Copertina
Autore Paul Lockhart
Titolo Contro l'ora di matematica
SottotitoloUn manifesto per la liberazione di professori e studenti
EdizioneRizzoli, Milano, 2010, , pag. 120, ill., cop.ril., dim. 12x18x1,4 cm , Isbn 978-88-17-03840-9
OriginaleA Mathematician's Lament [2009]
TraduttoreCarlo Capararo
LettoreCorrado Leonardo, 2010
Classe matematica , scuola
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


Prefazione di Keith Devlin                   5


Parte I  - Lamentazione                     11

Parte II - Giubilo                          75


 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 19

Matematica e cultura



La prima cosa da chiarire è che la matematica è un'arte. La differenza tra la matematica e le altre arti, come la musica e la pittura, è che la nostra cultura non la riconosce come tale. Tutti comprendono che i poeti, i pittori e i musicisti creano delle opere d'arte e che si esprimono per mezzo di parole, immagini e suoni. In effetti la nostra società è piuttosto generosa nei riguardi delle manifestazioni di creatività: architetti, chef e persino registi televisivi sono considerati artisti. Perché, allora, non i matematici?

In parte il problema è dato dal fatto che nessuno ha la minima idea di quello che i matematici fanno. A quanto pare, l'impressione comune è che i matematici siano legati in qualche modo alla scienza: forse aiutano gli scienziati con le loro formule, o inseriscono grandi numeri nei computer per una ragione o per l'altra. Certo è che, se dovessimo dividere il mondo in «sognatori poetici» e «pensatori razionali», la maggioranza delle persone porrebbe i matematici nella seconda categoria.

Ma la verità è che non esiste nulla di più poetico e visionario, nulla di più radicale, sovversivo e psichedelico della matematica. La matematica non è meno stupefacente della cosmologia o della fisica (i matematici hanno concepito i buchi neri ben prima che gli astronomi ne scoprissero uno) e offre una maggiore libertà espressiva rispetto alla poesia, all'arte o alla musica (che dipendono fortemente dalle proprietà dell'universo fisico). La matematica è la più pura delle arti, e la più fraintesa.

Permettetemi dunque di tentare di spiegarvi cos'è davvero la matematica e cosa fanno i matematici. Il modo migliore per cominciare è citare l'eccellente descrizione che ne dà G. H. Hardy:

Il matematico, come il pittore e il poeta, è un creatore di forme. Se le forme che crea sono più durature delle loro, è perché sono fatte di idee.

Dunque i matematici passano il tempo creando forme fatte di idee. Che genere di idee? Idee sui rinoceronti? No, quelle le lasciamo ai biologi. Idee sul linguaggio e la cultura? No, almeno non di solito. Cose di questo genere sono decisamente troppo complicate per il gusto della maggior parte dei matematici. Se mai esiste un principio estetico unificante in matematica, è questo: semplice è bello. Ai matematici piace pensare alle cose più semplici possibili, e le cose più semplici possibili sono immaginarie.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 23

Ecco perché è così sconfortante vedere ciò che si sta facendo della matematica a scuola. Questa ricca e affascinante avventura dell'immaginazione è stata ridotta a una sterile sequela di dati da memorizzare e di procedure da seguire. Invece di una domanda semplice e naturale su alcune figure, invece di un processo creativo e gratificante di invenzione e di scoperta, agli studenti viene offerto questo:

Formula dell'area di un triangolo
A = 1/2 b h


«L'area di un triangolo è uguale alla base per l'altezza diviso due.» Agli studenti è richiesto di imparare a memoria questa formula per poi «applicarla» di continuo negli «esercizi». Addio all'eccitazione, alla gioia, persino al dolore e alla frustrazione dell'atto creativo! Non rimane nemmeno più un problema da risolvere. La domanda è stata formulata e nello stesso tempo è stata fornita la risposta: allo studente non rimane niente da fare.

Desidero però essere chiaro riguardo a ciò che disapprovo. Non sono contrario né alle formule né alla memorizzazione di fatti interessanti. Questo va bene all'interno di un dato contesto, e ha una sua funzione così come ha una sua funzione l'apprendimento del vocabolario: aiuta a creare opere d'arte più variegate e ricche di sfumature. Ma non è il fatto che i triangoli occupino metà dell'area dei rettangoli in cui sono inscritti che conta. Ciò che importa è la bella idea di dividerlo con quella linea, e come essa possa ispirare altre belle idee e condurre a soluzioni creative di altri problemi; qualcosa che la mera enunciazione di un fatto non potrà mai darvi.

