Copertina
Autore Lu Xun
Titolo Erbe selvatiche
EdizioneQuodlibet, Macerata, 2003, In ottavo 1 , pag. 82, cop.fle., dim. 145x210x7 mm , Isbn 978-88-7462-003-6
OriginaleYe Cao [1926]
CuratoreEdoarda Masi
LettoreLuca Vita, 2005
Classe narrativa cinese
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Indice

  9 Introduzione
 11 Notte d'autunno
 14 Il commiato dell'ombra
 16 Mendicanti
 18 Il mio amore perduto
 20 Rivincita
 22 Rivincita (II)
 24 Speranza
 26 Neve
 28 Aquiloni
 31 Una buona storia
 34 Il viandante
 41 Fuoco morto
 44 La ritorsione del cane
 45 Il buon inferno perduto
 47 Epitaffio
 49 Vibrazioni di una corda spezzata
 52 Esprimere un'opinione
 53 Dopo la morte
 58 Un simile combattente
 60 L'uomo intelligente, lo stupido e il servo
 63 Foglia secca
 65 Fra macchie scolorite di sangue
 67 Risveglio

 71 Nota al testo

 

 

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Pagina 9

Introduzione


Se affondo nel silenzio, mi sento pieno; appena apro bocca, ecco il vuoto.

La vita passata è morta. Questa morte mi dà gioia, poiché per essa so che è stata viva. La vita morta è corrotta. Questa corruzione mi dà gioia, poiché per essa so che ancora non è il vuoto.

I resti putrefatti della vita stanno sulla terra, non generano grandi alberi ma solo erbe selvatiche. E questa è la mia colpa.

Le erbe selvatiche hanno radici superficiali, fiori e foglie non belli: eppure succhiano la rugiada e l'acqua, succhiano sangue e carne dei morti imputriditi; a una a una, strappano la propria esistenza. Vive, saranno calpestate e tagliate, finché moriranno e si corromperanno.


Ma io sono sereno, contento. Riderò e canterò.


Amo le mie erbe selvatiche. Ma detesto questa terra che se ne fa un ornamento.

Sotto la terra si agita e rotola il fuoco; un giorno il magma proromperà e brucerà tutte le erbe, e i grandi alberi. E anche la corruzione avrà fine.


Ma io sono sereno, contento. Riderò e canterò.


Col mondo così quieto, non posso ridere né cantare. Ma in un mondo non così quieto, forse neppure lo potrò. Questo cespuglio di erbe selvatiche lo offro a testimonianza nella luce e nell'ombra, in vita e in morte, nei termini del passato e del futuro, ad amici e nemici, uomini e bestie, a chi mi ama e a chi non mi ama.


Per me, per amici e nemici, per uomini e bestie, per chi mi ama e per chi non mi ama, spero nella morte e nella corruzione di queste erbe selvatiche, e che arrivi presto il fuoco. Diversamente, non sarei neppure esistito, e questo mi farebbe ancor più infelice della morte e della corruzione.


Andate ora, erbe selvatiche, così legate alla mia introduzione.

26 aprile 1927

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Pagina 14

Il commiato dell'ombra


Quando si dorme fino a dimenticare il tempo, può accadere che l'ombra venga a prender commiato, con queste parole —


C'è qualcosa che non mi piace nel paradiso, non voglio andarci; c'è qualcosa che non mi piace nell'inferno, non voglio andarci; c'è qualcosa che non mi piace nella vostra futura età dell'oro, non voglio andarci.

Del resto, sei tu che non mi piaci.

Amico, non intendo più seguirti, e non voglio stare qui.

Non voglio!

Ahimè non voglio, piuttosto errerò verso il nulla.


Ma sono solo un'ombra, lascerò te e affonderò nel buio. Il buio può inghiottirmi, e la luce cancellarmi.

Non voglio errare fra luce e tenebra, piuttosto affonderò nel buio.


Ma infine vado errando fra luce e tenebra, senza sapere se è il crepuscolo o l'alba. Alzerò solo la mano di cenere a fingere di bere una tazza di vino, e dimenticato il tempo me ne andrò via da sola.

Ahimé, se è il crepuscolo la notte mi sommergerà; oppure sarò cancellata dal giorno, se adesso è l'alba.

Amico, è tempo.

Errerò nel buio verso il nulla.

Ma tu vuoi un dono da me. Che posso darti? Come sempre buio e vuoto, senza fine. Ma vorrei fosse solo buio, che si cancellasse nel tuo giorno; vorrei fosse solo il vuoto, e non occupare il tuo cuore.


Così mi piace, amico —

Andarmene via da sola, senza te ma anche senza altre ombre nel buio. Da sola affonderò nel buio, quel mondo sarà interamente mio.

24 settembre 1924

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Pagina 20

Rivincita


Lo spessore della pelle umana non arriva a due millimetri, e subito sotto scorre il sangue caldo e rosso, nelle vene fitte più dei bruchi che strisciano snodandosi sulla parete, e diffonde il calore. Per questo calore si è attratti l'uno verso l'altra, si è turbati e trascinati, si vuole compenetrarsi, ci si bacia, ci si abbraccia finché si giunge alla ebbra felicità.

