Copertina
Autore Diego Marani
Titolo Sentieri partigiani in Italia
SottotitoloA piedi su alcuni dei più bei percorsi della Resistenza
EdizioneTerre di mezzo, Milano, 2006, Percorsi , pag. 160, ill., cop.fle., dim. 13,5x20,5x1 cm , Isbn 978-88-89585-61-0
LettoreRiccardo Terzi, 2008
Classe montagna , storia contemporanea d'Italia
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Indice


Partigiani in italia e in Europa                  6
Prima di partire                                 14

Ebrei in fuga tra la Francia e Cuneo             16
Cuneo e le valli Maira e Varaita                 34
La Val Grande e il Sentiero Chiovini             56
Il Sentiero Beltrami                             88
Marzabotto e Monte Sole, la strage e la quiete  110
Cercando la salvezza da Sulmona a Casoli        128

Altre storie e altri itinerari                  150

Bibliografia                                    154
Ringraziamenti                                  156


 

 

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Pagina 6

PARTIGIANI E GUERRE DELLA MEMORIA


Sui sentieri della Resistenza

È possibile parlare di Resistenza senza parlare di sentieri, di colline valli e montagne? Che cosa si può dire sui partigiani e su coloro che essi combattevano, dopo che in questi sessant'anni che ci separano dalla fine della seconda guerra mondiale l'Italia ha formato ben altre montagne sull'argomento? Montagne di libri (memorie di testimoni e protagonisti, ricostruzioni di storici, romanzi), di immagini (film, documentari e sceneggiati televisivi), di suoni (le "canzoni dei partigiani").

Esitiamo a parlare, ancor più a scrivere. La retorica e il già detto sono rischi sempre presenti. Così come la tentazione di ripetere parole che possiedono un significato molto preciso per chi ha vissuto certi avvenimenti, mentre suonano svuotate a chi ormai sente i fatti della Resistenza molto lontani. Meglio ascoltare, forse. Ma chi, e che cosa, immersi in questo brusio che tutto uniforma? Camminare è anche un modo di ascoltare. Dunque, scegliamo di andare a piedi su sentieri della memoria. Per chiederci che cosa è capitato tra questi boschi dall'8 settembre 1943 al 25 aprile 1945. Per cercare di ascoltare alberi, fiumi, colline, montagne: quanto sono cambiati? Per scoprire come e perché uomini e associazioni mezzo secolo dopo hanno ricostruito sentieri e memorie: che cosa vogliono ricordare e ricordarci? In queste pagine troverete la proposta di alcuni itinerari, dal Piemonte all'Abruzzo, che descrivono i passi di partigiani, ebrei, prigionieri di guerra in fuga, e i passi di chi sessant'anni dopo ha scelto di ricordarli in modo speciale. Questo non è un libro di storia ma racconta tante storie; non è una guida escursionistica classica ma ci troverete tutte le informazioni necessarie per iniziare a camminare; non è un reportage giornalistico ma ci troverete la testimonianza di molte donne e molti uomini che nell'Italia del 2005 hanno inventato un nuovo modo di ricordare.

Così Monte Sole non è solo il luogo dove si è svolto il più grave massacro di civili dell'intera Europa occidentale occupata dai nazisti, ma anche il luogo dove oggi esistono une splendido parco naturale e storico e un'attivissima scuola di pace.

I valichi alpini che congiungono la provincia d Cuneo e la Francia non sono solo sentieri all'interno di due parchi nazionali, anzi di un unico parco transfrontaliero, ma sono anche la memoria di un cammino - uno dei tanti - compiuti dagli ebrei, che spesso fuggivano e talvolta combattevano, anche tra i partigiani. Le valli a fianco del lago Maggiore che portano verso la Svizzera testimoniano non solo gli agguati partigiani e i rastrellamenti fascisti ma anche il lavoro dei contrabbandieri; essi "passavano" oltre frontiera insieme alle merci anche le persone. In Abruzzo il sentiero utilizzato dai prigionieri di guerra delle truppe alleate per sfuggire ai tedeschi e per ricongiungersi ai propri eserciti è anche cammino di pastori e memoria di uno straordinario esempio di resistenza umanitaria e civile.