Eliminando il processo creativo per lasciare solo i suoi risultati, avrete la certezza praticamente assoluta che nessuno entrerà davvero in contatto con la disciplina. È come se mi si dicesse che Michelangelo ha creato una scultura magnifica senza darmi la possibilità di vederla. Come potrei mai trarne ispirazione? (Anzi, in realtà è molto peggio: in quel caso so quanto meno che esiste un'arte della scultura che mi si impedisce di apprezzare.)

Se ci si concentra sul che cosa e si tralascia il perché, la matematica si riduce a un guscio vuoto. L'arte non sta nella «verità», ma nella spiegazione, nell'argomentazione. È proprio l'argomentazione che conferisce alla verità il suo contesto e stabilisce che cosa viene effettivamente affermato e il suo significato. La matematica è l'arte della spiegazione. Se si nega agli studenti la possibilità di dedicarsi a questa attività – di proporre i propri quesiti, di elaborare le proprie congetture e le proprie scoperte, di sbagliare, di vedere i propri sforzi creativi frustrati, di avere un'ispirazione e di formulare con fatica le proprie spiegazioni e dimostrazioni – si nega loro la matematica stessa. Sia ben chiaro: non mi sto lamentando per la presenza di formule nelle ore scolastiche di matematica, mi sto lamentando per l'assenza della matematica nelle ore scolastiche di matematica.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 31

La matematica a scuola



Non esiste modo più sicuro di uccidere l'entusiasmo e l'interesse per una materia che renderla obbligatoria nel programma scolastico. Basta inserirla come parte fondamentale di un test di verifica unificato per avere praticamente la certezza che il sistema scolastico la svuoterà della vita. I comitati scolastici non capiscono che cos'è la matematica; né lo capiscono i pedagogisti, gli autori di manuali, le case editrici e, purtroppo, nemmeno la gran parte dei nostri docenti di matematica. La portata del problema è così gigantesca che faccio fatica a decidere da dove cominciare.

Proviamo a partire dal fiasco della «riforma matematica». Da molti anni si è raggiunta la consapevolezza che nell'insegnamento di questa materia qualcosa non funzioni. Sono stati commissionati studi, organizzate conferenze, costituiti innumerevoli comitati di insegnanti, editori scolastici ed educatori (qualsiasi cosa siano) per «porre rimedio al problema». Tralasciando per un momento i meri interessi commerciali che l'industria editoriale manifesta per la riforma scolastica (che approfitta di ogni minima fluttuazione politica per offrire «nuove» edizioni delle sue illeggibili mostruosità), l'intero movimento riformistico non ha mai colto in pieno l'essenza del problema. Il programma scolastico di matematica non va semplicemente modificato: va eliminato.

Tutto quell'agitarsi e disquisire su quali «argomenti» si dovrebbero insegnare e in quale ordine, o sull'uso di questa notazione piuttosto che di quella, o su quale marca e modello di calcolatrice adottare, è come voler sistemare ossessivamente le sedie a sdraio sul ponte del Titanic! La matematica è la musica della ragione. Fare matematica significa impegnarsi in un atto di scoperta e ipotesi, di intuizione e ispirazione; significa essere in uno stato di confusione, non perché non ci trovate alcun senso, ma perché le avete dato un senso e non capite ancora a che cosa serva la vostra creazione; significa avere un'idea; provare la frustrazione di un artista; sentirsi sopraffatti e sgomenti di fronte a una bellezza quasi dolorosa; significa sentirsi vivi, maledizione! Togliete questo alla matematica e potrete fare tutte le conferenze che volete; non cambierà nulla. Intervenite pure come volete, cari dottori: il vostro paziente è già morto.

La parte più triste di tutta questa «riforma» sono i tentativi di «rendere la matematica interessante» e «rilevante per la vita dei ragazzi». Non c'è bisogno di rendere la matematica interessante: è già più interessante di quanto potremmo mai renderla! E la sua bellezza consiste proprio nella sua totale irrilevanza per la nostra vita. Ecco perché è così divertente!

