Copertina
Autore Marco Valerio Marziale
Titolo Epigrammi
EdizioneUTET Libreria, Torino, 2006 [1980] , pag. 950, cop.fle., dim. 120x190x53 mm , Isbn 978-88-02-07362-0
CuratoreGiuseppe Norcio
LettoreFlo Bertelli, 2006
Classe classici latini , satira , erotica
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Indice

  7 Introduzione
 63 Nota bibliografica
 83 Nota critica

 91 Il libro sugli spettacoli


115 Epigrammi

117 Libro I
185 Libro II
233 Libro III
285 Libro IV
337 Libro V
387 Libro VI
437 Libro VII
495 Libro VIII
547 Libro IX
615 Libro X
683 Libro XI
743 Libro XII
799 Libro XIII
843 Libro XIV

919 Appendice metrica

925 Indice dei nomi

 

 

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Pagina 19

II. Gli epigrammi di Marziale

L'opera poetica di Marziale è una delle più imponenti tra tutte quelle che ci ha tramandato l'antichità classica. Il raffronto, naturalmente, va fatto con quei poeti coi quali Marziale ha maggiore affinità, cioè coi poeti lirici, intendendo «lirici» nel senso più ampio. Catullo, Tibullo, Properzio, lo stesso Orazio ci hanno lasciato opere meno ampie; dei lirici greci del periodo classico (esclusi Teognide, Pindaro e Bacchilide) ci è pervenuto molto poco; e poco nel complesso abbiamo di Callimaco e degli altri elegiaci alessandrini. L' Antologia Palatina ci ha conservato, è vero, un numero enorme di componimenti: ma essa non appartiene a un solo poeta, ma a una miriade di poeti, e non abbraccia una sola generazione di uomini, ma molti secoli di storia.

Di Marziale abbiamo 15 libri, contenenti 1561 epigrammi, per un totale di 9787 versi. Tre di essi hanno titoli speciali e cioè: Liber de spectaculis, Xenia, Apophoreta. Gli altri sono numerati progressivamente da 1 a 12. Come tante altre forme poetiche, anche l'epigramma nacque in Grecia. Il primo autore di epigrammi fu Simonide di Ceo, un poeta del VI sec. a. C., sotto il cui nome ci sono pervenuti parecchi componimenti, alcuni dei quali molto belli, come quello in onore dei caduti alle Termopili. In questa sua prima apparizione l'epigramma, conformemente alla sua etimologia (cfr. ... = scrivo), è un'iscrizione sepolcrale. Una ricca fioritura di epigrammi si ebbe due/tre secoli più tardi, nell'età ellenistica, con Asclepiade di Samo, Callimaco, Leonida di Taranto e altri: con essi l'epigramma non è solo iscrizione sepolcrale, ma anche espressione di uno stato d'animo o descrizione di un avvenimento. Conserva tale carattere fino a Meleagro (sec. I a. C.), autore di bellissimi epigrammi di contenuto amoroso. Dopo Meleagro il contenuto dell'epigramma si allarga ancora: spunta l'epigramma satirico, di cui un notevole rappresentante fu Lucillio, un poeta vissuto nell'età di Nerone. A Roma l'epigramma fa la sua prima apparizione con i poeti del circolo di Lutazio Catulo, che vissero tra il II e il I sec. a. C. (ricordiamo Porcio Licino e Valerio Edituo autori, insieme a Lutazio Catulo, di epigrammi erotici, alcuni dei quali ci sono pervenuti) e poi nei poetae novi dell'età di Cesare. Meritano soprattutto di essere ricordati, sia per il loro valore artistico, sia per l'influenza che esercitarono su Marziale, gli epigrammi di Catullo. Nell'età di Augusto altri poeti tennero viva la tradizione dell'epigramma, come Domizio Marso, Albinovano Pedone e Getulico, che vengono ricordati da Marziale nella praefatio del libro I. Lunga e ricca è dunque la storia dell'epigramma: ma il rappresentante più completo e illustre di questa forma poetica fu Marziale.

