Copertina
Autore Gordiano Lupi
Titolo Nemici miei
SottotitoloConsigli utili per difendersi da scrittori, editori e giornalisti inutili
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2005, Eretica , pag. 124, cop.fle., dim. 120x168x9 mm , Isbn 978-88-7226-890-2
LettoreGiorgia Pezzali, 2005
Classe libri , critica letteraria
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


Lupi, sei un poveraccio, ma smettila   3

Agenti letterari                       7
Ammaniti Niccolò                      10
Audino Dino                           14
Avoledo Tullio                        17
Capossela Vinicio più Pulp            19
Ciabatti Teresa                       24
Citati Pietro                         26
Cocchetti Maria Grazia                30
Collina Pier Luigi                    32
Crovi Raffaele                        36
Dell'Arti Giorgio                     40
D'Orrico Antonio                      42
Faletti Giorgio                       45
Giuttari Michele                      47
Gnocchi Gene                          51
Mazzantini Margaret                   54
Melissa P.                            58
Nori Paolo                            60
Nove Aldo                             63
Oppure                                70
Orengo Nico                           74
Piperno Alessandro                    79
Riviste letterarie                    83
Sanguineti Edoardo                    86
Santacroce Isabella e altri           91
Scarpa Tiziano                        97
Stilton Geronimo                     101
Tamaro Susanna                       103
Veltroni Walter                      106
Vespa Bruno                          109
Wu Ming                              113