Sulla Resistenza ormai sono state dette e scritte così tante parole e si sono viste così tante immagini che il rischio più preoccupante è l'oblio pianificato. E in Italia sono in troppi quelli che preferiscono dimenticare (non solo la Resistenza e i partigiani). O uno, per volontà e motivazioni personali, sa orientarsi nel labirinto di memorie, di interpretazioni storiografiche e di polemiche politiche, oppure forse è più utile prendere uno zaino e infilarsi un paio di scarponi. Per ricordare bisogna camminare.

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QUALCHE DATA DA RICORDARE

1 settembre 1939 La Germania invade la Polonia: inizia la Seconda guerra mondiale.

10 giugno 1940 L'Italia dichiara guerra a Francia e Gran Bretagna.

10 luglio 1943 Gli alleati sbarcano in Sicilia.

23 luglio 1943 Il Gran Consiglio del fascismo chiede la sostituzione di Mussolini, che viene arrestato e imprigionato sul Gran Sasso.

8 settembre 1943 Viene reso noto l'armistizio firmato dal governo italiano il 3 settembre a Cassibile, in Sicilia, con le truppe alleate. Sbando dell'esercito italiano. Truppe tedesche invadono l'Italia.

9-28 settembre 1943 Il 9 gli alleati sbarcano a Salerno. Il 12 i tedeschi liberano Mussolini e lo trasportano in Germania. Mussolini torna in Italia e proclama la Repubblica sociale italiana. Iniziano a formarsi le prime bande partigiane in molte zone dell'Italia centro-settentrionale.

4 giugno 1954 Gli alleati entrano a Roma.

13 novembre 1944 Il comandante inglese in Italia, il generale Alexander, lancia un proclama alle truppe partigiane affinché smobilitino per passare l'inverno e aspettare la vittoria alleata.

25 aprile 1945 Insurrezione generale proclamata dai partigiani in tutte le città dell'Italia centro-settentrionale.

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Guerre della memoria

Tra il settembre 1943 e l'aprile 1945 furono poco meno di 45mila i partigiani caduti e poco meno di 10mila i civili uccisi per rappresaglia (ai quali vanno aggiunti oltre 20mila partigiani mutilati e resi invalidi). Il numero dei fascisti e dei tedeschi morti nella guerra contro i partigiani non è ancora stato definitivamente precisato.

Il fascismo e il nazismo avevano educato una generazione alla violenza, alla guerra e alla morte. Avevano reso la violenza più "ovvia" e più "spietata", per utilizzare le parole di Claudio Pavone, lo storico autore di un libro che ha segnato una svolta nel dibattito sull'interpretazione della Resistenza. Una parte di questa generazione si è rivoltata contro di loro usando violenza e portando la morte. In guerra è scontata una dose di brutalità che in pace può sembrare inaccettabile? Gli alberi hanno memoria degli spari, delle urla di dolore, del silenzio della morte?

Nel frattempo la guerra della memoria continua, anzi sembra intensificarsi man mano che passa il tempo. Al punto che gli studiosi iniziano a considerare l'espressione "guerra della memoria" una categoria storiografica, ormai ci sono libri con questo titolo. Tipicamente italiana questa guerra della memoria vorrebbe accomunare il sangue dei vinti a quello dei vincitori affiancandoli in una sorta di fratricidio italiano.

Si assiste sempre più spesso al tentativo di mettere sullo stesso piano gli irriducibili sostenitori di Mussolini e i partigiani. In nome di una presunta "buona fede" riconosciuta a entrambi gli schieramenti, evocando il rispetto per tutte le vittime della violenza, insistendo sul bisogno di costruire una memoria non lacerata e non lacerante.

Nelle stragi di civili, nelle metodiche e spietate uccisioni di donne, vecchi e bambini compiute dai soldati tedeschi - molto spesso accompagnati e guidati da fascisti italiani, non bisogna mai dimenticarlo - si incontrano la criminalità di un regime (quello nazista, ma anche quello dei fascisti alleati fino all'ultimo con i tedeschi) con la criminalità degli individui, per riprendere la tesi dello storico tedesco Lutz Klinkhammer.