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Pagina 115

EPIGRAMMATON LIBRI
EPIGRAMMI



LIBRO PRIMO


Penso di aver seguito nei miei libretti una misura tale, che impedirà a chiunque ha la coscienza tranquilla di muovermi degli appunti nei loro riguardi, dal momento che essi scherzano rispettando le persone, anche quelle di più basso grado sociale. Tale rispetto mancò agli autori antichi, tanto che essi maltrattarono non solo personaggi reali, ma anche importanti. Possa la mia fama costare un prezzo minore, e l'arguzia sia in me l'ultimo dei miei pregi. Stiano lontani dalla schiettezza dei miei scherzi i cattivi interpreti, e non riscrivano i miei epigrammi: agisce male chi esercita il suo ingegno sul libro di un altro. Cercherei di scusare il lascivo realismo delle parole, cioè il linguaggio degli epigrammi, se fossi io a darne per primo l'esempio: ma così scrivono Catullo, Marso, Pedone e Getulico; così scrivono i poeti che vengono letti per intero. Se c'è tuttavia qualcuno tanto affettatamente pudibondo, da pensare che non sia lecito usare lo schietto linguaggio latino in nessuna pagina, costui può ritenersi soddisfatto di questa lettera, o meglio della sua intestazione. Gli epigrammi sono scritti per coloro che sogliono assistere alle feste Floreali. Non entri Catone nel mio teatro, o, se vi è entrato, si limiti a guardare. Credo di esercitare un mio diritto, se chiudo questa lettera con dei versi:

Siccome conoscevi i riti cari alla scherzosa Flora e gli allegri sollazzi e la sfrenatezza della plebe, perché, o severo Catone, sei venuto nel mio teatro? O forse eri venuto solo per questo, cioè per uscirne?

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Pagina 119

1.
Ecco quel famoso Marziale che tu leggi, che tu vai cercando, noto in tutto il mondo per gli arguti libretti dei suoi epigrammi. La gloria che tu, o appassionato lettore, gli hai dato mentre è ancora in vita, pochi poeti l'ottengono dopo la morte.


2.

Tu che brami avere con te, ovunque vada, i miei libretti, e tenerli come compagni del lungo viaggio, acquista questi che la pergamena restringe in piccole pagine: riserva gli astucci per i grossi libri; io sto in una mano. Perché tu sappia dove possa comprarmi e non vada errando per tutta la città, con la mia guida non sbaglierai: cerca di Secondo, il liberto del dotto Lucense, dietro il vestibolo del tempio della Pace e il Foro di Pallade.


3.

Tu preferisci, o mio libretto, stare nelle librerie dell'Argileto, pur avendo a tua disposizione i nostri scrigni. Ignori, ahimè, quanto siano schizzinosi questi Romani padroni del mondo: questa folla che discende da Marte, credimi, la sa lunga. In nessun luogo trovi più evidenti smorfie di derisione: giovani, vecchi e bambini hanno il naso del rinoceronte. Dopo che avrai udito un clamoroso «Bravo!», e proprio mentre stai mandando i tuoi baci, sarai lanciato in cielo da un mantello fortemente scosso sotto di te. Ma tu, o sfacciato, mal sopportando che il tuo padrone faccia tante correzioni, e la severa penna imprima dei segni sopra le tue facezie, sei bramoso di volare per l'aria: va' pure, corri; ma saresti stato più sicuro in casa.


4.

Se per caso, o Cesare, ti capiteranno nelle mani i miei libretti, spiana la tua fronte padrona del mondo. Anche i vostri trionfi sono abituati a tollerare gli scherzi e il generale non si vergogna di divenire oggetto di maldicenze. Ti prego di leggere i miei carmi con quello spirito con cui ammiri Timele e quel burlone di Latino. L'ufficio di censore può permettere gli scherzi innocenti: i miei versi sono lascivi, ma la mia vita è onesta.

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Pagina 163

84.
Pur desiderando avere dei figli, Quirinale pensa che non sia necessario prender moglie. Ha trovato il modo con cui raggiungere lo scopo: fotte le serve e così riempie la casa e i campi di piccoli schiavi-cavalieri. Quirinale è un vero padre di famiglia.

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Pagina 177

106.
O Rufo, tu ti versi in continuazione acqua, e se sei proprio costretto da un amico, bevi qualche goccia di falerno annacquato. Forse che Nevia ti ha promesso una notte di felicità e tu preferisci le sobrie voluttuose follie di un sicuro amplesso? Sospiri, taci, gemi: ti ha detto di no. Dunque puoi bere tranquillo parecchie coppe ricolme e affogare il forte dolore nel vino. A che risparmiarti, o Rufo? Ti tocca dormire.

