Copertina
Autore Doris Lessing
Titolo Le nonne
EdizioneFeltrinelli, Milano, 2006 [2004], UE 1915 , pag. 252, cop.fle., dim. 125x195x14 mm , Isbn 978-88-07-81915-5
OriginaleThe Grandmothers - Victoria and the Staveneys - A Love Child [2003]
TraduttoreElena Dal Pra, Francesco Francis, Monica Pareschi
LettoreAngela Razzini, 2006
Classe narrativa inglese
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Indice


  7 Le nonne

 63 Victoria e gli Staveney

131 Il figlio dell'amore



 

 

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Pagina 9

Su entrambi i lati di un piccolo promontorio zeppo di ristoranti e caffè si stendeva un mare giocoso e tuttavia composto: nulla a che vedere con l'oceano vero e proprio, che rombava e ruggiva oltre l'imbocco della profonda insenatura e la barriera di scogli denominata Baxter's Teeth, "i denti di Baxter", nome riportato anche dalle carte nautiche. Ma chi era questo Baxter? Domanda più che lecita, e infatti veniva posta spesso e trovava risposta in un foglio di carta incorniciato e abilmente anticato, appeso nel ristorante sulla punta del promontorio, quello nella posizione migliore, più elevata e prestigiosa. Baxter's, si chiamava appunto, a sostenere la pretesa che la sala interna dalle sottili pareti di mattoni e canne fosse stata un tempo la capanna di Bill Baxter, costruita da lui con le sue mani. Questo navigatore irrequieto dunque, quest'uomo di mare, era giunto per caso in quel paradiso di baia con la sua piccola lingua di terra rocciosa. Alcune versioni più antiche della storia parlavano di indigeni pacifici e ospitali. Ma i denti cosa c'entravano? Baxter rimase un esploratore indefesso delle coste e delle isole vicine, e infine, dopo essersi affidato a un guscio di barchetta messa insieme con qualche relitto trasportato dal mare e un po' d'esperienza, andò a schiantarsi in una notte di luna su quei sette scogli neri, proprio di fronte alla sua casupola, dove una lanterna a prova di tempesta, affidabile come un faro, accoglieva le navi abbastanza piccole da entrare nella baia, una volta superata la barriera di scogli.

Ora la casa era circondata da alti alberi che offrivano riparo a tavoli e sedie, e sotto, su tre lati, si allargava cordiale il mare.

Un sentiero saliva tra gli arbusti, sbucando nel giardino del Baxter's; un pomeriggio quella lieve salita era percorsa da sei persone, quattro adulti e due bambine, i cui strilli di gioia riecheggiavano i versi dei gabbiani.

Aprivano la fila due uomini di bell'aspetto, non certo ragazzi, ma solo con una buona dose di malevolenza li si sarebbe potuti definire di mezz'età. Uno dei due zoppicava. Alle loro spalle due donne altrettanto avvenenti, sulla sessantina, che nessuno si sarebbe sognato di definire anziane. A un tavolo che a quanto pareva occupavano spesso depositarono borse, indumenti e giocattoli; erano tutti sani e radiosi, come lo sono quelli che sanno trarre beneficio dal sole. Si accomodarono dunque, le donne con le gambe lisce e abbronzate che finivano in sandali portati con noncuranza, le mani energiche momentaneamente oziose. Le donne da una parte, gli uomini dall'altra, le bambine che non stavano ferme un momento: sei teste bionde? Erano forse imparentati? Le donne dovevano essere le madri degli uomini; quelli non potevano che essere i loro figli. Le nonne, e poi anche i padri, raccomandarono alle bambine di comportarsi bene e di giocare tranquille, anche se le piccole insistevano per scendere alla spiaggia, raggiungibile per un sentiero sassoso. Così si accovacciarono, e con l'aiuto di dita e bastoncini si misero a fare dei disegni nella polvere. Due belle bambine: per forza, con due progenitrici così attraenti.

Da una finestra del Baxter's una ragazza gridò: "Il solito? Vi porto il solito?". Una delle donne le fece un cenno con la mano, come a dire sì. Poco dopo comparve un vassoio carico di spremute di frutta fresca e tramezzini di pane integrale, a conferma che erano persone attente alla salute.

