Copertina
Autore Gabriele Lolli
Titolo Il riso di Talete
SottotitoloMatematica e umorismo
EdizioneBollati Boringhieri, Torino, 1998, Variantine , Isbn 978-88-339-1069-7
LettoreRenato di Stefano, 1999
Classe matematica , umorismo , giochi
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Indice


    9   Matematica e umorismo
   67   Paradossi, paradossi, paradossi

 

 

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Matematica e umorismo


Un sorriso incredulo e ironico è la reazione più comune all'accostamento tra matematica e umorismo. Questo impulso tuttavia rivela che l'argomento non è vuoto: fa ridere l'idea che la matematica possa far ridere; ma allora l'intersezione non è vuota, e non c'è niente da ridere, possiamo andare avanti. Intendiamo dimostrare che l'intersezione non si esaurisce in questo paradosso, altrimenti non ci sarebbe nulla da aggiungere.

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Pagina 11

I pettegolezzi si alimentano delle notizie relative ai frequenti, nella storia, casi di ricoveri in manicomio, da Cantor a Gódel a Nash. Se non è matto, è triste: il Master Mathematician del Principe Felice di Oscar Wilde si rabbuiava, perché «disapprovava che i bambini sognassero». E' vero che non mancano voci contrarie: Weierstrass dichiarava che nessun matematico poteva essere perfetto se non era anche un po' poeta; Novalis affermava che il vero matematico è un entusiasta. Goethe ha indicato due esempi di umanità che arriva ad assomigliare a Dio, quella di chi difende una giusta causa e quella del matematico che indaga i cieli stellati. Ma si tratta di voci isolate, o tenute nascoste, e non molto condivise. Anch'esse fanno ridere, in accordo con la teoria del riso che ne vede la causa nell'incongruità, negli accostamenti di aspetti incompatibili o male assortiti.

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La matematica come oggetto di umorismo: barzellette e aneddoti

Le barzellette si distribuiscono in una varia casistica; ci sono ad esempio quelle che mettono a confronto gli atteggiamenti mentali dei matematici rispetto ai colleghi e rivali, fisici e ingegneri. Eccone alcuni esempi:

Una prova attitudinale rivolta a un fisico e a un matematico chiede la sequenza di azioni necessarie per far bollire una pentola d'acqua, in una cucina in cui c'è una pentola vuota, un rubinetto, un fornello a gas, fiammiferi. Entrambi rispondono con l'ovvia sequenza: «Riempio la pentola d'acqua, la metto sul fornello, accendo il fuoco». Segue una nuova prova, in cui le condizioni sono le stesse, salvo che ora la pentola è piena d'acqua. Il fisico risponde: «Metto la pentola sul fornello e accendo il fuoco». Il matematico invece inizia dicendo: «Butto via l'acqua dalla pentola», ma poi si ferma. Perché? «Perché così mi riporto alle condizioni iniziali di un problema che conosco come risolvibile».

Un matematico, un fisico e un ingegnere sono sottoposti a una prova di sopravvivenza, chiusi ciascuno in una stanza spoglia di tutto fuorché di un materasso, con una scatola di sardine sigillata e una forchetta. Dopo un mese di clausura, quando vengono riaperte le stanze, il fisico è morto appoggiato al muro su cui ha inciso, con la punta della forchetta, complicati calcoli sull'energia dei possibili impatti della scatoletta sulle diverse regioni dei muri, secondo diversi angoli di incidenza. L'ingegnere è morto con i muscoli contorti dallo sforzo e con la forchetta deformata dal tentativo di trasformarla in leva per forzare la scatoletta. Il matematico è disteso immobile sul materasso, ma sembra respirare debolmente e muovere le labbra. Avvicinandosi, lo si sente sussurrare con fatica: «Supponiamo... per assurdo... che la scatoletta... sia aperta...»

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Il riso della donna di Tracia

Gli aneddoti sono raccontati per far ridere, a spese dei matematici. Quando sono raccontati (o inventati?) dai colleghi, hanno un tono di simpatia, ma quando sono raccontati da estranei, le motivazioni sono meno nobili, e molto più importanti e contorte. Proprio all'inizio del pensiero occidentale esplode una sonora, cristallina risata di scherno nei confronti della scienza, quella della servetta tracia che vide Talete camminare a testa alta guardando le stelle e cadere in una buca.