I tentativi di presentare la matematica come rilevante per la vita quotidiana risultano inevitabilmente forzati e artefatti: «Vedete, ragazzi, se conoscete l'algebra potete calcolare quanti anni ha Maria sapendo che ha due anni più del doppio dell'età che aveva sette anni fa!». (Come se capitasse spesso di avere accesso a questo genere di informazioni invece che sapere direttamente l'età della fanciulla.) L'algebra non riguarda la vita quotidiana, riguarda numeri e simmetria; e ciò rappresenta di per sé un'occupazione valida:

Supponete che vi siano date la somma e la differenza di due numeri. Come è possibile stabilire quali sono i due numeri?

Ecco un problema semplice ed elegante, e non è necessario alcuno sforzo per renderlo attraente. Gli antichi babilonesi si divertivano a riflettere su questo genere di problemi, e lo stesso potrebbe valere per i nostri studenti. (E spero che anche voi vi divertiate a pensarci!) Non abbiamo bisogno di farci in quattro per dare rilevanza alla matematica, poiché ne ha esattamente quanto qualsiasi altra arte, essendo un'esperienza umana significativa.

Ma a parte questo, pensate davvero che i ragazzi vogliano qualcosa che sia rilevante per la loro vita quotidiana? Pensate che qualcosa di pratico li faccia appassionare? Alla gente piace la fantasia, ed è questo che la matematica può dare: un diversivo dalla vita quotidiana, un palliativo al mondo reale di ogni giorno.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 38

GLI EDITORI DI LIBRI DI TESTO STANNO AGLI INSEGNANTI COME

A) le industrie farmaceutiche stanno ai medici

B) le etichette musicali stanno ai disc jockey

C) le multinazionali stanno ai parlamentari

D) tutti i suddetti


La matematica, come la pittura o la poesia, è un faticoso lavoro creativo, il che rende molto difficile insegnarla. La matematica è un lento processo contemplativo. Ci vuole tempo per produrre un'opera d'arte, e ci vuole un insegnante preparato per riconoscerla. Ovviamente è più facile esporre una serie di regole che fare da guida a degli aspiranti giovani artisti, ed è più facile scrivere il manuale d'istruzioni di un videoregistratore che non un vero libro in cui si esprime un punto di vista personale.

La matematica è un'arte, e l'arte dovrebbe essere insegnata da chi fa l'artista, o almeno da qualcuno che apprezzi la forma artistica e sia in grado di riconoscerla quando la incontra. Non è necessario imparare la musica da un compositore professionista, ma nessuno vorrebbe che il proprio figlio andasse a lezione da una persona che non suona nemmeno uno strumento e non ha mai ascoltato un brano musicale in vita sua. Accettereste come docente d'arte una persona che non ha mai preso in mano una matita o messo piede in un museo? E allora perché mai accettiamo insegnanti di matematica che non hanno mai prodotto della matematica originale, non sanno nulla della storia e della filosofia della materia, nulla dei suoi sviluppi recenti? Ed è proprio questo nulla che insegnano ai loro allievi. Ma come si fa? Come si può insegnare qualcosa che non si conosce? Io non so ballare, e di conseguenza non mi sognerei mai di tenere un corso di ballo (potrei provarci, ma sarebbe un vero disastro). La differenza è che io so di non saper ballare. Nessuno mi viene a dire che sono bravo a ballare solo perché conosco qualche termine relativo alla danza.

Non sto dicendo che gli insegnanti di matematica debbano essere matematici professionisti, lungi da me. Ma non dovrebbero quanto meno comprendere che cos'è la matematica, essere degli esperti e divertirsi a fare il loro lavoro?

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 40

SIMPLICIO: D'accordo, capisco che c'è un'arte nella matematica e che non stiamo facendo un buon lavoro nel farla conoscere. Ma non rischiamo di pretendere qualcosa di troppo esoterico e intellettuale dal nostro sistema scolastico? Noi non stiamo cercando di creare dei filosofi, vogliamo semplicemente che le persone abbiano una ragionevole padronanza dell'aritmetica elementare in modo che siano in grado di operare nella società.

