Copertina
Autore Naghib Mahfuz
Titolo La ricerca
EdizioneTullio Pironti, Napoli, 2005 , pag. 158, cop.fle., dim. 140x210x11 mm , Isbn 978-88-7937-349-4
TraduttoreMarco Bellini
LettoreGiorgia Pezzali, 2006
Classe narrativa egiziana
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Pagina 5

La vista gli si annebbiò. Sebbene avesse un notevole autocontrollo e non sopportasse l'idea di piangere davanti a quegli uomini, la vista gli si annebbiò. Posò gli occhi pieni di lacrime sul corpo che veniva sollevato dalla barella per essere adagiato nella buca aperta della tomba. Avvolto nel sudario, sembrava esile, leggero – o madre, come sei magra! – per essere subito inghiottito dall'oscurità. Fu investito da un odore di polvere; gli uomini si accalcarono intorno a lui, mescolando l'alito fetido all'acre afrore del sudore, mentre dal cortile attiguo al mausoleo si alzavano i lamenti delle prefiche. Soffocato dalla polvere fu invaso da un profondo disgusto. Stava per raccogliersi sulla tomba quando una mano gli afferrò il braccio.

«Coraggio. Allah verrà in tuo aiuto!» mormorò una voce.

Quel contatto lo fece fremere d'orrore, dentro di sé maledì l'importuno. Un porco in un gregge di porci... Ripresa coscienza della solennità di quell'ultimo addio, fu percorso da un brivido di rimorso; pensò che venticinque anni di vita in comune perdevano in quel preciso momento ogni senso e ogni ragion d'essere. In lontananza come dei cani che abbaiassero, poi un gruppo di ciechi entrò nel mausoleo in fila indiana e si sedette a gambe incrociate intorno alla tomba. Si sentì osservato da una miriade di sguardi, incuriositi o compassionevoli; ne intuiva tutta l'ipocrisia ed erse fieramente il gracile busto. Perché sei qui, sembrava che gli dicessero, estraneo sia per il tuo modo di vestire che nell'aspetto, con la pretesa di piangere una di noi? Perché tua madre ti ha tolto dal fango per lasciarti da solo oggi? Ti disprezzano in silenzio celando la gioia maligna di vederti addolorato. Improvvisamente la vita sapeva di terra. Il becchino e il suo collega emersero dalla fossa e, posato di nuovo il piede sul solido terreno, si misero a riempire la tomba e a livellarne la superficie con foga quasi gioiosa. Poi officiarono gli acquaioli e i ciechi ripeterono in coro le litanie intonate dall'antifonario. Cosa penserà tua madre?, immaginò. Ormai era sola. Cosa diranno questi porci? L'umiltà velava la loro fronte come una nuvola estiva. Una fitta dolorosa; voleva tornare a casa, da solo, per ripercorrere tutto il suo passato. Nel buio della fossa, la madre sarebbe stata assalita da una miriade di domande perniciose. E nessuno di quei miserabili a darle man forte! Ma verrà la vostra ora... I lamenti rifluirono in un mesto mormorio; la cerimonia era conclusa. I ciechi si alzarono aspettando l'elemosina. Il becchino fece un passo in avanti, ma udì una voce alla sua destra.

«Lascia fare a me, ti prego. Sono abituato a trattare con questa gente».

