Copertina
Autore Danilo Mainardi
Titolo L'acchiappa colombi
SottotitoloUn giallo etologico
EdizioneCairo, Milano, 2008, Scrittori italiani , pag. 272, ill., cop.ril.sov., dim. 13,5x18,8x2,2 cm , Isbn 978-88-6052-189-7
LettoreCorrado Leonardo, 2009
Classe gialli , etologia
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


PRIMA PARTE
Marzio

Così pallido non l'avevo mai visto        9
Il paradiso perduto                      13
L'uomo dalla cravatta a pallini          19
Agnese, dubbi e insinuazioni             29
La svolta                                39
La questione colombofila                 43
Il colombofilo scomparso                 56
Sotto l'ombra dei frassini               62
Mariolino                                67
La colombaia del Chilavisto              75
Sorriso canino                           83
Suddivisione dei compiti                 91
Le sorelle e il notaio                   96
Contrada Fredda                         104
Costruzione di un profilo               108
Lo zio Ciro                             119
Ovilandia                               128
Lo strappo                              138
Io ti conosco bene                      146

SECONDA PARTE
Federico

Ho paura                                155
Colazione con un assassino gentile      164
Il Mite                                 169
Il blitz                                175
Pensieri (e ricordi) del dopo blitz     180
La farmacia del Mago Greguro            188
Una piccola riunione informale          195
Ricompare l'Armadione e ha un'idea      202
Il catalogo                             207
Il «roseghino»                          212
Sul monte Argione                       217
La quercia Vallonea                     225
La forma e il contenuto                 230
Ti amo, poi ti odio, poi ti amo         240
Due colombi con una ghianda             249
Due verità                              257
Come una confessione                    263

Ringraziamenti                          269


 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 9

Così pallido non l'avevo mai visto



Pareva uno straccio, così pallido non l'avevo mai visto. E poi, considerato quanto gli era successo, perché si comportava così? Non che facesse alcunché di particolarmente strano. Chiunque, a ogni modo, si sarebbe chiesto come gli fosse possibile starsene lì a gingillarsi, in quel modo assurdo, con i suoi colombi. Dopo, appunto, quanto gli era successo.

Chiunque tranne me, perché io un'idea me l'ero fatta.

Cosa poi Federico stesse facendo è presto detto. Se ne stava tutto solo, piazzato in mezzo all'aia come un palo e, con aria assorta, lanciava minuzzoli di pane ai suoi colombi. Ma questo sarebbe stato il meno. Era evidente, infatti, che non stava semplicemente nutrendoli, perché lanciava in aria il pane come se stesse officiando un rito. Col gesto ieratico di un seminatore, mi venne da pensare.

Era già lì quand'ero arrivato. Per un po' ero stato a osservarlo da dietro una finestra del pian terreno e subito, o quasi subito, avevo intuito il perché di quel suo strano comportarsi. Ovvio: il ragazzo si stava regalando una seduta di pet therapy. La medicina più appropriata, per uno come lui.


Federico, inoltre, il pane lo lanciava di volta in volta in una direzione differente. E anche questo era strano. Che stesse facendo, mentre tentava di arginare la sua ansia, un qualche esperimento?

Incuriosito mi avvicinai.

«Ciao Fede, cosa diavolo stai combinando?»

Sobbalzò. Era nervoso il ragazzo.

«Ah prof, è lei. Scusi, ero distratto. Stavo osservando il loro comportamento, soprattutto quello di Cher Ami. Vede com'è assatanato?»

«Ora che me lo dici... E hai dedotto qualcosa?»

«Ma no, o almeno niente d'importante. Solo mi dicevo che, se c'era di mezzo qualcosa da mangiare, non poteva essere che lui quello che ci cascava. Ha un'ingordigia pazzesca. E poi, come se non bastasse, allarga le ali per farsi spazio e sbatte via tutti gli altri.»

Era vero. E non s'accontentava di inseguirli ma, dopo averli malamente allontanati, tubava girando su se stesso per affermare la sua predominanza.

«Se la prende perfino coi novelli. Hai ragione, non poteva essere che lui a farsi intrappolare.»


Il cielo era scuro. Nuvoloni bassi, cupi come i nostri pensieri.