SALVIATI: Ma questo non è vero! La matematica scolastica si occupa di molte cose che non hanno niente a che vedere con la capacità di cavarsela nella società, come l'algebra e la trigonometria, per esempio. Tali studi sono totalmente irrilevanti per la vita quotidiana. Sto semplicemente suggerendo che, se proprio vogliamo inserire cose di questo genere nell'istruzione di base della maggioranza degli studenti, allora dovremmo farlo in modo organico e naturale. Inoltre, come ho già detto, il fatto che una materia di studio abbia alcune applicazioni pratiche banali non significa che dobbiamo fare di quelle applicazioni il punto focale del nostro insegnamento e del nostro apprendimento. È vero che bisogna saper leggere per poter compilare un modulo alla motorizzazione, ma non è questa la ragione per cui insegniamo ai bambini a leggere. Insegniamo loro a leggere per lo scopo più elevato di permettere che accedano a idee belle e significative. Non solo sarebbe crudele insegnare a leggere in quel modo – costringendo i bambini di terza elementare a compilare ordini d'acquisto e moduli delle imposte –, ma non funzionerebbe. Impariamo le cose perché ci interessano adesso, non perché potrebbero tornarci utili in futuro. Eppure è proprio questo che chiediamo ai bambini di fare nel caso della matematica.

SIMPLICIO: Ma non è necessario che in terza elementare i nostri bambini imparino l'aritmetica?

SALVIATI: E perché? Vuoi insegnar loro a calcolare 427 più 389? Non è una domanda che molti bambini di otto anni si pongono. Rifletti: la gran parte degli adulti non comprende appieno l'utilità pratica dell'aritmetica decimale, e ti aspetti che i bimbi di terza elementare ne abbiano un'idea chiara? Oppure non t'importa che la comprendano? La verità è che è troppo presto, per questo genere di preparazione tecnica. Naturalmente gliela si può insegnare, ma ritengo che tutto considerato faccia più male che bene. È molto meglio aspettare finché non si manifesterà la loro naturale curiosità per i numeri.

SIMPLICIO: Ma allora che cosa dovremmo fare con i bambini durante l'ora di matematica?

SALVIATI: Giocare! Insegnar loro a giocare a scacchi e a Go, a Hex e a backgammon, a sprout e a nim. Inventare un gioco. Fare dei puzzle. Proporre situazioni in cui è necessario un ragionamento deduttivo. Non preoccuparsi di notazioni e tecniche, ma aiutarli a diventare pensatori matematici attivi e creativi.

SIMPLICIO: Ho l'impressione che correremmo il brutto rischio di ritrovarci degli scolari che non sono in grado di fare le somme e le sottrazioni.

SALVIATI: Credo che un rischio di gran lunga maggiore sia quello di creare scuole prive di ogni genere di espressione creativa, in cui il compito dello studente è memorizzare date, formule ed elenchi di parole per poi rigurgitarli nei test unificati, allo scopo di «preparare oggi la forza lavoro di domani».

SIMPLICIO: Ma c'è sicuramente un corpus di fatti matematici di cui una persona istruita dovrebbe essere a conoscenza.

SALVIATI: Sì, e il più importante di questi fatti è che la matematica è una forma d'arte cui l'uomo si dedica per trarne piacere! D'accordo, è vero che sarebbe bello se la gente conoscesse alcune nozioni fondamentali su numeri e figure, ma ciò non si otterrà mai con la memorizzazione meccanica, le applicazioni ripetitive, le lezioni e gli esercizi. Le cose si imparano facendole, e ci si ricorda di quelle per cui si prova un interesse. Milioni di adulti sono in grado di ripetere a pappagallo «meno b più o meno la radice quadrata di b meno 4ac, tutto diviso per 2a» e non hanno la benché minima idea di ciò che significa, poiché non è mai stata data loro la possibilità di scoprire o ideare cose simili da soli. Non hanno mai avuto un problema impegnativo su cui ragionare, che li facesse sentire frustrati e che producesse in loro il desiderio di apprendere tecniche e metodi. Nessuno gli ha mai raccontato la storia del rapporto dell'uomo con i numeri: niente sulle tavolette di problemi degli antichi babilonesi, niente sul papiro di Rhind, sul Liber abaci, sull' Ars Magna, e, soprattutto, non hanno avuto alcuna possibilità di incuriosirsi su un quesito: la risposta è stata data prima ancora che potessero porselo.