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Pagina 179

109.
Issa è più maliziosa del passero di Catullo, Issa è più pura del bacio di una colomba, Issa è più docile di tutte le fanciulle, Issa è più preziosa delle gemme indiane, Issa è la cagnetta delizia di Publio. Se si mette a uggiolare, diresti che parla; sente la tristezza e la gioia. Con la testa reclinata sta buona e si addormenta così dolcemente, che tu non senti il suo respiro; quando poi ha bisogno di scaricare la vescica, non macchia le coperte neppure con una goccia, ma vi sveglia con la tenera zampetta, vi avverte di deporla giù dal letto e vi prega di risollevarla. E la casta cagnetta è così pudica da ignorare l'amore, né troviamo uno sposo degno di una sì tenera vergine. Perché la morte non gliela strappi del tutto, Publio la fa dipingere in un quadro, ove vedrai un'Issa tanto somigliante, quanto neppure essa somiglia a se stessa. Insomma, metti Issa a confronto col quadro: penserai che o sono ambedue vere o sono ambedue dipinte.

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Pagina 183

117.
Tutte le volte che t'imbatti in me, o Luperco, subito mi dici: «Vuoi che ti mandi il mio schiavo, affinché tu gli possa consegnare il tuo libretto di epigrammi, che ti restituirò subito dopo averlo letto?» Non c'è bisogno, o Luperco, che tu faccia tribolare lo schiavo. La strada è lunga, se vuol venire al Pero, ed io abito in alto al terzo piano. Ciò che cerchi lo puoi chiedere in luogo più vicino. Tu, certo, suoli scendere all'Argileto: di fronte al Foro di Cesare c'è una bottega di libraio con le porte tutte coperte di scritte da un capo all'altro, cosicché tu puoi leggere rapidamente gli annunzi di tutti i poeti. Cercami li. Non fare nessuna richiesta ad Atrecto — è questo il nome del padrone della bottega —: egli ti darà dalla prima o dalla seconda casella per cinque sesterzi un Marziale rasato con la pomice e adorno di una custodia rossa. Mi dici: «Non vali tanto?» Hai proprio ragione, o Luperco.

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Pagina 217

62.
Ti depili il petto, le gambe e le braccia, e hai rasato i peli che cingono il tuo membro. Fai ciò, o Labieno - chi non lo sa? -, per la tua amante. Per chi, o Labieno, depili il tuo culo?


63.

Avevi, o Milico, solo cento mila sesterzi, che hai speso per prenderti Leda dalla via Sacra. Se anche tu fossi un uomo ricco, pagare così caro l'amore di una donna sarebbe un eccesso. Subito mi dirai: «Non l'amo». Pure questo è un eccesso.

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Pagina 371

59.
O facondo Stella, se non ti mando in dono argento o oro, lo faccio nel tuo interesse. Chi fa un prezioso regalo, vuole che gli si mandi in contraccambio un prezioso regalo: con i miei vasi d'argilla, tu non avrai nessun obbligo.


60.

Puoi abbaiare quanto vuoi contro di me e stancarmi coi tuoi ostinati mugolii: è certo però che non ti concederò la gloria che da tanto tempo cerchi, cioè di essere letto per il mondo nei miei libretti, a qualunque titolo. Perché infatti la gente dovrebbe sapere che tu sei vissuto? Tu devi, o sciagurato, morire da ignoto. Forse non mancheranno in questa città uno, due, tre o quattro desiderosi di rosicchiare una pelle di cane: io voglio tenere lontane le mani dalla tua rogna.

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Pagina 559

21.
Artemidoro ha un giovane schiavo, ma ha venduto il podere; Calliodoro ha un podere in cambio del giovane schiavo. Dimmi, o Aucto, chi di questi due ha fatto un migliore affare? Artemidoro fa l'amore, Calliodoro ara.

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Pagina 581

53.
O Quinto, per il tuo natalizio io ti volevo fare un piccolo regalo; ma tu me lo vieti: sei un uomo autoritario. Sono costretto a ubbidire al tuo comando; avvenga ciò che entrambi vogliamo e che fa piacere ad entrambi: fammi tu, o Quinto, un regalo.