Stemmo zitti per un po'. Poi, per rompere quel silenzio opprimente, gli chiesi: «Perché l'hai chiamato Cher Ami?».

«È una storia vecchia. Venga dentro che le mostro un libretto.»

Entrammo e da un cassetto del tavolone da osteria che occupava il centro della stanza estrasse un libricino sgualcito. In copertina c'era la foto di un colombo ed era intitolato

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 13

Il paradiso perduto



Non ho la più pallida idea di come andrà a finire l'avventura in cui siamo incappati, ma una cosa è certa: siamo nelle peste. E pensare che, fino a ieri, era un'altra vita.

La sensazione attuale è invece d'incertezza, di insicurezza. È come — mi è difficile spiegarmi — se ci trovassimo in bilico su uno spartiacque temporale. Con un prima che ci sembra, e sempre più, un paradiso, e con un dopo, presente ma soprattutto futuro, da incubo.

E in questo incubo ora ci sentiamo intrappolati.


Basta poco per raccontare «il prima».

Teatro principale è il Colombarone, una cascina il cui nome dice tutto.

Le cascine le ho sempre amate. Quelle di una volta, almeno. Quelle con i fienili raggiungibili solo con la scala a pioli, con immense aie assolate, granai ombrosi. Quelle dove ancora esiste, per l'abbeverata di umani e non umani, la sorba dell'acqua. E poi amo le stalle coi nidi delle rondini. Il loro gorgheggiare, il loro sfrecciare dentro e fuori le basse finestre.

E così ci sono cascato anche stavolta. Eppure lo so bene: è un trabocchetto rivoltante la cosiddetta poesia della campagna. Pensare che rimpiango, seppure vergognandomene, perfino l'odore del letame.

E a questo punto mi sembra di sentirlo, Federico. Basta con 'ste stronzate, direbbe. O meglio penserebbe, perché il ragazzo è, meno male, rispettoso. Fin troppo, qualche volta.

A ogni modo ho deciso. Se anche è sboccato non gli dico niente, perché so cosa, altrimenti, penserebbe di me: che sono un sopravvissuto. Esattamente come la sorba dell'acqua.


Devo dirvi dell'altro, comunque, di Federico, ed è questo che realmente conta.

Il ragazzo era comparso da me, mentre facevo lezione, fuori tempo e fuori luogo. Un clandestino, insomma, perché íl mio corso è dell'ultimo anno mentre lui, facile capirlo con quella sua aria spaesata, non poteva essere che una matricola. Il suo comportamento oltretutto lo dichiarava: entrava in aula, si piazzava nell'ultima fila, ascoltava e poi di soppiatto spariva, senza mai intervenire.

Un oggetto, in ogni caso, mica poi tanto raro e misterioso. Nel mio corso di laurea succede spesso: si iscrivono tanti ragazzi e ragazze motivatissimi che poi, purtroppo, il primo anno vengono sottoposti solo a tediose lezioni di chimica, fisica e matematica. Incontrano, è vero, anche un po' di biologia dove però il massimo della goduria è rappresentato da qualche misera cellula. Animali veri neanche a parlarne. Perciò qualcuno dopo un po' non ne può più, diserta i corsi regolamentari e viene, appunto da clandestino, ad ascoltare il sottoscritto, che si occupa di comportamenti animali. Il loro sogno segreto.

Federico apparteneva indubbiamente a questa specie fuggitiva ed era da un po' che, facendo finta di niente, lo tenevo d'occhio.


Il nostro primo colloquio avvenne per puro caso, in pizzeria. Stavo affrontando una margherita speciale quando eccolo lì, lo spilungone. Entra, mi vede e manifesta un'evidente voglia di fuggire. Mi fa, comunque, un cenno e io lo incastro. Gli indico una sedia: «Siediti qui, così mi spieghi perché frequenti l'etologia con quattro anni d'anticipo. E intanto io ti offro una pizza».

