Copertina
Autore Clarice Lispector
Titolo Vicino al cuore selvaggio
EdizioneAdelphi, Milano, 2003 [1987], gli Adelphi 225 , pag. 194, dim. 126x195x14 mm , Isbn 978-88-459-1776-9
OriginalePerla do Coração Selvagem [1944]
TraduttoreRita Desti
LettoreRenato di Stefano, 2003
Classe narrativa brasiliana
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Indice

PRIMA PARTE

Il padre...                     13
Il giorno di Joana              18
... Un giorno...                25
La passeggiata di Joana         31
La zia                          35
Allegrie di Joana               42
... il bagno...                 48
La donna della voce e Joana     70
Otavio                          76

SECONDA PARTE

Il matrimonio                  101
Il rifugio nel professore      108
La piccola famiglia            113
L'incontro con Otavio          126
Lidia                          133
L'uomo                         150
Il rifugio nell'uomo           155
La vipera                      166
L'esodo degli uomini           178
Il viaggio                     186

 

 

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Pagina 13

IL PADRE...



La macchina di papà faceva tac tac... tac tac tac... L'orologio si destò con un dlin senza polvere... Il silenzio scivolò via zzzzz... Il guardaroba diceva che cosa? roba roba roba... No, no. Tra l'orologio, la macchina e il silenzio c'era un orecchio all'erta, grande, roseo e morto. I tre suoni erano legati dalla luce del giorno e dallo stridio delle foglioline dell'albero che si strofinavano raggianti le une contro le altre.

Appoggiando la fronte sul vetro luccicante e freddo guardava verso il giardino del vicino, verso il grande mondo delle galline-che-non-sapevano-che-sarebbero-morte. E, come fosse vicina al suo naso, poteva sentire la terra calda, smossa, così odorosa e secca, dove lei ben lo sapeva, ben lo sapeva, qualche lombrico oziava prima di essere mangiato dalla gallina che la gente avrebbe mangiato.

Ci fu un momento grande, fermo, senza nulla dentro. Spalancò gli occhi, attese. Non successe niente. Bianco. Ma d'improvviso, con un sussulto, ricaricarono il giorno e tutto ricominciò a funzionare, la macchina a trottare, la sigaretta del padre a far fumo, il silenzio, le foglioline, i polli spennati, il chiarore, e le cose rivissero piene di fretta come una teiera che bolle. Mancava solo il tic-tac dell'orologio che guerniva tanto. Chiuse gli occhi, finse di ascoltarlo e al suono della musica inesistente e ritmata si alzò sulla punta dei piedi. Fece tre passi di danza, leggeri, alati.

Allora, improvvisamente, guardò con disgusto tutto, come se avesse mangiato troppo di quella pappa. «Ohi, ohi, ohi...» gemette sottovoce, stanca, e poi pensò: che succederà ora ora ora? Ma nella goccia di tempo che veniva non succedeva niente se lei continuava ad aspettare quello che stava per succedere, lo capisci? Allontanò quel pensiero difficile distraendosi con un movimento del piede scalzo sul pavimento di legno impolverato. Strofinò il piede spiando di sbieco il padre, aspettando il suo sguardo impaziente e nervoso. Non accadde nulla, però. Nulla. Difficile aspirare le persone come l'aspirapolvere.

«Papà, ho inventato una poesia».

«Come si chiama?».

«Io e il sole». Quasi senza aspettare recitò: «Le galline che sono in giardino hanno già mangiato due lombrichi ma io non ho visto».

«Allora? Che c'entrate tu e il sole con la poesia?».

Lo guardò un secondo: lui non aveva capito.

«Il sole è sopra i lombrichi, papà, e io ho fatto la poesia e non ho visto i lombrichi...». Pausa. «Posso inventarne un'altra anche adesso: "Oh sole, vieni a giocare con me".

