Copertina
Autore Alessandro Marzi
Titolo blogout
Sottotitolo13 diari dalla rete
EdizioneNovecento, Roma, 2003, Amphore , pag. 320, dim. 150x210x18 mm , Isbn 978-88-88423-32-6
CuratoreAlessandro Marzi, Frabrizio Ulisse
LettoreRiccardo Terzi, 2003
Classe narrativa italiana
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Indice

:: this is not a blog song             7
:: Burroughs, Strelnik, la fuffa e io 11

:: flamingpxl                         15
:: a battle                           41
:: leonardo                           61
:: biccio                             85
:: rillo                             109
:: polaroid                          131
:: la pizia                          151
:: wile                              171
:: gat                               193
:: argazzi                           211
:: arkangel                          237
:: acido folico                      267
:: blogorroico                       289

 

 

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Pagina 7

[ This is not a blog song ]

di Alessandro Marzi


Circa dieci anni fa Ted Nelson apriva l'introduzione del suo Literary Machines 90.1 con queste parole: "All'improvviso, tutti parlano di ipertesti. Si sente questa parola dovunque. A una conferenza nel marzo 1987 l'ho sentita nove volte attraversando il salone dell'albergo."

Oggi, anche se l'argomento è diverso, lo scenario si presenta simile e, con buona pace del sig. Nelson, la cui figura è ancora oggi in ugual misura oggetto di adorazione e scherno, trovo legittimo ed interessante partire proprio da lì per provare ad introdurre questo lavoro.

All'improvviso, dunque, tutti parlano di "blog", in quella che potremmo definire la sede naturale rappresentata dal web e nella sua trasposizione di massa rappresentata dai media classici. E, al tempo stesso, si definiscono interpretazioni, si costruiscono modelli, si creano categorie intorno a questo tema, analizzato e descritto nelle sue diverse angolazioni e sfaccettature.

In questo libro - e so bene quanto di paradossale e contradittorio ci sia nella frase in sé - nulla di tutto ciò avviene. Questo non è un libro sui blog. In queste pagine non ci sono definizioni, non ci sono indicazioni e analis, non ci sono teorie: piuttosto, un tentativo ingenuo di verificare l'effetto dato dalla trasmigrazione di una nuova forma di scritturà verso un'altra - non vecchia ma semplicemente altra. Senza contraffazioni tecniche - che sarebbero davvero semplici in questo caso - e al di là di qualsiasi ritocco editoriale, la scrittura traghetta se stessa verso un nuovo spazio. Un percorso, quindi, ma aperto, dinamico, ridefinibile: un percorso di senso, che parte dagli autori ed arriva a chi legge intrecciando strade differenti, in equilibrio tra loro e, prima ancora, si snoda idealmente e trova forma nei sentieri inconsueti che dal web portano alla carta.

In questo, l'esercizio della lettura prende anch'esso direzioni diverse; l'indice, da indicazione forzata, diviene una convenzione simbolica, una porta verso altre porte. Leggendo questo libro dalla prima all'ultima pagina avrà un senso; leggendolo passando da un autore all'altro avrà un senso; leggendolo saltando da un post all'altro avrà un senso. Leggendolo più volte, inventando ogni volta un nuovo percorso, si otterrà ogni volta un significato differente. Perché questo libro è - ancora - un insieme di percorsi di senso in cui i significati diventano centrali rispetto alle definizioni, alle tecnologie, ai modelli. E, piuttosto che dare risposte, pone altre dòmande, come sempre accade quando la ricerca dei significati diventa prioritaria.

Mettere da parte le considerazioni tecniche e le divagazioni semantiche, quindi, per lasciare spazio alle storie, autentiche, degli autori. Leggere ad occhi chiusi per meglio coglierne le tonalità espressive, le variazioni cromatiche. Dietro questi nick, dietro i soprannomi fantasiosi, le persone: non si parla di blog ma i blog parlano, ecco la possibile differenza. Autori, con gli strumenti del nostro tempo, come costruttori di significati. Buona lettura.

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Pagina 11

[ Burroughs, Strelnik, la fuffa e io ]

di Fabrizio Ulisse (aka Biccio)

:: ore 00:04 :: Interno notte, o giorno forse. La luce del monitor confonde la percezione degli spazi, delle cose. Non accendo una sigaretta perché ho smesso, eppure potrei, in serate come questa in cui il caldo ti prendé alla gola e centinaia di parole vorrebbero essere dette ma invece no, rimangono in un non-luogo senza forma né consistenza, forse per mancanza di movente, di coraggio. Chissà. Mi alzo rapidamente, e la testa mi affonda in un altra dimensione. "Forse dovrei mangiare più frutta" penso, mentre mi reggo alla sedia per non crollare, esangue. Ma passa. E così, senza un motivo apparente, ma accompagnato forse da quei presupposti cosmici che sono sempre lì a disporsi nei modi che fanno succedere le cose, gli occhi mi cadono su un vecchio libro di Burroughs.

