Copertina
Autore Malcom S. Longair
Titolo Astrofisica
SottotitoloLa Nuova Fisica a cura di Paul Davies
EdizioneBollati Boringhieri, Torino, 2004, Nuova Didattica Scienze , pag. 256, cop.fle., dim. 147x220x18 mm , Isbn 978-88-339-5728-9
OriginaleThe New Astrophysics
EdizioneCambridge University Press, Cambridge, 1989
CuratorePiero Galeotti
TraduttoreMaurizio Bruno
LettoreCorrado Leonardo, 2005
Classe astronomia , fisica , cosmologia
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Indice


VII Introduzione. Gli ultimi vent'anni (Piero Galeotti)

    Astrofisica neutrinica, X
    Gamma-burst (GRB), XIX
    Raggi cosmici di altissima energia, XXII
    Pianeti extrasolari e vita extraterrestre, XXV


    «Astrofisica»


  3 1. La nuova astrofisica

    La radioastronomia, 5
    Astronomia nei raggi X e nei raggi gamma, 12
    Astronomia nei raggi cosmici, 17
    Astronomia nell'ultravioletto, 19
    Astronomia nell'infrarosso, 20
    Astronomia dell'idrogeno neutro e delle righe molecolari, 22
    Astronomia ottica, 24
    Astronomia teorica, 25

 28 2. Il quadro generale

    La distribuzione di materia e radiazione a grande scala, 28
    Le galassie, 32
    Stelle ed evoluzione stellare, 37
    Il mezzo interstellare, 47
    Formazione di stelle, 54

 55 3. Le stelle e la loro evoluzione

    Il Sole come banco di prova per la teoria della struttura
        e dell'evoluzione stellare. 55
    Nucleosintesi stellare. 59
    Le stelle di massa più piccola e le nane brune, 64
    L'evoluzione stellare negli ammassi globulari e
        l'età della Galassia, 66
    Evoluzione di postsequenza e perdita di massa, 70
    Stelle binarie ed evoluzione stellare, 77

 82 4. Stelle morte

    Formazione di stelle morte: le supernovae, 82
    Nane bianche e stelle di neutroni, 91
    Buchi neri, 119

123 5. Il gas interstellare e la formazione delle stelle

    Un quadro globale del mezzo interstellare, 124
    Chimica interstellare, 133
    La polvere interstellare, 138
    La formazione di stelle, 143

157 6. Galassie e ammassi di galassie

    Struttura e dinamica interna delle galassie, 159
    Materia oscura in galassie e in ammassi di galassie, 161
    L'evoluzione chimica delle galassie, 166
    Ammassi di galassie, 168

177 7. Galassie attive e quasar

    Considerazioni basilari, 177
    Processi primari dei nuclei galattici attivi, 182
    Regioni di emissione delle righe, 192
    Emissioni radio di galassie attive e quasar, 194
    Galassie contenenti nuclei galattici attivi, 204

205 8. Cosmologia astrofisica

    Osservazioni fondamentali, 205
    I modelli standard di universo nella relatività generale, 212
    Verifiche cosmologiche classiche, 221
    Forti mutamenti evolutivi nelle epoche cosmiche, 228
    Il big bang caldo «canonico», 231
    Formazione delle galassie, 239
    Problemi fondamentali, 245

249 Indice analitico

 

 

