Copertina
Autore Rosa Luxemburg
Titolo Lettere 1893-1919
EdizioneEditori Riuniti, Roma, 2013 [1979], Gli indimenticabili 13 , pag. 380, cop.fle., dim. 13,8x21x2 cm , Isbn 978-88-359-9201-1
CuratoreLelio Basso, Gabriella Bonacchi
TraduttoreGabriella Bonacchi, Luigi Garzone, Olga Viegoz, Celeste Zawadzka
LettoreGiangiacomo Pisa, 2013
Classe biografie , politica
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Indice


Introduzione                                             23

Avvertenza                                               43

A Leo Jogiches, 20 marzo 1893
pubblicata in R. Luksemburg, Listy do Leona Jogichesa-Tiszki,
a cura di F. Tych, 3 vv, Warszawa, 1968-1971             47

A Leo Jogiches, 31 marzo 1894
pubblicata in Archiwum Ruchu Robotniczego,
a cura di F. Tych, Warszawa, 1976                        49

A Leo Jogiches, 20 marzo 1.895
pubblicata in R. Luksemburg, Listy..., cit.              55

A Leo Jogiches, 2 aprile 1895
pubblicata in R. Luksemburg, Listy..., cit.              56

A Robert Seidel, 21 ottobre 1895
pubblicata in Z pola walki, 1959, n. 1, pp. 66-67        59

A Cezaryna Wojnarowska, primi giorni di luglio 1896
pubblicata in Z gola walki, 1971, n. 1, pp. 201-204      61

[...]

A Clara Zetkin, 18 novembre 1918
pubblicata in Zeitschrift für Geschichtswissenschaft,
1963, n. 8, p. 1476                                     365

A Clara Zetkin, 24 novembre 1918
pubblicata in Zeitschrift für Geschichtswissenschaft,
cit., p. 1477                                           366

A Clara Zetkin, 29 novembre 1918
pubblicata in Zeitschrift für Geschichtswissenschaft,
cit., pp. 1477-1479                                     367

A Lenin, 20 dicembre 1918
pubblicata in Pravda, n. 12, 15 gennaio 1925, p. 1      369

A Marta Rosenbaum, 4 gennaio 1919
pubblicata in Briefe an Freunde, cit., pp. 168-169      371

A Clara Zetkin, 11 gennaio 1919
pubblicata in Zeitschrift für Geschichtswissenschaft,
cit., pp. 1480-1481                                     372


Notizie biografiche                                     374


 

 

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Pagina 23

Introduzione



È nel quadro del lavoro che vado da anni svolgendo per far sempre meglio conoscere in Italia il pensiero, l'opera e la personalità di Rosa Luxemburg, che si colloca anche questa scelta di lettere. Naturalmente una scelta di lettere che corrono lungo l'arco di un quarto di secolo, spaziando dalla vita privata a quella pubblica, da momenti d'intensa partecipazione politica a lunghi anni di vita carceraria, dai problemi dell'emigrazione polacca o russa ai dibattiti aperti della socialdemocrazia tedesca e dell'Internazionale, non può costituire un'opera organica, che possa essere preceduta da un'analisi e da un commento globali, ma rappresenta indubbiamente un elemento sussidiario di inestimabile valore per una comprensione piú approfondita dei suoi lavori teorici e dei suoi scritti militanti. Ma soprattutto della sua stessa personalità.

Si tratta infatti di un genere letterario quasi sempre di grande signicato, perché apre una finestra sull'animo e sugli stessi pensieri riposti dell'autore, molto piú di quanto non facciano abitualmente altri generi: trattandosi di scritti non destinati, almeno nell'immediato, al pubblico, l'autore può manifestare con maggiore libertà, e talvolta persino crudamente, sentimenti, pensieri, giudizi che non sarebbe disposto ad affidare alla curiosità dei lettori. Questa qualità, di un maggior abbandono e di una maggiore spontaneità, che è in generale comune a tutti gli epistolari, assume un rilievo particolare in Rosa Luxemburg, non solo per l'abbondanza del suo lascito epistolare, ma anche per la sua stessa natura, che soffocava nelle maglie dei rapporti di partito e doveva necessariamente cercare in quelli personali un'occasione per dare libero sfogo all'estro straordinariamente vivace e multiforme della sua personalità.

[...]

