Copertina
Autore Annamaria Lilla Mariotti
Titolo Fari
EdizioneWhite Star, Vercelli, 2005 , pag. 176, ill., cop.ril.sov., dim. 230x377x18 mm , Isbn 978-88-540-0342-2
LettoreFlo Bertelli, 2006
Classe architettura , fotografia , mare
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Indice

  8  INTRODUZIONE
 20  TORRE DI ERCOLE  Spagna
 24  HOOK HEAD  Irlanda
 28  LA LANTERNA  Italia
 32  LE CORDOUAN  Francia
 38  PORTLAND BILL  Gran Bretagna
 44  FORTE STELLA  Italia
 46  PORTLAND HEAD  Usa
 50  FANAD HEAD  Irlanda
 54  KAP ARKONA  Germania
 58  BERLENGA  Portogallo
 62  CABO MAYOR  Spagna
 66  SKERRYVORE  Gran Bretagna
 70  CABO DE SÃO VICENTE  Portogallo
 74  GIBB'S HILL  Bermuda
 78  CASTRO URDIALES  Spagna
 80  POINT LOMA  Usa
 84  BISHOP ROCK  Gran Bretagna
 88  SAN VITO LO CAPO  Italia
 90  CRÉAC'H  Francia
 96  CHIPIONA  Spagna
100  PEGGY'S COVE  Canada
104  CAPE HATTERAS  Usa
108  BODIE ISLAND  Usa
112  LONGSHIPS  Gran Bretagna
116  BROTHERS ISLANDS  Egitto
118  EDDYSTONE  Gran Bretagna
122  MACQUARIE  Australia
126  HECETA HEAD  Usa
132  CAPE BYRON  Australia
134  ÎLE VIERGE  Francia
138  FASTNET ROCK  Irlanda
144  LA MARTRE  Canada
148  TASMAN ISLAND  Australia
152  SPLIT ROCK  Usa
156  LA JUMENT  Francia
162  KÉRÉON  Francia
170  PUNTA MADONNA  Italia

 

 

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Pagina 8

INTRODUZIONE



        "LA PROMINENZA ROCCIOSA SI PROTENDE IN MARE APERTO,
        SULLA PUNTA ESTREMA, DISTANTI ALCUNI CHILOMETRI,
        IL FARO INNALZA LA SUA MURATURA MASSICCIA: UN
        PILASTRO LUMINOSO DI NOTTE, NEBULOSO DI GIORNO".
        da "The Lighthouse"
        Henry Wadsworth Longfellow (1807-1882)



"L'affascinante storia dei Fari si perde nella notte dei tempi
e va di pari passo con la storia della navigazione..."



L'uomo ha scoperto molto presto che poteva muoversi agevolmente attraverso l'elemento acqua. Dagli Egizi ai Fenici le vie del mare si ampliarono e si allargarono, ma la navigazione rimase prevalentemente costiera e diurna. Quando l'uomo imparò a orientarsi con le stelle, cominciò a navigare anche di notte, Facendo i conti con scogli affioranti, banchi di sabbia, correnti. In quell'epoca nacque l'usanza di rischiarare la notte con i primi "Fari", che non erano altro che falò di legna accatastata, situati nei luoghi più pericolosi per segnalare la rotta ai naviganti. I primi fuochi, che dovevano restare accesi tutta la notte, richiedevano continua cura: occorreva combustibile, sapienza tecnica, presenza costante dell'uomo.

Omero, nel XIX libro dell'Iliade, paragona lo scudo sfavillante di Achille a uno di questi fuochi: "[Achille] s'imbracciò lo scudo / Che immenso e saldo di lontan splendea / Come luna, o qual fuoco ai naviganti / Sovr'alta apparso solitaria cima / Quando, lontani da' lor cari, il vento / Li travaglia nel mar...".

Molti altri poeti classici dell'antichità hanno rappresentato il faro ispirandosi al mito di Ero e Leandro, gli amanti segreti. Ero, sacerdotessa consacrata ad Afrodite, aspettava ogni notte il suo amante sulla riva dell'Ellesponto, che egli attraversava a nuoto per raggiungerla, guidandolo con una fiaccola accesa; ma una notte il vento spense la luce, Leandro si perse tra i flutti ed Ero, disperata, seguì la sua sorte.