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Pagina VII

Introduzione. Gli ultimi vent'anni

Piero Galeotti


Accade talvolta che le discipline scientifiche alternino periodi di apparente rallentamento, in cui si consolidano i risultati ottenuti, con sviluppi molto rapidi, in cui nuovi e inaspettati risultati vengono conseguiti. Molto spesso i periodi di crescita coincidono con l'uso di nuova strumentazione, che consente di verificare teorie o di aprire nuove possibilità sperimentali. Gli ultimi vent'anni della ricerca astrofisica sono stati caratterizzati da uno sviluppo impressionante delle nostre conoscenze (la fase di crescita rapida) che hanno portato alla nascita di nuove astronomie e di problematiche di cui non si prevedeva neppure l'esistenza fino a pochi anni fa. In buona parte questa crescita è dovuta allo sviluppo di nuovi telescopi astronomici: al suolo i quattro telescopi europei da 8,2 m di diametro (due già costruiti) che formeranno il VLT (Very Large Telescope) sul Monte Paranal in Cile e i due telescopi americani Keck da 10 m di diametro a Mauna Kea, nelle Hawaii. Nello spazio il telescopio americano HST (Hubble Space Telescope) per le ricerche nel dominio ottico e i satelliti per studiare fenomeni di alta energia, tra essi gli americani Compton GRO (Gamma Ray Observatory) e Chandra e l'europeo Beppo SAX (Satellite per Astronomia X) con prevalente partecipazione italiana. A essi si sono aggiunti telescopi inconcepibili fino a qualche anno fa, quali i rivelatori sotterranei per lo studio dei neutrini e i grandi apparati per la rivelazione degli sciami estesi indotti dai raggi cosmici. È così nata una nuova disciplina scientifica, la fisica astroparticellare, in cui è stata sviluppata una sinergia non casuale, ma espressamente cercata, tra la fisica delle particelle da una parte e l'astrofisica e la fisica cosmica dall'altra. Tra i molti risultati ottenuti nella fisica astroparticellare ricordo le conseguenze dello studio dei neutrini solari - e di quelli atmosferici - per determinare le proprietà fisiche di queste particelle, gli esperimenti per scoprire la materia oscura e definirne le caratteristiche, o gli studi per verificare l'esistenza dei monopoli magnetici o del decadimento del protone nel quadro di un universo in evoluzione.

Molti di questi risultati fanno ormai parte delle conoscenze acquisite in diversi campi della scienza: astrofisica, cosmologia particelle elementari, e saranno ripresi nei volumi successivi della serie «La Nuova Fisica». Qui ho scelto di discutere quattro argomenti di recenti studi che sono pietre miliari nello sviluppo delle nostre conoscenze astrofisiche. Il primo argomento riguarda i neutrini, uno studio che ha avuto un riconoscimento molto ambito con l'assegnazione di due premi Nobel nel 2002 e che ha dimostrato con esperimenti di diversa natura che i neutrini sono particelle dotate di massa. Il secondo argomento riguarda lo studio dei gamma-burst («lampi gamma») che ha chiarito la natura del fenomeno, associato in alcuni casi all'esplosione di stelle supermassive, dette ipernovae, la cui esistenza non era neppure ipotizzata prima di questi risultati. Il terzo argomento riguarda lo studio dei raggi cosmici di altissima energia, ossia di particelle molto rare la cui energia è talmente elevata da richiedere meccanismi nuovi di produzione e la cui esistenza non era prevista prima dei risultati ottenuti negli ultimi anni. Il quarto e ultimo argomento, anche esso frutto di osservazioni astronomiche molto recenti, riguarda la ricerca di pianeti extrasolari, cercati e mai trovati in passato, argomento di innumerevoli discussioni scientifiche, filosofiche o religiose fin dall'antichità. Nell'ottobre 1995 Mayor e Queloz, astronomi dell'Osservatorio di Ginevra, scoprirono un pianeta non appartenente al nostro sistema solare, in orbita intorno alla stella 51 Pegasi. Attualmente il numero di pianeti extrasolari è oltre 120 e cresce al ritmo di circa un pianeta al mese. Un'ovvia conseguenza di queste osservazioni, fatte con telescopi ottici di grande precisione che però non richiedono strumentazione particolare, è lo studio di eventuali civiltà extraterrestri e della possibilità di comunicare con esse.