SIMPLICIO: Ma non abbiamo il tempo per permettere che ogni scolaro inventi la sua matematica! Ci sono voluti secoli perché si scoprisse il teorema di Pitagora. Come puoi pretendere che un bambino normale lo faccia?

SALVIATI: Non lo pretendo. Voglio essere chiaro al riguardo. Ciò di cui mi sto lamentando è l'assenza totale d'arte e invenzione, di storia e filosofia, di contesto e prospettiva nel programma scolastico di matematica. Questo non significa che le notazioni, le tecniche e lo sviluppo di una base di conoscenze non debbano avere uno spazio. È ovvio che devono averlo. Dovremmo avere gli uni e gli altri. Se contesto il fatto che il pendolo oscilli troppo da un lato, non significa che voglia che oscilli totalmente dall'altro. Ma il fatto è che le persone imparano meglio quando dal processo scaturisce un prodotto. Non si diventa poeti imparando a memoria una serie di poesie, ma componendone di proprie.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 49

In sostanza, il programma di matematica non è nemmeno una sequenza di argomenti e idee, quanto piuttosto una sequenza di notazioni. Sembra che la matematica consista in un elenco segreto di simboli mistici e di regole per la loro manipolazione. Ai bambini più piccoli si danno simboli come + e :. Solo più avanti si può affidar loro √, e poi x e y e l'alchimia delle parentesi. Alla fine verranno indottrinati all'uso di sen, log, f(x) e, se ne sono giudicati degni, di d e ∫. Il tutto senza che abbiano avuto una sola esperienza matematica significativa.

Questo programma è stabilito in maniera tanto rigida che gli insegnanti e gli autori dei libri di testo sono in grado di fare previsioni attendibili, con anni d'anticipo, su ciò che gli studenti faranno; previsioni così esatte da arrivare fino alla pagina degli esercizi svolti. Non è affatto infrequente che a uno studente al secondo anno di algebra si richieda di calcolare [f(x + h) — f(x)]/h per diverse funzioni f, di modo che avranno già «visto» quella formula quando seguiranno le lezioni di analisi matematica qualche anno più tardi. Naturalmente non viene fornita alcuna motivazione (né ce la si aspetta) del perché una tale combinazione apparentemente casuale di operazioni debba rivestire un qualche interesse, anche se sono sicuro che molti insegnanti tentino di spiegare che cosa potrebbe significare la formula, e pensano di fare un favore ai loro studenti, quando in realtà per questi è soltanto un altro noioso problema di cui sbarazzarsi. «Che cosa vogliono che faccia? Ah, basta che applichi la formula? D'accordo.»

Un altro esempio è il modo in cui gli studenti vengono addestrati a esprimere le informazioni in una forma inutilmente complicata soltanto perché in un futuro lontano acquisteranno significato. C'è qualche insegnante di algebra della scuola media che abbia la minima idea del perché chiede ai suoi studenti di riformulare la frase «il numero x è compreso tra tre e sette» come | x — 5 | < 2? Gli autori di libri scolastici, nella loro irreparabile incompetenza, credono davvero di aiutare gli allievi preparandoli per il giorno in cui forse, anni dopo, potrebbero trovarsi a operare nell'ambito di una geometria multidimensionale o di uno spazio metrico astratto? Ne dubito. Suppongo che si copino semplicemente l'un l'altro di decennio in decennio, cambiando forse lo stile o il colore dei caratteri, e che siano raggianti d'orgoglio quando il sistema scolastico adotta il loro manuale facendosi così loro complice involontario.


La matematica si occupa di problemi, e bisogna fare in modo che i problemi siano il centro d'interesse della vita matematica degli studenti. Per quanto doloroso e frustrante dal punto di vista creativo possa essere, gli studenti e i loro professori dovrebbero essere coinvolti in ogni fase del processo: avere delle idee, non averne, scoprire schemi, fare congetture, formulare esempi e controesempi, escogitare argomentazioni e criticare a vicenda il proprio lavoro. Tecniche e metodi specifici scaturiranno spontaneamente, così come è successo nella storia: non isolati dal problema che ne costituisce il sottofondo, ma organicamente connessi a esso e come sua conseguenza.

