Copertina
Autore Kevin Lynch
Titolo L'immagine della città
EdizioneMarsilio, Venezia, 2006 [1964], Biblioteca , pag. 204, ill., cop.fle., dim. 15,5x21,3x1,4 cm , Isbn 978-88-317-7267-9
OriginaleThe Image of the City [1960]
CuratorePaolo Ceccarelli
TraduttoreGian Carlo Guarda
LettoreCorrado Leonardo, 2007
Classe urbanistica
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Indice

  7 Quarantenni ancora molto attraenti e in ottima salute
    di Paolo Ceccarelli

    Premessa all'edizione italiana

    L'IMMAGINE DELLA CITTÀ

 21 Prefazione

 23 L'immagine ambientale

     24 Leggibilità
     28 Formazione dell'immagine
     30 Struttura e identità
     31 Figurabilità

 37 Tre città

     39 Boston
     49 Jersey City
     53 Los Angeles
     61 Temi comuni

 65 L'immagine della città e i suoi elementi

     68 Percorsi
     78 Margini
     82 Quartieri
     88 Nodi
     92 Riferimenti
     95 Interrelazioni degli elementi
     97 Variabilità dell'immagine
     99 Qualità dell'immagine

103 La forma della città

    106 Il disegno dei percorsi
    111 Il disegno degli altri elementi
    116 Le aggettivazioni della forma
    119 Il senso dell'insieme
    123 La forma della metropoli
    126 Il processo del disegno

129 Una nuova scala



    APPENDICI

133 Appendice A: Qualche accenno all'orientamento
    137 Tipi e sistemi di riferimento
    140 La formazione dell'immagine
    142 Il ruolo della forma
    147 Inconvenienti della figurabilità

149 Appendice B: L'uso del metodo
    170 Il metodo come base per il disegno urbano
    171 Indirizzi per future ricerche

175 Appendice C: Due esempi d'analisi
    175 Beacon Hill
    189 Scollay Square

197 Bibliografia

 

 

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Pagina 7

QUARANTENNI ANCORA MOLTO ATTRAENTI
E IN OTTIMA SALUTE
di Paolo Ceccarelli



La particolare natura di questa decima riedizione de L'immagine della città di Kevin Lynch, uscito negli USA nel 1960 e pubblicato per la prima volta in Italia nel 1964, mi autorizza ad aprire questa nota introduttiva, che celebra anche i quarant'anni della Marsilio, con un breve ricordo personale.

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Pagina 12

È questo un altro contributo importante dato da Lynch al dibattito culturale di quegli anni, quando le scienze sociali guardavano con sospetto quello che definivano «il determinismo fisico» degli architetti: la convinzione che la forma di uno spazio avesse influenza sui comportamenti sociali, economici e morali delle persone, che potesse migliorarli e peggiorarli e che quindi molti dei problemi della società urbana potessero essere risolti attraverso la variabile estetica. Il suo sforzo di ricercatore e progettista fu di mettere in luce come i rapporti tra forma dell'ambiente fisico e strutture sociali ed economiche, pur esistendo, fossero molto più complessi, indiretti e contraddittori.

Negli anni sessanta queste ricerche erano assolutamente agli albori anche da noi e, curiosamente, i segmenti più avanzati della cultura urbanistica italiana – penso al lavoro ispirato da Adriano Olivetti e poi travasato nei primi istituti di ricerca regionale come l'IRES e l'ILSES - facevano più o meno riferimento agli stessi autori, alle stesse linee di ricerca della sociologia, dell'antropologia e dell'economia americane, inglesi, francesi. Lynch aggiungeva a questo lavoro intellettuale il suo impegno civile e la sua attenzione per i problemi della composita e contraddittoria società americana. Erano posizioni d'avanguardia, viste con sospetto da una buona parte della comunità accademica e professionale tanto negli USA che da noi. Quanti urbanisti italiani si preoccupavano allora (e si preoccupano oggi) di attribuire un ruolo decisivo e «strutturale» all'opinione dei cittadini che essi sono direttamente interessati dal piano o dal progetto che essi stanno facendo? Nelle nostre città, quale procedura costringeva (e costringe) il progettista di un edificio che può avere un impatto importante sulla collettività a sottoporre il proprio lavoro a un esame pubblico dettagliato e a una valutazione di congruità rispetto a una pluralità di variabili legate all'interesse collettivo? Dietro all'idea dell'intellettuale, del tecnico che da solo (o attraverso il tramite dei partiti), meglio d'ogni altro, interpreta i desideri collettivi, non c'è stata (c'è) un'irriducibile arroganza arcaica, che è sempre meno lecita in una società più istruita, pluralistica, multiculturale? Non c'è anche la pigrizia intellettuale di un'élite culturale che pensa di sapere già tutto, di avere sperimentato già tutto e che in realtà vive di rimandi culturali e offre risposte superficiali a problemi che sono invece fondamentali? Sappiamo benissimo quali sono i rischi «al ribasso» di decisioni fortemente partecipate, ma un processo di questo tipo fa emergere, se non altro, in modo chiarissimo la necessità di educare meglio la società, di costringerla – attraverso la pratica di certi processi – a capire in modo più approfondito e articolato la natura di alcuni problemi. È abbastanza preoccupante constatare che è ancora diffusa l'idea che il futuro delle nostre città possa essere nelle mani di pochi tecnici, che si presentano come portatori del verbo, o di funzionari pubblici che si comportano come sacerdoti depositari della storia e della sua tutela.