L'aspetto dominante della personalità di Rosa, a monte delle sue convinzioni politiche, è appunto il suo rapporto con gli uomini e con la natura, ma con la natura vista come ambiente umano, o, forse meglio ancora, come un momento della vita dell'uomo. L'uomo, insomma, per Rosa come per Marx, è al centro di tutto, e il socialismo non è un problema di produzione o di elettrificazione, ma di liberazione dell'uomo: rappresenta un ideale solo in quanto è condizione di questo processo di liberazione. E non è neppure una fatalità, una tappa ineluttabile, «naturale» del processo storico, ma è la conquista di ogni giorno, e, al tempo stesso, la creazione di una nuova vita interiore e di nuovi rapporti: certo, anche rapporti economici di produzione, ma altresí rapporti politici di autogoverno e, soprattutto, rapporti umani di responsabilizzazione, di fratellanza e di amore. Una fratellanza che evidentemente non esiste ancora, ma che dovrà essere conquistata attraverso dure battaglie, in questo stesso contesto storico in cui si prepara e si costruisce la nuova società socialista. La quale sarebbe vana cosa, se non contribuisse a realizzare questa «fratellanza universale degli operai che è ciò che vi è di piú sacro e di piú elevato sulla terra». Perciò coabitano in lei, in una permanente tensione che esprime al tempo stesso la tragicità e la serenità della sua vita cosí come l'intima sua coerenza, la combattente tenace, inflessibile, talvolta aspra, capace anche di odiare, che vive nei suoi scritti politici, nei suoi discorsi infiammati, nei suoi atteggiamenti duri e sprezzanti soprattutto verso i «compagni» che hanno la tessera del partito e ne sono magari dirigenti ma non ne hanno lo spirito, e l'essere tenero e appassionato, che partecipa alle sofferenze di ciascuno e soffre con loro, che ama perdutamente le piante, gli animali e gli uomini, e a questi sa perdonare anche le loro debolezze, che si esalta nelle piccole scene della vita, che si estasia al canto d'un uccello, o davanti a un fiore o magari a un filo d'erba.

È chiaro che per comprendere questo aspetto interiore di Rosa, e soprattutto per apprezzarne l'incidenza anche sul suo pensiero politico, sono essenziali le lettere dal carcere, dove la Luxemburg trascorre gli ultimi anni della sua vita, che sono anni di forzato raccoglimento, di ricordi che affiorano, di un bilancio continuamente ripensato della propria vita. In mezzo alla tragedia che scuote il mondo, che non soltanto uccide milioni di uomini e scatena le passioni piú selvagge, ma sembra aver ucciso anche gli ideali per i quali ha speso la sua esistenza, soffocata per anni fra le quattro mura d'un carcere, colpita con la morte tragica di Hans Diefenbach nel suo affetto piú caro, essa innalza dalla sua cella un inno continuo alla vita, alla bellezza, alla bontà, all'amore, alla gioia. «Come il mondo e la vita sono belli» scrive e ripete a Diefenbach, non solo come un valore totale, ma anche nelle piú piccole cose, dall'abito di mussolina di Mathilde Jacob (lettera alla stessa del 3 maggio 1917) alle mani di Marta Rosenbaum «che io guardo sempre con gioia» (lettera del 10 febbraio 1917), da un giardino in fiore al ronzio di una vespa, dalle luci del cielo al moto delle nubi, dal canto del pettirosso che le fa vedere «la vita e il mondo sotto una nuova luce, come se le nuvole si dissolvessero e sulla terra cadesse un chiaro raggio di sole» (lettera a Diefenbach del 23 giugno 1917) al canto e al ritmo saltellante di una bimba capace di far sí «che tutto il buio e ammuffito palazzo del presidio di polizia fu velato come da un mantello di nebbia d'argento e l'aria della mia cella maleodorante improvvisamente fu profumata come da una cascata di rose rossoscuro» (allo stesso, 29 giugno 1917). Queste sensazioni, che possono sembrare esagerate o addirittura retoriche a chi non si sia soffermato a studiare l'intima coerenza della sua personalità, sono invece l'espressione di quello che è il vero fondo della sua anima, tutta protesa a cogliere e a sviluppare quelli che essa giudica i valori positivi della vita. «Dappertutto si riesce a spigolare per la strada un pochino di felicità e continuamente veniamo ammoniti che la vita è bella e ricca» (stessa lettera). E tuttavia, questa vita cosí bella e cosí ricca non è un dono gratuito alla portata di tutti. Solo chi ha amore alla musica può godere la musica, solo chi ha amore alla vita può sentirne tutta la bellezza. «C'è qualcuno che può "spiegare" cos'è la musica di Mozart? Si può "spiegare" in che consiste la magia della vita, se uno non la sente da solo nelle cose minime e quotidiane, o meglio: se non la porta in se stesso?» Persino il sole «per quanto irraggi, qualche volta non mi scalda affatto, se il mio cuore non gli presta un po' di calore» (allo stesso, 12 maggio 1917). Tuttavia per la Luxemburg è un fiato eccezionale quello di «non prestar calore al sole», perché essa è abitualmente aperta a tutto ciò che la vita può offrire, è pronta, come abbiam visto, a «spigolare per la strada un pochino di felicità», è pronta ad affrontare tutte le battaglie e a sopportare tutti i dolori perché «porto in me una massa inesauribile» di serenità (allo stesso, 13 agosto 1917).