I docenti d'inglese sanno che il modo migliore per imparare l'ortografia e la pronuncia è nel contesto della lettura e della scrittura. Quelli di storia sanno che nomi e date sono privi di interesse quando vengono estrapolati dallo sfondo storico su cui si dipanano gli eventi. Perché l'insegnamento della matematica è rimasto fermo al Diciannovesimo secolo? Mettete a confronto la vostra esperienza di apprendimento dell'algebra con il ricordo che ne aveva Bertrand Russell:

Mi costringevano a imparare a memoria: «Il quadrato della somma di due numeri è uguale alla somma dei loro quadrati aumentata due volte del loro prodotto». Non avevo la più vaga idea di che cosa volesse dire, e quando non riuscivo a ricordare le parole il mio istruttore mi tirava in testa il libro, cosa che non stimolava minimamente le mie capacità intellettuali.

Oggi le cose sono davvero cambiate?

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 75

Parte II


Giubilo



E così, l'assurda tragedia nota col nome di «didattica della matematica» continua, e anzi non fa che diventare più depravata e asinina ogni anno che passa. Ma non voglio parlarne più. Sono stanco di lamentarmi. A che scopo? La scuola non si è mai occupata di ragionamento e creazione. La scuola si occupa di addestrare i ragazzi a essere meri esecutori, in modo da classificarli. Non scandalizza affatto apprendere che la scuola rovina la matematica: la scuola rovina qualsiasi cosa! Inoltre non è necessario che vi dica che le vostre ore di matematica erano una noiosa, inutile perdita di tempo: ci siete passati, ricordate?

Invece, quello che farò sarà dirvi qualcosa di più su che cos'è davvero la matematica e perché io la amo tanto. Come ho già detto, la cosa più importante è capire che la matematica è un'arte. La matematica è qualcosa che si fa. E ciò che si fa è esplorare un luogo molto speciale e peculiare, un luogo che prende il nome di «realtà matematica». Si tratta naturalmente di un luogo della fantasia, un paesaggio di strutture eleganti e fantastiche abitato da meravigliose creature immaginarie che sono impegnate in ogni sorta di comportamenti affascinanti e curiosi.

Voglio darvi un'idea di come è la realtà matematica e del perché mi attrae tanto, ma prima lasciate che vi confidi che questo luogo è di una bellezza e di un incanto talmente sconvolgenti che io vi trascorro una buona parte della mia vita. Ci penso di continuo, così come la gran parte degli altri matematici. A noi piace quel luogo, e proprio non riusciamo a starne lontani.

Da questo punto di vista, un matematico assomiglia molto a un biologo che lavora sul campo. Immaginate di esservi accampati ai margini di una giungla tropicale, diciamo in Costarica. Ogni mattina prendete il machete e partite in esplorazione per effettuare delle osservazioni, e ogni giorno vi innamorate sempre di più della ricchezza e dello splendore di quei luoghi. Supponete di essere interessati a un tipo di animale in particolare, diciamo ai criceti. (Non importa se in Costarica esistano davvero criceti oppure no.)

Ciò che importa è che i criceti hanno un proprio comportamento. Fanno cose divertenti e interessanti; scavano, si accoppiano, corrono di qua e di là e costruiscono nidi dentro tronchi cavi. Avete studiato un gruppo particolare di criceti del Costarica abbastanza bene da identificarli uno per uno e assegnar loro dei nomi: Rosie è bianca e nera e ama rintanarsi; Sam è marrone e gli piace starsene al sole. Voi osservate, notate e vi incuriosite.

Perché alcuni criceti si comportano in maniera diversa rispetto agli altri? Quali caratteristiche sono comuni a tutti gli esemplari? È possibile classificarli e raggrupparli utilizzando criteri significativi e interessanti? Come vengono generati i nuovi piccoli criceti, e quali sono i tratti ereditati? In poche parole, avete per le mani dei problemi relativi ai criceti. Questioni genuine, affascinanti, a cui volete trovare una risposta.

Ebbene, anch'io ho dei problemi per le mani, ma non sono situati in Costarica e non riguardano i criceti. La sensazione però è la stessa. Esiste una giungla abitata da strane creature con degli interessanti comportamenti, e io voglio comprenderli. Per esempio, tra gli abitanti della giungla matematica che io preferisco ci sono degli animali fantastici: 1, 2, 3, 4, 5,...

