Copertina
Autore Annunziata Marciano
Titolo Andersen, Verne e Barrie: una lettura pedagogica
EdizioneFrancoAngeli, Milano, 2006, Cultura Scienza e Società , pag. 156, cop.fle., dim. 155x228x11 mm , Isbn 978-88-464-7904-4
LettoreGiorgia Pezzali, 2006
Classe critica letteraria , pedagogia , ragazzi , storia sociale
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Indice

Prefazione di Paolo Russo                                7

Premessa                                                 9

1. La sensibilità pedagogica verso l'infanzia nella
   cultura europea dall'Ottocento al Novecento          13

    1.1 Uno sguardo al cammino dell'educazione e
        dell'istruzione nell'Ottocento                  13
    1.2 Le istituzioni scolastiche in Italia ed
        in Europa nel XIX secolo                        22
    1.3 I1 posto della fantasia                         32

2. L'infanzia e il "re delle fiabe"                     41

    2.1 L'infanzia raccontata da H. C. Andersen,
        tra autobiografia, realtà e fantasia            41
    2.2 Il valore della narrazione                      60

3. L'infanzia esploratrice                              87

    3.1 Tra scienza, tecnologia e sentimento:
        in viaggio con Verne                            87
    3.2 L'infanzia e l'avventura,
        con lo sguardo al futuro                        97

4. La forza dell'infanzia                              123

    4.1 Verso l'Isola di J.M. Barrie: "seconda stella
        a destra e poi dritto fino al mattino..."      123
    4.2 Conquista dell'identità e vivere sociale
        dell'infanzia                                  144

Riferimenti bibliografici                              153

 

 

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Pagina 9

Premessa


Ci si interroga sulle dimensioni dell'infanzia e sulle dimensioni della vita; l'indagine conduce l'attento esploratore all'interno dell'uomo che rinasce ogni volta che si riscopre nel rapporto interattivo tra i suoi bisogni, la sua fantasia, la natura e, oggi, la tecnologia.

Il senso della vita acquista così colori e determinazioni che sono colti, raccontati e tramandati nella pluralità dei linguaggi propri della cultura, dandovi nuovo impulso e ricchezza di proiezioni.

Il valore pedagogico della letteratura per l'infanzia, nella specificità storica dell'Ottocento, trova motivi di grande attualità nella rilettura delle opere di tre famosi scrittori, H. C. Andersen, J. Verne e J. M. Barrie, in una narrazione dell'umanità che, a tre voci, è continua e articolata negli aspetti sostanziali della vita che sono universali e dentro ogni epoca.

Affiora uno sguardo della nuova visione dell'infanzia, impegnata ad affermare la sua identità, rispetto ad un mondo "adulto" che pone pregiudizi, barriere o liberalizzazioni in funzione di interessi variamente legati al sistema di vita e non necessariamente al rispetto della persona e alla specificità della dimensione dell'infanzia, che nel tessuto sociale dell'Ottocento era una delle età nella scala delle età della vita, e posta al gradino più basso, di certo, priva di considerazione specifica.

Si può dire diversamente, oggi, in contesti dove l'attenzione all'infanzia è assorbita da interessi consumistici che la vogliono protagonista nell'immagine e negli interessi degli adulti prima ancora che educata e formata nel cuore e nella mente, riproponendo antiche e nuove violenze.

Rileggere H. C. Andersen, J. Verne e J. M. Barrie può significare riscoprire la tridimensionalità di un mondo fatto di riflessività, di creatività, di tendenza socializzante, all'interno della quale è possibile collocare i rapporti e gli aspetti dell'educazione e della formazione.

È possibile infatti ritrovare il bambino riflessivo, guidato dall'attivismo e dall'animismo che governano la sua età e dalla speranza del lieto fine che caratterizza ogni sua azione; che vive la sue esperienze e le rielabora in modo intimo, riflettendo su di esse e traendone soluzioni quasi sempre positive: è il bambino di H. C. Andersen, quello stesso che oggi si propone come soggetto pensante, riflessivo, che fa tesoro delle sue esperienze, spontaneamente ne colora i contesti e ne anima gli oggetti, rendendo concreta la sua fantasia e costruendo passo dopo passo il suo immaginario e il suo essere.