Come non trovare un rapporto fra questo inno alla vita e la lotta per permettere a tutti gli uomini di sentirla, di amarla, di viverla in tutta la sua pienezza? E come non riconoscere nella sua fede nella primavera, che ritorna cosí frequente nelle sue lettere, la fede in una primavera dell'umanità, in un nuovo soffio di vita e di libertà che lei vede nel socialismo, quella fede che i cristiani han simboleggiato nella risurrezione primaverile del Cristo? «Nonostante la neve, il gelo e la solitudine, noi — le cinciallegre e io — crediamo all'arrivo della primavera», scrive a Mathilde Jacob in una giornata gelida, il 7 febbraio 1917. E in pieno inverno 1918, il 14 gennaio, scrive a Sonja Liebknecht: «Oggi qui abbiamo zero gradi. Nell'aria però c'è un dolce, ravvivante alito di primavera... Io sono già contenta per la primavera, l'unica cosa di cui non ci si sazia mai, per tutta la vita, e che, anzi, al contrario, ogni anno s'impara ad apprezzare e ad amare di piú».

Se ho insistito su questo motivo, richiamandomi anche a lettere non comprese in questa raccolta perché il lettore possa poi scoprire qui da sé gli identici motivi, è perché credo sia questa una chiave importante per afferrare il pensiero anche politico della Luxemburg, per esempio la sua spiccata preferenza per la fresca capacità creativa delle masse di fronte al gelido spirito burocratico dei dirigenti politici e sindacali socialdemocratici. Rientra in questo quadro il suo insaziabile desiderio di allargare il suo orizzonte intellettuale, che la porta ad affrontare prima la botanica e poi anche la geologia, che studia in carcere «con febbrile interesse e appassionata soddisfazione» (lettera a Sonja Liebknecht di metà novembre 1917). Rientra in questo quadro «il precetto fondamentale che mi sono data per la vita: la cosa piú importante è essere buoni! Puramente e semplicemente essere buoni, questo scioglie e lega tutto ed è meglio di ogni furberia e prepotenza» (lettera a Diefenbach del 5 marzo 1917). Ma come si può diventare buoni? domanda la moglie di Liebknecht. «Soniuscka, io non conosco altro mezzo che quello di legarsi alla gaiezza e alla bellezza della vita che costantemente ci circondano per poco che si sappia fare uso dei nostri occhi e delle nostre orecchie, che creano l'equilibrio interno che permette di superare tutto ciò che è fastidioso e meschino» (lettera del 2 agosto 1917).

Alla luce di queste analisi possiamo meglio comprendere anche alcune affermazioni che le sono state spesso rimproverate, come quelle contenute nella lettera del 2 maggio 1917 a Sonja. «Il mio io piú intimo appartiene piú alle mie cinciallegre che ai "compagni"», e, poco prima: «Mi sento interiormente molto piú a casa mia in un angoletto di giardino come qui [nella prigione di Wronke, L.B.] che in un congresso di partito». Non significa certo, questo, che essa preferisse la tranquillità della vita privata all'impegno politico, anche se ha sempre desiderato che nella sua vita non mancassero mai momenti in cui poter vivere a contatto con la natura o gioire di un'intensa esperienza d'amore perché il rapporto con la natura cosí come il rapporto d'amore sono momenti essenziali della personalità che non possono essere sacrificati, se si vuol essere interamente uomini e non spiriti aridi e mutilati. Ma i congressi cui in questa lettera si riferisce e i «compagni» tra virgolette, sono quelli della socialdemocrazia tedesca che aveva già definitivamente capitolato, mentre le cinciallegre e i giardini esprimono proprio quell'armonia della vita e del mondo che rimane la sua aspirazione ideale. E non ignora che per conquistarla è necessario lottare, ed è disposta a lottare fino al sacrificio della propria vita. «Nonostante tutto — è detto nella stessa lettera — io spero di morire sulla breccia: in una battaglia di strada o in carcere.» Ed ha tenuto la sua parola.