I falò cedettero il passo a strumenti di segnalazione più potenti quando, con l'evolversi della navigazione commerciale, vennero costruiti i grandi porti sulle rotte più trafficate. Uno dei più noti, inserito nel 200 a.C. da Filone di Bisanzio tra le sette meraviglie del mondo, è il Colosso di Rodi, un'enorme statua antropomorfa che rappresentava Elios, il dio del sole, con un braciere acceso in una mano. Secondo la tradizione era alta almeno 70 cubiti (circa 32 metri) ed era costruita a cavallo dei due bracci del porto, con le navi che passavano sotto le sue gambe. In realtà sull'aspetto della scultura l'opinione degli storici è divergente; i documenti, viceversa, concordano nell'attribuire l'enorme statua a Cario di Lindos, che intorno al 290 a.C. l'avrebbe costruita in pietra ricoperta da piastre di bronzo. Il colosso ebbe vita breve: crollò, infatti, a causa di un terremoto 80 anni dopo la sua erezione. Una leggenda racconta che nel VII secolo d.C. i suoi resti furono venduti da un commerciante ebreo a dei mercanti arabi e che alcune parti finirono in Italia, per essere usate nella costruzione della famosa statua di San Carlo ad Arona, sul lago Maggiore. Il Colosso di Rodi non fu storicamente l'unica rappresentazione antropomorfa di un faro. In epoca moderna, la Statua della Libertà fu collocata all'ingresso del porto di New York come aid to navigation ("aiuto alla navigazione"): era cioè un faro a tutti gli effetti, sia pure a luce fissa, gestito dal Servizio Fari americano ed elettrificato poco tempo dopo la sua collocazione.

Il faro per eccellenza, un'altra delle sette meraviglie del mondo, fu quello di Alessandria, la grande città fondata da Alessandro Magno nel 332 a.C. sulla costa mediterranea dell'Egitto. Il faro ebbe vita lunga, ma assai travagliata. Edificato da Sostrato di Cnido intorno al 280 a.C. sull'isolotto di Pharos (oggi un promontorio), di fronte ad Alessandria, occupò l'immaginario collettivo delle popolazioni greche e latine al punto che il nome della località sulla quale sorgeva divenne sinonimo di quel genere di struttura. La sua costruzione fu iniziata sotto il regno di Tolomeo I (305-283 a.C.), già generale di Alessandro Magno, e terminata durante il regno di suo figlio Tolomeo II (285-246 a.C.), faraoni dell'Egitto ellenistico, l'ultima dinastia che sarebbe terminata con Cleopatra e con la dominazione romana. È il faro più famoso dell'antichità: alto 120 metri, rivestito di pietra bianca, vantava una straordinaria visibilità a più di 30 miglia di distanza, grazie a un gioco di specchi che amplificava l'effetto del braciere posto sulla sua sommità. Aveva una base quadrata alta 71 metri sulla quale si ergeva una sezione centrale ottagonale lunga 34 metri che terminava in una lanterna cilindrica, sulla cui sommità svettava una statua di Zeus. All'interno, un larga rampa consentiva di portare alla lanterna, per mezzo di muli, il combustibile, composto da legna resinosa. La torre dava inoltre alloggio a una guarnigione di soldati di guardia al porto. Nel 641 d.C. il faro fu danneggiato nel corso dell'assedio posto dagli Arabi alla città. In seguito fu distrutto da una serie di terremoti. Nel 1995 una spedizione di archeologi subacquei francesi, guidati da Jean Yves Empeneun, mentre esplorava i fondali del porto di Alessandria alla ricerca di vestigia dell'antica città, si è imbattuta in enormi blocchi di granito che sembrerebbero provenire dalla base del faro.

Fatta eccezione per le strutture monumentali, l'antichità conobbe la proliferazione dei semplici falò, accesi sui punti più alti della costa. È con i Romani che vennero edificate le prime torri con bracieri di fascine e legna. Sempre grazie ai Romani il modello di queste costruzioni venne esportato dal bacino ristretto del Mediterraneo sino alle coste spagnole e francesi, arrivando al Canale della Manica e oltre, dovunque arrivasse la conquista latina. In Italia, nel 50 d.C., l'imperatore Claudio fece erigere un porto a Ostia, poi ampliato da Traiano nella forma che ha ancora oggi, come sbocco sul mare della capitale. Al suo ingresso troneggiava un faro ispirato a quello di Alessandria, nell'aspetto come nelle dimensioni, che ancora oggi si può vedere rappresentato nel pavimento a mosaico del piazzale delle Corporazioni di Ostia Antica.

Altri edifici simili sorsero ovunque vi fosse un porto romano, dal Tirreno all'Adriatico. La proliferazione dei fari lasciò un'impronta anche su monete e bassorilievi, ad esempio sulla Colonna Tnaiana a Roma. Prima della caduta dell'Impero Romano 30 torri di segnalazione illuminavano il mare lungo le coste del Mediterraneo e dell'Atlantico.

[...]

Nella fantasia collettiva non esiste faro senza guardiano. Una presenza insostituibile per lunghi secoli, una figura stretta tra avventura e leggenda. I primi furono probobilmente schiavi che raccoglievano e accatastavano la legna per accendere, dal tramonto all'alba, i fuochi sulle colline o nei bracieri in cima alle torri. Nel Medioevo i falò di segnalazione furono alimentati dai monaci, che forse consideravano loro preciso e sacro dovere alimentare la fiamma sulla torre più alta per segnalare i pericoli alle navi di passaggio. A partire dal 1800, con la moltiplicazione del fari così come li conosciamo, la figura del guardiano, spesso accompagnato dalla famiglia, acquisì altra consistenza. Ancora indispensabile alla manutenzione tecnica, il guardiano divenne l'eroe di un mondo di frontiera, al confine tra la terra e il mare, affacciato su un'estensione affascinante e terribile, capace di aggredire le fondamenta delle torri più robuste. Un uomo dai nervi d'acciaio, che guarda con indifferenza le mareggiate più spaventose che ascolta senza paura il ruggito dell'oceano in tempesta e che, capitano di un veliero senza vele e senza timone, resiste alla furia della natura armato della sola forza di volontà.