Non prendetemi per matto, vi prego. Lo so che probabilmente avete avuto esperienze avvilenti, con questi simboli, e so anche che vi si stringe il petto al ricordo. Rilassatevi. Andrà tutto bene. Credetemi, sono un dottore... in filosofia.

Prima di tutto, dimenticatevi dei simboli: non contano. I nomi non contano mai. Rosie e Sam farebbero le stesse cose anche con nomi differenti; a loro non importa dei vostri sciocchi vezzeggiativi. Questo è un concetto di enorme importanza: sto parlando della differenza tra la cosa in sé e la rappresentazione della cosa. Non sono assolutamente di alcuna importanza i termini che volete usare (se ne volete usare) o i simboli che desiderate adottare (se desiderate adottarne). La sola cosa che conta in matematica è ciò che sono le cose e, soprattutto, come agiscono.

Dunque a un certo punto gli uomini cominciarono a contare (nessuno sa quando). Si fece un gran balzo in avanti quando si capì che era possibile rappresentare le cose per mezzo di altre cose (un caribù attraverso l'immagine dipinta di un caribù, per esempio, o un gruppo di persone per mezzo di un cumulo di sassi). Poi (di nuovo, non sappiamo quando) gli uomini primitivi concepirono l'idea di numero; di «trinità», per esempio. Non tre bacche o tre giorni, ma tre in astratto. Nel corso dei millenni l'uomo ha inventato ogni genere di linguaggi per rappresentare i numeri: marchi e segni, monete, sistemi per la manipolazione di simboli eccetera. Dal punto di vista matematico, niente di tutto questo conta molto. Dal mio punto di vista (quello del matematico sognatore e privo di senso pratico) una rappresentazione simbolica come 432 non è migliore né peggiore di un cumulo immaginario di quattrocentotrentadue sassi (e per molti versi io preferisco i sassi). Per me il passo importante non è il passaggio dai sassi ai simboli, bensì la transizione dalla quantità all' entità: al concetto di «cinque» o di «sette» non come quantità di qualcosa ma come esseri, come criceti, che hanno caratteristiche e comportamenti.

Per esempio, per un algebrista come me, l'affermazione 5 + 7 = 12 non dice tanto che cinque limoni e sette limoni fanno dodici limoni (benché sicuramente lo affermi). Quello che comunica a me è che alle entità note con i soprannomi di «cinque» e «sette» piace praticare una certa attività (vale a dire «sommarsi») e che quando lo fanno formano una nuova entità che a noi piace chiamare «dodici». E questo è ciò che queste creature fanno, indipendentemente da come vengano chiamate o da chi. In particolare, dodici non «comincia con uno» né «finisce con due». Di per sé il dodici non comincia né finisce, semplicemente è. (Con che cosa «comincia» un cumulo di sassi?) È soltanto la rappresentazione del dodici nel sistema posizionale decimale indo-arabico che comincia con un 1 e finisce con un 2. E questa rappresentazione è, di fatto, irrilevante. Capite che cosa sto dicendo?

Come matematici siamo interessati alle proprietà intrinseche degli oggetti matematici, non alle banali caratteristiche di un arbitrario costrutto culturale. È vero che il simbolo 69 ha lo stesso aspetto se lo si rovescia, ma il numero sessantanove non ha alcun «aspetto». Spero che riusciate a comprendere come questo punto di vista sia una naturale conseguenza dell'estetica del «semplice è bello». Che m'importa del sistema notazionale che alcuni mercanti arabi introdussero in Europa nel Dodicesimo secolo? M'importa dei miei criceti, non dei loro nomi.

Perciò proviamo a pensare a questi numeri 1, 2, 3, ... come a creature che hanno comportamenti interessanti. Naturalmente il loro comportamento è determinato da ciò che sono, ovvero dimensioni di insiemi. (È in questa veste che vi ci siamo imbattuti la prima volta»

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 86

In questo modo noi giochiamo e creiamo, cercando di avvicinarci alla bellezza ideale. Un esempio famoso è l'invenzione (nel Sedicesimo secolo) della geometria proiettiva. In questo caso l'idea è di «migliorare» la geometria euclidea eliminando il parallelismo. Soprassediamo in questo momento alle motivazioni storiche che stavano dietro questa decisione (e che hanno a che fare con la matematica della prospettiva), possiamo comunque comprendere che in generale due linee rette si intersecano in un solo punto, e che le rette parallele rompono questo schema. Per dirla in altro modo, due punti definiscono sempre una retta, ma due rette non sempre definiscono un punto.