Inoltre, in un aggiornamento sull'astrofisica degli ultimi vent'anni, non si possono non ricordare, anche solo brevemente, alcuni dei risultati ottenuti con il telescopio spaziale Hubble e il satellite Chandra. Il primo, oltre a fornirci una mappa dell'universo molto lontano e quindi molto giovane (quando aveva un'età di circa 1 miliardo di anni, contro i quasi 14 attuali), ha ottenuto una misura della costante di Hubble (65 km s^-1 Mpc^-1) in buon accordo con quella del satellite WMAP (Wilkinson Microwave Anisotropy Probe) sulla radiazione di fondo cosmico - di cui si accennerà in questo volume ma che sarà ampiamente discussa nel volume di cosmologia. Osservando supernovae di tipo I molto lontane, HST ha fornito un risultato inatteso - che sarà anche esso discusso in dettaglio nel volume di cosmologia -, ossia che l'universo sta accelerando il ritmo di espansione, mentre tutte le precedenti osservazioni indicavano che stesse decelerando; questo fatto dipende dalle proprietà dell'energia oscura, che costituisce circa il 70% di tutto l'universo e la cui natura è tuttora sconosciuta. Altri due risultati di HST meritano di essere ricordati: il primo riguarda l'evidenza di buchi neri massivi al centro di molte galassie, alcune delle quali accrescono la loro massa per cannibalismo (merging) di galassie più piccole; il secondo risultato riguarda la scoperta di grandi nubi di materia interstellare, la cui forma ricorda quella di enormi colonnati, che sono regioni di formazione stellare nella Galassia.

I risultati ottenuti con il satellite Chandra, ma anche quelli di XMM-Newton, hanno permesso di costruire una mappa del cielo nei raggi X molto più dettagliata delle precedenti, uno studio di cui Bruno Rossi e Riccardo Giacconi (premio Nobel per la fisica nel 2002) sono stati i pionieri con la scoperta della prima sorgente X celeste, Sco X-1. Questa sorgente è stata riosservata da Chandra proprio nelle stesse condizioni di semieclisse da parte della Luna. Tra i risultati recenti nello studio del cielo nei raggi X, si possono ricordare le osservazioni di buchi neri di grande massa (milioni di volte la massa del Sole) al centro di moltissimi, se non di tutti, gli AGN (nuclei galattici attivi) e questa presenza potrebbe essere il meccanismo in grado di spiegare il getto emesso dalla galassia M87. Anche il fondo di radiazione X del cielo potrebbe non essere altro che l'eco della formazione di buchi neri di grande massa al centro di ogni galassia. Infine, Chandra ha scoperto il primo caso di buco nero binario al centro della galassia NGC 6240, una possibile indicazione di merging anche per questi oggetti.

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Pagina XXV

Pianeti extrasolari e vita extraterrestre

L'ultimo argomento astrofisico nato in questi ultimi vent'anni che ritengo si debba qui ricordare e discutere per le sue implicazioni scientifiche, filosofiche e religiose è la scoperta di pianeti esterni al sistema solare. Il numero di questi sistemi solari aumenta continuamente: nel 2004 sono oltre 120 le stelle che mostrano chiare evidenze di corpi oscuri di piccola massa che orbitano intorno a loro, e questo numero aumenta di circa un caso al mese. Da pochi anni è iniziata la ricerca di pianeti extrasolari con programmi condotti da osservatori astronomici (in Europa a Ginevra, dove nel 1995 gli astronomi Mayor e Queloz scoprirono il primo pianeta extrasolare intorno alla stella 51 Pegasi, e a Parigi), da università (quella della California a Berkeley, particolarmente attiva, utilizza i grandi telescopi Keck delle Hawaii) o dagli enti spaziali europeo (ESA) e americano (NASA) che stanno studiando la possibilità di lanciare, nel prossimo decennio, satelliti dedicati a questo scopo. L'ESA ha in programma il lancio di una flottiglia di 6 telescopi spaziali (esperimento Darwin) di almeno 1,5 m di diametro ciascuno, posti in coincidenza per cercare altre forme di vita in pianeti extrasolari di tipo terrestre e la NASA sta sviluppando un progetto simile (esperimento Kepler).