Sentì ribollire di nuovo la sua collera, ma, finita la cerimonia, la sensazione di solitudine si fece più intensa. Osservò il mausoleo, fu confortato nel constatarne la buona fattura. Dietro le sbarre della finestra s'intravedeva il verde dei convolvoli, dei fichi d'India e dei ciuffi di basilico che crescevano lungo il muretto del cortile. Le piaceva l'opulenza – Allah l'accolga nella Sua misericordia! – e ne aveva ornato le sue due dimore, ma oggi le restava solo questo mausoleo. La folla si diresse lentamente verso il cortile, lui si aprì un varco fino al portone esterno per salutare chi se ne andava. Prima le donne che, nonostante gli abiti a lutto, le lacrime e le lamentazioni, fulminavano con impudiche occhiate gli astanti, visi volgari che lasciavano trasparire l'abituale insolenza. Poi gli uomini – Coraggio... Grazie, andate in pace - trafficanti di droga o banditi, cospiratori o ruffiani. Li squadrava freddamente, convinto che provassero per lui gli stessi sentimenti. Non dimenticava però di essere in debito nei loro confronti – e questo lo faceva infuriare. Pensava che presto l'avrebbe fatta finita con quella marmaglia; ma non aveva alleati. Mentre tornava a casa, in via Nabi-Daniel, l'investì una brezza umida, carica degli odori dell'autunno; a occidente, il crepuscolo oscurava il cielo. Nella casa di via Nabi-Daniel aveva vissuto i giorni più belli e felici della sua esistenza; ma oggi della defunta rimaneva solo un grande armadio e un antiquato narghilé riposto sotto il letto abbandonato. Si sedette sul balcone che dava sull'incrocio tra via Nabi-Daniel e via Saad-Zaghlul, fumò una sigaretta. I preparativi per una serata nell'appartamento dirimpetto, occupato da alcuni europei, attirarono la sua attenzione. Intravide un buffet dov'erano allineati bottiglie e secchielli del ghiaccio; dall'altro lato del salotto una coppia si abbracciava con un ardore sorprendente a quell'ora. Pensò che a partire da quel giorno doveva affrontare la realtà della vita. Era solo, senza soldi, senza lavoro, senza famiglia; gli restava solo una speranza, vaga quanto un sogno. Doveva provvedere alle proprie necessità, responsabilità che fino a quel giorno non aveva mai dovuto assumersi. Sua madre, infatti, si era incaricata di allevarlo, da sola, mentre lui godeva i vantaggi di una prolungata adolescenza. Ancora ieri non pensava minimamente alla morte. Proprio a quest'ora, sua madre scendeva dal fiacre appoggiandosi al suo braccio e tornava a casa con il passo appesantito dalla fatica e dalla stanchezza, dimagrita, rattrappita, invecchiata di trent'anni, lei che non ne aveva ancora cinquanta. Così gli apparve Bassima Omran l'ultima volta, mentre tornava dal figlio – o meglio in quella casa che lei aveva destinato a suo figlio – dopo cinque anni di galera.

«Tua madre è finita, Sabir» sospirò.

La prese in braccio: protestando, la portò agilmente fino al letto.

«Sciocchezze! Sei ancora nel fiore degli anni...».

Lei si adagiò sul letto senza svestirsi, voltò il viso verso lo specchio dell'armadio e ripeté tristemente, respirando a fatica: «Tua madre è finita, Sabir. Chi potrebbe credere che questo viso è quello di Bassima Omran!».

Oggi... Ieri, era tondo come la luna piena e le guance erano rosee come mele; quanto al corpo, ieri florido e abbondante, non sussulterà più per le risate a crepapelle che intorno facevano vibrare ogni cosa tutt'intorno.

«Al diavolo la malattia!».

Si asciugò il viso con il rovescio della manica, nonostante la stanza fosse fresca e mormorò: «Non è la malattia, è la prigione. Soffro per causa sua. Tua madre non era fatta per questo. Hanno incriminato il fegato, la tensione, il cuore. Che crepino! Credi che recupererò la forza di un tempo?».

«Starai meglio! Grazie al riposo e alle medicine».

«Con che soldi?».

Imbarazzato, rimase senza parole.

«Quanto ti rimane?» lei continuò a insistere.

«Una somma insignificante» rispose prudente.

«Sono stata prudente a intestarti la casa di Ras at-Tin, altrimenti me l'avrebbero pignorata come le altre proprietà».

«Dimentichi che ho dovuto venderla quando mi sono trovato al verde, te l'ho detto...».

Lei si portò la mano alla fronte, sospirando.

«Allah! Se non l'avessi venduta! Adesso avresti in mano un bel gruzzolo... Ma è colpa mia, sono io che ti ho abituato a far la bella vita. Volevo che vivessi come un re; volevo lasciarti una fortuna vasta come l'oceano, e poi...».

«E poi abbiamo perso tutto in un battibaleno».