Talete fu il primo filosofo a rifiutare la proliferazione degli dei (indicando nell'acqua l'unico principio di tutte le cose), il primo scienziato capace di prevedere (l'eclisse del 585 a.C.) e controllare con profitto la natura (il raccolto delle olive), il primo intellettuale a dare suggerimenti saggi e non ascoltati per l'organizzazione politica delle città, il primo matematico a capire la necessità delle dimostrazioni. Non è da meravigliarsi se è diventato l'archetipo dello scienziato, e se è ricordato in continuazione nella storia del pensiero occidentale con quell'aneddoto, che nelle sue varianti esprime i diversi atteggiamenti che si sono alternati o ripetuti nei confronti della ricerca del sapere.

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Pagina 22


Algoritmi

Anni fa, a scuola,
il prof diceva:
«Ogni problema ha la sua regola,
fate solo così».

Ma all'università
mi han detto che devo
applicare le conoscenze,
diffidare delle regole.

La New Math voleva
che ogni bimbo ci provasse.
Non importa cosa,
ma dire almeno il perché.

Poi vennero i computer,
e gli algoritmi, sì,
non puoi più sbagliare,
anche se vuoi.

Un algoritmo? Ma è una regola,
una ricetta,
indietro
si torna a scuola!

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Anche i criteri concorsuali sono importanti; se Dio è matematico,

PERCHE' DIO NON HA AVUTO LA CATTEDRA?

1. Aveva solo una pubblicazione importante.
2. Per di più scritta in ebraico.
3. Non pubblicata su rivista soggetta a referee.
4. Qualcuno dubita che l'abbia scritta lui.
5. Dopo aver creato il mondo, che cosa ha fatto?
6. La comunità scientifica ha avuto molte difficoltà a replicare i suoi risultati.
7. Non ha mai fatto domanda ai comitati di etica per l'uso di cavie umane.
8. Quando un esperimento gli andò male, cercò di nasconderlo con un diluvio.
9. Quando i suoi soggetti non si comportavano come previsto, li cancellava dal campione.
10. Ha cacciato i suoi primi studenti che dimostravano amore per il sapere.
11. Benché ci fossero solo dieci requisiti, la maggior parte dei suoi studenti ha sempre fallito le prove.
12. Veniva raramente a far lezione e diceva di studiare il testo.
13. Teneva strane ore di ricevimento, sui monti.

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Pagina 29

La mia preferita tra questo genere di creazioni è la caccia al leone, inventata da Ralph P. Boas con lo pseudonimo di H. Pétard, e poi arricchita da tanti contributi; si tratta di adattare qualche metodo caratteristico o qualche risultato tipico di una teoria per inventare surreali metodi di cattura di un leone nel Sahara; l'obiettivo è una parodia o presa in giro di alcuni princìpi matematici, oppure di una terminologia idiosincratica, o di risultati paradossali. Eccone alcuni esempi:

Il metodo di Peano. Esiste una curva che riempie lo spazio che passa per ogni punto del deserto. Una tale curva può essere percorsa in un tempo breve quanto si vuole. Armato di una lancia in resta, percorrila in un tempo minore di quello che il leone impiega a spostarsi della propria lunghezza.

Il metodo di Bolzano-Weierstrass. Biseca il deserto con una linea in direzione nord-sud. Il leone giace in una delle due metà. Biseca questa metà con una linea in direzione est-ovest. Il leone giace in una di queste due metà. Continua il processo indefinitamente, ogni volta costruendo una recinzione. Il leone viene rinchiuso entro una recinzione di perimetro arbitrariamente piccolo.

Il metodo di Schródinger. In ogni istante, c'è una probabilità non nulla che il leone sia nella gabbia. Aspetta.

Un metodo topologico. Dai al deserto la topologia leonina, in cui un sottoinsieme è chiuso se e solo se è l'intero deserto, oppure non contiene leoni. L'insieme dei leoni è denso in questa topologia. Metti nel deserto una gabbia aperta. Per la densità, contiene un leone. Chiudila in fretta!

Un metodo geometrico. Colloca una gabbia sferica nel deserto, entra e chiudila bene. Esegui un'inversione rispetto alla gabbia, il leone è allora all'interno della gabbia, e tu fuori.

