente contenuti.

[...]


Proteggere la musica

La Rete ha creato un mondo in cui il contenuto è libero. Napster è l'esempio più saliente di questo mondo, ma non l'unico. In ogni momento l'utente può scegliere il canale di musica che vuole.

L'industria discografica chiama questa libertà "furto". Ma non la definiscono "furto" quando si ascolta alla radio la propria vecchia canzone preferita. Non la chiamano "furto" quando registrano degli estratti di musica precedentemente registrata. E non la chiamano "furto" quando registrano una nuova versione di "Jingle Bells". Insomma non la chiamano "furto" quando loro la usano gratuitamente secondo modalità che sono state definite dal sistema di copyright giuste e appropriate. La questione da affrontare è se questa libera distribuzione debba continuare a essere libera. E la soluzione a questa domanda sta nel tenere bene a mente un'importante distinzione: come si è visto, c'è una distinzione fra musica "libera" e disponibile a costo zero. Gli artisti dovrebbero essere pagati, ma non ne consegue che vendere la musica quasi fosse gomma da masticare sia l'unica via possibile.

Anche qui un minimo di storia aiuta. Come si è visto, ci sono stati molti contesti in cui il Congresso ha dovuto bilanciare il diritto di accesso con quello di controllo. Quando il tribunale decretò che i rulli della pianola meccanica non erano "copie" degli spartiti, il Congresso equilibrò i diritti dei compositori con quelli che permettevano la riproduzione meccanica di ciò che era stato composto. Lo fece attraverso una licenza obbligatoria che permetteva un pagamento agli artisti assicurando allo stesso tempo libero accesso al lavoro prodotto. Lo stesso è vero nel contesto della tv via cavo. Come si è visto nel capitolo 7, la Corte suprema disse due volte che i provider della televisione via cavo avevano il diritto, sotto le leggi vigenti, alla televisione gratuita. Alla fine il Congresso cambiò quei diritti, ma ancora una volta in modo equilibrato e ragionevole. I provider del via cavo ebbero l'accesso alle trasmissioni televisive, ma gli speaker e i titolari di copyright ottennero un diritto di compensazione per quell'accesso. Questa era ancora una volta definita da una scadenza obbligatoria della licenza. Il Congresso protesse così l'autore, ma non attraverso un diritto di proprietà.

La stessa soluzione è possibile nel caso della musica in Rete. Ma in questo caso, anziché l'equilibrio, la retorica parla di "furto" e "crimine". Ma non era forse "furto" quando le tv via cavo presero le trasmissioni televisive?

Il Congresso dovrebbe potenziare la condivisione di file riconoscendo un sistema similare di licenze obbligatorie. Queste tasse non dovrebbero essere fissate da un'industria intenta all'eliminazione di questo nuovo modo di distribuzione. Dovrebbero essere definite, come sono sempre state, da un legislatore a cui l'equilibrio sia caro. Sempre che ne esistano da qualche parte.

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