Se il contributo di Lynch è stato santificato, ma non realmente accettato dall'accademia come occasione per ridiscutere molti luoghi comuni e andare oltre, nessuno può negare che esso abbia avuto in molti campi un'influenza più profonda di quanto potrebbe sembrare a prima vista. Oggi nelle città americane è impensabile immaginare un progetto pubblico di riqualificazione urbana che non comporti la consultazione della cittadinanza anche rispetto ad alcuni dei problemi di leggibilità, di identità, di possibilità di cominicare un significato, che Lynch portò per la prima volta all'attenzione quarant'anni la.

[...]

Quasi quarant'anni sono trascorsi bene. L'immagine della città è ancora un libro stimolante e ricco di suggestioni: un utile strumento per capire alcuni problemi delle città degli USA e una buona guida metodologica per imparare comunque a leggere le città di ogni parte del mondo. Il lavoro di ricerca fatto in questi decenni da studiosi di psicologia del comportamento, da riviste scientifiche specializzate come «Environment and Behaviour» o il «Journal of Environmental Psychology» e il «Journal of Experimental Psychology», e in moltissime comunità urbane, conferma largamente gran parte dei primi suggerimenti di Lynch. I risultati concreti di questi sforzi sono di livello diverso: alcuni hanno prodotto sensibili miglioramenti, altri soluzioni originali e promettenti, altri degli stereotipi; in complesso però quasi tutte le città sono riuscite a realizzare progetti più attenti alla capacità dei loro utenti di comprenderli e apprezzarli, e, senza dubbio, gli studi sulla qualità del public realm, sia esso fatto di piazze, aree verdi o strade, hanno introdotto nella città americana livelli di organizzazione e progettazione spaziale nettamente più alti. In questi decenni sono però cambiate anche moltissime cose del contesto e gli sforzi innovatori di istituzioni come il Joint Center for Urban Studies sono andati in larga misura persi. La società americana è più squilibrata di allora, lo sforzo di tenere in conto adeguato le minoranze è fallito, una nuova ondata di indifferenza per ciò che deve essere condiviso rispetto a ciò che pochi, più forti e ricchi, possono fare si è avviata con la nuova presidenza repubblicana di Bush jr; oggi si ha l'impressione che tutti cerchino di battere proprie strade, sfruttare proprie occasioni, massimizzando i rispettivi benefici. Se lo possono fare i ricchi a un certo livello, i poveri cercano di trovare proprie, più modeste soluzioni. L'ipotesi di un forte minimo comune denominatore culturale sembra fuori moda; quello che accomuna è soprattutto far soldi. In questo noi non siamo da meno di loro; è come se avessimo perso il senso di alcune cose importanti che a lungo ci avevano resi diversi.

La città oltreoceano come in Italia è oggetto di continui programmi di «riqualificazione» che, in entrambi i casi, non sembrano tener conto della sua figurabilità né della sua identità, della struttura e del significato. Si procede per pezzetti, spesso in contraddizione tra loro; ci si preoccupa di risolvere problemi di piccola scala per le comunità, mentre le trasformazioni riguardano progetti di grande peso, che sono soprattutto nelle mani del mercato. L'idea, la speranza di un linguaggio comune si è sbiadita sia tra coloro che costituiscono oggi l'America urbana, sia tra quelli che continuano ad arrivarci da ogni parte del mondo. Gli uni tornano ad avere il miraggio della fuga dalla città, vista come luogo di continuo conflitto, di confronto con gruppi sociali non desiderati; gli altri non hanno gran voglia di integrarsi culturalmente: cercano soprattutto di guadagnare in fretta. Non sembra il tempo ideale per letture e interpretazioni critiche.

