Copertina
Autore Caterina Marrone
Titolo I geroglifici fantastici di Athanasius Kircher
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2002, Scritture 10 , pag. 166, cop.fle., dim. 150x210x15 mm , Isbn 978-88-7226-653-3
LettoreCorrado Leonardo, 2003
Classe storia , storia antica , linguistica , scrittura-lettura , scienze improbabili , paesi: Egitto
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Indice

Indice delle illustrazioni 9

CAPITOLO PRIMO

La quarta faccia dell'Obelisco Alessandrino 13

1   Un ritrovamento fortuito 13
2   Il lato incognito dell'Obelisco
    Alessandrino 15
3   La traduzione moderna delle iscrizioni
    dell'Obelisco 19
4   L'Obelisco Alessandrino come geroglifico 21
5   L'interpretazione simbolica 27
6   La ricostruzione del geroglifico 31

CAPITOLO SECONDO

Il copto e l'egizio antico 37

1   L'egittologia kircheriana 37
2   La passione del geroglifico 39
3   Il Prodromus Coptus 4°
4   Isaac Casaubon e il Corpus Hermeticum 45
5   Ininfluenza della falsa cronologia del
    Corpus Hermeticum 47
6   Primo approccio al geroglifico 50

CAPITOLO TERZO

Le fonti kircheriane 55

1   Gli antichi 55
2   Il Rinascimento 67
3   Geroglifici, ideogrammi e scrittura profana
    71

CAPITOLO QUARTO

Cosmogonia dell'immagine simbolica 85

1   L'Obeliscus Pamphilius e la Fontana dei
    Fiumi 85
2   L'Oedipus Aegyptiacus e l'interpretazione
    del geroglifico 100

CAPITOLO QUINTO

Il geroglifico kircheriano 107

1   Caratteristiche del geroglifico kircheriano
    107
2   L'analogia 109
3   L'intuizione 114
4   La motivatezza 116

CAPITOLO SESTO

Rebus, poligrafie, crittografie 123

1   Le poligrafie 123
2   La scrittura segreta 137

CAPITOLO SETTIMO

Biografia e autobiografia 147


Note 155

Bibliografia 161


 

 

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Pagina 37

CAPITOLO SECONDO

Il copto e l'egizio antico


1. L'egittologia kircheriana

Athanasius Kircher fu scrittore d'eccezione e la sua gigantesca opera enciclopedica abbraccia quasi un cinquantennio di storia secentesca, gli anni centrali del secolo XVII. Con stupore e sconcerto si suole guardare a questa smisurata figura di intellettuale le cui conoscenze - autentica sfida per un secolo di specializzazione come il nostro - sembrano non finire mai e paiono anzi crescere continuamente. Ma se l'ampiezza e la versatilità delle inquietudini intellettuali dello studioso provocano sconcerto e sorpresa, non meno perplessità desta il fatto che, nel secolo del dubbio metodico e della rivoluzione scientifica, Kircher abbia mantenuto una tale sicurezza e fermezza delle proprie opinioni e dei propri convincimenti da essere paragonabile a un filosofo scolastico del secolo XII. La fiducia nella Tradizione, nella Ragione e nella Fede che il gesuita mostra in ogni scritto della sua sterminata opera costituisce una vera e propria sfida per la mentalità scettica dell'uomo contemporaneo.

La sua produzione inizia nel 1631 con l' Ars Magnesia, pubblicata a Würzburg, per finire nel 1679 quando viene stampato il Turris Babel ad Amsterdam, un anno prima della sua morte. L'opera complessiva del gesuita consta di 44 testi tra manoscritti e libri a stampa, alcuni in più volumi, scritti nel latino scientifico dei dotti dell'epoca (SONNINO 1999:69), dove gli studi relativi alla ricerca sulla scrittura egizia ricoprono un posto di grande rilievo. La produzione kircheriana sull'egizio antico consta di almeno sei opere importanti, distribuite nel tempo, che sono: il Prodromus Coptus sive Aegyptiacus (1636), il Lingua Aegyptiaca restituta (1643), l' Obeliscus Pamphilius (1650), l' Oedipus Aegyptiacus (1652-54), l' Obelisci Aegyptiaci nuper inter Isaei Romani rudera effossi interpretatio hierogliphica (detto comunemente Obeliscus Alexandrinus) (1666), e la Sfinx mystagoga (1676). Tali libri stanno a testimoniare da una parte l'intensa attività dello studioso per ciò che riguarda la trascrizione di documenti e la raccolta di tutti i materiali egizi disponibili nella sua epoca e, dall'altra, la grande passione che egli ebbe per le scritture scomparse e il suo vivo desiderio di penetrarne il segreto.