Nel frattempo la ricerca di pianeti appartenenti ad altre stelle procede con osservazioni da Terra utilizzando il metodo del transito o dell'effetto Doppler. Il primo si basa sulla misura di una piccola diminuzione di luminosità della stella madre al momento dell'eclisse da parte del pianeta, il secondo si basa sulla misura di un piccolo ondeggiamento della stella dovuto all'effetto gravitazionale del pianeta che perturba la posizione della stella, rivelabile per lo spostamento Doppler della luce emessa dalla stella verso Terra. L'effetto Doppler consiste nello spostamento della frequenza, che avviene verso il blu (lunghezze d'onda più piccole) quando la stella si muove verso la Terra, oppure verso il rosso (lunghezze d'onda più grandi) quando si allontana da essa. Lo spostamento è sempre molto piccolo, tipicamente v/c ~ 10^-7: Giove, ad esempio, provoca una variazione di velocità di 12 m/s nel moto del Sole e Saturno di 2,7 m/s. La precisione delle misure attualmente disponibili consentirebbe a un osservatore esterno al nostro sistema solare di rivelare la presenza di Giove (massa 319 volte quella della Terra), ma non quella di Saturno (massa 95 volte quella della Terra). Gli effetti di selezione favoriscono dunque la rivelazione di pianeti di grande massa posti vicini alla loro stella.

Finora si è osservato un solo caso di pianeta che transita davanti alla sua stella, HD209458, eclissandola in parte e, in particolare, riducendo di circa il 5% la sua luminosità al culmine dell'eclisse; di questo pianeta il telescopio spaziale Hubble ha potuto osservare l'atmosfera grazie a misure molto precise delle fasi iniziali e finali dell'eclisse (durata in tutto circa 3 ore), cosa possibile solo con strumenti posti al di fuori dell'atmosfera terrestre dove gli effetti di scintillazione che essa induce non sono presenti. Tutti gli altri casi riguardano pianeti, di massa dell'ordine di quella di Giove, scoperti intorno a stelle di tipo solare per effetto Doppler; uno di essi, scoperto nel 2003, ha orbita confrontabile con quella della Terra ed è stato definito il nostro pianeta gemello. In genere i dati si interpretano come dovuti alla presenza di un solo pianeta, ma in alcuni casi è evidente l'effetto di due o anche tre corpi che generano le perturbazioni, come nel caso del sistema intorno a Ypsilon Andromedae. Le orbite ricostruite mostrano risultati diversi: da quasi circolari (come quella della Terra intorno al Sole) a orbite molto eccentriche. Infine, i sistemi planetari extrasolari sono stati osservati in ogni regione del cielo, fino a distanze superiori a 100 anni luce da Terra.

Nella figura V si vede che la zona abitabile nel nostro sistema solare è leggermente più ampia della zona compresa tra la Terra e Marte; considerazioni simili sulla fascia abitabile valgono per altri sistemi planetari intorno a stelle di tipo solare, mentre le zone abitabili di stelle non di tipo solare sono ovviamente diverse. I dati astronomici sulle stelle di sequenza principale indicano che quelle di massa grande, sulla alta sequenza di tipo spettrale fino a A o F, sono in rapida rotazione, mentre le stelle di massa minore, dal tipo G in poi, hanno piccola rotazione (il Sole ha tipo spettrale G2). Questo fatto si interpreta, secondo la teoria della formazione stellare, come conseguenza della perdita di massa da parte delle stelle di tipo solare, massa che continuando a orbitare intorno alla stella si è condensata in un disco nel quale in seguito si sono potuti formare i pianeti. Al contrario, le stelle della alta sequenza principale non avrebbero perso massa e quindi sarebbero prive di sistemi planetari. I dati osservativi sulla rotazione delle stelle sono spesso citati a dimostrazione di questa ipotesi e infatti i sistemi planetari extrasolari sono stati trovati intorno a stelle di tipo solare.

Un'ovvia conseguenza di queste scoperte è stata la rinascita del l'esobiologia e dei progetti SETI (Search for Extraterrestrial Intelligence) per la comunicazione con civiltà extraterrestri, di cui la formula di Drake:

N = R Fp Nt Fv Fi Fc D

fornisce un modo per calcolarne la probabilità. N è il numero di civiltà con cui si potrebbe comunicare, R è il ritmo di formazione di stelle adatte, Fp è la frazione di queste stelle con pianeti, Nt è il numero di «Terre» per sistema planetario, Fv è la frazione di esse in cui si è sviluppata la vita, Fi è la frazione di esse in cui la vita è divenuta «intelligente», Fc è la frazione di esse in cui si è sviluppata la tecnologia delle comunicazioni e D è la durata della vita intelligente.