Questo stesso bambino è un esploratore, è curioso, vuole indagare il mondo che lo circonda, vuole entrare nei fenomeni e negli ambienti, e si avvale delle invenzioni che proiettano l'uomo oltre ogni confine per nuove scoperta, proprio come i protagonisti di J. Verne; tutto è avventura, viaggio e allo stesso tempo conoscenza di sé e del mondo. I perché dell'infanzia sono i perché degli esploratori verniani e la volontà di andare avanti, di saperne sempre di più è essenziale in questo orizzonte. Emerge in ciò anche la nuova identità del fanciullo "navigatore" o "nomade" che oggi rischia di perdersi in internet, che è alla scoperta di nuovi siti, nuovi mondi, nuove persone e che, in questo modo, mette in gioco se stesso, la sua forza e la sua volontà.

È condizione dell'essere umano,e più propriamente dell'infanzia, anche il sentimento della solitudine e dell'incomprensione, se non proprio il vivere in tali condizioni; ed ecco allora il valore della risposta associativa, cooperativistica, che è sospinta e alimentata dalla forza della fantasia nella concretezza di un sé tra gli altri coetanei con il comune bisogno di affermarsi, di decidere, di reagire socializzando timori, difficoltà e cercando insieme le soluzioni più appropriate.

Si è così immersi nella piccola comunità dei bambini smarriti, compagni di Peter Pan, il quale li rappresenta per la comune sorte avversa nel venir meno degli affetti familiari; è lui stesso espressione dell'impulso fantastico, un impulso che trae vigore dalla reazione alla mancanza della mamma che lo ha lasciato fuori dalla sua vita, ma dove non mancano gli amici ad accoglierlo, prima gli uccelli, e cioè la natura; poi le fate, e cioè l'immaginazione; quindi i bambini sperduti come lui, e cioè la condivisione.

Si tratta di tre grandi temi che si dipanano e si intrecciano per rappresentare l'età infantile intersecando problematiche su cui la pedagogia ha dibattuto e dibatte; essi permettono di chiarire dettagli che hanno spessore proprio perché consentono la comprensione della forza dell'infanzia, narrata e vissuta nei diversi generi diversi della sua letteratura, e che trova espressione concreta nella realtà della sua esistenza.

H. C. Andersen, J. Verne e J. M. Barrie hanno evidenziato tutto questo affermando, oltre a ciò, il valore della narratività, della riflessione sulla vita, della memoria, della costruzione del sé, utilizzando la fantasia ma anche l'autobiografia, secondo un pensare moderno dell'essere nel mondo dell'infanzia.

Si affaccia così, nelle fiabe e nei racconti, l'idea della costruzione della soggettività, certamente situata storicamente, ma aperta al divenire e all'essere, salvaguardando l'immaginazione, la creatività, ma anche la razionalità. È l'idea della formazione umana che avviene attraverso la problematicità, la dialetticità delle esperienze vissute, il gioco, il pensiero utopico, il continuo rapporto essere-dover essere, fare-dover fare, la bipolarità soggetto-mondo all'interno della quale si collocano le azioni e i comportamenti.

Nelle opere affiora l'autenticità dell'esistenza infantile, la sua manifestazione libera e spontanea, che viene intesa, nell'ottica pedagogica, come autoeducazione, che si costruisce attraverso la presa di coscienza dei problemi, del mondo e di se stessi.

Inoltre, i personaggi, gli ambienti, le scoperte, i viaggi, le avventure fantastiche e nostalgiche e ogni altro elemento che sarà ritrovato nei singoli capitoli non potevano, all'epoca in cui sono vissuti questi scrittori, non sollecitare anche il pensiero e il comportamento dei piccoli lettori, in modo frammentato, a compartimenti di una cultura "per piccoli" e per "più grandi".

Sicuramente si è realizzato un collante tra attività di lettura e spunto educativo, proprio perché non si può pensare che non sia stata sollecitata la costruzione della coscienza e nutrita la formazione della personalità.

Gli autori citati, nelle singole specificità territoriali e temporali, sono stati testimoni di cambiamenti e hanno saputo ben intersecare il loro pensare e il loro essere con i motivi storico-politici, culturali, sociali, educativi del tempo, sfuggendo, mirabilmente, al convenzionalismo e alla temporalità, tanto che hanno offerto, nella diversità degli stili e dei pensieri, idee originali capaci di imporsi nel tempo futuro, proprio per aver guardato all'infanzia nella sua concretezza e vitalità.