«Eh sì, Allah punisce i peccatori! La rivincita meschina di un uomo meschino, un uomo che a lungo ha vissuto alle mie spalle prima di detestarmi per colpa di una sgualdrina da quattro soldi e ricordarsi bruscamente del dovere, della legge, dell'onore. Quel figlio di puttana e stato la mia rovina! Per questo gli ho sputato in faccia in tribunale!».

Con un gesto della mano lei chiese una sigaretta. Lui gliene accese una e gliela porse.

«Forse è meglio che smetti... Là fumavi?».

«Sigarette, hashish, oppio... Ma ero sempre in pensiero per te...».

Fumava, nonostante l'estrema stanchezza, continuando ad asciugarsi il viso e la nuca con l'altra mano.

«Parlami del tuo futuro, figlio mio».

«Cosa vuoi che ti dica! Mi toccherà diventare ladro, ruffiano o bandito!».

«Tu!».

«Se è vero che mi hai abituato a far la bella vita, temo che non sia servito a molto!».

«Non sei fatto per la galera...».

«Cos'altro posso fare quaggiù?» Poi, amaramente: «Se sapessi come i nostri nemici ridevano della mia sventura quando tu non c'eri!».

«Sabir, non farti trascinare dalla collera. È la collera che mi ha portato in prigione. Avrei fatto meglio a darla vinta alla canaglia che mi ha tradita!».

«M'imbatto in avanzi di galera a ogni angolo di strada!».

«Lasciali parlare, non ricorrere mai alla forza».

Lui strinse i pugni e urlò: «Senza questi pugni, avrebbero attaccato da ogni parte. Nessuno si è azzardato a sparlare di te in mia presenza mentre eri in prigione!».

Lei soffiò, furente, il fumo della sigaretta e aggiunse:

«Tua madre vale più di tutte le loro madri messe insieme. So quel che dico. Ignorano forse che senza di loro me la sarei passata male?».

Sabir sorrise nonostante fosse malinconico.

«Sono diventati maestri nell'arte dell'inganno curando l'apparenza» continuò. «Il notabile Tizio, l'amministratore delegato Caio, il Signor Sempronio... Automobili, abiti, sigari... Bei discorsi, profumi soavi... Ma io li conosco al naturale li ho visti nell'intimità delle loro camere da letto, spogliati di tutto tranne che dei loro difetti e delle loro meschinità; conosco mille storie e mille aneddoti... Dei piccoli depravati... Canaglie... Pidocchiosi... Prima del processo in parecchi mi hanno supplicata in ginocchio di non implicarli promettendomi il proscioglimento... Gente simile non ha alcun diritto d'insultarti insultando tua madre, perché tua madre vale cento volte le loro madri, le loro mogli e le loro figlie, senza le quali, credimi, i miei affari sarebbero andati a rotoli!».

Lui sorrise di nuovo.

«Dove sono finiti i giorni di un tempo!» lei sospirò. «Tua madre ti ha amato con tutta se stessa. Per te ho costruito questa dimora, al riparo dei miei traffici, facendo scorrere l'oro ai tuoi piedi, e se adesso sei in miseria non è colpa mia, non c'è uomo che possieda un quarto della tua bellezza e della tua prestanza! Ma non farti prendere dalla collera, la mia rovina ti serva di lezione...».

Lui osservò tristemente quel vivo ritratto della decadenza e sussurrò: «Tornerà tutto come prima».

«Come prima? Sono finita, Bassima appartiene a un passato ormai sepolto. È impossibile che mi rimetta al lavoro, né la salute né la polizia me lo permetterebbero!»

«Non rimane quasi niente del ricavato della vendita della casa» aggiunse lui, gli occhi rivolti a terra.

«Non importa, bisogna che tu continui a vivere come ti ho abituato...».

«Non ti ho mai visto perdere la speranza!».

«Adesso sì».

«Mi toccherà lavorare o ammazzare».

Lei spense la sigaretta e chiuse gli occhi, per stanchezza o forse per riflettere meglio.

«Ci deve pur essere una soluzione!» si arrabbiò Sabir.

«E vero, quand'ero in prigione ci pensavo di continuo».

Per la prima volta in vita sua, la fiducia che riponeva nella madre era scossa.

«Sì. ho riflettuto a lungo» riprese. «e ho deciso che avrei torto a tenerti al mio fianco, visto che ormai non è più nel tuo interesse...».