Fino a qualche anno fa non si aveva alcuna evidenza di altri sistemi planetari per cui si poteva assumere Fp = 0. Ora, avendo scoperto oltre 120 sistemi planetari extrasolari, il dubbio non riguarda più l'esistenza di altri pianeti ma piuttosto, a mio parere, soprattutto la durata di una civiltà (intelligente?) rispetto alla propria autodistruzione.

Piero Galeotti - Torino, luglio 2004

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Pagina 28

2.

Il quadro generale


Per iniziare la nostra rassegna della nuova astrofisica, descriveremo in primo luogo il contesto generale nell'ambito del quale può essere apprezzata. Sarà evidentemente una descrizione alquanto generica, che il lettore potrà approfondire con i testi citati nella Bibliografia. Questo capitolo descriverà aspetti sui quali c'è sostanziale accordo tra tutti gli astronomi e gli astrofisici. Nei capitoli successivi ci avvicineremo molto di più alle frontiere della conoscenza, su un terreno dunque meno sicuro.


La distribuzione di materia e radiazione a grande scala

L'attuale immagine di come la materia è distribuita nell'universo proviene da una grande varietà di osservazioni.

Alla scala più grande di tutte l'indicazione più significativa proviene dalle misure di isotropia del fondo cosmico di microonde. Misure molto precise della distribuzione di questa radiazione mostrano che la sua intensità è la medesima, a meno di una parte su un milione, a tutte le scale angolari. Appena al disotto di questo livello di sensibilità si osserva un'anisotropia globale di forma dipolare ossia l'intensita della radiazione è leggermente maggiore in una particolare direzione e leggermente minore nella direzione opposta (fig. 2b). Quest'anisotropia può essere attribuita interamente al fatto che la Terra si muove, alla velocità di circa 350 km/s, rispetto al sistema di riferimento in cui il fondo sarebbe perfettamente isotropo. Gli astrofisici ritengono che la radiazione di fondo sia ciò che resta della radiazione primordiale del big bang, dopo il raffreddamento dovuto all'espansione dell'universo. I modelli cosmologici, d'altra parte, prescindono dai dettagli sull'origine di questa radiazione; la conseguenza principale dell'isotropia è che su scala abbastanza grande ogni regione dell'universo è simile a qualsiasi altra.

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Pagina 32

Le galassie

Le galassie sono i blocchi fondamentali di cui è costituito l'universo. In esse, gran parte della materia visibile consiste di stelle, ed è la reciproca attrazione gravitazionale di queste a tenere insieme la galassia, anche se nelle regioni esterne delle galassie giganti ci può essere materia oscura.

Sono stati identificati molti tipi di galassie, ma la differenza fondamentale che balza all'occhio non appena si guarda una fotografia è quella tra galassie a spirale, che comprendono anche la nostra, e galassie ellittiche. Una piccola percentuale è costituita dalle cosiddette galassie irregolari. Le galassie a spirale (fig. 7a) sono a forma di disco con un rigonfiamento centrale (bulge); le dimensioni relative del disco e del rigonfiamento variano notevolmente da una galassia all'altra. Anche la massa può essere molto diversa: si va da galassie cento volte più massive della nostra, che ha una massa pari a circa cento miliardi di masse solari (10^11 Ms), a galassie nane, con una massa di soli dieci milioni di masse solari (10^7 Ms). I dischi delle galassie a spirale sono in rotazione, ed è per questo che assumono una forma così caratteristica. Le galassie a spirale si dividono in normali e barrate; in queste ultime il rigonfiamento centrale è allungato e dagli estremi della «barra» si dipartono i bracci (fig. 7b), che sono costituiti dalle stelle più giovani, calde e luminose, e anche da nubi di gas e polvere dalle quali si formano in continuazione nuove stelle. Le galassie ellittiche (fig. 7c) hanno un profilo molto più regolare, con scarsa presenza di polveri, gas o bracci in generale. Hanno forma sferoidale e masse che vanno da cento volte la massa della nostra galassia fino a dieci milioni di masse solari. Sono sistemi autogravitanti il cui collasso è impedito dalla distribuzione casuale delle velocità delle stelle.