Lelio Basso

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Pagina 49

1894


A Leo Jogiches

Parigi, sabato, 11 di mattina, 31 marzo 1894

Amato mio carissimo,

mi perdonerai, vero?, se ora scriverò soltanto della Sprawa. Sono cosí stanca, nervosa, lavoro tanto dalla mattina alla notte che non sono piú capace di scrivere una lettera. Del resto scrivi che mi ami, e per me questo non è già abbastanza? Cosa m'importa di tutto il resto? Io sono tutta tua, ti sogno ogni momento, e dentro di me ti sorrido. Quando, quando ti abbraccerò infine? Ma non mi affretto, voglio guadagnarmi, meritarmi questo momento.

Quando ho ricevuto la tua lettera tutto era già stato fatto. L'impaginazione era pronta, dovevo solo rivederla e farla stampare. Per sfortuna quella mattina mi ero alzata tardi, alle 10, perché avevo corretto le bozze fino all'una di notte. E cosí, alzatami e lettala, ho telegrafato a Reiff affinché fermasse il lavoro fino al mio arrivo. Successivamente mi sono recata dagli Adolf ed ho cominciato a prepararli su quanto si dovrà fare. Sono riuscita anche a farmi aiutare da lui persino nella stesura. Cioè, facevo in modo che risultasse che le idee erano sue. Ho scritto pertanto un appello molto violento, li toccherà profondamente e farà un chiasso enorme. Ma il guanto era gettato, bisognava raccoglierlo. Questo fatto ha coinvolto Adolf in questa «lotta con la Polonia», che egli voleva evitare a tutti i costi. Se rimanessi qui ancora un mese sarebbe un uomo tutto nostro. Invece non ho ancora scambiato con lui neppure una parola, non ne ho avuto il tempo.

Ho eliminato Defnet, ma ho lasciato il mio articoletto politico, perché mi piaceva molto. Purtroppo il bel finale, che avevo preparato per gli articoli sulla lotta per abbreviare la giornata lavorativa e le 8 ore di lavoro, non è servito piú; non entrava nel numero. Ho dovuto restringere tutto e non c'era piú nemmeno una parola da togliere. Il numero comunque mi sembra riuscito molto bene. Ad ogni modo, se avessi potuto anticipatamente calcolare le dimensioni, avrei pianificato i temi un po' diversamente. Non siamo mai capaci di rientrare nelle misure, una volta si scrive poco e un'altra troppo.

In questo momento sono da Reiff e, attendendo la seconda impaginazione, scrivo questa lettera. Purtroppo il tipografo francese montando l'impaginazione ha invertito le parti degli articoli ed ha fatto di tutti un solo grande pasticcio. Per infilarci il nuovo articolo e togliere quello vecchio abbiamo dovuto fare una faticaccia. Ieri fino a notte ho corretto le bozze di tutti gli articoli ed ora le rivedrò un'altra volta, definitivamente. Non c'è niente di piú ignobile della correzione delle bozze. Adolf e Jadzia m'aiutano come possono, ma devo riguardare tutto di nuovo per sicurezza. Oggi, sabato, sarà tutto pronto, ma Reiff dubita che facciano in tempo a mettere tutto in macchina per poter stampare oggi stesso. In caso si andrebbe a lunedí! Che fare? Lo farò tagliare e fermare con un ferretto nel mezzo. Scrivimi subito il numero delle copie da tirare, cosí che lunedí abbia già la risposta. Perché ne devo spedire 500 a te e non a Monaco? Per me è la stessa cosa. Come subito noterai, in questo appello e nell'intero numero ho fatto un deciso passo avanti con la nostra fraseologia politica, lanciando la parola d'ordine breve e chiara della Costituzione. Quando una lotta penetra tra le masse (prima di quanto noi volessimo), la chiara distinzione dei concetti, un nome, una parola diventano le condizioni prime della comprensione. È fuori dubbio che essi continueranno ad usare il termine «libertà politica», e perciò noi lo dobbiamo togliere dal nostro vocabolario, apponendogli qualche altra parola d'ordine. L'indipendenza ci sarebbe ora soltanto dannosa, provocherebbe solamente una generale confusione d'idee, tanto più che non possiamo presentarla apertamente, ma solo mantenendoci sulle generali. Per questo ritengo necessario farne temporaneamente a meno. Al massimo potremo parlarne sulla stampa tedesca, perché là capiscono. Qui, nella stampa polacca, ogni ombra di comunità con loro ci è dannosa. Mi sono perciò decisa ed ho scritto chiaramente, senza perifrasi: il nostro motto è Costituzione. Ho dovuto prendere questa decisione nel corso di poche ore, mentre scrivevo il proclama, per cui non mi è stato possibile consigliarmi con te. Ma sicuramente tu sei d'accordo con i miei argomenti, vero? Ne sono sicurissima.