Induzione. Dimostriamo per induzione inversa l'enunciato L(n): «E' possibile catturare n leoni». Esso è vero per n sufficientemente grande, perché allora i leoni saranno numerosi e schiacciati come sardine e non avranno la possibilità di muoversi e scappare. Ma banalmente L(n + 1) implica L(n), perché, se abbiamo catturato n + 1 leoni, possiamo liberarne uno. Quindi L(1) è vero.

Il metodo di Bourbaki. La cattura di un leone nel deserto è un caso particolare di un problema molto più generale. Formulate questo problema e trovate condizioni necessarie e sufficienti per la sua soluzione. La cattura di un leone è ora un corollario banale della teoria generale, che non è assolutamente il caso di scrivere nei dettagli.

Il metodo di Thom-Zeeman. Un leone libero nel deserto è certamente una catastrofe. Ha tre dimensioni di controllo (due per la posizione e una per il tempo) e una dimensione di comportamento (essendo parametrizzata da un leone). Quindi per il Teorema di classificazione di Thom è del tipo «mangia la coda» (swallowtail). Un leone che si è mangiata la coda non è certo nelle condizioni di evitare la cattura.

Il metodo di Hilbert. Si metta una gabbia chiusa nel deserto. Si imposti il seguente sistema assiomatico: (i) l'insieme dei leoni non è vuoto; (ii) se c'è un lene nel deserto allora c'è un leone nella gabbia. Teorema 1: c'è un leone nella gabbia.

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L'umorismo nell'insegnamento e nell'esposizione

I caratteri dei giochi che abbiamo messo in luce si possono riassumere in una parola: creatività. Questo aspetto invero li differenzia, in modo positivo, dagli esercizi ripetitivi; la soluzione di solito richiede infatti che si introducano elementi sottaciuti, e proprio in tale mossa iniziale consiste la difficoltà, superata la quale la strada si presenta poi in discesa.

Nell'esposizione di qualsiasi problema, le condizioni non dette sono preponderanti, forse infinite, perché non si può parlare di tutto e dire cosa è rilevante e cosa no, cosa è stabile e cosa può variare; questo drammatico problema è noto nell'Intelligenza Artificiale come il dilemma del robot, o il problema del frame, e dà origine alle varie logiche di default (si assume che i fattori non menzionati non varino salvo poi doversi correggere: da questa impostazione derivano le logiche non monotone). Ma nei giochi gli elementi sottaciuti non sono dati mancanti, sono volutamente non detti sia per non fornire il suggerimento decisivo, sia per invischiare il soggetto nella fallacia dell'assunzione implicita (e immotivata). Quando poi si svicola dalla fallacia, il riso è una rivalsa su chi ha teso la trappola. La fallacia dell'assunzione implicita si verifica perché, essendo taciuta una condizione, l'ascoltatore tende ad assumerne la negazione, o la versione più restrittiva; è un fenomeno che gli psicologi chiamano «fissità funzionale», e si manifesta spesso nell'assumere limitazioni non menzionate nelle ipotesi relativamente al fatto che i dati delimitano completamente il dominio di lavoro (assunzione formalizzata in alcune logiche non monotone). La soluzione invece dipende dall'uscirne, o dall'allargare il dominio, dall'arricchirlo.

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Pagina 44

Ma lo studio della logica non ha tanto la funzione di assecondare e potenziare la logica naturale, quanto di correggerla e contrastarla (lo stesso dicasi di tutta l'educazione scientifica in generale), e questa funzione è fonte di umorismo in opposte direzioni.

La logica naturale induce deformazioni dovute probabilmente (se hanno una motivazione evolutiva) a ragioni di sicurezza. Si veda il campo controverso della fisica ingenua, ricollegabile alla fisica curiosa del Seicento. Un elemento comune a tutte le manifestazioni della logica naturale è una fretta di concludere per la via diritta, che porta alle varie divertenti fallacie (ad esempio quelle dell'implicazione nella logica naturale, in cui si assume che l'antecedente sia vero). Nel libro di giochi di Peano, sono chiamati «problemi capziosi» quelli in cui «la risposta vera non è quella che prima si presenta alla mente». Una tendenza chiara della mente è verso la completezza, e si esprime nel fatto che se A non è derivabile, la si assume (invece di osservare che si può assumere not-A). Il carattere non logico di questa tendenza è rivelato dalla sua asimmetria: se not-A non è derivabile, in generale non si assume not-A. Privilegiando in maniera alogica l'una forma sull'altra, entrano in gioco fattori di trascinamento linguistico e altri bias individuati dalla psicologia. essere qualcosa nel modo di pensare tipico del ragionamento matematico che provoca allegria. Alcuni aspetti li abbiamo già segnalati strada facendo, perché non sono diversi da quelli che si manifestano nei giochi.

