Autore Diego Armando Maradona
Titolo Io sono El Diego
EdizioneFandango, Roma, 2020 [2002] , pag. 396, cop.fle., dim. 13,4x20,5x2,5 cm , Isbn 978-88-6044-292-5
OriginaleYo Soy el Diego [2000]
PrefazioneSandro Veronesi
TraduttoreAlberto Bracci T.
LettoreFlo Bertelli, 2020
Classe biografie , sport , paesi: Argentina












 

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Indice


1.  Le origini
    Villa Fiorito, i Cebollitas, Argentinos Juniors,
    la Selección                                          5

2.  L'esplosione
    Argentinos Juniors, Argentina '78, Giappone '79      15

3.  La passione
    Boca '81                                             39

4.  La frustrazione
    Spagna '82, Barcellona                               56

5.  La Resurrezione
    Napoli '84 / '91                                     84

6.  La gloria
    Messico '86                                         137

7.  Gli amici, i nemici
    Passarella, Ramón Díaz, Menotti, Bilardo, Havelange 171

8.  La lotta
    Coppa America '87 e '89                             185

9.  La vendetta
    Italia '90                                          197

10. Il dolore
    Stati Uniti '94                                     232

11. I ritorni
    Siviglia, Newell's Old Boys                         263

12. L'addio
    Boca '95 / '96                                      304

13. Uno sguardo
    Gli affetti. Le star del calcio                     343

14. Io sono El Diego
    Un messaggio                                        377


Titoli, premi, trofei                                   385
Note                                                    389


 

 

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Maradona spiegato ai bambini


Maradona, ragazzi; Diego Armando Maradona. Sapete chi era? Voi che siete nati nel 1987, quando lui vinceva il suo primo scudetto col Napoli, sapete chi era Maradona? E voi che siete nati nel 1988, nel 1989, nel 1990 (secondo scudetto), lo sapete? E voi, figlioli miei amati, tu Umberto, nato nel 1991, che hai ricevuto in regalo la maglia del Boca, e che, come lui, sei mancino di piede e non di mano; e tu Lucio, nato nel 1994 quando lui rientrava in nazionale ai mondiali e segnava un gran gol e veniva immediatamente squalificato, espulso, cacciato, per doping (efedrina); e tu, Gianni, nato nel 1999, quando già lui girovagava per cliniche e varietà televisivi; e tu, Nina, nata addirittura nel 2009, proprio quando l'erario italiano gli comunicava che il suo debito col fisco ammontava a 37,5 milioni di curo, di cui 23,5 di interessi: sapete chi era davvero Diego Armando Maradona? No. Non lo sapete. Non potete saperlo, ed è per questo che si scrivono i libri e gli articoli, si mandano in onda i servizi in tv e si ritirano per sempre le maglie con un certo numero stampato dietro. È per farvi sapere cose come questa che esistono le persone adulte, vecchie addirittura.

Chi era Maradona. Dovete chiedere a tante persone, ragazzi cari, a tante, tante persone; ognuna vi dirà qualcosa d'importante. E dovete leggere tante pagine, e guardare tante immagini da cineteca, per rendervene conto. E ancora rimarrà in voi una specie di lutto, un buco nero, per non aver mai visto con i vostri occhi chi era mentre lo era. Come in me con Valentino Mazzola. Quel buco nero, quel prima inesorabile che vi ha tagliato fuori da Diego Armando Maradona, vi insegnerà cos'è la tradizione, nel calcio come in tutto il resto, e quanto sia importante. Poiché la tradizione è importante, sapete, e fenomenale, perché riesce a contenere anche gli elementi più ribelli e irregolari, quelli che l'hanno messa in crisi, forzata, contraddetta, come ha fatto appunto Maradona. È la cosa più importante, ragazzi, la tradizione.