L'ardita idea fu quella di aggiungere dei nuovi punti al piano euclideo classico. Per la precisione, si crea un nuovo «punto all'infinito» per ogni direzione nel piano. Adesso, tutte le rette parallele a quella direzione «s'incontreranno» in questo nuovo punto. Possiamo immaginare che il nuovo punto sia «infinitamente lontano» in quella direzione. Ovviamente, siccome ogni linea si estende in due direzioni opposte, il nuovo punto deve essere infinitamente lontano in entrambe le direzioni! In altre parole, le nostre rette sono diventate degli anelli infiniti. Non è un'idea favolosa?

Notate che abbiamo ottenuto ciò che volevamo: ogni coppia di rette si incontra esattamente in un solo punto. Se due rette si intersecavano prima, continuano a farlo; se erano parallele, adesso si intersecano «all'infinito». (Per completezza, dovremmo aggiungere un'altra linea retta, ovvero quella formata da tutti i punti all'infinito.) Adesso due punti qualsiasi definiscono un'unica retta e due rette qualsiasi definiscono un unico punto. Che luogo meraviglioso!

Vi sembrano le farneticazioni di un pazzo? Ammetto che ci vuole un po' di tempo per farci l'abitudine. Forse non accettate questi nuovi punti perché non esistono realmente. Ma tanto per cominciare, il piano euclideo, esisteva?

Il punto è che non c'è nulla di reale, in tutto questo, e perciò non esistono regole o restrizioni se non quelle che noi vogliamo imporre. E l'estetica è molto chiara, sia dal punto di vista filosofico sia da quello storico: se uno schema è interessante ed elegante, allora è un buono schema. (E se questo significa dover faticare per accettare una nuova idea, tanto meglio.) Confezionate tutto ciò che vi va, a patto che non sia qualcosa di sgradevole. Ovviamente è una questione di gusto, e i gusti cambiano e si evolvono. Benvenuti nella storia dell'arte! Essere un matematico non significa tanto essere intelligenti (anche se, va detto, aiuta); significa piuttosto possedere sensibilità estetica e un gusto raffinato.

In particolare, l' incoerenza è considerata in genere molto sgradevole. Perciò, come minimo, vogliamo che le nostre creazioni matematiche siano coerenti dal punto di vista logico. Questo è un requisito particolarmente importante quando si ampliano o si migliorano strutture esistenti. Naturalmente siamo liberi di fare ciò che ci va, ma di solito vogliamo estendere un sistema in modo che i nuovi schemi non entrino in conflitto con i vecchi. (È questo il caso dell'aritmetica dei numeri negativi e delle frazioni, per esempio.) In qualche caso questo ci obbliga a prendere decisioni che altrimenti non vorremmo prendere, come proibire la divisione per zero (se dovesse esistere un numero del tipo 1/0, esso sarebbe in conflitto con l'elegante schema per cui la moltiplicazione per zero dà sempre zero). Ma, finché ci si mantiene coerenti, si può avere quasi tutto ciò che si vuole.

Dunque il paesaggio matematico è pieno di queste strutture deliziose e interessanti che abbiamo costruito (o scoperto accidentalmente) per il nostro divertimento. Le osserviamo, notiamo degli schemi interessanti e tentiamo di elaborare narrazioni eleganti e convincenti per spiegare il loro comportamento.

Almeno questo è ciò che faccio io. Sicuramente ci sono persone il cui approccio è molto diverso: persone dalla mente pratica che vanno alla ricerca di modelli matematici della realtà che li aiutino a fare previsioni o a migliorare un qualche aspetto della condizione umana (o almeno a migliorare lo stato patrimoniale delle società che li finanziano). Be', io non sono uno di loro, e la sola ragione per cui sono interessato alla matematica è divertirmi e aiutare la gente a divertirsi. E per quanto mi sforzi non riesco a immaginare un obiettivo più degno. Nasciamo tutti in questo mondo, e prima o poi moriremo e sarà tutto finito. Nel frattempo, godiamoci la nostra mente e le cose meravigliose e buffe che ci possiamo fare. Non so voi, ma io sono qui per spassarmela.

| << |  <  |