A Heinrich non ho ancora scritto! Non ho un momento di tempo! Anche a casa non ho scritto: cosa orrenda! Voglio assolutamente avere la conferenza e in polacco e in russo. Mandami subito il mio bustino nero, tesoro; piegalo e avvolgilo semplicemente con carta e spago, ma subito! Unico mio tesoro, per il momento è tutto. Ho ricevuto i denari. Purtroppo, angioletto mio, me ne servoranno ancora molti! Sui conti scriverò stasera o domani. Unico mio amato, carissimo!

Tua R.

Come sta Anna? Quando uscirà? Non sta meglio? Salutala cordialmente da parte mia.

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Pagina 75

A Leo Jogiches

Berlino, 3 luglio 1898

Dziodzio,

hai avuto due idee molto belle: 1) per quel che riguarda le frontiere economiche — la nazionalizzazione dell'industria in uno Stato capitalistico, 2) per quel che riguarda i limiti dell'attività dei sindacati (nel fatto che essi possono soltanto approfittare delle congiunture, e non crearle; c'era già una formulazione concreta che mi è piaciuta molto. Ti prego di ricordarmela subito! Mi pare che fosse qualcosa a proposito della riduzione dei tempi di lavoro).

Domani avrò il Capitale. Ti mando quello dei Webb, conservo per me la copia piú bella! Per quel che riguarda la Neue Zeit per la quale sei cosí noioso, sono i numeri 16 e 18, e il 24 del Kritisches Zwischenspiel. Con i soldi va tutto bene, mi sono bastati fino al giorno uno, molto bene anche per gli abbonamenti, non ho preso in prestito nulla da nessuno. Non ho ancora né i soldi da mio fratello né il conto da Humblot.

Ti prego di non dimenticare di mandarmi con i libri di Gaspey e la grammatica italiana, anche un po' di romanzi, quelli della biblioteca di Meyer e di quella universale, M.me Bovary e anche Stirner.

Se incontrassi Federszer credo che lo farei a pezzi.

Con «Bebelstimmen» non sei un «pedante», ma un asinello, perché era Schönlank il primo a scrivermi cosí. E nell'articolo pure, come vedrai, ho lasciato tutti i tuoi errori. Ti sei compromesso, eh?

Mandami la lettera di Morek.

Che te ne pare di Winterek oggi in Vorwärts? Si autoelogia. Ma basta, di dati statistici non ne aveva, i miei sono i primi nella stampa del partito. Qual è la sua opinione sulla disputa nei miei confronti? Non riesco a rendermene conto.

Rosa

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Pagina 317

A Mathilde Jacob

[7 febbraio 1917]

Mia cara Mathilde,

ho grandi rimorsi di coscienza: oggi è venuta a trovarmi Marta ed io ero di umore impossibile. Spero di comportarmi meglio la prossima volta. Del fatto che lei ceda il suo turno di visita a Luise, in occasione del mio compleanno, neanche a parlarne. Io insisto sul mio diritto. Già da due settimane penso con gioia alla sua visita; finora ho sempre avuto la gioia di vederla il giorno del mio compleanno, ed ora vuole fare la generosa a mie spese! A Luise scriverò oggi stesso, invitandola per il mese di maggio: la prego di lasciar decidere a me chi debba venire a vedermi e quando.

Oggi è stata emessa la sentenza a mio carico per le offese a un funzionario della polizia criminale: 10 giorni di carcere piú le spese. Date incarico all'ufficio del dott. Weinberg di fare i passi necessari. La condanna è stata pronunciata dal tribunale d'appello di Berlino-centro, sezione 136, il 25 gennaio, e porta il numero 136 D II 565 16. La motivazione della condanna consiste soltanto nella constatazione dei fatti, da me ampiamente ammessi.

Veramente si dà pensiero per il mio dito? Non è nulla: ho solo chiuso troppo energicamente il cassetto del mio comodino, dimenticandomi che dentro c'era il mio mignolo, e quindi me lo sono – giustamente, penso – schiacciato.