L'amore per l'Egitto e l'instancabile ricerca di Kircher intorno alla "scrittura sacra" conquistarono l'interesse del mondo intellettuale e scientifico europeo a lui coevo sull'argomento e il suo nome venne indelebilmente associato ai geroglifici e all'antica civiltà faraonica. Per questo motivo egli viene considerato il fondatore degli studi egittologici e come tale lo si trovaa tutt'oggi di frequente citato quando si legge un qualunque libro sui geroglifici. Ma anche se in questi testi vengono messi in risalto il suo sapere enciclopedico, la sua poliedrica versatilità e il suo amore antiquario per le antiche scritture, si finisce poi inevitabilmente per dipingerlo come un erudito di grande sapere ma di poco genio che commise il grave errore - ma per l'epoca plausibile - di credere che il geroglifico avesse caratteristiche simboliche e non linguistiche. Sicché la ricerca sulla "scrittura sacra" di padre Athanasius è diventata quasi un paradigma per mostrare ciò che non si deve fare e la sua concezione del geroglifico un esempio aneddotico da "grandi errori della scienza". Se la strategia di "decifrazione" da lui usata lo condusse in un vicolo cieco, non si può tuttavia non riconoscere che Kircher fu effettivamente il promotore moderno degli studi egittologici e l'iniziatore dell'egittologia come disciplina a sé. E non si può non ricordare che egli, rigettando la visione a volte solo ornamentalista del geroglifico, tracciò quella nuova linea di ricerca che contemplava la possibilità di connettere il copto alla lingua dei faraoni.

In bilico tra due epoche, Kircher è un personaggio poco classificabile che si concede al nuovo portandosi dietro tutta la tradizione passata ed è difficile dare di lui un giudizio definitivo. In ogni caso al di là dei pro e dei contro, degli argomenti a suo favore e a suo discapito, lo spirito col quale guardare oggi all'opera egizia di Kircher dovrebbe essere profondamente mutato. Chi si trovi a sfogliare i suoi grandi volumi pieni di magnifiche e raffinate incisioni, di immagini preziose, di sontuosi frontespizi dovrebbe assumere una disposizione d'animo scevra da "scientificità" male intesa, e tendere soltanto a contemplare e a godere questa formidabile fantasia geroglifica che nulla ha a che fare con la scrittura dei faraoni.