Qualcosa abbiamo detto, mi pare      117



 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 26

Citati Pietro



Pietro Citati è uno scrittore in busta paga di Repubblica, uno che ci mangia parecchio bene con quello che scrive, un opinionista coi fiocchi e controfiocchi, non so se pure lui abbia aperto una scuola di giornalismo ma se non lo ha fatto sicuramente ci sta pensando. Oggi m'imbatto in un suo elzeviro in prima pagina che rimanda all'inserto cultura dove ce la mena per un paginone intero e dice che i romanzi venduti col giornale dimostrano che la gente legge, che in Italia si cercano le storie vere, che una volta lui ha incontrato una donnina che chiedeva all'edicolante di darle tutti i romanzi usciti durante la settimana. Pietro Citati non si meraviglia dei trenta milioni di romanzi del Novecento venduti, dei quindici milioni di enciclopedie sparate sul mercato negli ultimi mesi, e specie di enciclopedie ce ne sono per tutti i gusti, per bambini, per monache, per portantini, infermiere e medici, e neppure delle vendite stratosferiche dei Classici dell'Arte, lui lo sa che gli Italiani frequentano tanto le mostre. Non si meraviglia di niente, neppure che i bancari milanesi abbandonino il lavoro per declamare i Classici della Poesia del Corriere della Sera e di Repubblica, che Bossi e Maroni leggano Pessoa, e questa la vedo un po' dura, e che il ministro Tremonti sia un fan di Sandro Penna, ché lui dice gli Italiani leggono da sempre parecchia poesia. Col cazzo rispondo io che mi capita di avere a che fare pure con chi compra i libri, gli Italiani sono dei grandi scrittori di cazzate che chiamano poesie ma quanto a leggere la poesia è un altro paio di maniche. Però Citati lo so cosa ci vuol dire oggi con questo articolo marchetta che più marchetta non si può, che lui si meraviglia di una cosa sola che gli Italiani non leggono più i bei romanzi dell'Ottocento come Delitto e castigo, I fratelli Kararnazov, Anna Karenina, I Miserabili, che lo sappiamo tutti che sono dei capolavori, capisaldi della letteratura mondiale, grazie al cazzo, mica li possiamo confondere con i racconti di Vitaliano Trevisan o di Isabella Santacroce. Però la cosa mi puzza un pochino che Pietro Citati ce la sarabandi così di brutto nell'inserto cultura. Tu guarda che combinazione La Repubblica sta pubblicando i grandi romanzi dell'Ottocento e ce li dà insieme al giornale alla modica cifra di sette curo e novanta centesimi. Mi viene il sospetto che sia un tantino interessato questo popò di marchettone del Citati. Vuoi vedere che glielo hanno commissionato in Rizzoli. Può darsi pure che mi sbagli però, lo so che lui è un letterato di quelli veri, un critico, uno dal palato fino che scrive soltanto le cose che pensa. E allora vado avanti con l'articolo e condivido quasi tutto di quello che dice, ché io me li sono comprati parecchi dei romanzi dell'Ottocento che mi mancavano. Per esempio mi sono preso Davide Copperfield che me lo avevano regalato da piccino in edizione ridotta e lo volevo leggere integrale, poi Delitto e castigo che l'avevo letto alla biblioteca della scuola però mi mancava e ci tenevo ad averlo, Notre-Dame de Paris che ce l'avevo ma era tutto ingiallito e lo volevo nuovo e alla fine pure i Racconti di Cechov che invece me li sono letti per la prima volta e mi sono garbati parecchio. Non è che mi ci volesse Citati a dire che questi libri sono un tantino migliori di Io uccido di Faletti o dell'ultima fregnaccia di Coelho, che io di Coelho ne ho letto uno di romanzi e devo dire che preferisco la letteratura italiana contemporanea almeno dopo mi diverto e mi serve per sputtanarla. Coelho invece è brasiliano e mi frega e poi mi fa pure girare i coglioni. A me i sudamericani mi piacciono da impazzire e pure i centramenricani, ma Coelho no, proprio non lo reggo. Mi sa che soffro di sindrome da best-seller, forse questa malattia ce la becchiamo tutti noi scrittori sfigati che i romanzi non ce li pubblica nessuno. Insomma alla resa dei conti l'ho capito cosa ci voleva dire il vecchio Citati, che se il romanzo dell'Ottocento risorge a nuova vita il merito è dei giornali e soprattutto di Repubblica che li ha portati in edicola e allora tutte le casalinghe e i pensionati si comprano Dostoevskij e Dickens e tutte le settimane si vendono duecentomila copie che prima in Italia nessuno voleva, a parte i ragazzini del liceo che glieli consigliavano i professori e li dovevano leggere per forza. Pare allora che la medicina per far leggere gli italiani sia quella di chiudere le librerie e magari pure le case editrici tanto servono a un cazzo, sono in crisi. Aumentiamo piuttosto le edicole e pubblichiamo libri come supplementi ai quotidiani che il gioco è fatto, risolto per sempre il problema della lettura. Infatti come ci dice Citati la libreria fa paura e l'italiano non ci si avvicina, pare che morda e che dentro ci siano serpenti velenosi, invece l'edicola è calda e accogliente, ci trovi le cassette porno e i divvuddì di De Filippo, le riviste di moda e i fotoromanzi e poi il tuo quotidiano sceglie cosa devi leggere, sei servito e riverito, non devi fare nemmeno la fatica di pensare. Divertente questa storia dei libri in edicola, pure se dal punto di vista degli editori penso sia un tantino diverso e specie se sono piccoli gli girano parecchio i coglioni, che pure a noi del Foglio ci chiedono come mai La Repubblica vende a meno di otto euro un classico della letteratura rilegato col cofanetto col segnalibro incorporato e noi alla stessa cifra diamo un brossurato di uno scrittore sconosciuto. Vaglielo un po' a spiegare al lettore che Repubblica vende duecentomila copie e noi se va bene duecento, se ci comprassero duecentomila libri li potremmo fare anche tre euro l'uno. I quotidiani da quando pubblicano libri hanno rimesso in sesto i bilanci e gli Italiani si sono riempiti le case di libri che nessuno legge ma fanno arredamento. A Piombino tanto per dire c'era pieno di casalinghe e di operai delle Acciaierie che tenevano piatti e bicchieri esposti in biblioteca, ché loro in biblioteca non sapevano cosa metterci. C'ha pensato Repubblica a riempire le biblioteche degli Italiani, pure di chi non legge, ché in biblioteca i libri ci fanno un figurone specie se sono cartonati e rilegati bene con la sovraccoperta a colori e il cofanetto. Interessa poco che i libri comprati col quotidiano di turno li legga nessuno, si sa tutti che si comprano per abitudine, per collezione, per spinta mediatica e pubblicitaria, ma la letteratura c'entra un cazzo con tutto questo. E allora lasciatemi dire al vecchio Citati che se pure ho contribuito al successo commerciale della Biblioteca di Repubblica comprando parecchi libri, io all'edicola preferisco la libreria e la continuo a frequentare. Il lettore di libri va in libreria e cerca, sfoglia le novità, scova la letteratura nuova, le voci insolite, mica si fa consigliare da Repubblica o da Citati.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 51