Chi era Maradona, dunque. Chiedetelo ai giapponesi, innanzitutto: sono stati loro i primi, nel 1979, a vederlo giocare come un marziano nel campionato del mondo under 20. L'anno precedente la nazionale maggiore argentina aveva vinto il suo mondiale "sporco", a Buenos Aires, con una squadra piena di campioni e di bastardi: Mario Alberto Kempes (chiedete anche di lui, ragazzi), Passarella, Bertoni, Ardiles, Tarantini, Olguin, Fillol, Leopoldo Luque col naso spaccato... Sporco, quel mondiale, perché fu vinto in casa, con l'aiuto degli arbitri e dei portieri avversari, sotto gli applausi del generale Videla che tiranneggiava il popolo argentino - e un'altra cosa di cui dovrete chiedere, quando sarà il momento, è il significato della parola desaparecidos: ma fu comunque un gran mondiale, vinto da una grande squadra, e l'Argentina oppressa fu comunque felice. Be', l'anno dopo la nazionale argentina juniores avrebbe vinto pure il proprio titolo di categoria, in Giappone, appunto, trascinata da un marziano di nome Diego Armando Maradona. Aveva diciotto anni, era stato il capocannoniere del campionato l'anno precedente, ma non era stato convocato per ragioni politiche, troppo giovane per la nazionale che doveva celebrare la giunta militare. Provate a immaginare: un ragazzino poverissimo e ignorante, alto meno di un metro e settanta, che a diciotto anni è già campione del mondo. La sua leggenda è cominciata così, senza la gloria militare che sporcò l'impresa dei suoi compagni della nazionale maggiore, con solo il suo nome che prese a tambureggiare per il mondo, senza ancora le immagini: Maradona, Maradona, Maradona...

Chiedete anche ai tifosi dell'Argentinos Juniors: la squadra nella quale militava allora Maradona: chiedete a loro cosa significava vederlo imperversare per il campo con la maglia rossa addosso, e vederlo esordire in nazionale maggiore a soli sedici anni, sapendo perfettamente che quel miracolo sarebbe durato poco, che presto un grande club se lo sarebbe portato via. E chiedete ai tifosi del Boca Juniors, il grande club di Buenos Aires che lo acquistò nel 1981, cosa significava vederlo imperversare per il campo con la maglia gialla e blu (quella che ti ho regalato, Umberto), sapendo anch'essi benissimo che pure quello era un miracolo, che pure quello sarebbe durato poco, perché nel futuro di Maradona c'era l'Europa. E chiedete ai tifosi del Barcellona, che avevano da poco perduto Cruijff e Neskeens (e chiedete loro anche chi erano Cruijff e Neskeens, già che ci siete, soprattutto Cruijff): chiedete quanta gioia produsse l'annuncio del suo acquisto, nel 1982; chiedetegli perché.

Chi era Maradona. Chiedete al miliardo e mezzo di telespettatori del Mundial spagnolo, quello vinto dall'Italia di Paolo Rossi - e chiedete anche chi era Paolo Rossi. Chiedete a Claudio Gentile, terzino della Juventus, che gli martoriò i malleoli per tutta una partita e gli strappò la maglietta a furia di aggrapparcisi, ma non lo fece segnare; chiedetegli perché quello è stato il momento più alto della sua gloriosa carriera. E chiedete a João Batista, centrocampista brasiliano, che nella partita Argentina-Brasile lo provocò e si beccò un violento calcio nello stomaco; Maradona fu espulso nello sdegno generale, il Brasile vinse la gara, e anche per Batista, tutto sommato, quel calcio nello stomaco sferratogli da Maradona è stato il momento più alto della sua gloriosa carriera: chiedetegli perché. Per non parlare di un certo Goicoechea, truce randellatore dell'Atletico Bilbao: chiedete a lui chi era Maradona; chiedetegli perché gli spezzò di netto tibia e perone con una forbice da dietro nell'autunno dell'83; chiedetegli se avesse un altro modo per passare alla storia. Poi chiedete di nuovo ai tifosi del Barcellona, ragazzi: chi era Maradona e cosa significava vederlo imperversare per il campo con la maglia azulgrana, sapendo perfettamente che non si trattava di un miracolo, e che non sarebbe durato poco, poiché era normale che quella musica sopraffina venisse suonata al Camp Nou, dove avevano suonato tutti i più grandi prima di lui. Poi chiedete loro come ci sono rimasti, nell'estate del 1984, quando Maradona scelse il Napoli e li piantò in asso.