Non credo ci si debba stupire più di tanto. La città resta lì, con le caratteristiche di sempre, e richiede un continuo aggiornamento delle politiche, delle azioni, dei progetti. Come dice Lynch all'inizio di questo libro:

La città non è soltanto oggetto di percezione (e forse di godimento) per milioni di persone profondamente diverse per carattere e categoria sociale, ma è anche il prodotto di innumerevoli operatori che per motivi specifici ne mutano costantemente la struttura. Benché nei suoi grandi lineamenti essa possa mantenersi stabile per qualche tempo, nei dettagli essa cambia senza posa. I controlli a cui la sua crescita e la sua forza sono suscettibili sono soltanto parziali. Non vi è alcun risultato finale, solo una successione continua di fasi. (Lynch, 19641

Il lavoro di ricerca e di proposizione resta più che mai aperto davanti a noi.

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Pagina 23

1.
L'IMMAGINE AMBIENTALE



Guardare le città può dare uno speciale piacere, per quanto banale possa essere ciò che si vede. Come un'architettura, una città è una costruzione nello spazio, ma di scala enorme, un artefatto che è possibile percepire soltanto nel corso di lunghi periodi di tempo. Il disegno urbano è quindi un'arte temporale, ma raramente essa può servirsi delle limitate e controllate sequenze che sono proprie di altre arti temporali, come la musica. In occasioni diverse e per diverse persone, le sue sequenze vengono invertite, interrotte, abbandonate o intersecate. Esso viene visto sotto luci e condizioni atmosferiche di ogni tipo.

Ad ogni istante, vi è più di quanto l'occhio possa vedere, più di quanto l'orecchio possa sentire, qualche area o qualche veduta rimangono inesplorate. Niente è sperimentato singolarmente, ma sempre in relazione alle sue adiacenze, alle sequenze di eventi che portano ad esso, alla memoria delle precedenti esperienze. Posta in un campo, Washington Street potrebbe apparire come la strada dei negozi di Boston, ma sembrerebbe purtuttavia estremamente diversa. Ogni cittadino ha avuto lunghe associazioni con qualche parte della sua città e la sua immagine è imbevuta di memorie e di significati.

Gli elementi mobili, e particolarmente la gente e le sue attività, sono in una città altrettanto importanti che gli elementi fisici fissi. Noi non siamo soltanto testimoni di questo spettacolo, ma siamo noi medesimi interpreti di esso, siamo sulla scena con gli altri attori. Spesso la nostra percezione della città non è distinta, ma piuttosto parziale, frammentaria, mista ad altre sensazioni. Praticamente ogni nostro senso è in gioco e l'immagine è l'aggregato di tutti gli stimoli.

La città non è soltanto oggetto di percezione (e forse di godimento) per milioni di persone profondamente diverse per carattere e categoria sociale, ma è anche il prodotto di innumerevoli operatori che per motivi specifici ne mutano costantemente la struttura. Benché nei suoi grandi lineamenti essa possa mantenersi stabile per qualche tempo, nei dettagli essa cambia senza posa. I controlli a cui la sua crescita e la sua forma sono suscettibili sono soltanto parziali. Non vi è alcun risultato finale, solo una successione continua di fasi. Nessuna meraviglia quindi se l'arte di dare alla città una forma che possa essere goduta, è un'arte del tutto distinta dall'architettura, o dalla musica, o dalla letteratura. Da queste altre arti essa può mutuare molto, ma non le può imitare.

Un ambiente urbano piacevole e bello è un'eccezione, qualcuno potrebbe dire un'impossibilità. Non v'è alcuna città americana più ampia di un villaggio, che esibisca un carattere coerentemente estetico, benché alcune città presentino parti piacevoli. Non sorprende quindi che la maggioranza degli americani abbia solo una vaga idea di che cosa può significare il vivere in un ambiente siffatto. Essi sanno benissimo della bruttura propria all'ambiente in cui vivono, e parlano diffusamente della sua sporcizia, del fumo, del calore e della congestione, del caos e ancora della monotonia. Ma sono scarsamente consapevoli dei pregi eventuali di un ambiente armonioso, di un mondo a cui essi, al più, possono avere dato qualche breve sguardo come turisti o come villeggianti. Poco possono sapere di ciò che un ambiente può significare, come fonte quotidiana di godimento, come costante ancoraggio per la vita, o come complemento al significato e alla ricchezza del mondo.