L'evoluzione della tecnica negli anni ha reso più facile la vita dei guardiani, alleggerendone i compiti, fino a rendere la loro presenza inutile. Con l'avvento delle fotocellule e dei computer comandati a distanza, le famiglie si sono stabilite in abitazioni lontane dal mare e i guardiani stessi si sono convertiti in tecnici specializzati, che si trasferiscono a bordo di elicotteri per manutenzioni di routine. Dimentitati la solitudine, il caldo, il freddo e l'umidità, i guardiani hanno lasciato alle spalle storie avventurose e bollettini noiosi, grazie ai quali si tramandano la noia di giorni sempre uguali, ma anche l'adrenalina di straordinari atti di eroismo. Si racconta, ad esempio, del guardiano del faro di Portland Head, nel Moine, che improvvisò una rudimentale teleferica dalla cima della torre agli albri di una nave naufragata sugli scogli, riuscendo, con l'aiuto della moglie e del figlio, a portare in salvo l'equipaggio. Si dice poi del dramma dell'ultranovantenne guardiano del secondo faro di Eddgsrone che nel 1755, nel tentativo di spegnere un incendio, inghiottì del piombo fuso colato dalla lanterna e morì pochi giorni dopo e ancora, della fatalità che costò la vita al guardiano di Waugoshance, sul lago Michigan, quando una sera del 1894 camminando lungo il pontile di attracco non ne vide la fine e cadde nel lago dove annegò: una leggenda racconta che il suo spirito vaga ancora tra le rovine del faro. Il guardiano del faro di Marettimo, in Italia, assicurava di convivere con i fantasmi dei marinai deceduti durante la battaglia navale nello stretto di Sicilia del 1942, ai quali preparava tutti i giorni un posto a tavola...

Nei fari in alto mare, torri squassate dalle onde, spesso ondeggianti, dove i rifornimenti erano scarsi e l'avvicendamento molto difficile, la vita era ai limiti dell'umana sopportazione. Negli anni '30 del 1900 il guardiano del faro dell'isola di Cavoli, a sud-est della Sardegna, durante una terribile tempesta che aveva interrotto i collegamenti con la terraferma per giorni, si vide costretto ad andare a raccogliere i gabbiani sbattuti dal vento contro le rocce per dar da mangiare alla sua famiglia. Ancora recentemente in fari lontani, è possibile per un guardiano rischiare la vita, come è successo durante lo Tsunami che il 26 dicembre 2004 ha sconvolto il Sud-Est Asiatico: in India, a Indica Point, il capo più meridionale del paese, l'onda ha spazzato via ogni cosa, risparmiando solo la torre, in cui i soccorritori non hanno trovato più nessuno.

Radar, Loran e Gps hanno dato a mercantili e petroliere strumenti assai più efficienti del vecchio fascio di luce bianca. Ma i fari non sono solo torri segnaletiche. Per i marinai il faro è l'occhio benevolo di un amico, la luce che filtra dalle finestre di casa, il ritorno, la speranza di interrompere una navigazione troppo lunga, la sensazione che il pericolo sia ormai alle spalle. Per la gente comune il faro è un monumento civile, dal fascino misterioso. Un obelisco che parla agli dèi del mare, una sentinella che protegge, un baluardo che difende. Ma anche una rassicurante opera d'ingegno, di quelle che aiutano ad affronrare le straripanti forze della natura e che infondono fiducia nella capacità dell'uomo. Per chi ama respirare le emozioni che gli edifici storici sanno assorbire e trasferire, i fari sono storie da raccontare, vite vissute, naufragi, eroismi, truci storie di fantasmi, vento che sibila su per le scale a chiocciola, urlo del mare incattivito, tamburellare della pioggia sui vetri. Spunti eccezionali anche per i letterati, da Le phare au bout du monde di Jules Venne, a To the Lighthouse di Virginia Woolf e The Guardian of the Light di Sergio Bambaren.

Ma che fine faranno i fari? Appartengono forse a un'epoca senza presente e futuro, di cui saranno semplici, muti, souvenir? Alcuni saranno venduti ai privati, che li trasformeranno in residenze, o in alberghi, o in appartamenti per vacanze "d'avventura". Altri saranno conservati per tramandare ai posteri i valori storici e umani che il faro incarna. Altri ancora saranno mantenuti in funzione, almeno finché la navigazione di piccolo cabotaggio, cioè i diportisti e i pescatori, non potrà contare su mezzi tecnologici del tutto affidabili. Ma anche quando tutte le imbarcazioni del mondo saranno dotate di computer e ricevitori satellitari, quanti vorranno rinunciare alla vista rassicurante di quel gigante benevolo, che dalla costa sorveglia e protegge?

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