Talune galassie, note come galassie SO o lenticolari, sembrano essere di un tipo intermedio tra quelle a spirale e quelle ellittiche (fig. 7d). Assomigliano alle galassie a spirale, in quanto hanno un disco e un rigonfiamento centrale, ma non presentano bracci, se non in forma appena percettibile. La maggior parte si trova in ammassi.

Le galassie irregolari (figg. 7e ed f) sono in genere meno massive delle galassie a spirale o ellittiche. Non hanno una struttura ben definita e spesso contengono grandi quantità di polvere e gas. In certi casi, in particolare nelle cosiddette galassie «peculiari» o «interagenti», è probabile che l'aspetto irregolare sia dovuto a una recente, forte interazione gravitazionale (collisione) con una galassia vicina.

Vi sono poi galassie di un tipo meno comune.

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Pagina 54

Formazione di stelle

I processi che portano alla formazione di stelle sono uno dei più importanti problemi irrisolti dell'astrofisica delle stelle e delle galassie. Dal punto di vista osservativo, vi sono molti aspetti oscuri. Non sappiamo quante stelle di grande e di piccola massa si formino in una data nube molecolare né come il tasso di formazione delle stelle dipenda dalle condizioni fisiche presenti all'interno della nube, né come si formano le nubi. Tutti questi problemi possono essere affrontati mediante osservazioni nelle nuove discipline dell'astronomia dell'infrarosso e delle onde millimetriche.

Dal punto di vista teorico, non se ne sa molto di più. La questione fondamentale da chiarire è la successione di eventi che ha luogo tra la formazione della nube molecolare, con densità dell'ordine di 10^9 molecole per metro cubo, e quella di una nuova stella, che è miliardi di miliardi di volte più densa. Le regioni più dense delle nubi molecolari collassano sotto l'azione della propria gravità, ma il problema è che nel collassare si riscaldano, e ciò rallenta il processo. Dev'esserci un meccanismo mediante il quale il calore così generato può venire sottratto alla nube, ed esso è quasi certamente di tipo radiativo. La radiazione, tuttavia, resta intrappolata nella nube che collassa, il cui interno si riscalda ulteriormente. Collasso e riscaldamento continuano dunque lentamente, finché nel centro della protostella non inizia la fusione nucleare dell'idrogeno in elio: la stella inizia allora la sua esistenza sulla sequenza principale. Anche se tutto questo può sembrare molto semplice, dal punto di vista teorico vi sono non poche incertezze. Per esempio, non è chiaro come il sistema possa sbarazzarsi di rotazioni o campi magnetici, inizialmente presenti nelle nubi, che tendono a impedire il collasso.

Questi studi hanno implicazioni che vanno ben oltre il caso immediato della formazione di stelle. Per esempio, per comprendere l'evoluzione delle galassie dobbiamo conoscere il tasso di formazione stellare in un'ampia gamma di situazioni astrofisiche. Questo campo è certamente della massima importanza per quasi tutti i rami dell'astronomia e della cosmologia contemporanea.

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Pagina 55

3.

Le stelle e la loro evoluzione


Il Sole come banco di prova per la teoria della struttura e dell'evoluzione stellare

La teoria dell'evoluzione stellare delineata nel capitolo 2 è la base della nostra comprensione attuale della fisica delle stelle. Le tecniche astronomiche tradizionali, come la fotometria policroma e la spettroscopia ad alta risoluzione, forniscono informazioni solo sulle proprietà di superficie delle stelle, quali la temperatura e la gravità superficiali. Indubbiamente, è l'interpretazione di questi dati in termini di struttura interna a porre alla teoria della struttura stellare i vincoli più forti. Sarebbe della massima importanza, tuttavia, riuscire a fare verifiche dirette studiando i processi nucleari che hanno luogo nel centro delle stelle, e che sono in ultima analisi la fonte della loro energia. Oggi è possibile farlo in due modi: mediante la rivelazione dei neutrini solari e con la nuova disciplina della sismologia solare.