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Pagina 24

LEGGIBILITÀ


Questo libro esaminerà il carattere visivo della città americana, analizzando l'immagine mentale di essa che i cittadini posseggono. Esso si concentrerà soprattutto su una particolare qualità visiva: la chiarezza apparente o leggibilità del paesaggio urbano. Con questo termine intendiamo la facilità con cui le sue parti possono venire riconosciute e possono venire organizzate in un sistema coerente. Come questa pagina stampata, se è leggibile, può venire visivamente afferrata come un interrelazionato sistema di simboli riconoscibili, così sarà leggibile quella città, in cui quartieri, riferimenti, o percorsi risultino chiaramente identificabili e siano facilmente raggruppabili in un sistema unitario.

Questo libro asserirà che la leggibilità è di importanza cruciale per la scena urbana, la analizzerà con una certa ampiezza, e tenterà di mostrare come questo concetto possa venire oggi impiegato nel ricostruire le nostre città. Come sarà presto chiarito al lettore, questo studio rappresenta una esplorazione preliminare, una prima e non ultima parola, uno sforzo di acquisire dei concetti e di suggerire come essi possano venire sviluppati e messi alla prova. Il tenore di esso sarà speculativo e forse leggermente irresponsabile: timido e presuntuoso ad un tempo. Questo primo capitolo svilupperà alcune idee fondamentali; nei successivi, esse verranno applicate a varie città americane e verranno discusse le loro conseguenze sul disegno urbano.

Benché la chiarezza o leggibilità non sia la sola proprietà importante in una bella città, essa acquista speciale importanza se l'ambiente è esaminato nelle dimensioni urbane di estensione, tempo e complessità. Per comprendere questo, noi dobbiamo considerare la città non come un oggetto a sé stante, ma nei modi in cui essa viene percepita dai suoi abitanti.

Il conferire struttura e identità all'ambiente è una capacità vitale propria di tutti gli animali dotati di movimento. I mezzi usati per questo sono innumerevoli: le sensazioni visive di colore, di forma, di movimento, o la polarizzazione della luce, ed altri sensi come l'olfatto, l'udito, il tatto, la cinestesia, la percezione di gravità, e forse di campi elettrici o magnetici. Queste tecniche di orientamento, che vanno dal volo polare di un gabbiano al percorso di un gastropode sulla topografia microscopica di una roccia, si trovano descritte e delucidate in tutta la loro importanza in un'ampia letteratura. Gli psicologi hanno indagato queste capacità anche nell'uomo, benché piuttosto sommariamente o sotto ristrette condizioni sperimentali. Sebbene alcuni interrogativi permangano, sembra oggi improbabile che vi sia alcun istinto «mistico» di orientamento. Piuttosto, si tratta dell'uso coerente e dell'organizzazione di «indicazioni» sensorie definite ricavate dall'ambiente esterno. Questa organizzazione è fondamentale per l'efficienza e la sopravvivenza stessa degli animali dotati di movimento.

Smarrirsi del tutto nella città moderna è esperienza piuttosto rara per la maggior parte della gente. Noi siamo assistiti nel trovare la strada dalla presenza di altri e da speciali artifizi: piante, toponomastica, segnali stradali, targhe di autobus. Ma se ci capita la disavventura di perdere l'orientamento, il senso d'ansietà e persino di paura che l'accompagna ci rivela quanto strettamente esso sia legato al nostro senso di equilibrio e di benessere. La stessa parola «smarrito» significa, nella nostra lingua, molto di più che semplice incertezza geografica: essa porta con sé sfumature di vera tragedia.

Nel processo di individuazione del percorso, il legame strategico è rappresentato dall'immagine ambientale, il quadro mentale generalizzato nel mondo fisico esterno che ogni individuo porta con sé. Quest'immagine è il prodotto sia della sensazione immediata, che della memoria di esperienze passate e viene usata per interpretare le informazioni e per guidare gli atti. Il bisogno di riconoscere e strutturare ciò che ci sta intorno è così vivo, e ha radici così profonde nel passato, da conferire a quest'immagine larga importanza pratica ed emozionale per l'individuo.

Ovviamente un'immagine chiara consente ad uno di muoversi attorno agevolmente e velocemente; sia che si tratti di trovare la casa d'un amico, o un poliziotto o un negozio di bottoni. Ma un ambiente ordinato può far più di questo: esso può funzionare come un ampio sistema di riferimento, può organizzare le attività, le opinioni, la conoscenza. La comprensione della struttura di Manhattan, ad esempio, può fornire la base per ordinare un largo numero di fatti e di fantasie sulla natura del mondo in cui viviamo. Come ogni buono schema, una struttura simile dà all'individuo una facoltà di scelta e un fondamento iniziale per l'acquisizione di informazioni addizionali. Un'immagine chiara di ciò che ci sta intorno è quindi una base utile alla formazione individuale.