La sua storia somigliava a tante, perfino alla mia quando, un secolo fa, avevo raccontato a quello che poi sarebbe diventato il mio adorato Maestro la mia passione. Solo che io sono un po' più carogna. Non solo questi impazienti solitamente li dissuado dal costruirsi un tragitto di comodo arrivando così prima del tempo agli animali del loro cuore. Spiego anche che se, come moda comanda, hanno una passione per delfini o grandi scimmie, devono scordarsela. Prima imparino il metodo e i fondamentali, poi, se diventeranno abbastanza bravi, potranno anche dedicarsi ai loro animali preferiti. Serve, la paternale, a fare piazza pulita degli appassionati dell'ultima ora, quelli che hanno scoperto l'etologia alla televisione o sulle riviste patinate. La pop ethology, come la chiamano certi miei colleghi che, quando gli fa comodo, recitano la parte dei puristi.

Federico, però, non era né dell'ultima ora né pop. Possedeva, e mi meravigliò non poco, una sua concreta competenza, accumulata allevando fin da bambino colombi e altri animali sotto la guida sapiente di un mitico zio. E così feci, d'impulso, una cosa rara e strana. Ciò avvenne, credo, perché in quell'estemporaneo colloquio di «tutoraggio» Federico seppe infettarmi della sua malattia, il desiderio di penetrare nel mistero che ammanta quegli uccelli che, solo loro, «sanno davvero viaggiare, non come tanti banalmente migrare». È sua questa definizione, e la pronunciò come fosse un merito straordinario quello di saper tornare a casa da qualsiasi direzione.

Una cosa, di quel colloquio, soprattutto mi colpì. I ragazzi d'oggi sembrano, probabilmente sono, piuttosto snaturati, ma Federico era diverso. Lo tempestai di domande di pura curiosità, perché dei viaggiatori non sapevo niente. Così avvenne il miracolo: dopo un po' eravamo semplicemente due persone impegnate in una conversazione appassionante. Altro che professore e allievo.

Svanita la timidezza, Federico mi sciorinò avventure e meriti dei suoi, così gli venne di chiamarli, «alati messaggeri».

Già, stronzate e alati messaggeri, un bel cocktail davvero. Ma questo è, appunto, Federico.


Parlando gli brillavano gli occhi.

«Pensi, prof, che la fortuna dei Rothschild iniziò perché conobbero per primi, standosene a Parigi, l'esito della battaglia di Waterloo grazie a un colombo viaggiatore!»

Stette zitto un secondo, gustandosi il mio supposto stupore, e poi, con aria trasognata: «Una figata bestiale!».


No, quel ragazzo non potevo perderlo. Presi così la decisione di aiutarlo a dare vita a una colombaia nel Colombarone. Già, proprio così si chiamava la vecchia cascina all'interno del campus ancora sprovvista di una nuova destinazione.

Avevo un po' di fondi e un tecnico un po' campagnolo che si sarebbe adattato a dare una mano. Federico, da parte sua, ci mise tutta la sua competenza, mentre io, divertito, gli davo corda. Tanto più che i suoi colombi erano bellissimi, interessantissimi.

A tre anni dall'inizio della sua strana evoluzione, ora il Colombarone si presenta come una via di mezzo tra un allevamento avicolo e un'istituzione scientifica, con tanto di sala computer, laboratori per l'analisi del Dna, per la cariologia, la tassonomia e altre moderne diavolerie. Con ragazzi e ragazze che trafficano facendo esperimenti per le loro tesi di laurea.


Ecco, era questo il nostro paradiso. E sarà colpa del mio spirito un po' anarchico, ma l'università che più mi piace è fatta così. D'altronde, girando il mondo, quanti laboratori d'etologia ho visto nascere così per poi, nel loro apparente disordine, prosperare e, quel che più conta, produrre buona ricerca. Anche lo stesso Lorenz, d'altronde, aveva cominciato così, allevando taccole in una soffitta.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 69

Siamo ancora nel cortile, in piedi e con i caschi in mano. Mariolino ci fa sedere su delle poltrone di vimini, ci offre del tè ghiacciato che versa da una caraffa dove galleggiano foglioline di mentuccia. Poi, guardandomi con i suoi occhi chiari, parte diretto: «Siete venuti per chiedermi qualcosa a proposito di quell'orribile faccenda. Giusto?».