Ma se una lama affilata d'un colpo trafigge la pelle delicata color pesca, ecco il sangue caldo e rosso inondare d'un tratto con tutto il suo calore chi uccide: il soffio del respiro gelido e la vista delle labbra pallide lo portano a smarrire la nozione di sé e a percepire la felicità suprema della vita che si effonde e si disperde; mentre l'altra s'immergerà per sempre nella felicità suprema della vita che si effonde e disperde.

Perciò così sono una di fronte all'altro stringendo una lama affilata, nudi nel deserto.

Si abbracceranno, o si uccideranno...


Corre gente da ogni parte, si snodano fitti come i bruchi che strisciano sulla parete, come formiche intente a sollevare una testa di pesce secco. Hanno abiti eleganti e mani vuote. Ma corrono da ogni parte, e allungano il collo con tutte le forze per dare un'occhiata a questo abbraccio, o uccisione. Già pregustano sulla lingua il sapore fresco del sudore, o del sangue.

Ma quelli sono uno di fronte all'altra nudi nel deserto con una lama affilata; e non si abbracciano e non si uccidono; né mostrano di volere abbracciarsi o uccidersi.

Allora la gente è annoiata; annoiata di penetrare nei loro pori, di uscire dai propri e strisciare nel deserto per infilarsi nei pori degli altri. Allora sentono che la gola e la lingua sono secche; anche il collo s'è stancato. E si guardano di soppiatto, a poco a poco si disperdono. Fino a trovarsi inariditi al punto di perdere il gusto della vita.

Resta solo il deserto, e i due che stanno nudi stringendo nelle mani una lama affilata – secchi. Con occhi da morti osservano questa aridità della gente, grande delitto senza sangue, e s'immergono per sempre nella felicità suprema della vita che si effonde e si disperde.

20 dicembre 1924

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Pagina 26

Neve


La pioggia dei paesi caldi non si muta mai in fiocchi di neve ghiacciata, duri e risplendenti. Chi se ne intende dice che è una noia: si considererà una disgrazia anche lei? Ma la neve a sud dello Yangzi è incantevole, molle di umidità; come l'annuncio ancora confuso della primavera, o la pelle di una ragazza straordinariamente forte e sana. Nel deserto di neve ci sono perle rosso-sangue di camelie, i fiori del prugno di un verde incerto fra il bianco, i calici del calicanto giallo scuro; ci sono anche le erbacce verdi ghiacciate sotto la neve. Farfalle non ce n'è di certo; e non ricordo bene se vi siano api che raccolgano il miele dalle camelie e dai fiori di prugno. Ma è come se avessi davanti agli occhi i fiori d'inverno sbocciati nel deserto di neve, e le api volassero indaffarate, e ne udissi anche il ronzio.

I bambini soffiano per riscaldarle sulle manine rosse dal gelo, che sembrano radici violette di zenzero, in sette o otto modellano un arhat di neve. Non sono capaci, e anche un padre viene ad aiutarli. L'arhat è molto più alto dei bambini, ed è solo un mucchio piccolo in alto e grande in basso, che infine non si capisce bene se sia una zucca o un discepolo di Buddha: ma è candido, chiaro e bello, e, tenuto insieme dalla propria umidità, riluce tutto scintillante. I bambini gli fanno gli occhi con delle nocciole e rubano un rossetto dalla scatola dei cosmetici della madre di uno per tingergli le labbra. Adesso è veramente un arhat molto distinto. Con gli occhi scintillanti e la bocca rossa sta seduto sulla terra coperta di neve.

Il giorno dopo vengono ancora dei bambini a fargli visita; battono le mani davanti a lui, scuotono la testa, ridono. Ma alla fine resta lì seduto da solo. Un giorno di bel tempo gli fonde la pelle, ma una nottata di gelo gli riforma uno strato di ghiaccio; e si fa di cristallo opaco; alcune belle giornate di seguito lo fanno diventare che non si sa più che cosa sia, s'è sciolto anche il rossetto sulla bocca.

Ma i fiocchi di neve del nord, dopo essere volati giù fitti e confusi, restano sempre come polvere, come sabbia: non si appiccicano, sparsi sopra le case, sulla terra, sull'erba. Sulle case presto la neve si fonde un po', per il calore del fuoco di chi le abita. Quella che resta, a un improvviso vortice di vento in un giorno di sole, spiega il volo, s'irraggia scintillando nella luce, come grande nebbia che avvolga una fiamma, turbina e s'innalza, fino a riempire il cielo, e fa che il cielo risplenda tutto del suo turbinare e innalzarsi.

Sul deserto senza limiti, sotto la volta gelata del cielo, quello che scintillando s'innalza in turbine è lo spirito della pioggia...

Sì, è la neve solitaria, la pioggia morta, lo spirito della pioggia.

18 gennaio 1925

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