Molti dei reati compiuti dai singoli individui nella Repubblica federale tedesca del dopoguerra furono prescritti, in Italia amnistiati, così come sono stati "dimenticati" non pochi crimini e massacri compiuti dai soldati italiani all'estero. Eppure Klinkhammer ricorda che le diverse forme di amnistia giudiziaria non possono e non devono portare all'amnesia da parte dell'opinione pubblica e della coscienza civica.

Strumentalizzare politicamente ai fini di oggi questa guerra della memoria è fin troppo facile. Così c'è chi propone una legge per equiparare ai partigiani i fascisti che hanno combattuto per la Repubblica di Salò. E c'è chi nega il rapporto strettissimo - riconosciuto da tutti gli storici - tra Resistenza e Costituzione. La Resistenza è finita sessant'anni fa, l'antifascismo è invecchiato e malato, dunque la Costituzione può essere cambiata senza troppi patemi: questo dicono oggi non pochi politici, o sedicenti tali.

Una decina di anni fa Pietro Scoppola scriveva: "Questo aver vissuto insieme, tutti gli italiani, donne e uomini, combattenti e non, un momento di eccezionale rilievo morale è forse l'eredità della Resistenza intesa nel suo significato più profondo e comprensivo".

Bisogna camminare su sentieri della memoria per ricordare quel "momento di eccezionale rilievo morale". Non solo perché un giorno potrebbe tornarci utile, ma anche perché abbiamo la responsabilità di "non consentire che la storia del Novecento anneghi nel mare dell'indistinzione", come ha scritto Sergio Luzzato, visto che "ci è dato di scegliere quali antenati onorare e quali ricusare" e che "l'identità di una nazione si costruisce anche - così nel tempo come nello spazio - intorno ai luoghi della memoria".


I partigiani: una minoranza

Marco Revelli nel 1995 aveva scritto: "L'antifascismo fu quello: le poche migliaia di oppositori negli anni duri del consenso al regime, le mosche bianche del ventennio, e poi quella minoranza di massa... 9-10mila uomini, non di più, nell'autunno del 43, divenuti 20-30mila in febbraio-marzo 1944, poi 70-80mila nell'estate, e infine 120-130mila nell'imminenza della Liberazione... Quella "minoranza di massa" ha mostrato la possibilità - almeno la possibilità! - di scrivere un'altra storia. Di immaginare un'identità diversa".

Altri storici (Valerio Castonovo, Renzo De Felice e Pietro Scoppola, L'Italia del Novecento) hanno stimato in 175, massimo 200mila i partigiani nell'autunno del 1944: moltissimi erano ragazzi (delle classi 1923, 1924 e 1925) che si erano rifiutati di arruolarsi nell'esercito fascista della Repubblica di Salò, la quale il 18 febbraio aveva stabilito per legge la pena di morte per i renitenti alla leva, i cui termini erano scaduti l'8 marzo. I renitenti alla leva furono il 41 per cento, i disertori dell'esercito di Salò il 12 per cento. Dopo il 25 aprile 1945 ci fu la corsa a dichiararsi partigiani (almeno 250mila, e la cifra è stata stabilita sicuramente per difetto, nota Alberto Cavaglion).

In ogni caso non va mai dimenticato che quella partigiana fu una guerra di minoranza, non popolare: pur contando i 573mila appartenenti all'esercito repubblicano fascista, in totale fra i due opposti schieramenti alcuni storici stimano circa 4 milioni di persone (tra combattenti, fiancheggiatori, familiari) direttamente coinvolte. Gli italiani allora erano circa 44 milioni: dunque la guerra civile, stando alle cifre, fu una questione che riguardava meno del 10 per cento della popolazione. Eppure il significato della Resistenza e delle perduranti polemiche a essa collegate travalica le nude cifre.