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Pagina 28

«Neanche te lo immagini: non ho mai visto nessuno provare tanta rabbia contro le persone, ma una rabbia sincera, e disprezzo, anche. Ed essere insieme tanto buono... aspramente buono. O mi sbaglio? Forse era a me che non piaceva quel tipo di bontà: come se ridesse della gente. Ma mi ci sono abituato. Lei non aveva bisogno di me. Né io di lei, è vero. Ma vivevamo insieme. Quel che ancora adesso vorrei sapere, darei tutto per saperlo, è a cosa mai pensasse tanto. Tu, come mi vedi e come mi conosci, mi troveresti la persona più semplice del mondo rispetto a lei. Immagina quindi l'effetto che ha fatto alla mia povera famigliola: come se le avessi portato in quel suo seno roseo e formoso - te la ricordi, Alfredo?» i due avevano riso «come se vi avessi portato il germe del vaiolo, un eretico, non so neanch'io che cosa... Insomma, io preferisco proprio che questa creaturina qui non le somigli. Neanche a me, per Dio... Per fortuna ho l'impressione che Joana seguirà la propria strada...».

«E allora?» aveva detto poi l'uomo.

«Allora... niente. È morta appena ha potuto».

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Pagina 33

«Ho notato che ti piace camminare» disse Otavio prendendo un ceppo. «Del resto ti piaceva già anche prima di sposarci».

«Sì, molto» rispose lei.

Avrebbe potuto rispondergli con un pensiero qualsiasi, e avrebbe creato fra loro un nuovo rapporto. Era questo ciò che più le piaceva, vicino alle persone. Lei non era obbligata a seguire il passato, e con una parola poteva inventare un percorso di vita. Se avesse detto: sono al terzo mese di gravidanza, ecco che fra loro avrebbe cominciato a vivere qualcosa. Anche se Otavio non era particolarmente stimolante. Con lui, la possibilità più prossima era quella di legarsi a quanto era già accaduto. Anche così, però, sotto quel suo sguardo «risparmiami, risparmiami», di tanto in tanto lei apriva la mano e faceva volare d'improvviso un uccellino. A volte, però, forse per la qualità di quello che diceva, tra loro non si creava nessun ponte, ma, al contrario, nasceva un intervallo. «Otavio,» gli diceva lei d'improvviso «hai mai pensato che un punto, un unico punto senza dimensioni, è il massimo della solitudine? Un punto non può contare neppure su se stesso, non c'è in lui né fu né non-fu». Come se avesse gettato al marito un tizzone acceso, la frase rimbalzava da una parte all'altra, gli sfuggiva dalle mani finché non fosse riuscito a liberarsene con un'altra frase, fredda come cenere, cenere per coprire l'intervallo: sta piovendo, ho fame, è una bella giornata. Forse perché lei non sapeva giocare. Ma lo amava, per quel suo modo di afferrare gli sterpi.

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Pagina 38

Il vento, adesso, la lambiva duramente. Pallida e fragile, respirando leggera, lei lo sentiva, salato, allegro, che le correva sul corpo, dentro al corpo, e la rinvigoriva. Socchiuse gli occhi. Il mare brillava laggiù, fra le onde stagnanti, si distendeva profondo, spesso, sereno. Arrivava corposo e increspato, attorcendosi su se stesso. Poi, sulla sabbia silenziosa, si allungava... si allungava come un corpo vivo. Al di là di quelle piccole onde c'era il mare - il mare. Il mare - disse pian piano, la voce roca.