Theresa, fresca di esami di maturità, sarebbe rimasta all'estero per un anno, prima di tornare in Inghilterra per l'università. In cambio di questa informazione, che risaliva a mesi prima, la ragazza veniva costantemente aggiornata sui progressi delle bambine alle elementari. Adesso chiese come andava la scuola, e prima una bambina e poi l'altra saltarono su assicurandole che la scuola era una pacchia. La bella cameriera tornò di corsa alla sua postazione all'interno del ristorante, e il sorriso che rivolse ai due uomini ne innescò uno tra le donne e poi tra loro e i figli, uno dei quali, Tom, commentò: "Non ce la farà mai a tornare in Inghilterra, i ragazzi fanno tutti il tifo perché rimanga".

"Ma sarebbe una stupida se si sposasse e buttasse via tutto così" disse una delle donne, Roz – Rozeanne per la precisione, la madre di Tom. Ma l'altra, Lil (Liliane), la madre di Ian, aggiunse "Chissà" mentre sorrideva a Tom. Questa concessione, o meglio questo omaggio, a quella che era, dopotutto, la ragione della loro esistenza, diede ai due uomini l'occasione per scambiarsi un cenno divertito del capo, a labbra serrate, come a uno scambio di battute più volte ascoltato: quello, o uno simile.

"Insomma," disse Roz, "comunque sia, diciannove anni sono troppo pochi."

"Ma chissà come andrebbe a finire" si chiese Lil, e arrossì. Sentendosi il viso in fiamme fece una piccola smorfia, che le diede un'aria da bambina pestifera, o addirittura sfrontata, cosa tanto lontana dalla sua natura che gli altri si scambiarono sguardi difficili da interpretare.

Sospirarono tutti quanti, e poi, sentendosi, si misero a ridere, una bella risata schietta che, si sarebbe detto, prendeva atto di una serie di cose non dette. Una delle bambine, Shirley, domandò: "Perché ridete?" e l'altra, Alice: "Cosa c'è da ridere? Per me non c'è proprio niente da ridere"; e imitò l'espressione pestifera della nonna, che in realtà non era stata affatto programmata. Lil era a disagio e arrossì di nuovo.

Shirley insisteva, reclamando attenzione: "Che scherzo è, papà?", e a queste parole i due padri acciuffarono le figlie scompigliandole tutte, mentre le bambine protestavano cercando di sfuggire, ma poi tornavano alla carica, finché andarono a rifugiarsi in braccio alle nonne. E lì rimasero, col pollice in bocca, gli occhi che si chiudevano, sbadigliando. Era un pomeriggio caldissimo.

Un'atmosfera sonnolenta, soddisfatta. Agli altri tavoli, sotto alberi enormi, oziavano clienti altrettanto beati. Tutt'intorno, solo qualche spanna più sotto, il mare sospirava, frusciava, sciabordava, e le voci ronzavano pigramente.