Ora, finalmente, andate a Napoli e lì chiedete a chiunque - alle donne, ai vecchi, ai poliziotti, ai contrabbandieri, ai ragazzini come voi che sono nati dopo, agli alberi, ai sassi: loro vi diranno chi era Maradona. Due scudetti, nel 1987 e nel 1990, dove di scudetti non se n'erano vinti mai; e coppe, e gloria, e felicità. Chiedete ai suoi compagni di quegli anni, a Garella, a Mauro, a Pecci, a Ferrara, a Giordano, cosa voleva dire giocarci in squadra insieme. E chiedete ai suoi avversari, ai difensori che saltava come birilli, ai portieri che non riuscivano a parare le sue punizioni, cosa voleva dire giocarci contro. Chiedete ai suoi compagni di nazionale del 1986 cosa significa vincere un campionato del mondo senza essere i più forti ma solo perché in squadra c'è lui. Fu il secondo titolo mondiale dell'Argentina, quello pulito: e chiedete a Shilton, portiere dell'Inghilterra, se fu veramente pulito, con quel gol di mano che Maradona gli fece nei quarti di finale, e che videro tutti, nel mondo, tranne l'arbitro; e chiedete a quei cinque giocatori inglesi che Maradona saltò uno dopo l'altro, da solo, sessanta metri palla al piede per segnare il gol della vittoria, se fu veramente sporco.

Chiedete alla camorra, anche, che lo agganciò nell'euforia napoletana e se ne impossessò, e trasformò le sue debolezze in vizi, la sua voglia di vincere in voglia di morire. Chiedete com'era la sua anima: chiedete a chi l'ha annerita quanto è stato facile annerirla quando era candida; e chiedete quanto era nera a chi l'ha subita quando era nera. Chiedete a chi lo ha amato, quando era il momento di amarlo, quanto era facile amarlo; e chiedete a chi gli ha dato addosso, quando è stato il momento di dargli addosso, quanto è stato facile dargli addosso. Chiedete agli almanacchi quanti gol ha fatto, alle autorità giudiziarie quanti reati ha commesso, quante condanne ha subito, quanti perdoni ha chiesto, in quante recidive è incappato. Chiedete ai giornalisti quanto si è fatto sfruttare, anche da loro, chiedete quanto ha tentato di disintossicarsi, di disciplinarsi, di ritornare al calcio, prima al Siviglia e poi di nuovo al Boca Juniors, a tingersi i capelli di giallo e di blu. Chiedete quanto è stato inutile, e quanto ha continuato a ingrassare, e quante figuracce ha continuato a fare. Chiedete a Fidel Castro e a Ugo Chavez, presso i quali si rifugiava quando la pressione si faceva insopportabile.

Chiedete, ragazzi, chiedete chi era Maradona e non smettete mai di chiederlo. Voi non c'eravate, non avete visto e avete bisogno almeno di sapere. Chiedete quanto splendeva, a chi l'ha visto splendere, e chiedete quanto è finito a chi l'ha visto finire. Chiedetelo a me, che come tifoso l'ho avuto sempre contro e l'ho odiato, sì, l'ho odiato quando tutti lo amavano: chiedetemi adesso chi era Maradona. Vi darò tre risposte: non c'è stato nessuno come lui, non c'è stato nessuno come lui, non c'è stato nessuno come lui.

Sandro Veronesi

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                                    A Dalma Nerea e a Gianinna Dinorah Maradona.
                                               Ai miei genitori, Chitoro e Tota.
                                                           A mia moglie Claudia.
                                            Al Lalo e al Turco, i miei fratelli.
                                 Alle mie sorelle Alla, Kity, Lili, Mary e Caly.
                                                 Al mio amico Guillermo Coppola.
                                               E a tutti i calciatori del mondo.

                     A Fidel Castro e, attraverso lui, a tutto il popolo cubano.
                                                                      A Rodrigo.
                                                                 A Carlos Menem.

                                                          A tutti i miei nipoti.

                                                           A tutti i Cebollitas.
                                                                A tutta Fiorito.
                                                                  Ai napoletani.
                                                             Ai tifosi del Boca.
                                                        Alla gente di La Quiaca.
                                                              A Francis Cornejo.

                                                     A Caniggia e ai suoi figli.
                                                                A Marito Kempes.
                                 A Claudio Husain, al Turu Flores, al Turco Asad
                                                            e al Rifle Pandolfi.
                                                     Alla memoria di Juan Funes.
                                                               A Julio Grondona.
                                                                 A Ciro Ferrara.
                                                              A Salvatore Bagni.
                                                                    A Rivelinho.