Scese giù dalle rocce, camminò serenamente sulla spiaggia solitaria fino a ricevere l'acqua sui piedi. Accoccolata, le gambe tremanti, bevve un po' di mare. Se ne rimase così a riposare. Ogni tanto stringeva gli occhi, fissava la superficie del mare e vacillava, tanto era acuta la visione - solo quella lunga linea verde che univa i suoi occhi e l'acqua all'infinito. Il sole squarciò le nuvole e i piccoli bagliori che scintillavano sull'acqua erano fuocherelli che si accendevano e spegnevano. Il mare, al di là delle onde, stava a guardare da lontano, silenzioso, senza piangere, senza seni. Grande, grande. Grande, sorrise lei. E d'improvviso, così, inattesa, sentì dentro una cosa forte, una cosa divertente che la faceva un po' tremare. Ma non era freddo, né era triste, era una cosa grande che veniva dal mare, che veniva dal gusto di sale in bocca, e da lei, da lei stessa. Non era tristezza, un'allegria quasi terribile... Ogni volta che si soffermava sul mare e sul riverbero tranquillo del mare, sentiva quella contrazione e poi quel rilassamento nel corpo, alla vita, in petto. Non sapeva neppure se ridere, perché non c'era niente di tanto divertente. Anzi, oh, anzi, là dietro c'era quello che era successo ieri. Si coprì il viso con le mani aspettando quasi con vergogna, sentì il calore del suo sorriso e del suo respiro che a poco a poco veniva assorbito. Ora l'acqua le scorreva sui piedi scalzi, gorgogliandole fra le dita, scivolando via chiara chiara come un animale trasparente. Trasparente e vivo... Aveva voglia di berlo, di morderlo pian piano. Lo prese con le mani a conca. Quel piccolo lago tranquillo scintillava serenamente sotto il sole, s'intiepidiva, scivolava, sfuggiva. La sabbia lo risucchiava in tutta fretta e se ne rimaneva lì come se non avesse mai conosciuto quell'acquolina. Lei ci si bagnò il viso, passò la lingua sul palmo della mano vuota e salata. Il sale e il sole erano piccole frecce brillanti che nascevano qua e là, pungendola, distendendole la pelle del viso bagnato. La sua felicità aumentò, le si raccolse in gola come una sacca d'aria. Ma adesso era un'allegria seria, senza voglia di ridere. Era un'allegria quasi da piangere, mio Dio. Pian piano era arrivato il pensiero. Senza paura, non grigio e piagnucoloso come era arrivato fino ad allora, ma nudo e taciturno sotto il sole come la sabbia bianca. Papà è morto. Papà è morto. Respirò lentamente. Papà è morto. Adesso sapeva davvero che suo padre era morto. Adesso, vicino al mare, dove il luccichio era una pioggia di pesci d'acqua. Il padre era morto come il mare era profondo! capì all'improvviso. Il padre era morto come non si vede il fondo del mare, sentì.

Non era avvilita al punto di piangere. Capiva che il padre se n'era andato. Questo solo. E la sua tristezza era una stanchezza grande, pesante, senza rabbia. Ci camminò insieme sulla spiaggia immensa. Si guardava i piedi scuri e sottili come ramoscelli appaiati sul candore sereno dove affondavano e da dove si sollevavano ritmicamente, come in una respirazione. Camminò, camminò, e non c'era niente da fare: suo padre era morto.

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Pagina 73

Tanti anni della sua esistenza li aveva sprecati alla finestra, a guardare le cose che passavano e quelle immobili. Ma in realtà, più che guardar fuori, ascoltava la vita dentro di sé. L'aveva affascinata il suo rumore - come quello della respirazione di un bimbo - il suo dolce fulgore - come quello di una pianta appena nata. Non si era ancora stancata di esistere e bastava a se stessa al punto che a volte, per la gran felicità, sentiva la tristezza coprirla come l'ombra di un manto, lasciandola fresca e silenziosa come un tramonto. Lei non aspettava nulla: era in sé, il suo stesso fine.

Una volta si era divisa, si era agitata, aveva cominciato a uscire e a cercarsi. Era andata nei posti dove si trovavano uomini e donne. Tutti avevano detto: per fortuna si è svegliata, la vita è breve, bisogna approfittarne, prima era spenta, adesso sì che è viva. Nessuno sapeva che in quel momento era tanto infelice da aver bisogno di cercare la vita. Fu allora che scelse un uomo, l'amò e l'amore le addensò il sangue e il mistero. Diede alla luce un figlio, il marito morì dopo averla fecondata. Lei andò avanti, progrediva molto bene. Riunì tutti i suoi pezzi e non cercò più le persone. Ritrovò la finestra dove si metteva in compagnia di se stessa. E adesso, più che sempre, non si era mai vista una cosa o una creatura più felice e più completa. Anche se molti la guardavano con sufficienza, trovandola debole. Poiché il suo spirito era tanto forte che lei non aveva mai smesso di pranzare o di cenare molto bene, senza un eccessivo piacere, del resto. Niente di quello che dicevano le importava, proprio come gli avvenimenti, e tutto le scivolava sopra per andare a disperdersi in acque diverse dalle sue acque interne.