Molte dimostrazioni hanno un lato umoristico in quanto percorrono una via che non sembrerebbe matematica, secondo l'immagine stereotipata. Sono quelle in cui si dimostra una formula numerica senza fare calcoli, come quella di Gauss (infatti i novizi insorgono: «Ma questa non è una dimostrazione!»); lo stesso dicasi per dimostrazioni come quella del teorema di Pitagora, basate su un incastro di vari pezzi, che vanno miracolosamente a posto. Si ricordi che la dimostrazione, in sé, fin dai tempi di Talete, sostituisce misure penosamente e inevitabilmente incerte con risposte nette, del tipo sì-no. In generale, in una dimostrazione calcoli complicati, reali o presunti, sono sostituiti da un ragionamento veloce; la rapidità, la battuta fulminante, è una condizione importante nell'umorismo, e una caratteristica della buona dimostrazione.

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Pagina 57

La matematica nell'umorismo

Se dunque è così, questi passaggi di pensiero che provocano umorismo mentre si fa matematica lo possono provocare anche al di fuori, in ogni situazione in cui localmente si applichino; infatti John Allen Paulos ha sviluppato una teoria matematica dell'umorismo. Questo livello di coinvolgimento supremo rappresenta la vendetta più completa della matematica su chi la ritiene estranea all'umorismo (è la risata di rivalsa di Talete sul dileggio della serva).

Paulos ha perfezionato una intuizione di Arthur Koestler secondo cui «lo schema logico del processo creativo è lo stesso in tutti e tre i casi di scienza, humour e poesia: consiste nella scoperta di similarità nascoste», distinguendosi solo per il clima emozionale in cui sono inserite, ora staccato, ora aggressivo, ora simpatetico. Una teoria matematica dello humour consiste nell'indicare come metodi e mosse tipiche o caratterizzanti del pensiero matematico siano all'origine del riso nei più vari contesti.

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Un secondo tema collegato è indicato da Paulos nella distinzione tra livello e metalivello, a cui occorre ascendere per confrontare le diverse interpretazioni. La comprensione di una situazione umoristica richiede spesso che ci si stacchi, che si faccia un passo indietro per una diversa prospettiva. Questo, secondo Paulos, spiega perché fanatici e dogmatici manchino generalmente di umorismo: «Le persone le cui vite sono dominate da un sistema o un insieme di regole sono bloccate, per così dire, al livello oggetto del loro sistema ».

Sull'importanza del metalivello insiste anche Bateson nella sua teoria del riso. Un gioco richiede che si comunichi prima, o nel corso delle azioni che si compiono, che quello che si sta facendo è un gioco. La comunicazione di un gioco richiede metacomunicazione.

D'altra parte è vero anche il contrario, che la metacomunicazione è essenziale per la vita seria: la capacità di cogliere i metalivelli della comunicazione è essenziale per la vita normale. L'incapacità di distinguere livello e metalivello è alla base (o una forma di espressione) di malattie mentali, secondo analisi suggerite da Bateson; purtroppo queste malattie fanno ridere; nell'ebefrenia si riconosce solo il livello linguistico, nella paranoia solo quello metalinguistico.

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Preoccupato che si rida del suo modello, Paulos mette le mani avanti per negare che il suo intento sia quello di «ridurre l'umorismo a formule ed equazioni. L'umorismo, anche se spesso utilizza artifici formali, dipende in ultima istanza da significati che non possono essere ridotti in questo modo». Ma non si rende conto che lo stesso è vero della matematica. Un sistema formale è muto se non ha una semantica; una semantica non è altro che una interpretazione in un altro sistema formale (o più di uno), che a sua volta... La catena sfuma nel linguaggio naturale intuítivo, nella cui zona di vaghezza si inseriscono sempre nuovi precisi livelli intermedi. Questo è il motivo per cui è per lo meno affrettata la tesi che i calcolatori non sarebbero capaci di riso perché sono bloccati in un unico sistema di regole. Il paradosso del significato è che i tentativi di esprimerlo lasciano in mano solo sistemi formali.