                                                             Ad Augustin Pichot.
                                                          Ai ragazzi del volley.
                                            A Emiliano Díaz, il figlio di Romón.
                               Agli avvocati che hanno tirato fuori il mio amico
                                                                    dal carcere.

                                                                       A Carlos.
                                                           A Salvatore Carmando.
                                                           A Quique e a Gabriel.

                                                                   A Los Piojos.
                                                          A Charly e a Calamaro.
                                                                       A Lauria.
                                                                      A Gabriel.
                                                                         A Omar.
                                                                          A Leo.
                                                A Fede Ribero e Andrea Burstein.
                                                 A tutti i ragazzi del Tortugas.
                                                     A Cristian dei Las Cañitas.

                                                                Al dottor Oliva.
                                                              Al dottor Lentini.
                                                             Al Ciego Signorini.
                                                        Al Renegado Vilamitjana.

                                                                 Al Negro Avila.
                                                                  A Costy Vigil.
                                              Alla gente del Cristoforo Colombo.
                       A Shaquille O'Neal, Michael Jordan e le torri gemelle del
                                                                    San Antonio.

                                             E per ultimo, al mio cuore e a Dio.

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1. Le origini

Villa Fiorito, i Cebollitas, Argentinos Juniors, la Selección


                                                 A me, giocare a pallone dava...
                                                            dava una pace unica.



Comincio questo libro a L'Avana. Alla fine mi sono deciso a raccontare tutto. Non so, mi sembra sempre che rimangano cose da dire. Che strano! Con tutto quello che ho già detto, non sono sicuro di aver raccontato l'importante, le cose .più importanti.

Comincio a ricordare qua, in questo luogo, durante serate in cui imparo ad assaporare L'Avana. È bello farlo quando uno sta bene e quando, nonostante gli errori, non ha di che pentirsi.

È fantastico ripercorrere il passato quando vieni da molto in basso e sai che tutto quel che sei stato, che sei e che sarai non è altro che lotta.

Volete sapere da dove vengo? Come è cominciata questa storia?

Io volevo giocare, però non sapevo in che ruolo, non lo sapevo proprio... Non ne avevo idea. Cominciai da difensore. Giocare da libero mi è sempre piaciuto e tuttora mi affascina, anche adesso che, per paura che mi scoppi il cuore, mi lasciano appena toccare il pallone. Da libero vedi tutto da dietro, hai il campo intero davanti a te, hai la palla e dici: pim!, usciamo di là, pum!, proviamo dall'altro lato, sei il padrone della squadra. Ma a quei tempi, altro che libero! C'era solo da correre dietro al pallone, tenerlo, giocare. A me, giocare a pallone dava... dava una pace unica. E questa sensazione - la stessa, la stessa - l'ho avuta sempre, fino a oggi: datemi un pallone e mi diverto e protesto e voglio vincere e voglio giocare bene. Datemi un pallone e lasciatemi fare quello che so io, dovunque. Perché la gente è importante, certo, la gente ti motiva, però la gente non sta dentro al campo. E dove uno si diverte è dentro al campo, con la palla. Questo facevamo a Fiorito e questo ho sempre fatto, anche se giocavo a Wembley o al Maracanà di fronte a centomila persone.

La verità è che noi a Fiorito, in periferia, sfidavamo molto di più della folla. Sfidavamo il sole. La mia vecchia, la Tota, che mi accudiva e mi viziava continuamente, diceva:

"Pelu, se vai a giocare... vai dopo le cinque, quando cala il sole".

Io le rispondevo: "Sì mamma, sì mamma, stai tranquilla", e uscivamo da casa alle due, con il mio amico Negro, con mio cugino Beto o con chiunque fosse, e alle due e un quarto stavamo già giocando, e dài e dài!, allo scoppio del sole, ci massacravamo e non ce ne importava niente... Verso le sette ci fermavamo un po', chiedevamo dell'acqua in qualche casa e seguitavamo. Giocavamo anche al buio. E adesso mi tocca sentire gente che dice: "Eh, nel tale campo non c'è abbastanza luce". Ma se io giocavo al buio, huij'e puta! Non so se eravamo figli della strada; ma sicuramente eravamo figli dei campetti. Se i vecchi ci cercavano, sapevano dove trovarci. Stavamo lì, a correre dietro al pallone.

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