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Pagina 205

8.

Cosmologia astrofisica


Il termine cosmologia può assumere significati differenti a seconda del tipo di lettore. Per lo studioso di scienze umane si riferisce all'immagine del mondo che le diverse culture hanno sviluppato per spiegare l'origine del genere umano e la sua condizione, ed è profondamente intessuto di miti. Anche per i fisici la cosmologia significa cose diverse. Per alcuni autori è lo studio della geometria e della dinamica globale dell'universo, per altri ha come oggetto l'origine e l'evoluzione del suo contenuto di materia. In questo capitolo il termine verrà inteso in senso molto generale, come studio fisico dell'origine e dell'evoluzione dell'universo e degli oggetti in esso contenuti; il titolo «cosmologia astrofisica» vuole appunto sottolineare questo fatto.

Sotto vari aspetti la storia che siamo in grado di raccontare oggi è piuttosto buona, ma alcuni problemi fondamentali, nel quadro generalmente accettato, restano di difficile soluzione. Tuttavia, grazie alle nuove scoperte e a nuove tecniche nel campo dell'osservazione, le domande possono essere poste con maggior precisione che in passato, e abbiamo migliori strumenti, anche teorici, per affrontarle.


Osservazioni fondamentali

Il modello standard dell'universo comincia con lo stabilire il contesto generale a grande scala all'interno del quale è possibile formulare le questioni di cosmologia astrofisica. A questo proposito, due osservazioni sono particolarmente importanti: una riguarda l'isotropia e l'omogeneità dell'universo, l'altra la sua espansione.

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Pagina 245

Problemi fondamentali

Abbiamo descritto diversi problemi cosmologici fondamentali che non hanno soluzione nell'ambito del modello del big bang caldo standard dell'universo.

1. L'origine dell'asimmetria materia-antimateria.

2. L'origine dello spettro delle fluttuazioni da cui si formano galassie e ammassi.

3. L'origine dell'isotropia dell'universo. Anche se l'isotropia semplifica grandemente il compito del cosmologo, c'è un problema fondamentale di causalità nel comprendere perché l'universo risulta così isotropo. Infatti, via via che risaliamo il corso del tempo, le regioni di universo causalmente connesse appaiono sempre più piccole, e non è affatto chiaro come regioni oggi ben separate potessero «sapere» di dover avere le stesse proprietà statistiche.

4. Come mai la densità dell'universo è così vicina al valore critico Omega=1? Non c'è nessuna ragione a priori perché debba essere così, e ci vuole un aggiustamento davvero fine delle condizioni iniziali per far tornare i conti.

Nel modello standard questi problemi vengono abitualmente affrontati imponendo all'universo opportune condizioni iniziali per far sì che assuma l'aspetto osservato attualmente. È una situazione insoddisfacente, ma vi sono almeno due approcci alternativi. Uno consiste nell'adottare il principio antropico, secondo il quale l'esistenza stessa, nell'universo, di osservatori come noi presuppone il verificarsi di certe condizioni. È necessario, ad esempio, che l'evoluzione biologica abbia avuto abbastanza tempo a disposizione. Ragionamenti di questo tipo sono suggestivi, ma gli astronomi li considererebbero come un'ammissione di sconfitta nei riguardi della grande sfida della ricerca sulle origini dell'universo. Il secondo approccio consiste nell'utilizzare le nuove idee della fisica delle particelle contenute nelle teorie unificate, e quelle dei tentativi di quantizzare la gravità. Questi argomenti vengono trattati da Alan Guth, Chris Isham e Paul Steinhardt nel volume Cosmologia e gravitazione, e lascio a loro le trattazioni del caso. Secondo me in tutto ciò è presente qualcosa di più di un barlume di speranza.

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