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Paradossi, paradossi, paradossi

Le opinioni su quale sia il ruolo dei paradossi divergono. Secondo alcuni hanno una funzione importante e drammatica, annunciando e innescando rivoluzioni del ensiero. Borges pensava che potessero essere le prove, inevitabilmente irreali, del carattere allucinatorío del mondo sostenuto dagli idealisti. Quine ha osservato che il tratto forse più curioso dei paradossi è quello di risultare, a volte, meno frivoli di quello che sembrano.

Il paradosso dei paradossi è che il vero paradosso non può esistere: il vero paradosso, true to its nature, dovrebbe essere come l'ordigno fine-del-mondo, il sogno dello scienziato pazzo che vuole inventare l'acido universale che corrode tutto, ogni recipiente, anche la terra, ma anche, in definitiva, se stesso e quindi non può esistere se non come ombra di un fantasma svanito, come gli infinitesimi di buona memoria; un luccichio, poi scompare e non siamo sicuri di averlo visto. Il paradosso dell'acido universale è ovviamente una variante di quello antico di Re Mida.

Ma tutte le generalizzazioni sono sbagliate, e forse non c'è un tipo unico di paradossi. D'altra parte, se tutte le generalizzazioni sono sbagliate, lo è anche questa appena enunciata, che quindi è falsa, ed esiste qualche generalizzazione non sbagliata (non questa), e si può continuare a cercarla. Tra l'altro, abbiamo appena provato, contro chi sostiene che la logica pura non crea conoscenza, che (i) esistono leggi generali e (ii) gli esseri umani sono in grado di conoscerne almeno alcune con il pensiero, così fondando la posizione razionalista (che più o meno si appoggiava allo stesso tipo di argomentazíoni). In questo paradosso si vedono gli ingredienti costanti ed essenziali dei paradossi, l'autoriferimento e la negazione.

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Pagina 85

Paradosso del sorite

A Eubulide di Mileto (e non a Zenone come nelle solite attribuzioni) è dovuto il paradosso del sorite, secondo cui un granello di sabbia dovrebbe fare rumore cadendo, perché il mucchio (sorite) fa rumore.

Di qui derivano le versioni moderne, in cui si chiede quanti granelli di sabbia facciano un mucchio; sono di solito impostate come paradossi dell'induzione: ad esempio il fatto che tutti i numeri sono piccoli (pare dovuto a Hao Wang), perché 0 è piccolo e se x è piccolo anche x + 1 è piccolo. Si dice che i paradossi del sorite dipendono dalla vaghezza del predicato «piccolo», ma non c'è una trattazione della vaghezza che li eviti.

Un'altra versione è quella dell'anfibio, in cui si chiede qual è il momento in cui il girino diventa rana; analogamente potremmo considerare il paradosso dell'aborto, su cui battagliano nella commissione per la bioetica: chiaramente non è una cellula in più che dà la vita, quindi o l'embrione non ha mai la vita oppure ce l'ha sin dal primo momento. Siccome sembra evidente che abbiamo la vita, la conclusione non può che essere che c'è fin dal primo momento. Questo argomento però i clericali me lo devono pagare, se lo usano. Facciano attenzione che per l'anima le cose sono un po' più complicate, visto che è difficile sostenere che una cellula abbia un'anima; quindi sembra che l'unica posizione possibile per chi crede che in un essere umano ci sia un'anima sia quella che sosteneva Leíbniz (e che è teologicamente controversa) per cui ogni creatura umana comporta, per quel che riguarda la sua anima, un nuovo intervento creativo di Dio nel mondo (ed Egli può metterlo in atto nel momento che crede, come nel paradosso dell'impiccato che vedremo oltre). In questo caso il paradosso del sorite è un argomento che sostiene, per esclusione delle altre, una posizione teologica.

Lo stesso paradosso del sorite si presenta a chi, nell'ambito della filosofia della mente, sostiene che l'intelligenza è prodotta dalla complessità dei meccanismi fisiologici algoritmici del cervello, o di una macchina: quanti bit? Più in generale tutti coloro che in qualsiasi ambito parlano di proprietà emergenti si scontrano con il paradosso del sorite. Il paradosso della complessità sorge perché se si afferma che una proprietà è emergente, nello stesso tempo si deve riconoscere che non è misurabile la complessità che produce l'emergenza della proprietà in questione. Se una proprietà è dichiarata emergente dalla complessità, con ciò stesso si rinuncia a spiegare come emerga (e in parte lo stesso vale per l'emergenza dall'organizzazione, come nel pensiero di alcuni biologi che vogliono così evitare il riduzionismo).