"Il controllo dei mass media dipende dallo stabilire delle linee di associazione. Quando le linee sono tagliate le connessioni associative sono interrotte. (...) Potete tagliare la linea bisbigliante dei mass media e metter fuori per le strade la linea bisbigliante alterata con un registratore. Considerate la linea del bisbiglio della stampa quotidiana. Va su con i giornali del mattino, milioni di persone che leggono le stesse parole (...) Tutti che reagiscono in un modo o nell'altro al mondo di carta di eventi non visti che diventano una parte integrante della vostra realtà. Noterete che questo processo è continuamente soggetto a giustapposizioni a caso. (...) Chi vi ha telefonato mentre leggevate l'articolo nel Times?" (William Burroughs, Electronic Revolution, 1971) Ora so cosa volevo dire.

[...]

:: ore 01:30 :: Dicevamo, che senso ha? "... Tutti che reagiscono in un modo o nell'altro al mondo di carta di eventi non visti che diventano una parte integrante della vostra realtà..." Allargare la linea del bisbiglio, portare la fuffa nel mondo fisico. La bellezza del blog è il suo essere così simile allo stream of consciousness di Joyciana memoria, flusso infinito di parole senza soluzione di continuità, interrotto soltanto dalla scelta di voler cambiare identità, per poi proseguire in qualche caso su un binario diverso, forse parallelo, certamente infinito. Un blog ha sempre un inizio casuale, ma mai un finale naturale. È immortale, o viene ucciso se svaniscono le condizioni che lo hanno battezzato. Questo rende il blog un modo diverso di raccontare: il suo essere così simile alla vita stessa nel suo essere privo di deus-ex-machina al contrario di una sceneggiatura, o di un racconto, persino di un articolo di giornale; parole in cerca di autore, gettate lì a prender forma e a dar forma di rimando a noi stessi come in quelle splendide immagini di volti costruiti con milioni di fotografie disposte una accanto all'altra. Portare queste parole sul treno, sull'autobus, in poltrona, renderle indipendenti dai server, dalla connessione ad Internet, dalle bizze di Windows, vuol dire riportarle là dove sono nate, sottraendole al perverso destino dell'inevitabile oblio nel cosmo digitale. Fra 50 anni questo libro sarà ancora qui. Potreste dire lo stesso di Blogspot o Splinder? O dei vostri floppy smagnetizzati? O delle vostre sbiadite stampe inkjet? Sono 13, certo, ma avrebbero potuto (e forse dovuto) essere molti, molti di più.

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Pagina 61

[ leonardo ] http://leonardo.blogspot.com/


Mi chiamo Davide Ognibene (non è vero), abito a Modena, ho trent'anni (è vero), ho aperto un blog all'inizio del 2001. All'inizio non mi leggeva nessuno, salvo qualche amico che era stato messo al corrente della mia esistenza. Poi, lentamente, si è sparsa la voce. Di cosa parlo nel mio blog? Di me (non è vero). Di politica. Di scienze umane, del resto sono umano anch'io. Sotto sotto, si tratta di letteratura, ma non si deve sapere in giro... ops/ troppo tardi.


:: 7/2/01 :: IL FUTURO È FATTORINO

Di questi tempi, quando ho il frigo vuoto, difficilmente trovo il tempo per andarlo a riempire. Non credo che in futuro le cose andranno meglio, per quanto riguarda il tempo; in compenso credo che sarà la tecnologia ad aiutarmi.

Infatti tra un paio d'anni, recessione permettendo, stimo di poter iniziare a fare la spesa on line. Andrò sul sito della coop (o della conad, a seconda dei prezzi, della grafica, delle politiche ambientali) e selezionerò i prodotti, invierò una mail, e un fattorino verrà a recapitarmi le sporte a casa (non sarà più umiliante abitare al terzo piano senza ascensore), Avrò così più tempo da dedicare al mio lavoro.

Rimarrà la fatica di controllare cosa manca nel frigo.

Ma tra cinque-sei anni, penso che anche questa fatica mi sarà evitata da un frigorifero intelligente che mi avverta da solo sulle scadenze delle merci, sulle carenze (se manca il latte), sulle eccedenze (troppi pomodori, poi vanno a male), sui gusti dei famigliari (le sottilette non vanno mai via), ecc... Il frigorifero mi manderà una mail e io farò l'ordine ai fattorini.