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Pagina 88

I nonni di Phyllis Chadwick erano arrivati a Londra dopo la Seconda guerra mondiale con l'ondata di immigrati invitati ad accollarsi i lavori che gli inglesi non volevano più fare. Arrivarono su strade che avevano immaginato lastricate d'oro e trovarono... ma tutto questo è stato ampiamente documentato. Una vita dura in tempi duri, e la giovane coppia aveva due figli; una era la madre di Phyllis, una ragazza vivace e ribelle che rimase incinta a quattordici anni: subì un aborto malfatto che la lasciò, le dissero, sterile, per cui si lanciò in quello che pensava sarebbe stato sesso senza conseguenze, ma restò incinta di nuovo, di Phyllis. Il padre di Phyllis, perché doveva pur averne avuto uno, non si fece mai avanti, e lei tenne il segreto per sé. La giovanissima madre e la bambina si sistemarono dai genitori, che facevano prediche ma poi provvedevano alle loro necessità. Phyllis ricordava una mamma urlante e strepitante, in realtà un po' disturbata, che spariva per giorni per qualche bagordo, per poi tornare scorbutica e muta dai genitori che la rimproveravano per aver dovuto badare alla bambina. Finì ammazzata in una rissa. Phyllis ne fu sollevata. Venne poi accudita dal nonno, che adesso era lì, proprio dietro quella porta, dalla quale provenivano rumori di televisione e radio a volume alto (spesso le teneva accese tutte e due insieme), e dalla nonna, che era gentile ma severa, a causa del cattivo esempio della madre. "Hai sangue cattivo" si sentiva ripetere ogni giorno della sua vita. Phyllis si impegnava molto a scuola, decisa a non diventare mai un'ubriacona o una vagabonda o una violenta, e aveva l'ambizione di avere un proprio tetto e una propria famiglia. Passò gli esami, ma poi attraversò un periodo di sbandamento, così lo considerarono i nonni, che le dicevano che sarebbe finita come sua madre, perché non rimaneva nello stesso posto di lavoro, ma ne cambiava troppi, uno dopo l'altro, per una sensazione di potenza, di libertà. Era una ragazza imponente e di buon senso, carina quanto basta; lavorò come cassiera, vendette scarpe in un negozio di Oxford Street, servì da mangiare nelle grandi fiere di Earl's Court, fece la cameriera in un caffè, e se la spassava. I soldi... sì, quella era una cosa fantastica, oro fatato che le arrivava in mano ogni settimana, ma quello che stava guadagnando era la libertà di fare quel che le pareva. Restava in un posto solo quel tanto che le andava bene, e poi veniva il momento più bello di tutti: il colloquio per il lavoro successivo. Piaceva e veniva scelta, a volte tra decine di candidati. Mentre i nonni brontolavano e le pronosticavano un futuro da inconcludente e una vecchiaia infame, lei si sentiva al settimo cielo, padrona di se stessa e del proprio futuro. Ma poi incontrò il suo destino, il padre di Bessie, non però dei ragazzi, e dovette darsi da fare. Cominciò a lavorare nei servizi sociali partendo dalla gavetta, e a tempo debito le fu assegnato un appartamento, quello. Sua nonna, che in realtà era stata più una madre, morì, e lei si ritrovò ad avere la responsabilità del nonno. "È finito sulle mie povere spalle come il vecchio del mare..." diceva. Ma non sentiva solo un dovere di gratitudine; voleva bene al vecchietto, che quando lo vedevi nudo assomigliava a un burattino, magro e dinoccolato sotto la testa grossa e la faccia in cui c'era tutta la sua storia.

"Victoria, ragazza mia" disse Phyllis. "Perché perdi tempo con quel lavoro da quattro soldi, tu che sei una ragazza così intelligente?"

"Cosa vuoi che faccia? Cosa devo fare?"

Quello che Phyllis voleva dire era: "Per l'amor di Dio! Tirati fuori, sfrutta questo tempo, perché prima o poi incontrerai un uomo e allora sarà la fine". Ma non voleva risvegliare in Victoria il sangue cattivo che di sicuro le scorreva nelle vene, tanto il diavolo se ne sta comunque lì appostato in attesa di intrappolare le donne, mascherato dietro sorrisi e lusinghe.

Si sporse in avanti, prese le giovani mani tra le sue e si gettò alle spalle ogni timore di avere una cattiva influenza. "Si è giovani una volta sola" disse. "Sei carina, anche se l'albero si riconosce dal frutto. Non c'è niente che possa frenarti, ancora." Victoria notò quell'ancora che era un indizio di come Phyllis Chadwick vedeva la propria vita.