Una scena visiva vivida e integrata, capace di produrre un'immagine distinta, ha inoltre una strumentalità sociale. Essa offre la materia prima per i simboli e le memorie collettive della comunicazione di gruppo. Un paesaggio impressionante è lo scheletro sul quale popoli primitivi costruiscono miti socialmente importanti. Memorie comuni della loro città d'origine furono spesso il primo e più facile punto di contatto tra soldati isolati nel corso della guerra. Una buona immagine ambientale dà a chi la possiede un importante senso di sicurezza emotiva. Gli consente di stabilire tra se e il mondo circostante una relazione armoniosa. Questa costituisce un sentimento: opposto allo smarrimento di chi ha perso l'orientamento: il dolce sentimento della propria casa è più forte quando la casa è non solo familiare, ma anche distintiva.

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Pagina 31

FIGURABILITÀ


Poiché l'accento verrà posto sull'ambiente fisico come la variabile indipendente, questo studio sarà indirizzato alle qualità fisiche che sono legate agli attributi di identità e struttura dell'immagine mentale. Questo conduce alla definizione di ciò che potrebbe venir chiamato figurabilità: cioè la qualità che conferisce ad un oggetto fisico un'elevata probabilità di evocare in ogni osservatore una immagine vigorosa. Essa consiste in quella forma, colore o disposizione che facilitano la formazione di immagini ambientali vividamente individuate, potentemente strutturate, altamente funzionali. Essa potrebbe venire denominata leggibilità o forse visibilità in un significato più ampio, per cui gli oggetti non solo possono essere veduti, ma anche acutamente e intensamente presentati ai sensi.

Mezzo secolo fa, Stern si occupò di questo attributo per l'oggetto artistico e lo chiamò appariscenza. Benché l'arte non si limiti a perseguire questo obiettivo soltanto, a lui pareva che una delle sue due funzioni principali consistesse nel creare immagini che per chiarezza e armonia di forma soddisfacessero al bisogno di un'apparenza vividamente comprensibile. Secondo lui, questo era un primo passo obbligato verso l'espressione di significati intrinseci.

Una città altamente «figurabile» (appariscente, leggibile, visibile) in questo senso particolare si presenterebbe ben conformata, distinta, notevole; essa inviterebbe l'occhio e l'orecchio ad una maggior attenzione e partecipazione. La presa dei sensi su un simile ambiente sarebbe non solo semplificata, ma anche estesa e approfondita. Una simile città potrebbe venire conosciuta nel tempo come un sistema di grande continuità con molte parti distintive interconnesse. Un osservatore accorto e ormai impratichito, potrebbe assorbire i nuovi impulsi dei sensi senza disgregare la sua immagine fondamentale, e ogni nuovo impulso verrebbe a ritoccare molti elementi precedenti. Egli sarebbe ben orientato, e potrebbe muoversi agevolmente. Egli sarebbe vivamente conscio del suo ambiente. La città di Venezia potrebbe essere un esempio di un simile ambiente, altamente figurabile. Negli Stati Uniti, si è tentati di citare parti di Manhattan, San Francisco, Boston, o forse la fronte sul lago di Chicago.

Queste sono attribuzioni che discendono naturalmente dalle definizioni date. Il concetto di figurabilità non denota necessariamente qualcosa di fisso, limitato, preciso, unificato o regolarmente ordinato, benché queste qualità possano talvolta accompagnarla. Né significa esso immediatamente apparente, ovvio, patente o schietto. L'intero ambiente da organizzare è molto complesso, mentre l'immagine ovvia viene subito a noia, e può contemplare soltanto poche caratteristiche del mondo vivente.

La figurabilità della forma urbana sarà al centro dello studio che segue. In un ambiente bello vi sono altre proprietà fondamentali: il significato o espressività, il diletto dei sensi, il ritmo, lo stimolo, la possibilità di scelta. Fermare la nostra attenzione sulla figurabilità non significa negare la loro importanza. Il nostro proposito è semplicemente quello di esaminare il bisogno di entità e struttura nel nostro mondo percettivo, e di illustrare la pertinenza di questà qualità al caso particolare del complesso e mutevole ambiente urbano.

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