Non è una soluzione indicare una fascia, o un intervallo, e stabilire così un estremo inferiore, al di sotto del quale la proprietà non esiste, e un estremo superiore, al di sopra del quale la proprietà vale. Il problema si ripropone proprio per gli estremi dell'intervallo; la logica fuzzy non elimina la fuzziness, anche se si chiama logica.

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Pagina 87

Paradosso del mentitore

Quello del mentitore è il paradosso per antonomasia: vale la pena di segnalare che deve essere espresso con attenzione. Nella versione di Paolo non è un paradosso: se un cretese dice che tutti i cretesi mentono sempre, certo non può dire la verità, ma la conseguenza è che lui sta mentendo mentre lo enuncia, e l'enunciato è quindi falso. Comunque non ne segue altro, ovvero segue che i cretesi alle volte mentono, mentre magari altre volte non mentono. Per avere il paradosso occorre un indicale per isolare una frase singolare (pronunciata il tal giorno nel tale momento, oppure scritta a pagina tale, riga tale). Fin dall'antichità il paradosso era noto nella versione dello pseudomenos, che afferma: «Io sto mentendo».

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Conclusioni

In conclusione, come previsto, non sembra possibile individuare un tipo e un ruolo unici dei paradossi, anche se alcuni ingredienti sono costanti. I paradossi del senso comune comprendono anche, oltre a quelli della fisica, molti paradossi della matematica, della probabilità e della statistica. Anzi in un certo senso sono tutti paradossi del senso comune. In quanto dipendono da nuove scoperte o dall'invenzione di nuove tecniche e concetti, i paradossi sono benvenuti se con la maraviglia inducono a prestare maggiore attenzione e studio alle nuove problematiche. Sono fattori di crescita.

I paradossi della percezione suggeriscono che i dati sensoriali sottodeterminino (almeno a volte) l'immagine mentale, e quindi il contributo dell'elaborazione dell'informazione non è trascurabile. La capacità di vedere diverse figure sotto l'azione degli stessi stimoli sensoriali è alla base della capacità di vedere diverse strutture, ed è quindi una componente importante del ragionare in termini di conseguenza logica, dunque del fare matematica.

I paradossi di tipo logico sono difficoltà o scoperte che si incontrano in vari tempi e a vari livelli nel corso dell'apprendimento, mai terminato, dell'uso del linguaggio. Se il linguaggio fosse puramente descrittivo, di cose e azioni svolte, probabilmente non esisterebbero paradossi; ma non si dimostrerebbe neanche l'incommensurabilità della diagonale - si descriverebbero solo le approssimazioni realizzate. Non appena ci si stacca dalla descrizione dei fatti per parlare di cose immaginate, nel futuro o controfattuali, si possono fare previsioni, e dimostrazioni, ma anche descrivere l'irrealtà. Si apre così la strada alla negazione (dell'esistente), e viceversa la negazione apre la strada all'astratto: si dice che qualcosa non avviene, con la stessa grammatica utilizzata per i fatti che avvengono; si dice che avviene il contrario di una cosa, quando il contrario di una cosa esistente non è affatto determinata (gli insiemi non sono chiusi rispetto al complemento). La grammatica suggerisce però che esista non-X alla stessa stregua di X; si tratta la falsità in modo simmetrico alla verità, che non è sempre ammissibile, perché se la verità può essere corrispondenza ai fatti, la falsità è piuttosto come una funzione a più valori (infiniti). Sarebbe interessante analizzare come vengono considerati i paradossi, e quali sono, fuori dall'Occidente.

Quello che accomuna tutti i paradossi è comunque l'aspetto divertente, perché si tratta di sorprese, e all'inaspettato, come anche alla paura, si reagisce col riso. Sembra in definitiva che si debba rovesciare l'osservazione di Quine e confessare che, anche quando sembrano seri, i paradossi hanno un che di frivolo. Oppure, in modo meno frivolo, come diceva Eulero, se le contraddizioni sembrano insolubili allora devono essere apparenti (come l'acido universale).

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