"Ci sono dei lavori che potresti fare, Victoria. Se non ci provi non saprai mai dove puoi arrivare." E non aggiunse: se sono riuscita io a procurarmi qualche buon lavoretto, che non ero neanche carina, tu cosa potresti ottenere, con il tuo viso e la tua figura? "Non vorrai limitarti a quello che puoi trovare qui intorno, in questo quartiere. Vai solo fino a Oxford Street e a Knightsbridge e poi su a Brent Cross, scegli il meglio che c'è, e poi ti presenti con una gran faccia di bronzo e dici che vuoi un lavoro." Andò avanti a parlare di fare la modella, che era la cosa che a lei sarebbe piaciuta di più, ma non aveva il fisico adatto. "Perché no? Sei fatta bene e hai la faccia giusta." Tutto il meglio di quello che aveva fatto, e di quello che era oltre la sua portata, lo offriva a Victoria. Phyllis Chadwick, discendente di schiavi, il cui nome, Chadwick, era stato quello del loro padrone, sapeva di essere stata all'altezza di lavorare in posti dove ai suoi genitori non sarebbe stato permesso entrare. Per tutto il tempo del suo discorso, sentì un piccolo spasmo di panico: "La sto mandando in mezzo ai pericoli, sto facendo questo? Ma è così piena di buon senso, ha così la testa sulle spalle, non si metterà nei guai".

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Pagina 131

IL FIGLIO DELL'AMORE



Un giovane scese da un treno a Reading trascinando una valigia, che oscillando rischiò di colpire in faccia un ragazzo; quello si voltò, portandosi una mano alla testa per dare più forza alle sue rimostranze, ma l'espressione ostile subito scomparve e gridò: "James Reid, ma tu sei Jimmy Reid". I due si ritrovarono a stringersi le mani e a darsi pacche sulle spalle immersi nella nuvola di vapore della locomotiva cigolante.


Due anni prima erano stati compagni di scuola. Dopodiché James si era iscritto a un corso di gestione aziendale e amministrazione e aveva accolto la notizia che Donald si era "messo in politica" con un "Ma sì, loro i soldi li hanno". Perché Donald era uno che aveva sempre potuto godersi feste, viaggi e opportunità, mentre lui, James, aveva sempre dovuto badare al centesimo.

"Ho paura che dovremo stare attenti al centesimo" era quello che sentiva dire a casa fin troppo spesso, e spesso senza necessità, pensava adesso.

Donald si era messo in luce nei dibattiti e nella filodrammatica, e aveva fondato una rivista dal titolo "Il nuovo pensiero socialista". James invece non aveva la minima idea di quel che voleva fare, purché non si trattasse di star seduto dietro a una scrivania dalle nove alle cinque. Sua madre gli diceva: "Intanto prenditi un diploma, tesoro, che torna sempre utile". E suo padre: "Non buttare via il tempo all'università, si impara di più alla scuola della vita". Sta di fatto che l'università non avrebbero potuto permettersela.

A quel punto Donald gli chiese: "Dove stai andando?".

"A casa."

"Che aria tetra. Cosa ti succede?"

Con Donald, quel ragazzo affabile, dal viso rotondo e sorridente che invitava alla franchezza, si era sempre certi di essere compresi, e veniva naturale dire cose che non ricordava di aver mai neppure accennato ad altri. "Non ti sembra un motivo sufficiente?"

Donald scoppiò a ridere e senza pensarci un attimo continuò: "Vieni con me, allora. C'è un raduno estivo dei Giovani socialisti".

"Ma a casa mi aspettano.

"E tu telefona. Forza!" E già si dirigeva verso la sala da tè, dove c'era sicuramente un telefono.

James ricordò che per Donald le cose erano sempre facili, e forse proprio per questo finivano davvero con l'esserlo. Telefonare a casa e dire: "Questo fine settimana non vengo" per lui era un'impresa, qualcosa da ponderare, programmare, imporsi, considerando i pro e i contro, ma ora eccolo al telefono, con una cameriera davanti che sorrideva a entrambi e Donald che lo incoraggiava, anche lui con un gran sorriso. Disse a sua madre: "Ti spiace se non ci vediamo fino a lunedì sera?".

"No, tesoro, figurati."

Sapeva benissimo che sua madre avrebbe voluto che lui uscisse di più, che si facesse degli amici, ma tant'è, per smuoverlo c'era voluto Donald. I due salirono su un treno che tornava al posto da dove James era appena partito, solo che adesso, invece dello squallore degli "Oddio, un'altra giornata a imbrattare carte", partivano per un'avventura.