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Pagina 102

Si è detto che Kircher non riesce a pensare se non per immagini (RIVOSECCHI 1982), in verità pensare per immagini per il gesuita non è una limitazione, ma è invece la realizzazione di una forma mentis che egli persegue ininterrottamente. Kircher vuole pensare per immagini perché questa forma di pensiero è il raggiungimento di un vero e proprio telos filosofico ed è l'autentica mèta che si prefigge di attuare in ottemperanza alla tradizione filosofica nella quale si colloca il suo pensiero. Ecco dunque che l' Oedipus Aegyptiacus porta disegnate sul frontespizio, come per sintetizzare in uno sguardo d'insieme il contenuto filosofico del testo, le "autorità" della Tradizione: la Sapienza egizia, la Teologia fenicia, l'Astrologia caldea, la Cabala ebraica, la Magia persiana, la Matematica pitagorica, la Teosofia greca, la Mitologia, l'Alchimia araba, la Filologia latina. Ed è su tali pilastri che si fonda il pensiero e la dottrina del gesuita. Nel terzo tomo di questa immane opera egizia che è l' Oedipus troviamo la più estesa e grande trattazione del geroglifico che Kircher abbia dato. Nella sezione dedicata al Theatrum Hieroglyphicum egli contesta la natura discorsiva della scrittura faraonica ribadendo ancora una volta che siccome i geroglifici esplicano concetti mistici e simbolici attraverso segni inventati dagli Egizi "con somma felicità d'ingegno", essi non possono certamente essere fatti di sillabe, di parole e di periodi. La qual cosa dice di aver egli stesso già ripetutamente provato contro coloro che, persuasi da chissà quali argomenti, credono invece che sotto i geroglifici siano semplicemente contenute storie e lodi di re. Come afferma Giamblico, autore sempre citato da padre Athanasius, per interpretare i misteri occulti degli Egizi, manifestati nei simboli-geroglifici, bisogna invece tralasciare le parole e cogliere il senso complessivo dell'immagine. Per spiegare questo procedimento Kircher riporta alcune esemplificazioni, assumendo come geroglifico il disegno di un bassorilievo proveniente dalla zona dell'Iseo Campense (dove era stato trovato anche l'Obelisco Alessandrino), conservato nel suo Museo. Già da questa premessa è possibile evincere che il suo concetto di geroglifico esula da quello che noi modernamente intendiamo, perché nell'idea kircheriana ogni figura che sia capace di comprendere non solo aspetti denotativi, ma di rimandare anche, e soprattutto, a sensi nascosti e "altri" - ogni segno che dia origine a uno slittamento continuo del senso (ECO 1990:42-99; PELLEREY 1992:64 e sgg.) - viene denominata "geroglifico"; e questo avviene principalmente con la "scrittura" egizia. Il gesuita quindi "legge" il reperto archeologico affermando che la figura incisa su di esso è un copricapo, oggetto che da una parte ha la funzione che gli è propria, referenziale - si mette sulla testa degli dèi - ma dall'altra possiede un suo significato occulto. La raffigurazione consta di una fiamma, di due serpenti che portano in testa una sfera e di uno stelo graminaceo con fiore e frutto, sopra i quali sta un globo. La caratteristica del geroglifico, sostiene Kircher, sta proprio nella completezza di questa visione d'insieme e consiste nel non avere lettere, sillabe o parole, ma nel consegnare l'intero (integrum) senso ideale alla mente. Tale senso, tradotto in parole, se questo è possibile, nel caso del copricapo, è il seguente: "La natura eterna e immortale degli dèi elargisce vita, fuoco, colore, moto, fecondità delle cose, a tutti coloro che li coltivano".

Padre Athanasius continua mettendo in evidenza che non era solo importante il significato delle cose dette ma anche l'efficacia aggiunta che il simbolo-geroglifico aveva nell'ambito delle cose del mondo. Gli Egizi infatti, riporta lo studioso, credevano che attraverso la ratio occulta dei simboli, così particolarmente gradita agli dèi, si potesse ottenere quanto i simboli stessi significavano; in questa maniera i geroglifici non indicavano soltanto le operazioni astratte e imperscrutabili del Mondo Archetipo ma anche gli effetti prodotti nei Mondi Intellettuale, Sidereo ed Elementare. Il cappuccio della raffigurazione da solo significa le ragioni del Mondo Archetipo, posto sulla testa del falco le virtù del Mondo Sidereo, e collocato sulla testa di Iside o di Nephti o dei Geni Elementari, le operazioni del Mondo Elementare. In consonanza con questo sistema gerarchico di corrispondenze, gli Egizi costruivano i geroglifici interpretando le operazioni del Mondo Elementare come allegorie dell'ordinamento divino e pertanto includevano "nell'albo delle sacre lettere" soltanto quelle immagini di "oggetti" e di "operazioni" che ritenevano sacri agli Dèi perché possedevano una certa somiglianza e analogia con le operazioni divine. E ciò vale per tutti i geroglifici, la cui natura è fondamentalmente astratta e mentale, tanto che il gesuita tende a precisare come "in alto, in basso, a destra o a sinistra, in qualsiasi luogo siano posti", i geroglifici danno il loro senso integro e perfetto indipendentemente dai supporti sui quali sono scolpiti: obelisco, tavole marmoree, oggetti ecc. (Oedipus,III:61-2). La ripetizione di questo "integro" (integer), poi, spesso trovato in più punti delle trattazioni kircheriane, riferito insieme al contenuto concettuale e alla espressione figurale, sembra voler mettere in evidenza ancora una volta la natura non lineare della figura geroglifica rispetto alla parola.

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