«Sì purtroppo. E avrei anche avuto una serie di domande da farle, di carattere generale. Prima o poi gliele farò, se vorrà ascoltarmi. È successo qualcosa, però, recentissimamente — probabilmente lei non ne è ancora informato — che mi costringe a saltare quasi tutto e a venire direttamente a quest'ultimissimo punto. Una cosa forse imbarazzante, ma insomma, in pratica, sono costretto a chiederle informazioni su una persona precisa. Su uno di voi.»

Il suo viso, segnato da rughe sottili, è serio, perfino un po' tirato. Gli racconto della sparizione di Losi, della nostra impellente necessità di comprendere che tipo sia. Di quella altrettanto impellente, se non di più, della polizia di trovarlo. Non trascuro di informarlo sui dubbi che sono stati sollevati sul ruolo che può aver giocato in questa orribile storia.

Mariolino è immobile, gli occhi chiari spalancati a bucare i miei. Concentratissimo. Si intuiscono i pensieri che gli scorrono nella mente. Federico ci guarda, incantato.

Finalmente Mariolino parla, attento, lo si capisce, a misurare bene le parole, forse anche a valutare cosa può dire e cosa preferisce tacere. Parla lentamente, quasi dettasse una deposizione.

«Se dovessi descrivere Losi, inteso come colombofilo, con una parola sola, userei l'aggettivo anomalo, ma semplicemente per la poca presenza. Molta invece la passione, la partecipazione ai nostri problemi. La diversità deriva solo dalla professione. È sempre in giro. E, se dovessi dire che tipo d'uomo è, a parte la colombofilia, lo descriverei così: insieme semplice, sì, una persona non colta, ma decisamente scafato. Insomma, un personaggio che a suo modo sa stare al mondo. Non stupido, oltre tutto, anzi tutt'altro. Tornando ai colombi, è decisamente bravo. Pur non spendendo molto, ottiene risultati eccellenti.»

«L'anno scorso» precisa Federico «ha fatto un primo da Battipaglia e un settimo da Napoli, e c'era un migliaio di colombi in gara.»

«Ma mi dica: secondo lei, così a intuizione, Losi potrebbe essere una persona capace di combinare qualcosa di losco?»

«Sa com'è» mi guarda perplesso «esistono livelli di disonestà diversi. Piccole, credo, le commettiamo tutti. Ettore, tanto per dire, aveva messo in piedi un modesto commercio che interessava tutti noi. Io stesso ho comprato da lui uova da fare incubare, che mi portava dal Belgio. Mi sono nati novelli molto belli, di alta genealogia. Poi ve li mostro. Ecco, non so cosa ci guadagnasse, ma sicuramente tutto avveniva in nero.»

«D'accordo, ma a parte queste piccolezze, non mi sa dire nient'altro?»

«Quello che so è che di questi traffichetti ne faceva molti, forse anche di maggiore consistenza. Dovreste sentire, ammesso che vogliano dirvi qualcosa, le sorelle Cavagna. Sai, Fisher, quelle che fanno commercio di animali.»

«Scusi se insisto, anzi se le faccio una domanda ancora più diretta e insieme imbarazzante: secondo lei un personaggio come Losi potrebbe essere un killer?»

Mariolino sorride, la sua faccia s'illumina, ora è furba e divertita. Fa un gesto con le mani: «E io, allora? Chissà, forse sì. Come si fa a rispondere a una domanda così? Certo Losi è una persona chiusa, introversa, volendo addirittura un poco misteriosa. Sa com'è, sparisce per lunghi periodi e in genere non dà confidenza a nessuno, a meno che non sia per timidezza. Ma basta tutto ciò? Lo sa che c'è – gira proprio da queste parti – una signora, una signora distinta, vagamente claudicante, che passa ogni mattina portando a spasso il suo carlino... Dovreste vederla: rigida, col bastone, la bocca all'ingiù, un'aria dura e occhi di ghiaccio... Con gli amici scherziamo dicendo che sarebbe perfetta per la parte dell'assassina in un giallo all'Agatha Christie. Lady killer...».

«Ha ragione, mi rendo conto dell'impossibilità d'identificare a fiuto gli assassini. Un'ultima domanda allora, un po' più facile questa. Secondo lei perché è scomparso così improvvisamente? E soprattutto dove potrebbe essere finito?»