Gnocchi Gene



E ti pareva che non si metteva anche lui a fare lo scrittore. Scrivono tutti, scrivono, che poteva dire di no Gene Gnocchi all'invito di Einaudi Schifo Libero a pubblicare le sue poesie e i suoi racconti. No che non poteva. Che se tu scrittore sconosciuto ti presenti a un editore con una raccolta di racconti per prima cosa ti ride in faccia e subito dopo ti prega di sparire e di corsa. I racconti pare li leggano solo le mamme degli scrittori sconosciuti e pochi più. Se poi ti avvicini al solito editore con una raccolta di poesie lui si fa prendere da una serie di conati di vomito. Pure gli editori a pagamento sono in difficoltà con le raccolte di poesie, devono stabilire doppi turni di stampa per contentare tutti. Però Gene Gnocchi non è uno scrittore sconosciuto, lui mica importa se come scrittore fa cacare, lui va in continuazione in televisione e il gioco è fatto. Scrivono Leonardo Pieraccioni, Fabio Fazio, pure Roberto Vecchioni e Francesco Guccini. Però io non li compro. Ho tutti gli album di Vecchioni, pure quello dove cantava e piangeva e c'erano dentro porcherie come Povero Ragazzo e L'uomo che si gioca il cielo a dadi. Possiedo persino Opera Buffa di Francesco Guccini. Ma i libri no, guarda. I libri non li compro. Da piccino m'hanno detto che ognuno deve fare il suo nella vita e io c'ho creduto così tanto che infatti adesso lavoro in banca. E poi una volta ho letto Cronache Epifaniche, uno che non mi conosceva bene me l'aveva regalato per un compleanno, e mi veniva da sbadigliare e mi sognavo Guccini che cantava La locomotiva e Amerigo e Eskimo. Cantare canta da dio ma scrivere no, guarda. E insomma, il buon vecchio Gene Gnocchi da Fidenza si è messo a scrivere. O bravo Gene che ci mancavi solo tu. Che non ti bastava Quelli che il calcio e quella gnocca della Ventura? No, pare che non gli bastava. E così oggi te lo vedo sopra una di quelle riviste patinate che vendono il giovedì e il venerdì e che sono tutte piene di recensioni di libri degli editori che pagano un tanto a pagina la pubblicità vera e poi si fanno fare pure qualche marchetta, ovvero qualche articolo compiacente sui loro scrittori di punta. Mondofeltrinelleinaudi si chiama l'editore italiano più importante, il padrone è il Silvio ormai padrone di tutto, ormai mica ci si meraviglia. Gnocchi lo vedi su quella rivista patinata che ti regalano insieme al giornale del mattino che c'ha la barba lunga, incolta, sembra un lavavetri albanese che ha dormito poco. Pare che faccia tanto scrittore alternativo farsi fotografare da pidocchioso e la maglietta fuori dai pantaloni. Per me fa solo parecchio schifo. Comunque... Insomma quel che conta è la sostanza. L'articolo annuncia che il prossimo romanzo di Gene Gnocchi ha già un titolo: Sembra sabato ma non lo è, e poi ci dice che il protagonista è un signore che riempie fogli di block-notes convinto che la fine del mondo c'è già stata, solo che non se n'è accorto nessuno. Gene discetta del romanzo al tavolo del ristorante Astoria, nella sua Fidenza e dice all'intervistatore Stefano Semeraro che il protagonista della storia gira per le città con una macchina e un altoparlante, un po' come gli arrotini, solo che lui fa le antitetaniche, ha pure una vipera che si porta dietro e la usa per le dimostrazioni in piazza. Bello deve essere questo romanzo. Così bello che lo pubblicherà Einaudi pure se per il momento Gene ha scritto solo quaranta pagine. Alla faccia degli scrittori esordienti che nessuno li legge e nessuno li considera. Alla faccia di chi manda manoscritti e gli editori li cestinano senza aprirli neppure. A Gene Gnocchi gli viene una cazzo di idea, che scusate ma questa è proprio una cazzo di idea, ed Einaudi gliela opziona prima di aver letto il romanzo, anzi prima che lui lo abbia scritto. La differenza la fa la televisione. Il solito libro del solito comico si pubblica a occhi chiusi, chi cazzo se ne frega di cosa c'è scritto dentro. Pure se il bravo Semeraro si affretta a dire che "se state pensando che si tratta del solito libro del solito comico (lo abbiamo pensato, sì!) vi state sbagliando, perché Gene Gnocchi è un lettore raffinato, un narratore naturale e un inquieto poeta che vale la pena di leggere". Leggilo tu allora Semeraro, visto che ti pagano bene per dire cazzate simili e fallo leggere a tutti quelli che ci credono, digli che ordinino alla Garzanti la raccolta di racconti Una lieve imprecisione, oppure i due romanzi brevi Stati di famiglia e Il signor Leprotti è sensibile (ovviamente Einaudi Schifo Libero). Io m'astengo e preferisco la letteratura di chi fa narrativa e poesia senza fare il comico. Tutto qui. Perché poi nella produzione di Gene Gnocchi c'è pure la sorprendente raccolta di poesie Sistemazione provvisoria del buio, manco a farlo apposta in Schifo Libero che l'Einaudi le poesie le pubblica solo ai comici e ad Aldo Nove, pochi altri. Pare che la vocazione di Gene venga da lontano, da quando era ancora Eugenio Ghiozzi, nome che poi (chissà perché) si è cambiato, e scriveva dei temi d'italiano così belli che il professore li leggeva ad alta voce in classe. Chissà che due palle si facevano i compagni che ascoltavano, non c'è cosa più noiosa di sentire i temi degli altri letti ad alta voce.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 74