Lui le lanciò un'occhiata interrogativa, lei ammise, vinta, sottomessa: «Non capisci, è normale... Il fatto è che impadronendosi dei miei beni, il tribunale si è anche impadronito della tua persona. Non ho più alcuno diritto su di te, l'ho appreso durante il processo...»

S'interruppe per un istante, ammutolita dal dolore, poi continuò: «In altre parole, devi lasciarmi».

«Per andare dove?» esclamò sconvolto.

Lei rispose in un soffio: «Da tuo padre!».

Lui inarcò le sopracciglia - che andarono a congiungersi sopra il naso — e gridò incredulo: «Da mio padre?».

Lei scrollò la testa.

«Ma se è morto, mi hai detto che era morto prima che io nascessi!».

«Ti ho detto così, ma non era vero...».

«Mio padre è vivo! Incredibile! Mio padre è vivo...».

Lei lo guardò costernata.

«Mio padre è vivo...» ripeteva. «Ma perché mi hai mentito?».

«Ah! Per caso è venuto il momento che devo rendere conto a te?».

«No, ma non ho il diritto di farmi delle domande?».

«Nessun padre al mondo poteva renderti felice come ho fatto io».

«Non ne dubito».

«Allora non mi serbare rancore per questa menzogna e comincia a cercarlo».

«A cercarlo?».

«Ti parlo di un uomo con cui sono stata sposata trent'anni fa e di cui non so più nulla».

Lui aggrottò la fronte, perplesso, gettò il busto indietro cercando di rilassarsi.

«Madre, cosa vuoi dire tutto ciò?».

«Che è il solo modo di toglierti dalla miseria».

«E se fosse morto?».

«E se fosse vivo?».

«Devo passare la vita a cercare qualcuno di cui non so nemmeno se è ancora vivo?».

«Solo cercandolo saprai se è vivo. In ogni modo, meglio così che rimanere piantato qui senza lavoro né denaro!».

«È una soluzione che non mi tenta».

«Allora la tua unica via di uscita è diventare ladro, bandito, ruffiano o assassino... Non hai scelta».

«Come faccio a trovarlo?».

Sospirò profondamente, perché quel ritorno al passato la rendeva sempre più malinconica.

«Il suo nome compare sul tuo atto di nascita, Sayyid Sayyid al-Rahimi. Fu al Cairo, trent'anni fa, che mi amò...».

«Al Cairo! Non è neppure di Alessandria!».

«So che faticherai a ritrovarlo».

«Perché lui non ha cercato di vedermi?».

«Non sa nemmeno che tu esisti».

Sabir si accigliò. Un lampo di amaro rimprovero brillò nei suoi occhi neri.

«Aspetta!» lei continuò. «Non guardarmi così, ascolta il seguito. È un uomo rispettabile, un notabile nel vero senso della parola. Il suo patrimonio e la sua influenza non hanno limiti. In quel tempo studiava all'università, ma tutti tremavano di fronte a lui...».

Lui ascoltava, lo sguardo attento e languido insieme.

«Mi amava — ero bella, giovane e confusa —, mi chiuse in una prigione dorata».

«Ti ha sposata?».

«Sì. Ho conservato l'atto di matrimonio».

«Ti ha ripudiata...».

«No» lei sospirò. «Sono io che sono scappata».

«Scappata?».

«Sono scappata qualche anno dopo, incinta di te, con un uomo della peggior specie»

Lui scosse la testa, stupito.

«Si fa fatica a crederlo!».

«Tra un paio di minuti mi accuserai di essere la causa della tua rovina!».

«Non ti accuserò di niente, abbiamo già abbastanza problemi così, lui non ti ha fatto cercare?».

«Non lo so. Sono scappata ad Alessandria e non ho più sentito parlare di lui. Dio sa se più di una volta ho sperato d'incontrarlo in una delle mie case, ma invano».

Ghignò disilluso.

«E trent'anni dopo mi spedisci a cercarlo!».

«Si è visto di peggio... Avrai l'atto di matrimonio e la foto delle nozze. Vedrai che ti somiglia come una goccia d'acqua».

«Strano che tu abbia conservato questi documenti».