«Se fossi in voi andrei a trovare il Cireneo. Mi è capitato più volte di vederli insieme a chiacchierare. Per un certo periodo hanno anche tenuto una colombaia in società, a due nomi. Forse è il suo unico amico vero. C'è poi un'altra persona che potrebbe sapere qualcosa, il notaio Gnocchi. Ettore andava a trovarlo spesso, sempre per motivi di colombi, naturalmente.»

«E potrebbe dirci qualcosa di più di queste due persone?»

«Anche Fisher le conosce. Sono soci dell'Invincibile.»

«Certo» ammette Federico «il Cireneo è un venditore ambulante, un eccellente colombofilo. È quello che, nell'Invincibile, ha fatto più primi premi. Tutti lo rispettano e l'ascoltano. Da lui si va come in pellegrinaggio per visitare i suoi campioni. Mi ricordo che la prima volta che ho visto il Nasone mi sono quasi commosso.»

Santo cielo, dove sono finito? Poi realizzo che con le passioni c'è poco da scherzare e che la colombofilia, in fin dei conti, è una passione come un'altra. Così, cercando di non mostrare un eccessivo sconcerto, timidamente domando: «Il Nasone?».

Con aria bonaria, come se dovesse spiegare a un bambino, Mariolino mi fa la sua lezione: «Il Nasone è stato un grande campione, forse il più grande. Per noi è un mito. Ha vinto praticamente tutto ma ormai non viaggia più. E ce l'ha il Cireneo. Vede, professore, il bello della colombofilia è che annulla ogni gerarchia della vita, diciamo così, esterna. Un ambulante che va in giro con un trabiccolo a motore conta di più del notaio Gnocchi, che s'è fatto costruire la colombaia da un architetto e che spende una valanga di euro per comprare figli di campioni. Ma, si sa, la sapienza colombofila non la si acquisisce con il denaro. A ogni modo, sarebbe interessante per lei, intendo come etologo, assistere a qualche nostra riunione. Vedrebbe insieme seri professionisti, operai, casalinghe, ragazzi. Tutti che si trattano alla pari, che si danno del tu. È come un mondo a parte. L'occulta gerarchia che sempre è presente in un gruppo umano risulta determinata esclusivamente dai risultati ottenuti con le gare. Carta canta, nel senso della carta delle classifiche».

«Ma lo sa, Mariolino, che ha fatto un'analisi degna di un etologo umano? E tu, Fisher, come sei piazzato nella gerarchia dell'Invincibile?»

«Be', prof, sono anch'io un po' un anomalo. Vero Mariolino?»

«Effettivamente sì. Fisher è un po' diverso perché i suoi interessi sono soprattutto scientifici. A lui non interessa tanto vincere le gare quanto studiare l'imprinting sulla colombaia, il senso d'orientamento... Anche per questo ci piace averlo con noi. Anzi, siamo fieri di avere un giovane scienziato all'Invincibile. E poi ci spiega un sacco di cose...»

Federico, o meglio Fisher, ogni tanto è condannato ad arrossire. Chissà se continuerà a farlo anche quando sarà davvero diventato, se lo diventerà, un vero ricercatore?


La nostra visita si conclude con quello che, ho capito, è una sorta di obbligatorio passaggio attraverso la colombaia. Quella di Mariolino la si raggiunge attraversando il suo studio da disegnatore, una veranda luminosissima. Mi fermo ad ammirare i suoi disegni. Noto anche una ricca libreria naturalistica. Quanto alla colombaia, è un grande e basso prefabbricato di legno piazzato sul retro, di fronte a un grande prato. L'esterno è dipinto di verde scuro, l'interno è in legno naturale. Mariolino ci presenta i suoi campioni e, devo dire, ormai riesco ad apprezzare l'austera bellezza di questi uccelli atletici e scattanti. Tra i novelli, facilmente distinguibili dagli adulti per un che di infantile (e poi «pipiant»), ci mostra quelli provenienti dal Belgio tramite il Losi detto (perlomeno da Agnese) il Chilavisto. Sono, ai miei occhi, esattamente come gli altri.

| << |  <  |