Avrò così più tempo da dedicare al mio lavoro.

Infine, tra meno di dieci anni, se non si sovrappongono crisi, calamità, pestilenze, se insomma la civiltà occidentale resiste, la tecnologia mi doterà di un frigorifero non solo intelligente, ma anche affidabile, il quale manderà direttamente le mail ai fattorini, senza chiedermi il permesso. Al massimo sarò io a chiedergli di tanto in tanto più o meno gelati, a seconda di come me la passo. Ma col tempo il frigorifero imparerà a conoscere i miei cicli e stati d'animo, non dovrò più dirgli nulla, arriverò a casa la sera con la cena già bella e recapitata dai fattorini, e avrò più tempo da dedicare al mio lavoro.

Il quale lavoro consisterà, se le mie previsioni non sono errate, nel fare il fattorino, sgobbando dodici ore al giorno per strada e su per le scale, a portare la spesa a un sacco di persone come me che non hanno il tempo di farla, perché anche loro fanno i fattorini.

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Pagina 85

[ biccio ] http://www.biccio.com

Si leggono libri, si vivono istanti, si guardano film, si ascolta musica. E poi si parla, si ascolta, si sogna... e si cambia, a volte per un giorno, a volte per sempre. Credo di aver aperto un blog per fissare lo scorrere di questo fiume impetuoso che chiamiamo vita... e per riderci sopra.


:: 13 settembre 2001 ::

Ieri sera riflettevo su quanto gli eventi influiscano sul tessuto culturale complessivo inteso come somma di migliaia di piccole molecole di stati d'animo, frammenti di attività quotidiana, riflessi, interpretazioni.

Gli eventi di questi giorni ci stanno insegnando che viviamo (abbiamo vissuto?) in un epoca in cui la Storia, semplicemente, non esiste (non esisteva?). Come si genera cultura in una civiltà privata della Storia? Parecchi anni fa (1984, molto prima di Naomi Klein), Frederic Jameson introduceva il concetto di Post Modern nel volume "Il post moderno, o la logica culturale del tardo capitalismo": "...Si può dire che la cultura del simulacro prenda vita in una società in cui il valore di scambio si è talmente generalizzato da cancellare la stessa memoria del valore d'uso, una società in cui, come ha osservato Guy Debord con una frase straordinaria, 'l'immagine è diventata la forma finale della reificazione' ..."

La nostra generazione è cresciuta immersa in questa non-cultura del simulacro. Chi si ricorda le famose notti della Guerra del Golfo? La guerra virtuale, in cui le bombe sono verdi fosforescenti e portano il marchio della CNN. Oggi qualcosa si è spezzato; il confine tradizionale tra il mondo occidentale privo di Storia e il resto del mondo si è spostato. Quante volte abbiamo osservato i due aerei scontrarsi con le twin towers? E ogni volta abbiamo cercato di "sentire" sulla pelle, ma non bastano cento volte, mille volte, diecimila volte. Eppure sappiamo, sappiamo che questo dolore "fisico" è più vicino, percepiamo la "verità" di questo dolore, anche se ancora in modo indistinto, confuso. E forse cerchiamo (nostro malgrado), di simulacrizzare qualcosa che non si può simulacrizzare. E, tanto più la geografia avvicina l'uomo al luogo dell'evento, al luogo dove la Storia è tornata, tanto più l'uomo percepisce la "verità" di questo dolore. È questa, forse, la tragedia più grande con cui ci stiamo confrontando: la Storia è tornata, e noi non ce lo aspettavamo.

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Pagina 151

[ la pizia ] http://www.lapizia.net/

"Grenouille, il protagonista de 'Il Profumo' di Suskind, era in grado di sentire odori finissimi, di scinderli nelle sue componenti e ricomporli in diverse forme. Si divertiva a ricreare gli odori di tutte le cose che annusava, l'odore della terra, dei sassi, della rugiada sull'erba al mattino, di una strada di città sotto al sole, o quello di una ragazza che sta per diventare donna. A volte, quando cerco le parole per chiudere in un post di poche righe quello che sento o che ho voglia di dire in quel momento, faccio come Grenouille, cerco di mettere in bottiglia un odore particolare, fatto delle giuste quantità di quella e quell'altra sostanza. Non altre. Poi chiudo il tappo e ci metto un'etichetta. Non c'è nulla come un odore che mi faccia rivivere una sensazione in maniera precisa. I miei ricordi sono tutti legati agli odori. Quello che spero quando scrivo è di poter imbottigliare per bene quel profumo intenso, specifico, e mai uguale che hanno i pensieri, per riaverli tali e quali a com'erano ogni volta che aprirò la boccetta."