Orengo Nico



Se non ci fosse Magazine io non saprei proprio come fare, guarda. Il mio giornalaio l'ha capito da un pezzo e allora me lo mette da parte tutti i giovedì, l'unico giorno della settimana che compro quel giornalone chiamato Corriere della Sera. Levatemi tutto ma non il mio Magazine, ché senza di lui non vivo, non ce la faccio, entro in crisi di astinenza, ché se no chi me le racconta le cose del mondo letterario, chi m'aggiorna su quello che capita o non capita a me che vivo a Piombino, chi mi riferisce quel che pensa il fenomeno letterario del momento, chi mi dice cosa devo dire e non dire. Nessuno. Oggi per esempio apprendo che pure il grande Nico Orengo ironizza sul mondo letterario italiano e pubblica con Einaudi un libro intitolato L'intagliatore di noccioli di pesca. Bel titolo davvero, ché a lui gli si può dire tutto ma che gli manchi la fantasia proprio no, bel titolo per un libro che ha per protagonista un critico letterario di nome Pietro Scullino e un sacco di scrittori contemporanei. Nico Orengo se non lo sapete è il guru di Tuttolibri, uno che ha fatto recensire Quasi quasi da Mirella Appiotti e lei l'ha letto così bene che m'ha preso pure in castagna. Sì, perché nel libro che ho scritto ho confuso L'amore molesto con L'amore contro, ché Covachich ha scritto L'amore contro mica L'amore molesto, sarà che a me L'amore contro è risultato parecchio molesto e allora l'ho ribattezzato. E poi pare che L'amore molesto l'ha scritto un altro che ora non mi ricordo, mica mi posso ricordare tutti gli scrittori italiani, mica sono Nico Orengo. A parte questa divagazione volevo dire che Nico Orengo fa dell'ironia sulla letteratura, però la fa raffinata, mica è un tipo volgare come me che ci metto un sacco di parolacce. Nico Orengo fa literary thriller, mica cavoli, una cosa che a me non mi riesce nemmeno pronunciare come si deve figurati se la posso scrivere, e poi appare coi capelli al vento stile tardo figlio dei fiori e accanto a lui c'è pure un ispirato Giorgio Faletti, penna e carta sulla scrivania e Io uccido a portata di mano. Ma che bella marchetta, Orengo. Bella davvero. Ma che bella coppia che siete, però. L'articolo parte subito bene con lodi a profusione sullo Stephen King italiano, che questa cosa mi fa un po' ridere pure se quando scrivo non si vede, e poi aggiunge che Nico Orengo ha fatto di Faletti il protagonista del suo nuovo libro, un giallo ambientato nel mondo letterario. Tutta questa sbobba pubblicitaria la firma Mirella Serri. Peccato, si vede che Antonio D'Orrico era impegnato, di solito queste cose toccano a lui che se la cava di gran classe. Pure a leccare il sedere ci vuole stile. Nico Orengo s'inventa questo critico letterario investigatore che vive in Liguria, guarda caso vicino a casa sua che così non sbaglia, e deve convivere con una figlia violenta che per divertimento lo bersaglia con i libri degli scrittori italiani. E fa pure bene, dico io. Questa figlia anoressica è una lettrice perennemente incazzata e tira di tutto sulla povera testa del padre. Comincia con Il nome della rosa, prosegue con Sostiene Pereira, va avanti con Senza sangue e conclude con Anima mundi. A parte uno, e se avete letto Quasi quasi sapete quale, credo faccia bene a usare certi libri come corpi contundenti, meglio non potrebbe fare. Meno male che non gli tira Io uccido che il colpo lo accuserebbe di sicuro, quel popò di mattonazzo stordirebbe un elefante. Insomma questo critico di provincia scrive su La Riviera ed è anche sulle tracce di un serial killer che viene dal principato di Monaco, luogo dove è ambientato il romanzo di Faletti, e piano