Salire di quota

Resistenza per molti è sinonimo di montagna. Per descrivere questa relazione si sono talvolta utilizzate parole che oggi potrebbero suonare retoriche. Forse anche ha nociuto una certa concezione dell'alpinismo "eroico" degli anni trenta e anche degli anni dell'immediato dopoguerra. Certo però non mancano importanti figure di celebri alpinisti diventati partigiani e di partigiani diventati, dopo la guerra, alpinisti. Non è questa però la storia che vogliamo raccontare: nelle pagine di questo libro colpisce di più il rapporto con la media collina, o con le valli di montagna, piuttosto che quello con le cime da scalare.

I partigiani "andavano in montagna" nel senso che preparavano lo zaino (quando ne avevano uno) e abbandonavano città e cittadine del fondovalle. Per nascondersi, per sfuggire alla leva imposta dalla Repubblica di Salò e alle rappresaglie dei soldati tedeschi. Per avere la possibilità di difendersi meglio (in certe valli bastava rafforzare con uomini e armi le difese naturali, per renderle quasi inespugnabili). Sfruttavano le grotte per nascondersi, le malghe dei pastori e della gente di montagna per trovare qualcosa da mangiare.

C'è anche però un altro aspetto: andare in montagna è anche, per molti, la prima scelta di libertà. Sfuggire le città, considerate il luogo dei fascisti e dell'attendismo più o meno borghese. Spostarsi a piedi e far saltare in aria i ponti ferroviari o pezzi di strada.

Quando nel film Il partigiano Johnny - tratto dal romanzo di Beppe Fenoglio - si discute attorno al significato di occupare per qualche settimana la città di Alba, il protagonista non ha dubbi: "Le colline sono infinitamente più importanti della città". Anche perché "in città si dimentica tutto più in fretta". Mentre in collina, nelle quasi interminabili attese forzate, o ancor di più durante le lunghe ore di marcia, talvolta solitaria, non si può dimenticare. I ricordi tornano, le emozioni, i volti dei compagni caduti e quelli dei cari lasciati. Quando si cammina non si può dimenticare, anzi forse a volte c'è il problema di non riuscire ad alleggerirsi di ricordi indesiderati.

Nel film I piccoli maestri, tratto dal romanzo di Luigi Meneghello, dopo la scelta di un gruppo di studenti universitari di andare in collina per imparare a essere liberi e a "diventare partigiani", uno di loro, tornato a Padova per passare l'inverno del 1944-45, a un certo punto esclama: "Sono stanco di questa guerra di città. Preferisco farmi ammazzare tra i boschi", anche perché "in città tutto va avanti come se niente fosse". Altri invece preferirono passare quel durissimo inverno sulle colline, anche se "non ci sono più foglie per nasconderci".

Insomma ci si alzava di quota, si cercava la montagna per trovare un terreno e un territorio su cui resistere. In tutti i sensi.

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MARZABOTTO E MONTE SOLE, LA STRAGE E LA QUIETE

LA SCUOLA DI PACE E IL PARCO STORICO

LA STORIA

Efferata? Inumana? Bestiale? Eppure anche le SS tedesche e i loro collaboratori italiani erano uomini. Oppure no? Una scuola di pace e un parco - un parco storico - custodiscono il luogo che è diventato simbolo delle stragi compiute dai nazisti in Italia: Marzabotto. Quella che si conosce come "strage di Marzabotto" in realtà è stata compiuta sulle alture di Monte Sole. Marzabotto è uno dei tre comuni che compongono il parco e che hanno avuto vittime: gli altri due sono Monzuno e Grizzana Moranti.

Già Bologna è una città ferita, le stragi hanno attraversato la sua storia negli ultimi sessant'anni Chissà se è anche per questo che Bologna trova in sé gli anticorpi per non dimenticare, per cercare giustizia, per proporre alternative. Marzabotto non è lontana da Bologna, qualche decina di chilometri, meno di un'ora su uno splendido trenino che risale la valle del fiume Reno e si alza verso gli Appennini e la Toscana, uno di quei trenini che sono ancora così utili ai pendolari - studenti e lavoratori -, un trenino che ricorda racconti di zie e nonne. La linea è la cosiddetta "Porrettana" che va a Pistoia, e qui passa grosso modo parallela alla Bologna-Firenze (Monte Sole sta nel mezzo), strategica oggi come durante la Seconda guerra mondiale.