Si è cercato, con questo lavoro, di aggiungere un tassello alle critiche e alle letture già proposte, volgendo lo sguardo ad un orizzonte, quello pedagogico, che aiuta ad uscire da ricerche parcellizzanti e generiche, soprattutto se si considera la complessità che la rinascita dell'infanzia assunse nel secolo considerato e che è problema vivo nella contemporaneità.

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Pagina 97

3.2 L'infanzia e l'avventura, con lo sguardo al futuro

Le esperienze della vita hanno un grande significato nella crescita e nella educazione dei bambini, che comunque è stata in genere pensata come intenzionalmente diretta e organizzata da chi educa; in modo particolare, come si è visto, nel XIX secolo anche gli scrittori per l'infanzia assumevano spesso questo ruolo facendo rientrare le proprie opere in una progettualità educativa e di acculturazione.

Ci si chiede quale peso possa avere avuto J. Verne in questo ambito e se la sua opera possa essere proiettata oltre le prospettive date, basandole su strategie e scelte di senso in cui, anche se in modo non esplicito, è presente il richiamo all'educativo.

Le descrizioni dei mondi esplorati e dei personaggi, quelli dei più famosi viaggi e delle straordinarie avventure, consentono una lettura pedagogica degli scritti di J. Verne, all'interno di un orizzonte concreto e vivo nella sua originalità.

Ciascuno matura nell'infanzia l'idea di sé e del mondo, di una vita reale e immaginaria, di progetti che potranno essere realizzati; ad uno sguardo attento si può vedere che nell'Autore si oscilla sempre tra il certo e il possibile, l'ignoto e l'atteso, il desiderio di scoperta continua, il calcolare e ricalcolare il dato e l'immaginato, il vivere in continua proiezione. Se ogni cambiamento, ogni conquista, soprattutto in età infantile, è affermazione di sé e attuazione dell'identità e dell'intenzionalità, J. Verne offre all'infanzia ogni elemento non solo per essere e crescere nel tempo e nello spazio, ma anche per orientarne il futuro, attraverso gli esempi, e non solo, dei suoi più famosi personaggi.

L'interpretazione dei mondi e dei protagonisti delle singole opere certo non è stata univoca, anzi multiforme è stata l'attenzione della critica.

F. Savater, per esempio, considera i personaggi di J. Verne come

"pura esteriorità, occhi che guardano o mani che afferrano, termometri che registrano gli sbalzi di temperatura o mantici che accusano mancanza d'ossigeno; il loro ridottissimo retroterra interiore è volto a fenomeni elementari come la resistenza all'avventura (Axel del Viaggio al centro della terra) o al mistero: il capitano Nemo non possiede uno spessore psicologico ma un segreto".

Quando F. Savater parla del libro Viaggio al centro della terra lo definisce "uno dei più portentosi e indimenticabili del ciclo"; e soprattutto fa notare come in questo romanzo ci sia tutto J. Verne:

"lo scenario insolito, l'impresa prodigiosa, l'adolescente timido e restio, ma intraprendente, l'adulto energico che porta a termine l'iniziazione, le forze indomabili dell'occulto, il significato implicitamente metafisico del rischio e della scoperta".

Sempre a proposito di Viaggio al centro della terra, che inaugura, come è stato ricordato, l'impegno di J. Verne come scrittore di viaggi, avventure e fantascienza, P. Boero e C. De Luca fanno notare la presenza degli aspetti distintivi della narrativa verniana:

"dall'ipotesi scientifica dello «stato liquido» del centro della terra alla struttura dei personaggi".

Un'esperienza diversa è quella di Ventimila leghe sotto i mari, con la differenza, come dice ancora F. Savater, che "adesso non si scende più per poi risalire (...) ma per insediarsi definitivamente nel cuore della diversità".

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4. La forza dell'infanzia


4.1 Verso l'Isola di J. M. Barrie: "seconda stella a destra e poi dritto fino al mattino..."

I bambini sono stati e sono oggetto di attenzioni, discriminazioni, sfruttamento, pietismo, esaltazione, legati all'efficientismo, alla economicità, alla bellezza, alla trasmissione ereditaria.

Sono variamente interpretati in base a criteri di difesa e di affermazione dei sistemi sociali, dei centri di potere sia laico che religioso, della famiglia, degli individui.