piano viene fuori anche il suo autore che nel libro fa la parte del leone. Faletti è proprio un tuttofare. Comico, cantante, paroliere, scrittore di successo, adesso pure personaggio di un romanzo. Nico Orengo invece mette tutti alla berlina e ci fa pure un giallo su questa cosa qui della letteratura, mica come me che ho scritto una storia acida e velenosa e adesso sono qui che ne scrivo un'altra, lui è un signore. E Faletti, definito da Sette il più grande scrittore italiano (e scusate se me la rido di nuovo ma è più forte di me) tanto sono loro che decidono adesso, se la gode contento. Definisce Orengo uno scrittore atipico, un personaggio anomalo, uno che secondo lui c'ha i piedi con sei dita e insegna alla scuola di Harry Potter. Lo pagano bene Faletti per dire cazzate e allora fa bene, che non si risparmi. Secondo me ci prendono per il culo tutti e due, poi mi posso pure sbagliare, mica scrivo marchette su Tuttolibri. Nico Orengo poi mica lo conoscevo, ma questa fortuna m'è toccata alla Fiera del Libro di Imperia dove c'ero pure io, microscopico Davide davanti a un enorme Golia. Ho ascoltato Nico Orengo mentre presentava Il salto dell'acciuga con la compiacente lecchineria di un intervistatore prezzolato che non la finiva di sperticarsi in complimenti. Nico Orengo è un grande, c'è poco da fare. Non fosse altro per come va vestito stile beat generation o per come porta i capelli, scaruffati e scomposti stile vecchio intellettuale che la sa lunga sul mondo. E allora io lo devo proprio ascoltare questo santone della letteratura, questo guru che dirige Tuttolibri e che decide cosa è bello e cosa non lo è, lo devo proprio sentire, mica me la posso perdere la sua conferenza sulle acciughe. Tanto allo stand del Foglio ci resta mia moglie e poi ci sono pure un paio di autori venuti proprio per promuovere i loro libri. Io invece devo ascoltare il mitico Orengo, ché lui dallo stand del Foglio c'è passato ma ha tirato dritto, mica poteva perdere tempo con gli editori dilettanti. E allora scopro che Nico Orengo ha scritto Il salto dell'acciuga perché un medico aveva consigliato a sua moglie di mangiare un'acciuga al giorno. Orengo sostiene che tutti abbiamo un barattolo di acciughe in casa e noi diamogli ragione che ci costa poco, pure se in casa mia di acciughe ce ne sono sempre state poche. Insomma a Orengo in quel periodo le acciughe uscivano pure dagli occhi, ché s'era un po' rotto i coglioni di mangiare acciughe, pure se era parecchio interessato a un libro sulla storia del sale che però non trovava. Continuo ad ascoltare le esternazioni del vecchio beat coi capelli al vento e mi tasto se ci sono, come diceva mio nonno quando non capiva se il pazzo era lui o se invece le bischerate le dicevano gli altri. Apprendo che le acciughe si chiamano pesci di montagna e che gli antichi romani erano esperti nel metterle sotto sale dentro i famosi carretti di acciughe. Adesso mi sento più sollevato. Meno male che ora lo so e che Orengo me l'ha detto, se no chissà come facevo se non lo sapevo. Il salto dell'acciuga è un libro finito che però potrebbe non finire mai perché le storie sull'acciuga sono infinite, sostiene Orengo. E poi ti sciorina una storia sulla golosità dei cibi e sulla golosità della lettura che io mica la capisco, però tanto lo so che lui è un intellettuale, non posso mica capire tutto. Certe cose se non si fissano c'è il rischio che vadano perdute e allora meno male che Nico Orengo ha scritto proprio tutto sull'acciuga e su come si mette sotto sale, se no chissà come andava a finire questa storia qui.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 109