«Pensavo al tuo futuro; ero povera e vivevo sotto la lama di un bandito... Ma quando mi ha arriso la fortuna, ho deciso di tenerti con me a ogni costo».

«Però, hai comunque quelle reliquie...».

Lei si asciugò la fronte e la nuca con un gesto spazientito e replicò: «Mille volte ho pensato di disfarmene, ma non l'ho fatto, come se avessi avuto qualche presentimento...».

Lui si mise a misurare a grandi passi la stanza, la fronte corrucciata, poi si piantò ai piedi del letto e obiettò: «E se mi mandasse via tutto questo cercare?».

«Come potrebbe mandar via un ragazzo così bello?».

Tornò a sedersi.

«Il Cairo è una grande città, non ci ho mai messo piede».

«Chi ti dice che sia ancora al Cairo? Perché non potrebbe abitare ad Alessandria, Assiut o a Damanhur? Il fatto è che non so più niente di lui, dov'è, cosa fa, se si è risposato, solo Allah può saperlo!».

Agitò le braccia, rabbioso.

«E come vuoi che lo trovi?».

«Certo, non sarà facile, ma non è impossibile. Hai amicizie fra gli ufficiali di polizia e gli uomini di legge, ogni personalità ha un pied-à-terre o un ufficio al Cairo».

«Temo di vedere i miei risparmi volatilizzarsi prima di averlo trovato!».

«Per questo non hai un minuto da perdere».

Dopo aver riflettuto per qualche istante, borbottò: «Credi che ne valga la pena?».

«Non ho dubbi, figlio mio. Al suo fianco troverai rispettabilità e prestigio. Grazie a lui non dovrai più abbassarti per elemosinare aiuto e potrai esercitare una professione che nulla ha a che fare con il banditismo e la teppa; finalmente, vivrai in pace».

«E se fosse povero? Tu non eri forse milionaria prima della nostra rovina?».

«Ti assicuro che il denaro non è tutto. Ero ricca, è vero, ma non ho potuto darti rispettabilità né lavoro né pace. Hai dovuto alzare le mani per far tacere chi era troppo pronto a insultare te e me».

Tornò a riflettere – gli sembrava di sognare – poi chiese ancora: «Credi davvero che possa ritrovarlo?».

«Qualcosa mi dice che è vivo e se tu conservi la speranza e agisci senza perdere tempo, ce la farai».

Scosse la testa, tra perplesso e deluso, poi mormorò: «Andrò davvero sulle sue tracce? Se i miei nemici verranno a saperlo, non mi prenderanno in giro trattandomi da pazzo?».

«Cosa potrebbero dire di meglio o di peggio se diventassi un ruffiano? Non hai scelta».

Poi chiuse gli occhi, lamentandosi di essere sfinita. Le consigliò di dormire – avrebbero ripreso la conversazione il giorno dopo -, le tolse le scarpe, le mise sopra una coperta, ma lei se la tolse spazientita e si addormentò subito. Lui si alzò il mattino seguente verso le nove, dopo una notte inframmezzata da sogno e veglia, entrò in camera e la trovò senza vita. Era morta nel sonno o invano aveva invocato il suo aiuto? La trovò morta, addosso ancora la divisa della prigione. Osservava, stupito, la foto del matrimonio, che trent'anni prima aveva riunito i suoi genitori. Scrutò i tratti del volto di suo padre, davvero un bel ragazzo, che traspirava giovinezza e vitalità, lo sguardo pieno di fiducia in sé, l'incarnato pallido, il viso ovale, le guance tonde, la fronte alta, il fez sulle ventitré: una personalità notevole. Si assomigliavano – sua madre non aveva mentito -, ma come potevano assomigliarsi un bozzetto della luna e la luna in cielo.

Nell'appartamento dei vicini iniziavano ad arrivare i commensali; venne intonata una litania: il Corano, che stanno salmodiando nella camera della defunta. Qual è oggi il confine tra sogno e realtà? Tua madre, le parole della quale risuonano ancora nelle tue orecchie, si è appena spenta e tuo padre è appena resuscitato! E tu, in rovina, oppresso da un passato abietto, insudiciato dalla lussuria e dall'oltraggio, aspetti che un miracolo ti restituisca l'onore, la libertà e la pace.

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