Potrebbe apparire strano che ci sia chi affermi una loro capacità di autonomia organizzativa singola e o di gruppo, nella relazionalità, nella propositività, nella costruttività di un percorso originale di vita, in reazione alle barriere, alle violenze e ai falsi moralismi, propri di una società industriale, e comunque adultistica quale quella inglese di fine Ottocento - primo Novecento e, in genere, dei contesti con analoga espansione produttiva.

In questa epoca le fabbriche e i quartieri operai costituiscono la nuova dimensione di vita o di sopravvivenza dell'infanzia che è, per molti aspetti, simbolo della precarietà, anche se non mancano, nei racconti per ragazzi del tempo, giovani protagonisti di un mondo borghese, per i quali la vita non scorre certo tra le difficoltà dei piccoli operai. Anche questo mondo però ha proprie regole, che impongono scambi di ruoli tra mondo infantile e mondo adulto, con conseguenti implicazioni che comportano per i fanciulli l'assunzione di ruoli di responsabilità adultistici e il dover sottostare ad atteggiamenti di estremo rigore: tutto a mortificare le esigenze proprie della loro età. Eppure, alla fine del XIX emerge un'attenzione a sostenere tali esigenze connotandole degli aspetti pedagogici della libertà e dell'aggregazione, nutriti e legittimati nella dimensione fantastica, assumendo, a volte, quasi un carattere "sovversivo".

Originale è senz'altro il "caso" di Peter Pan, che sfugge la realtà borghese proponendo un'esistenza nell'atemporalità e nell'Isola-che-non-c'è, rifiutando conformismi e anche condannandoli. In tutto ciò, anche se non evidenti e dichiarati, non mancano richiami pedagogici, che possono dare senso a motivi spesso poco considerati nella narrativa inglese del periodo.

Il creatore di Peter Pan, J. M. Barrie, nacque in Scozia il 9 maggio 1860, nella cittadina di Kirriemuir. Era il nono di dieci figli e trascorse l'infanzia in una famiglia di modeste condizioni; crebbe ascoltando storie di avventure e di pirati raccontate dalla madre, appassionata di R. L. Stevenson.

Il padre era un artigiano tessitore; la madre viene ricordata come una donna dalla forte personalità radicata nelle tradizioni popolari del villaggio in cui la famiglia viveva; R. Gorgoni annota che ai suoi dieci figli la donna impose "le regole dell'osservanza religiosa, un comportamento ineccepibile, lo studio attento delle sacre scritture, la frequenza domenicale della Chiesa".

Si trattava di un clima radicale e abbastanza repressivo "tipico di famiglie della piccola borghesia scozzese, fondata su una educazione di stretto rigorismo morale" che certo contribuì "non poco a fare di Barrie un ragazzo frustrato che ricercava nell'inventiva fantastica e nelle parentesi dei giochi una fuga di liberazione", secondo R. Gorgoni.

Dopo la morte del fratello e una profonda depressione della madre, si creò un legame ossessivo, quasi di amore-odio, tra questa e il piccolo James, che segnò profondamente la vita dello scrittore; il dolore per la perdita del fratello, David, nel 1867, a soli quattordici anni per un incidente mentre pattinava, e il particolare rapporto stabilito con la madre furono motivi di tormento per tutta la sua vita: le sbarre di ferro alla finestra della mamma, quando Peter Pan decide di tornare a casa dai giardini di Kensigton, non a caso sono state considerate la rappresentazione simbolica del distacco e dell'esclusione, sostanziandosi nell'impossibilità del figlio di avere la giusta collocazione nella vita della madre.

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Pagina 144

4.2 Conquista dell'identità e vivere sociale dell'infanzia

L'esperienza creativa, la conquista dell'identità, la relazione, il gioco, ma anche l'abbandono e l'affermazione dell'autonomia, sono i temi che affiorano nella lettura dei libri che narrano la storia di Peter Pan, originali non solo per il contenuto in sè, ma anche per le riflessioni che sollecitano. Scrive F. Cambi:

"James Barrie, con Peter Pan esalta l'alterità dell'infanzia, rispetto all'età adulta, le sue incompiutezze e il ruolo che in essa gioca il desiderio e il possibile".