Un giorno, dopo averne vissuti senza tedio molti uguali, si vide diversa. Era stanca. Se ne andò da una parte all'altra. Lei stessa non sapeva cosa voleva. Si mise a cantare sottovoce, con la bocca chiusa. Poi si stancò e cominciò a pensare alle cose. Ma non ci riusciva del tutto. Dentro di lei, qualcosa cercava di fermarsi. Se ne era rimasta ad aspettare, e da lei non arrivava niente per lei. A poco a poco s'intristì di una tristezza insufficiente e perciò doppiamente triste. Continuò ad andare per vari giorni e i suoi passi risuonavano come le foglie che cadono morte al suolo. Dentro, lei era foderata di grigio e non distingueva niente se non un riflesso, come gocce slavate che scivolano, un riflesso del suo antico ritmo, ora lento e spesso. In quel momento seppe che era svuotata e per la prima volta soffrì perché veramente si era divisa in due, una parte davanti all'altra, a sorvegliarla, a desiderare cose che questa non poteva più dare. In realtà, lei era sempre stata due, quella che sapeva vagamente di essere e quella che era davvero, profondamente. Solo che fino ad allora le due avevano lavorato insieme e si confondevano. Adesso quella che sapeva di essere lavorava da sola, il che significava che quella donna, in quel momento, era infelice e intelligente. Tentò, in un ultimo sforzo, di inventare qualcosa, un pensiero, che la distraesse. Inutile. Lei sapeva solo vivere.

Finché l'assenza di se stessa finì per farla cadere nella notte, e pacificata, rabbuiata e fresca lei cominciò a morire. Poi morì dolcemente, come se fosse stata un fantasma. Non si sa altro del perché morì. Si presume solo che, alla fine, anche lei fosse felice, come lo possono essere una cosa o una creatura. Giacché lei era nata per l'essenziale, per vivere o morire. Ciò che poteva esserci in mezzo la faceva soffrire. La sua esistenza era stata tanto completa e tanto legata alla verità che probabilmente, al momento di consegnarsi e svanire, doveva aver pensato, se avesse avuto l'abitudine di pensare: Io non sono mai stata. Non si sa neppure che cosa ne è stato di lei. A una vita così bella deve aver fatto seguito una morte altrettanto bella. Probabilmente oggi sarà dei granelli di terra. Guarda lassù, verso il cielo, per tutto il tempo. A volte piove, lei è colma e rotonda nei suoi granelli. Poi comincia a seccare con l'estate e di tanto in tanto il vento la disperde. Lei è eterna, adesso.

Dopo un istante di concentrazione, Joana intuì che l'aveva invidiato, quell'essere mezzo morto che le sorrideva e le aveva parlato con un tono di voce sconosciuto. Soprattutto, pensò ancora, capisce la vita perché non è abbastanza intelligente da non capirla. Ma a che servivano i ragionamenti... Se si arrivasse al punto di capirla, senza impazzire, però, non si potrebbe conservare la conoscenza come conoscenza ma la si trasformerebbe in atteggiamento, in atteggiamento di vita, l'unico modo di possederla e di esprimerla integralmente. Un atteggiamento non molto diverso da quello in cui si adagiava la donna della voce. Erano così povere le vie dell'azione.

Fece un rapido movimento con la testa, impaziente. Prese una matita, un foglio di carta, e scribacchiò con una calligrafia intenzionalmente ferma: «La personalità che ignora se stessa si realizza più completamente». Verità o menzogna? Ma, in un certo senso, si era vendicata buttando su quella donna tumida di vita il suo pensiero freddo e intelligente.

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