:: 26 aprile 2001 ::

Quando si è tutti dentro di sé si comprende il mondo intero, tutto passa per il nostro pensiero e il nostro pensiero ingloba ogni cosa, copre, sovrasta, raggiunge e supera il visibile come un'invisibile ragnatela che parte dalle mani, dagli occhi, da ogni cellula della pelle. E quando si decide di rientrare in sé questi tentacoli si ritirano lasciando le cose come sono. Torniamo come gli altri in mezzo agli altri. Slegati. Si può guardare ma non si vibra più.

Così ogni volta che si esce da sé stessi in realtà si rientra nel mondo. Ogni volta che si implode si resuscita sulla Terra.

Sono stata dentro abbastanza. È ora di tornare fuori. Riprenderò a correre la sera, a rileggere il giornale, ad andare al cinema, e finirò Baudolino, che ho lasciato sulla strada verso Oriente e voglio vedere se riuscirà mai ad arrivare così lontano...


:: 9 Maggio 2001 :: [ VACANZE 2001 ]

Cerchi un posto dove riposarti, dove sia sempre una domenica mattina di Maggio? Dove la musica accompagni in sottofondo il dondolio di un'amaca in giardino? Dove la luce sia quella delle scogliere sul mare a mezzogiorno, i colori quelli dei gerani sui balconi e l'odore più forte, tra una miscela che non si può descrivere, simile a quello del sale sulla pelle? Cerchi un posto dove ci sia tanta aria quanto una vallata d'alta montagna può contenerne, ma che sia nascosto come in fondo alla conchiglia più elaborata, e vago come i contorni di un'alba su un lago d'autunno? Cerchi un posto dove passare un'ora o una vita? Dove il tempo sia un cerchio senza inizio e senza fine, sempre uguale e sempre diverso? Dove si possa passeggiare e scoprire sempre nuovi angoli, o rimanere a guardare la stessa onda che va e viene ai tuoi piedi? Cerchi una terra che di notte non perda il suo calore? Che le piogge innaffiano senza bagnare? Che ti canti da lontano e ti culli senza chiederti niente in cambio? E che poi ti stupisca con le sue 100 stagioni, una per ogni umore e per ogni eta' della vita, o che sia il più pieno dei niente, dove potersi abbandonare senza però mai perdersi completamente?

Questo posto è la mia fantasia. Un'isola che non c'è. Inutile prenotarsi, chi riuscira' a partire in realtà è già arrivato. See you there...

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Pagina 169

:: 8 ottobre 2002 :: [ non succede solo da McDonald ]

Gigi nel 1990 aveva 18 anni e lavorava da McDonald. Allora di McDonald a Roma ce n'erano solo 3, e da McDonald ci si andava dopo la scuola, il sabato sera, la domenica pomeriggio, dopo il cinema, prima della discoteca, con gli amici, o la ragazza. Faceva figo mangiare da McDonald e faceva ancora più figo lavorarci dentro. Non ce n'erano molti di posti fighi dove si poteva guadagnare a 18 anni, nel 1990. Gigi, col suo berrettino rosso e arancione, vicino al pagliaccio Ronald ad incartare panini in serie si sentiva molto figo.

Oggi Chicco ha 20 anni e lavora in E-Tree. Il web designer pare la cosa più cool che si possa fare oggi e lui si sente molto cool a incartare siti web in serie, con la sua t-shirt di Lupin sopra la maglia a maniche lunghe, e le Puma ai piedi. Ci sono pochi posti cool, oggi, che ti permettono di andare via di casa a 20 anni facendo una cosa così cool come il web designer.

Dove sta la differenza fra Gigi e Chicco? Non c'è. Tutti e due sono stati presi, insieme ad altri, un tanto al kilo, messi a produrre molto per guadagnare poco, convinti facilmente da parole come "fast food" e "open loft", berretto in testa o maglietta di FlashMX.

Solo che Gigi lo sapeva, nel 1990, che non avrebbe lavorato tutta la vita da McDonald. Chicco, invece, l'aveva presa sul serio 'sta storia del web designer. E così il giorno che viene chiamato dal capo con tutti gli altri e scopre che la sua sede di Roma ha chiuso e che il giorno dopo dovranno tutti mettere le loro cose nel loro zainetto della Diesel e andarsene, si ritrova a 21 anni senza sapere come riciclarsi. E pure la maglietta di Lupin è già passata di moda.

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