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Pagina 621

8.
Paola vuole sposarmi, ma io non voglio sposarla, perché è vecchia. La sposerei volentieri, se fosse più vecchia.

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Pagina 625

15 (14).
Tu dici che non resti inferiore a nessuno dei miei amici. Ma che fai, ti chiedo, o Crispo, perché ciò sia vero? Ti ho chiesto un prestito di cinquemila sesterzi, e tu me l'hai negato, benché la tua pesante cassaforte non riuscisse a contenere tutto il tuo denaro. Quando mi hai regalato un moggio di fave o di farro, benché coloni egiziani arino le tue terre? Quando mi hai mandato una corta toga nella stagione del freddo inverno? Quando mi è arrivata una mezza libbra d'argenteria? Non vedo altra ragione per cui ti possa credere mio amico al di fuori del fatto che tu, o Crispo, suoli spetezzare in mia presenza.

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Pagina 631

24.
O Calende di marzo, giorno del mio compleanno, le più belle tra tutte le Calende, quando mi mandano doni anche le fanciulle, per la cinquantasettesima volta io offro al vostro altare una focaccia e questa cassetta d'incenso. Agli anni che ho già vissuto aggiungetene, vi prego, se il favore che vi chiedo mi sarà utile, altri diciotto, in modo che io possa scendere ai boschi della elisia fanciulla non ancora appesantito da una troppo avanzata vecchiaia, ma avendo già vissuto tre generazioni. Dopo una vita così lunga non vi chiederò neppure un giorno in più.

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Pagina 689

8.
Il profumo che manda l'umore del balsamo, che viene fuori dal tronco dell'albero, o quello dell'ultimo spruzzo di zafferano, che scende sul curvo anfiteatro, o quello delle mele che d'inverno maturano dentro una cassa, o quello di un campo ricco di alberi in primavera, o quello degli abiti di seta dell'imperatrice che vengono estratti dagli armadi del Palazzo, o quello dell'ambra scaldata dalle mani di una fanciulla, o quello di un'anfora di nero falerno che si rompe lontano, o quello di un giardino ove si trovino api sicule, o quello dei vasetti d'unguento di Cosmo e degli altari degli dèi, o quello di una corona testé caduta dal capo di un ricco signore: ma perché vado enumerando questi singoli profumi? Non bastano; mescolali tutti insieme ed avrai il profumo che mandano i baci del mio schiavetto al mattino. Vuoi sapere il suo nome? Se è per i baci, te lo dirò. Hai giurato: ma tu vuoi sapere troppo, o Sabino.

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Pagina 767

40.
Menti, ed io ti credo; declami brutti versi, ed io ti lodo; canti, e anch'io canto; bevi, o Pontiliano, e anch'io bevo; spetezzi, ed io faccio finta di non sentire; vuoi giocare a dama, ed io mi faccio vincere; c'è una sola cosa che fai senza di me, ed io taccio. Tuttavia non mi fai nessun regalo. «Quando morrò» dici, «ti tratterò bene». Non voglio nulla: ma muori.

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Pagina 771

48.
Se mi porti in tavola funghi e cinghiale come un pranzo normale, non pensando affatto che un simile convito sia il mio sogno, accetto; se poi credi che io mi senta un uomo felice, e vuoi essere iscritto nel mio testamento per cinque ostriche del lago Lucrino, tanti saluti! Il tuo pranzo è tuttavia splendido, sì, veramente splendido, lo ammetto; ma domani, anzi oggi, anzi subito non sarà più nulla: ne prenderà conoscenza la lurida spugna legata al maledetto bastone, o un qualsiasi cane, e il vaso collocato nella via. Ecco il risultato delle triglie, delle lepri e delle tettine di scrofa: un colorito giallastro e i piedi che ti tormentano. A un tal prezzo non intendo accettare né un pranzo albano, né un banchetto capitolino e dei pontefici; se gli dèi stessi mi mettessero in conto il nettare, questo diventerebbe per me aceto e cattivo vinello di orcio vaticano. Cercati da anfitrione altri invitati, che si lascino attrarre dal fasto della tua regale mensa; a me mandi l'invito ad una improvvisata cenetta un amico: amo quel pranzo che posso ricambiare.

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