O Mathilde, quando potrò starmene di nuovo con lei e Mimí nel Südende e leggervi Goethe? Tuttavia voglio oggi stesso recitarle a memoria una poesia che mi è venuta in mente stanotte, Dio sa perché. È una poesia di Conrad Ferdinand Meyer, l'autore svizzero – a me assai caro – che ha scritto anche lo Jürg Jenatsch. Si sieda dunque, prenda in braccio Mimí e assuma quell'aria da pecorella pensosa che prende sempre quando le leggo qualcosa. Dunque silenzio:

La confessione di Hutten
Ecco che cammino sulla mia tomba. Ehi Hutten, vuoi confessarti? Cosí sono usi fare i cristiani. Mi batto il petto. Essere uomo non significa dunque avere coscienza delle proprie colpe? Mi pento di aver compreso troppo tardi il mio uffizio, mi pento perché il mio cuore è arso di una fiamma troppo tiepida, mi pento di non aver agito, nelle lotte che ho sostenuto, con piú audacia e di non aver inferto colpi piú duri. Mi pento di non esser stato bandito piú di una sola volta. Mi pento di aver sovente conosciuto la paura. Mi pento di ogni giorno trascorso senza ferite. Mi pento di ogni ora trascorsa senza ira. Mi pento, lo confesso con la piú grande contrizione, di non essere stato tre volte piú audace.

Questo finale dovrà farlo incidere sulla mia tomba... Mi ha presa sul serio, Mathilde? Bene, ci rida pure su. La mia tomba, come la mia vita, non recherà traccia di frasi altisonanti. Sulla lapide della mia tomba non si dovranno leggere che due sillabe: «Zvi-zvi». È infatti il richiamo della cinciallegra, che io imito cosí bene da farne accorrere un'enorme quantità, ogni volta che faccio loro il verso. E immagini che in questo zvi-zvi, che prima brillava chiaro e acuto come un ago d'acciaio, c'è da qualche giorno un minuscolo trillo, una piccolissima nota di petto. E sa, signorina Jacob, cosa significa questo? È il primo leggero trasalimento della primavera imminente; nonostante la neve, il gelo e la solitudine, noi – le cinciallegre ed io – crediamo all'arrivo della primavera! E se per troppa impazienza non mi dovesse essere concesso di vedere questo arrivo, non dimentichi che sulla lapide della mia tomba non deve esserci altro che «zvi-zvi».

La abbraccio assieme a Mimí con una terribile nostalgia.

Sua R

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Pagina 352

A Sonja Liebknecht

[Breslavia, metà dicembre 1917]

Sonjuscka, mio passerotto,

mi sono tanto rallegrata della sua lettera; volevo rispondere subito, ma avevo proprio molto lavoro che mi ha richiesto un notevole impegno, perciò non potevo prendermi il lusso di scrivere. Poi però ho preferito attendere un'occasione, perché è molto piú bello poter chiacchierare liberamente, solo tra noi.

Ogni giorno, leggendo le notizie provenienti dalla Russia, ho pensato a lei e con preoccupazione immagino come si sia turbata ad ogni assurdo telegramma. Le notizie che arrivano dalla Russia sono per lo più notizie sconvolgenti, e ciò vale doppiamente per il sud. Le agenzie di notizie sono interessate (ovunque) ad esagerare il piú possibile il caos e a gonfiare tendenziosamente ogni piú impossibile voce. Finché le cose non si chiariscono non vi è alcun senso o ragione a essere inquieti, cosí per niente, in anticipo. In generale sembra che là le cose procedano in modo del tutto incruento; in ogni caso tutte le voci di «battaglie» sono rimaste senza conferma. È solo un'aspra lotta di partito che, nell'interpretazione dei corrispondenti dei giornali, appare sempre come una pazzia sfrenata e un inferno. Per quanto concerne i pogrom di ebrei, simili voci sono assolutamente inventate. In Russia è per sempre passato il tempo dei pogrom; il potere degli operai e del socialismo è troppo forte perché possano succedere cose simili. La rivoluzione ha purificato l'aria dai miasmi e dalle esalazioni della reazione, cosí come Kiscinëv è per sempre passé. Posso piuttosto immaginare ancora dei pogrom di ebrei in Germania... In ogni caso qui regna l'atmosfera di infamia, di viltà, di reazione e di ottusità che vi si addice. Sotto questo aspetto, quindi, può essere assolutamente tranquilla per quanto riguarda la Russia del sud. Le cose si sono ormai tanto acuite fino a giungere a un duro conflitto tra il governo di Pietroburgo e la Rada, per cui ben presto dovrà arrivare anche la soluzione e la chiarificazione, in base alla quale si potrà valutare la situazione. Da tutti i punti di vista non ha proprio alcun senso, alcuno scopo che lei si strugga dalla paura e dall'inquietudine. Resti impavida, mia piccola, a testa alta, resti calma e forte. Tutto si volgerà per il meglio, purché non ci si aspetti subito sempre il peggio!...