Così ebbe inizio la meravigliosa estate del 1938, che cambiò la vita di James. Il seminario estivo di quel fine settimana al quale Donald era riuscito a farlo partecipare – le iscrizioni erano chiuse, ma lui conosceva gli organizzatori – era sulla Guerra di Spagna, ma per quanto lo riguardava avrebbe potuto anche essere sulle condizioni nelle miniere di stagno in Sudamerica (una delle conferenze successive). James fu abbagliato dalla profusione di nuove idee, nuove facce, nuovi amici. Dormì nella camerata di un college che ospitava corsi estivi e seminari, e mangiò nel refettorio, con ragazzi e ragazze venuti da tutto il paese, in un'atmosfera allegra, dove trovavano spazio le opinioni di sinistra in tutte le possibili varianti. Definire in ogni sfumatura la propria posizione, quale che fosse l'argomento, dalla Spagna al vegetarianismo, era un dovere essenziale verso se stessi. Il fine settimana successivo fu il turno dei pacifisti, e Donald doveva partecipare a un contraddittorio. Perché Donald era comunista. "Ma non sono tipo da iscrivermi al partito, sono con loro nello spirito." Combattere le idee sbagliate ovunque fossero, per Donald era una responsabilità. Ma se la politica era il dovere, il piacere era la letteratura, e in particolare la poesia, e così James si ritrovò anche a un fine settimana di "Poesia come arma di lotta"; poi fu la volta di "Poesia moderna", e infine "I poeti romantici: precursori della Rivoluzione". Ascoltò parlare Stephen Spender a Londra, e recitare i suoi versi a Cheltenham. E così andò avanti per tutta l'estate, "Il Partito comunista per la libertà", "Letteratura americana" – il che significava Dos Passos, Steinbeck, Lillian Hellman, significava Aspettando Lefty e La vita di Studs Lonigan. "Dove va l'impero britannico", "Il diritto dell'India all'autogoverno". E non si trattava solo dei fine settimana. Dopo quella giornata alla facoltà di Economia aveva cominciato ad accompagnare Donald dappertutto, vuoi per una conferenza serale o un dibattito, vuoi per un gruppo di studio. Tornava a casa per prendere indumenti puliti, fare il bagno, e raccontare a sua madre dove era stato. Lei lo ascoltava, piena d'attenzione, e gli faceva un'infinità di domande. Solo un anno prima James si sarebbe infastidito e avrebbe cercato di evitarla, ma adesso cominciava a capire quanto povera di emozioni fosse la sua vita, e stava imparando a essere paziente. Suo padre lo ascoltava – forse –, ma i suoi commenti non andavano mai al di là di un grugnito o di una sbuffata quando non era d'accordo su qualcosa.

Aveva l'impressione di incontrare solo personalità brillanti, che lo facevano sentire scialbo e timido, e le ragazze erano diverse da quelle che aveva conosciuto fino ad allora, loquaci, libere nelle opinioni (spesso allarmanti) e anche nei baci – in un primo momento era stato sorpreso che non si infastidissero per le sue avance e anzi lo prendessero persino in giro se esitava. Generose nei baci, ma parsimoniose con tutto il resto: e questo lo rassicurava, perché certo non credeva nel libero amore, argomento di uno dei tanti dibattiti. Non solo stava vivendo un sogno di cameratismo e di facili amicizie, ma soprattutto cominciava a vedere se stesso in modo nuovo, e questo lo sorprendeva, lo scandalizzava o lo faceva vergognare. Commenti colti al volo, per caso, una frase o due in una conferenza su "La minaccia fascista in Europa" o "Le condizioni di lavoro nelle miniere" continuavano a rimbombargli nelle orecchie, come se qualcosa le avesse sensibilizzate a captare parole che sembravano destinate proprio a lui.

Durante un fine settimana pacifista vide la sua infanzia messa in prospettiva, con chiarezza, come in una vignetta: "I reduci della Grande Guerra parlano solo di quello, per loro è un'ossessione...". "Come mio padre," si udì dalla sala, "...o non ne parlano per niente." "Come mio padre" intervenne un altro.

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