I partigiani di Marzabotto e dintorni si erano raggruppati nella brigata Stella Rossa. Basterebbe il nome per indicare che erano comunisti, invece la composizione politica della brigata non sarà mai omogenea e non mancheranno secessioni e polemiche. Il capo della Stella Rossa era Mario Musolesi, il "Lupo", un operaio meccanico, nato a Vado nel 1914, che già aveva combattuto la sua guerra come carrista, contro gli inglesi, in Africa settentrionale. Elena Monicelli, della Scuola di pace di Monte Sole, mi ammonisce: "Scelsero il colore rosso per dare fastidio ai fascisti. Due comunisti 'veri', in brigata dall'inizio, se ne andarono a Montefiorino scontenti della mancanza di connotazione politica. Il 'Lupo' stesso rifiutò con decisione il commissariamento da parte del Comitato di liberazione nazionale per non avere ingerenze politiche. La brigata è nata in un oratorio e ha sempre accolto partigiani 'bianchi'. Era una brigata di cittadinanza, non di lotta politica". Già nell'ottobre 1943 "Lupo" e altri antifascisti avevano deciso di organizzare gruppi armati di volontari per combattere i nazifascisti. Il 23 novembre la prima azione: sabotaggio di alcuni carri cisterna nella stazione Pian di Setta, sulla Bologna-Firenze. Quatto giorni dopo gli angloamericani bombardano una cartiera a Lama di Reno, 44 vittime fra operai e civili (35 erano di Marzabotto); bombardano anche Pian di Setta: altri 40 morti. Per alcuni partigiani, la guerriglia era anche un modo per accorciare la guerra. Gennaio e febbraio 1944: i "ribelli" della Stella Rossa si scontrano a più riprese con i soldati fascisti e quelli tedeschi. Ad aprile, quando ormai sono circa un centinaio, si spostano sul Monte Sole.

Tra i partigiani c'era il tenente "Karaton", che arrivò a comandare un gruppo di una quarantina di ex prigionieri di guerra sovietici. C'era "Sad", l'indiano di Nuova Delhi, con il suo turbante bianco e la barba nera, che aveva combattuto con gli inglesi. E poi "Jock", scozzese, e "Steve" sudafricano...

Tra aprile e maggio arrivano gli aiuti paracadutati degli anglo-americani: munizioni, armi e bombe a mano per i partigiani. I tedeschi sentono che quella presenza è un disturbo continuo alle vie di comunicazione, un pericolo costante per i soldati: il 28 maggio, 720 soldati cercano di rastrellare la zona per catturare i partigiani. Il rastrellamento fallisce, i partigiani conoscono perfettamente valli e colline, sentieri e boschi; inoltre la popolazione locale, nella maggior parte dei casi, ha scelto di aiutarli: li avvisa, li nasconde e li rifocilla. I tedeschi reagiscono subito allo smacco incendiando 47 case di civili, razziando bestiame e viveri, uccidendo i primi civili. Un monito a non continuare ad aiutare i partigiani? Un segnale premonitore?

Il 22 luglio 1943 è una giornata lunga, molto lunga. All'alba le SS rastrellano le pendici del Monte Salvaro. I partigiani combattono e respingono i tedeschi, uccidendo un capitano e un maresciallo. I tedeschi fucilano 11 civili a Bolzo e 15 a Pian di Setta. Lo stesso giorno altri partigiani attaccano fascisti e tedeschi a Monzuno, Pioppe di Salvaro e Lama di Reno: si combatte fino a notte. I tedeschi il giorno dopo fucilano 9 persone per rappresaglia in una cascina presso Marzabotto. Da queste parti non si tratta di una guerra civile, ma di una guerra contro i civili, come ha dimostrato la storico tedesco Lutz Klinkhammer.