Speravo vivamente di vederla presto qui, già in gennaio. Ora si dice che Mathilde Wurm voglia venire in gennaio. Mi sarebbe difficile rinunciare alla sua visita in gennaio, ma naturalmente non posso disporre. Se lei dichiara di non poter venire che in gennaio, allora forse non se ne parla piú; chissà, forse Mathilde Wurm può venire anche in febbraio. In ogni caso vorrei presto sapere quando la vedrò.

E già un anno che Karl è in carcere a Luckau. In questo mese ci ho pensato spesso. Ed esattamente un anno fa lei era da me a Wronke, mi regalò il bell'albero di Natale... Quest'anno me ne son fatto procurare uno, ma me ne hanno portato uno ben misero, senza rami; non c'è paragone con quello dell'anno scorso. Non so come vi applicherò le otto lucette che ho acquistato. E il mio terzo Natale in carcere, ma non la prenda sul tragico. Io sono calma e serena come sempre.

Ieri rimasi a lungo sveglia; adesso non riesco ad addormentarmi prima delle 4, ma devo stare a letto già alle 10 perché spengono la luce, allora mi metto a sognare diverse cose nel buio. Ieri, dunque, pensavo: è straordinario il fatto che io viva costantemente in uno stato di gioiosa esaltazione, senza alcun motivo particolare. Ad esempio, qui dormo su un materasso durissimo in una cella buia, attorno a me nella casa regna il solito silenzio sepolcrale, sembra di essere nella tomba; attraverso la finestra sotto il soffitto si disegna il riflesso della lanterna che splende tutta la notte davanti al carcere. Di quando in quando si sente solo, sordo, lo strepito lontano di un convoglio ferroviario che passa, oppure vicinissimo, sotto la finestra, il tossire della sentinella che coi suoi pesanti stivali fa un paio di passi lenti per sgranchirsi le gambe intirizzite. La sabbia scricchiola cosí disperatamente sotto questi passi da far risuonare nella notte umida e oscura tutta la desolazione e l'angustia dell'esistenza. Io giaccio tranquilla, sola, avvolta in questi molteplici veli neri dell'oscurità, della noia, della prigionia, dell'inverno, e intanto il mio cuore palpita di una gioia interiore inconcepibile, ignota, come se camminassi su un prato in fiore nella luce radiosa del sole. E nel buio sorrido alla vita, come se conoscessi un qualche segreto magico che smentisce ogni male e ogni tristezza e li trasforma in trasparente chiarezza e felicità. E intanto io stessa cerco una ragione di questa gioia, non la trovo e di nuovo devo ridere... di me stessa. Credo che il segreto non è altro che la vita stessa; la profonda oscurità della notte è cosí bella e soffice, come un velluto, purché la si guardi come si deve; e nello scricchiolare della sabbia umida sotto i lenti, pesanti passi della sentinella risuona anche un piccolo, dolce canto della vita, basta saperlo ascoltare come si deve. In questi momenti penso a lei e vorrei cosí volentieri comunicarle questa chiave magica che le facesse percepire sempre, in ogni situazione, la bellezza e la gioia della vita, perché anche lei viva nella ebbrezza e cammini come su un prato fiorito. Non penso affatto di nutrirla di ascetismo e di gioia illusoria. Le auguro tutte le reali gioie sensibili che desidera. Vorrei solo darle in piú la mia inesauribile serenità interiore per essere sicura che attraversa la vita avvolta in un manto trapunto di stelle, che la protegge da ogni miseria, trivialità e inquietudine.

Lei ha raccolto nello Steglitzer Park un bel mazzo di bacche nere e rosa-violetto. Per quanto riguarda le bacche nere è probabile che si tratti di sambuco: le sue bacche però pendono a fitti, pesanti grappoli tra grandi ventagli di foglie piumate, lei le conosce certamente; oppure, piú probabilmente, si tratta di ligusti: pannocchie di bacche sottili, esili, diritte e foglioline strette e oblunghe. Le bacche color rosa-violetto, nascoste tra piccole foglioline, potrebbero essere quelle del nespolo nano; a dire il vero, esse sono rosse, ma in questa tarda stagione, essendo un po' troppo mature e quasi sfatte, hanno spesso un colore violetto-rossiccio. Le foglioline assomigliano a quelle del mirto: piccole, appuntite, verde scuro, lisce di sopra e ruvide di sotto.

