Copertina
Autore Michele Luzzatto
Titolo Preghiera darwiniana
EdizioneCortina, Milano, 2008, Minima 94 , pag. 76, cop.fle., dim. 12x19,5x1 cm , Isbn 978-88-6030-156-7
LettoreCorrado Leonardo, 2008
Classe evoluzione , religione
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Indice


Prefazione. Il delitto di Charles Darwin        VII
(Giulio Giorello)

Preghiera darwiniana                              5

Nota bibliografica                               65



 

 

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Pagina 9

L'evoluzione procede così: non può cercare il meglio ma solo il più stabile, il più probabile. È un continuo compromesso. Se vi vengono a dire che gli animali sono perfettamente adattati al loro ambiente, non credeteci, non è vero.

Prendete la coda del cavallo. È un buon esempio: la cosa migliore sarebbe una coda a forma di paletta piglia-mosche. Un retino di plastica infallibile e micidiale. Non sbaglia un colpo: una codata, un tafano; una codata, un tafano. Invece no: c'è appena un ciuffo di peli là in fondo alla coda, e quante mosche, quante se la sono cavata tra un pelo e l'altro! Quanti tafani infami sono sopravvissuti a un infastidito colpo di coda, e si sono nuovamente sollevati in volo e hanno colpito, punto, vilipeso, martoriato il cavallo inerme? Povera bestia, la paletta piglia-mosche non si può fare, questa è la verità. Col materiale a disposizione tutto ciò che l'evoluzione può ottenere è un ciuffo di peli. Che è sempre meglio di niente, ma non è la perfezione.

Possiamo immaginare dei cavalli antichi senza ciuffo stramazzare sopraffatti dai colpi dei parassiti, o almeno indebolirsi, ammalarsi, diventare col tempo brutti e precocemente vecchi. Tra loro, qualcuno ha un paio di peli striminziti in fondo alla coda, che fanno quel che possono, diciamo che evitano una puntura su dieci. È già qualcosa. Com'è come non è, i cavalli con due peli sono un po' più sani e più forti degli altri, e al momento di conquistarsi il diritto ad accoppiarsi hanno gioco facile a mettere in fuga gli avversari, che sono glabri e malaticci. Così nascono dei puledri, che si rialzano incerti sulle quattro zampe esilissime, dopo il parto della giumenta affaticata, e la loro coda somiglia tanto a quella del papà, com'è giusto che sia, con due peli ancora umidi di liquido amniotico. Tra loro ce n'è anche qualcuno con qualche pelo in più, così come esistono bimbi più biondi dei loro già abbastanza biondi genitori. Non si sa bene perché (o forse sì: il DNA, la genetica, quelle cose lì), comunque è così. Sta di fatto che quando questi puledri crescono, più peli hanno in fondo alla coda, più tafani uccidono e più tafani uccidono, più sono sani e forti. E più sono sani e forti, più fanno figli, perché quelli meno sani e meno forti fanno già abbastanza fatica a sopravvivere e ai figli non ci pensano proprio; e se anche ci pensassero verrebbero messi in fuga dagli stalloni più aitanti. Così i nuovi puledri, quelli della generazione ancora successiva, saranno per lo più figli dei cavalli con la coda più villosa, e alcuni fra loro avranno a loro volta qualche pelo in più e faranno più figli, una parte dei quali avrà ancora qualche pelo in più.

Ma alla fine nessuno avrà una paletta piglia-mosche. Almeno fintanto che ci saranno tafani, naturalmente.

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Pagina 13

Alla fine Darwin tornò da Malvern senza la piccola Annie e senza la fede. Era un uomo meticoloso, pensieroso, affettuoso con gli amici e i famigliari, e cronicamente malato. Non si sa bene quale malattia lo affliggesse. Chi dice morbo di Chagas, contratto in Sudamerica con le punture delle triatome; chi dice una qualche infezione intestinale, ma fa poca differenza, perché tanto ai tempi in cui viveva lui non si sapeva neppure che esistessero i parassiti del sangue e men che meno i batteri. Era semplicemente malato, malato e incurabile, costretto a navigare nella vita a giorni alterni, solo quando stava un po' meglio e poteva distrarsi facendo una passeggiata sul sentiero di sabbia dietro casa. Allora usciva, col tabarro e la bombetta, e percorreva il sentiero con un qualche problema scientifico in testa; a ogni giro del sentiero dava un calcio a una pietra, poi continuava a camminare e a pensare, camminare e pensare, camminare e pensare, e al giro successivo, pam, un altro calcio alla stessa pietra. Certi problemi erano "da tre pietre"; altri, più ostici, potevano durare dieci pietre o anche di più.