11 agosto 1944: insurrezione a Firenze. Bologna sembra lontanissima: i partigiani e molti civili aspettano gli alleati, cioè la fine della guerra, ma questi non passano. Di mezzo ci sono gli Appennini, c'è la Linea gotica, il sistema di fortificazioni che attraversa gli Appennini - costruito dai tedeschi e dal lavoro forzato di molti italiani -, l'ultimo baluardo prima della pianura padana. Gli inglesi la attaccano a fine agosto, gli americani a metà settembre. I tedeschi arretrano ma non cedono, gli alleati arrivano a soli dieci chilometri in linea d'aria da Monte Sole. Intanto dall'altro lato continuano le rappresaglie: due ufficiali tedeschi uccisi il 7 settembre, 15 civili fucilati. Per tutto il mese continuano gli scontri, quasi quotidiani, tra tedeschi e partigiani. Poi arriva la strage.

Una settimana, dal 29 settembre al 5 ottobre 1944; da una parte circa 1.500 soldati tedeschi, dall'altra meno di 500 partigiani. Ancora oggi, a oltre sessant'anni di distanza, non esiste un pieno accordo sulle cifre. È sicuro invece che tra i tedeschi ci sono anche le SS comandate dal maggiore Walter Reder, che già hanno compiuto altre stragi, come a Sant'Anna di Stazzema. I soldati delle SS di Reder sono una truppa addestrata e specializzata nell'uccidere. Soprattutto civili inermi. I tedeschi accerchiano completamente Monte Sole e iniziano a salire. Gli scontri a fuoco sono decine, "Lupo" muore in una sparatoria, i "battaglioni" partigiani a poco a poco si sfilacciano in gruppetti che cercano di rifugiarsi sulle vette, di scollinare, di rompere in qualche modo l'accerchiamento. Forse nessuno immagina che i tedeschi si sarebbero potuti accanire contro vecchi, donne e bambini. Questi si rifugiano nelle case, spesso nelle chiese. I tedeschi fucilano e bruciano. Tutti e tutto. Non è più nemmeno una rappresaglia, è un massacro.


IL PROGETTO

Nadia Baiesi dal 2002 è la direttrice della Scuola di pace di Monte Sole ma è una decina di anni che lavora qui. Lei e le sue assistenti (ancora una volta donne a parlare di pace dove uomini hanno compiuto violenza, solo una coincidenza?) sono convinte che Monte Sole sia una memoria del passato che parla al presente. Per questo nella scuola sono arrivati nel corso degli anni serbi e albanesi (tutti provenienti dal Kosovo), israeliani e palestinesi, hutu e tutsi... Le reazioni, soprattutto dei giovani, sono talvolta sorprendenti. "In alcuni scatta una sorta di identificazione - ricorda Elena - ci chiedono perché raccontiamo di nuovo immagini e situazioni che i loro occhi hanno già visto nella realtà. Ci domandano: ma quando avrò io 70 o 80 anni, ricorderò ancora?

Altri ci chiedono, apparentemente quasi annoiati, che cosa ci sia di nuovo: gli assassini, gli stupri, le distruzioni non sono forse parte della guerra?"

Come si fa a spiegare tutto questo a un giovane italiano, o europeo, cresciuto nel lusso della pace e assuefatto alle guerre altrui attraverso anestetizzanti televisioni? Non è facile, ma chi lavora alla Scuola di pace ci prova. Per questo motivo, soprattutto se venite a camminare da queste parti in un piccolo gruppo, vale la pena incontrare quelli della Scuola di pace.


Il Parco di Monte Sole ha raccolto nel 2004 un dvd I testimoni di Monte Sole, con i ricordi delle origini della Stella Rossa e della guerra partigiana e la ricostruzione delle stragi. Nel dvd, ricco di interviste, ci sono le parole di chi non se l'è sentita di perdonare, nemmeno sessant'anni dopo; e le parole di chi - con grande semplicità - ammonisce: "Siate contro la guerra perché la guerra distrugge anche la coscienza umana" e se questo capita "uno non è più un uomo".

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