Sonjuséka, conosce la poesia Verhängnisvolle Gabel di Platen? Potrebbe inviarmela o portarla? Una volta Karl ha detto di averla letta a casa. Le poesie di George sono belle; adesso so di chi è il verso: «E tra il fruscio del rossiccio frumento...», che lei di solito recitava quando andavamo a passeggio per i campi. Quando ha occasione può copiarmi il Neue Amadis? Questa poesia mi piace tanto – naturalmente grazie alla canzone di Hugo Wolf – ma non l'ho qui con me. Legge ancora la Lessing-Legende? Io ho ripreso la Storia del materialismo di Lange, che mi stimola e ristora sempre. Vorrei tanto che la leggesse anche lei.

Oh, Sonjuscka, qui ho trovato un forte dolore. Nel cortile dove passeggio arrivano spesso dei carri dell'esercito stracarichi di sacchi o vecchie casacche e camicie militari, spesso con macchie di sangue..., vengono scaricate qui, distribuite nelle celle, rappezzate, poi ricaricate e spedite all'esercito. Recentemente è arrivato uno di questi carri, tirato da bufali invece che da cavalli. Per la prima volta ho visto questi animali da vicino. Sono di costituzione piú robusta e massiccia dei nostri buoi, con teste piatte e corna ricurve basse, il cranio quindi è simile a quello delle nostre pecore, sono completamente neri, con grandi, dolci occhi neri. Provengono dalla Romania, sono trofei di guerra... I soldati che guidavano il carro raccontarono che fu molto faticoso catturare questi animali selvaggi e ancor piú difficile – essendo abituati alla libertà – usarli come animali da tiro. Furono orribilmente percossi finché non appresero che avevano perso la guerra e che per loro valeva il motto «vae victis». A Breslavia vi devono essere un centinaio di questi animali; essi, che erano abituati ai rigogliosi pascoli romeni, ricevono un misero e scarso foraggio. Vengono sfruttati senza pietà per trainare tutti i carri possibili e cosí vanno presto in rovina. Dunque, alcuni giorni fa arrivò qui un carro carico di sacchi. Il carico era cosí alto che i bufali all'entrare nel portone non riuscivano a superare la soglia. Il soldato accompagnatore, un tipo brutale, cominciò a picchiare cosí forte gli animali, con la grossa estremità del manico della frusta, che la sorvegliante, indignata, lo riprese chiedendogli se non aveva proprio alcuna compassione degli animali. «Neanche di noi uomini ha nessuno compassione» rispose egli sogghignando, e picchiò ancor piú sodo... Alla fine gli animali tirarono e scamparono il peggio, ma uno di essi sanguinava... Sonjuscka, la pelle dei bufali è proverbiale per lo spessore e la durezza, eppure la loro era lacerata. Poi, mentre si scaricava, gli animali stavano muti, sfiniti, e uno, quello che sanguinava, guardava lontano con sulla faccia nera e nei dolci occhi neri un'espressione come di un bambino rosso per il pianto. Era esattamente l'espressione di un bambino che è stato duramente punito e non sa perché, non sa come deve affrontare il supplizio e la bruta violenza... Io stavo lí e l'animale mi guardò, mi scesero le lacrime — erano le sue lacrime — non si può fremere dal dolore per il fratello piú caro come io fremevo nella mia impotenza per questa muta sofferenza. Come erano lontani, irragiungibili, perduti i bei pascoli liberi e rigogliosi della Romania! Come era diverso lí lo splendore del sole, il soffio del vento, come erano diverse le belle voci degli uccelli che lí si udivano, o il melodico muggito dei buoi! E qui: questa città straniera, orribile, la stalla umida, il fieno ammuffito, nauseante, misto di paglia fradicia, gli uomini estranei, terribili e le percosse, il sangue che colava dalla ferita fresca... Oh, mio povero bufalo, mio povero, amato fratello, noi due stiamo qui impotenti e muti e siamo uniti solo nel dolore, nell'impotenza, nella nostalgia. Intanto i detenuti si muovevano affaccendati attorno al carro, scaricavano i pesanti sacchi e li trascinavano nella casa; il soldato, invece, con le due mani nelle tasche passeggiava a grandi passi per il cortile, rideva e fischiettava una canzonetta. E cosí mi passò dinanzi tutta la magnifica guerra.

Scriva presto. La abbraccio, Sonjuscka.

Sua R.

Sonjuscka carissima, sia calma e serena nonostante tutto. Cosí è la vita e cosí bisogna prenderla, coraggiosamente, intrepidamente e sorridendo, nonostante tutto. Buon Natale!...

R.

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