Il cervello di Darwin era una "macchina per risolvere problemi", come diceva spesso. Non poteva farne a meno; il suo occhio si posava su una pianta rampicante e – tic tac tic tac – la macchina iniziava a pensare: "Come diavolo sa da che parte andare?". Ed ecco Darwin che cammina in tondo sul sentiero sabbioso a dar calci alle pietre pensandoci su.

Uno di questi problemi, il più difficile forse, può essere riassunto così: Com'è possibile che esista il cervello, un organo strutturato in modo da risolvere il problema di come sia possibile che esista un organo strutturato in modo da risolvere problemi?

Piano. Conviene ripetere la frase più lentamente e pensare attentamente.

Come è possibile

che esista un organo

strutturato in modo

da risolvere... (cosa?) il problema

di come sia possibile

che esista un organo

strutturato in modo

da risolvere problemi?


Il congiuntivo è un'invenzione magnifica. Talmente magnifica che ci si domanda come possa aver fatto Darwin a porsi domande del genere senza poterlo utilizzare, visto che in inglese non c'è. Come è possibile risolvere il problema di come sia possibile risolvere i problemi. Il problema dei problemi dei problemi. A rose is a rose is a rose, "Una rosa è una rosa è una rosa", come scriveva Gertrude Stein. In inglese e senza congiuntivi (quindi evidentemente si può).

Quando si arriva a porsi questa domanda si è già lontani dal Dio Architetto del mondo, perché ci si trova ormai irreversibilmente calati nel mondo, in una spirale eternamente ricorsiva, e non ci si può più aspettare una soluzione facile che provenga da fuori. Certo, la soluzione più ovvia è ipotizzare o ammettere o postulare una Causa Prima: il cervello esiste perché così ha voluto Colui che l'ha creato, la causa incausata, il motore immobile, il Primum movens. Questo, ovviamente, risolve il problema e disseta la mente, la cheta nel suo eterno cercare e riempie il cuore di commozione. Talvolta, serve anche a garantire che i cani siano sempre fedeli ai loro padroni, che i contadini diano sempre i frutti del loro lavoro al principe, che gli occhi continuino sempre e solo a vedere e l'emoglobina sempre e solo a trasportare l'ossigeno nel sangue. Tuttavia, per chi si pone la questione da un punto di vista empirico, potremmo dire con animo scientifico, per chi si lascia suggestionare dall'eterna spirale ricorsiva della causa causata da una causa a sua volta causata – per chi ama i congiuntivi, insomma –, il problema deve essere qui, sulla Terra, e la soluzione al problema del problema deve essere anche lei qui, sulla Terra. Ma se pensando queste cose si è ormai lontani da un Dio Architetto che ha costruito un mondo perfetto come un meccanismo perfettamente oliato, ciò non vuole affatto dire che si sia irrimediabilmente lontani da Dio tout court; vuol dire solo che Dio non può essere quel manovale edile dell'immaginario collettivo che gioca con la creta e forgia gli uomini e il mondo, come un bambino crea le sue figurine col pongo. Se c'è, deve essere un Dio più sottile.

Ma, certo, potrebbe anche non esserci. Per la prima volta nella storia dell'uomo si apre la possibilità (solo la possibilità, mai la certezza) che Dio, tutto sommato, non esista. Il mondo potrebbe essere fatto come è anche senza di Lui: ecco perché i cavalli hanno i peli e non palette piglia-mosche, ecco perché non sono perfetti. Perché forse non li ha fatti Dio, ma si sono formati in qualche altro modo. Magari si sono evoluti proprio con quel meccanismo che Darwin aveva scoperto a forza di tirar calci alle pietre nel sentiero dietro casa e che aveva chiamato selezione naturale.

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