Vespa Bruno



Definire scrittore Bruno Vespa ci vuole del coraggio, pure nel panorama letterario contemporaneo, dire che questo tuttologo arrogante è pure giornalista e storico mi fa vomitare, però i libri li pubblica e le trasmissioni le conduce, accendi la televisione e lui compare, quindi mi tocca farlo. Bruno Vespa è una factory, mica uno scrittore, con tutte le cose che ha da fare dove vuoi che lo trovi il tempo per scrivere due libroni all'anno che santificano Berlusconi, e allora meglio mettere solo la firma, un po' come fa Stephen King da un po' di tempo a questa parte, che la gente per scrivere si trova sempre. Per le feste comandate non può certo mancare il Bruno Vespa cartonato, il best-seller da regalare all'amico fascista, il lettore tipo che vota Forza Italia e segue lo stile del capo che legge un libro ogni dieci anni. Tempo perso la lettura ché si deve lavorare e produrre, tanto tanto portati dietro L'elogio della follia e citalo a proposito e a sproposito ma non ti allargare. Bruno Vespa va bene per lettori come questi che lo comprano di sicuro, leggere mica lo so, e poi se lo regalano tra capi sezione, sindaci e consiglieri comunali. Bruno Vespa pubblica più di Baricco, che pure lui un libro all'anno lo sforna anche se ormai di cose da dire non ne ha più nessuna e di solito insegna alla sua Scuola Holden. Tra un Porta a Porta con la Parietti e la Mussolini, una vaccata con le gemelle Lecciso e una promozione all'ultima berlusconata, Vespa pubblica saggi politici furbetti che non si espongono mai. Lui racconta la politica e la storia d'Italia con un linguaggio semplice, privo di stile, una scrittura sciatta e rassicurante come le sue trasmissioni placebo. Vespa non ha mai cambiato bandiera, è sempre stato dalla parte di chi comanda, mica importa se si chiama Andreotti, Craxi, D'Alema o Berlusconi, quel che conta è mantenersi a galla. I governi cambiano ma Vespa resta l'unica certezza che rassicura con le sue cazzate natalizie per dire che Silvio è un uomo di parola, lui ha ridotto le tasse. Berlusconi ringrazia e lo stima quasi più di Fede, tanto che va spesso a Porta a porta, gli presenta i libri e li consiglia al popolo dei suoi elettori che sono parecchio sensibili ai messaggi pubblicitari. Bruno Vespa mi tocca vederlo in televisione che si lamenta della Rai che lo ospita poco per parlare del suo ultimo libro, dice che è vergognoso che di un libro importante come il suo se ne parli solo sulle reti Mediaset. Davvero sono cose che uno non si capacita come possano accadere: Vespa pubblica un libro epocale come Storia d'Italia da Mussolini a Berlusconi e quei comunisti della Rai non lo intervistano almeno tre volte al giorno. Cose da non credere.

La storia che racconta il libro la conoscono tutti, basta aver fatto la scuola dell'obbligo e tenere sotto mano una storia d'Italia di quelle vere, magari pure versione popolare come le scriveva Indro Montanelli, un giornalista vero che conosceva il significato della parola indipendenza. Basta leggere la fascetta promozionale del libro per rendersi conto della gigantesca marchetta di Bruno Vespa. Si parte dal 25 luglio 1943, quando Vittorio Emanuele Orlando aspetta invano la chiamata al governo per sostituire Mussolini, si va avanti con Badoglio e viene introdotto un giovanissimo Giulio Andreotti che comincia a farsi largo nella politica italiana. Ma il personaggio che più interessa a Vespa viene parecchio dopo e si chiama Silvio Berlusconi che nel novembre 2004 riduce le imposte sulle persone fisiche e apre la fase decisiva per la riconquista di palazzo Chigi nel 2006. Ecco spiegato il vero motivo del libro che va pubblicizzato il più possibile per convincere gli italiani che il famoso contratto è stato rispettato, non era una gigantesca presa per il culo. Vespa fa da garante con la sua marchetta e scrive pure che Romano Prodi si libera dal vincolo della presidenza della Commissione Europea, torna nella lotta politica e si candida a nuovo premier del centrosinistra. Il promo editoriale afferma che il libro di Vespa è diverso da tutti quelli che l'hanno preceduto, e questa è solo una delle tante bugie che anticipa la serie di cazzate contenute nel volume. Il libro è lo stesso di sempre, un racconto della storia d'Italia parziale e semplificato, uno spottone elettorale dalla parte del più forte, una santificazione politica di Berlusconi e pure di Mussolini che si ritrovano uniti in un titolo ammiccante.

| << |  <  |