Il "bambino" Peter Pan si mette in gioco e si apre a nuove relazioni con gli altri e con il mondo, a volte anche esagerando, ma vivendo pienamente la sua inventività e creatività.

Ciò caratterizza l'infanzia che vuole essere "senza tempo" e "senza luoghi", proprio per "essere", al di là della magia, della polvere di fate, dei pensieri felici, che possono permettere anche agli uomini di volare.

Si tratta in effetti di una visione prospettica che implica l'educazione alla creatività, all'esplorazione, ma anche al vivere sociale, al viaggiare non solo con la fantasia, in un'infanzia spesso nutrita di eccessivo infantilismo e che invece ha bisogno di alimentarsi anche di iniziativa, di azione, di forza, di spontaneità, di rischio, di impegno, di immaginazione, per la costruzione della sua personalità matura.

A. Carotenuto ricorda come

"in una delle prime battute del testo, Peter Pan confessa alla piccola Wendy di essere scappato di casa il giorno stesso della sua nascita: «Perché ho sentito papà e mamma parlare di quello che sarei dovuto diventare quando fossi stato uomo»".

Sembra che la paura di diventare grandi sia il fondamentale elemento della storia; ma in effetti questa richiede un'analisi più accurata dell'infanzia, della sua potenziale solitudine e, spesso, del suo stato di abbandono, anche quando è avvolta da attenzioni e premure. L'incomprensione genera infatti distanza e non è semplice esplorare il mondo infantile e dare le risposte giuste: i genitori e gli educatori lo sanno bene.

Nella lettura sia di Peter Pan nei giardini di Kensington che di Peter Pan il bambino che non voleva crescere occorre andare oltre il desiderio di non diventare adulti e di restare eternamente bambini, e anche oltre la critica indirizzata allo stile di vita che andava già maturando nella società di quel tempo, con la tensione ad affermare il mito dell'eterna giovinezza.

Il riferimento, di fatto, è diverso e anche più profondo. Si parla in sostanza della società inglese della seconda metà dell'Ottocento; H. Cunningham in questo periodo e a tale proposito denuncia un elevato livello di abbandono di neonati, e non solo nei brefotrofi, problema sul quale cercavano di intervenire soprattutto persone impegnate nella filantropia; scrive:

"Nel discorso filantropico/missionario possiamo spesso avvertire la sorpresa per l'abisso che separava la realtà e gli ideali dell'infanzia quali erano conosciuti dalle classi medio-superiori e quello che si poteva osservare nel campo oggetto della loro missione".

L'Isola-che-non-c'è di Peter Pan accoglie i bambini abbandonati e probabilmente non solo quelli costretti a vivere in condizioni di miseria, degrado e abbrutimento, sfruttati nel lavoro e completamente analfabeti.

In effetti i costumi sociali imponevano di affrontare un urgente problema pedagogico di ampio respiro, non limitato solo ai bambini degli slums e dei quartieri operai, ma rivolto anche a quell'infanzia apparentemente senza problemi, eppure probabilmente costretta a crescere troppo in fretta. Si trattava di mettere in campo un progetto educativo organico e idoneo a valorizzare l'infanzia in sé, all'interno della complessa struttura sociale e l'Isola-che-non-c'è poteva ben essere una risposta, sebbene utopica, alla risoluzione del problema se analizzata come mondo proprio del riscatto di questa infanzia.

Nell'attenzione che J. B. Barrie le riserva c'è quasi un fare "pestalozziano"; si tratta, infatti, di leggere spunti anche pedagogici, senza retorica, in ciò che può apparire essenzialmente fantastico; il "capitano" Peter Pan in fondo è guida dei suoi piccoli amici e fa ripensare al metodo lancasteriano secondo il quale, nell'Inghilterra del tempo, erano i ragazzi più grandi ad insegnare a quelli più piccoli.

E nell'esaltazione della coesione del suo gruppo sembra quasi affiorare una forma di educazione sociale, che aiuta a sconfiggere l'abbandono e la solitudine.

Certo con Peter Pan si va sempre più in là, perché si va oltre la disciplina e le regole prescritte, ma nell'Isola-che-non-c'è ci sono comunque regole che fondano la vita sociale dei suoi piccoli membri, tra l'altro, sempre in attesa di qualcuno, una mamma, che possa raccontare le storie e che non debba più farli sentire orfani.

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