Copertina
Autore Alexander Masters
Titolo Un genio nello scantinato
SottotitoloBiografia di un uomo felice
EdizioneAdelphi, Milano, 2013, Fabula 260 , pag. 342, ill., cop.fle., dim. 14x22x2,5 cm , Isbn 978-88-459-2789-8
OriginaleThe Genius in my Basement. The Biography of a Happy Man [2011]
TraduttoreAndrew Tanzi
LettoreCorrado Leonardo, 2013
Classe biografie , matematica
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1



Simon aveva un anno ed era sulla moquette in salotto che giocava con i mattoncini e rischiava di finire sotto i tacchi a spillo della madre.

Era stranamente pensieroso. Alla sua età i fratelli afferravano i mattoncini e li pestavano sul tavolino di vetro, oppure cercavano di infilarli nelle prese elettriche.

Simon scelse un mattoncino rosa dal mucchietto accanto a sé e lo strofinò sulla moquette. Con grande cura, accanto a quello rosa ne mise uno azzurro. Si allungò tutto – e la madre, che stava apparecchiando la tavola, fu costretta a schivarlo – per prendere altri due mattoncini rosa, e li fece scivolare contro quello azzurro. Poi scelse un altro mattoncino azzurro.

Trascinandosi sul sedere, Simon attraversò la stanza, scovò altri quattro mattoncini rosa, e li riportò fino al punto di partenza per aggiungerli alla sua composizione.

Sua madre, intenta a piegare i tovaglioli a mo' di mitra vescovile, si fermò sbalordita: si era accorta di che cosa stava facendo il figlio.

Uno azzurro, uno rosa.

Uno azzurro, due rosa.

Uno azzurro, tre rosa.

Uno azzurro, quattro rosa.

Il suo bimbo aveva preso il caos della Natura e gli aveva dato ordine.

Per scoprire la matematica, la nostra specie aveva impiegato dalla nascita della preistoria fino all'alba della civiltà babilonese.

Simon, ad appena dodici mesi, era già incappato nei suoi fondamenti.


All'età di tre anni, undici mesi e ventisei giorni Simon si dilettava già a imbastire moltiplicazioni in colonna a dir poco vertiginose:

Suo fratello Francis all'età di quattro anni riusciva a malapena a contare fino a dieci; Michael, il suo altro fratello, era un poco più sveglio e aveva capito che se gli davano tre frappé alla banana e gli chiedevano di «contarli», la risposta corretta era «uno» per il primo, «due» per il secondo e «tre» per l'intruglio appiccicoso che gli colava lungo la guancia.

Percentuali, potenze seconde, fattori, divisioni in colonna, la tabellina dell'81 e pure del 91 — i numeri ballavano presi da una melodia irresistibile: [...]

A cinque anni, Simon padroneggiava già questo genere di cose.

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2
PRESENTIAMO SIMON AI LETTORI



Sschliissh, dhuunk, dhuunk, zwaap, dhuunk, zwaap...

Ascoltate! Lo sentite?

... dhuunk, sschliissh, dhuunk, zaap, zwap, dhuunk...

Chinatevi e appoggiate l'orecchio alla moquette:

Zwaap, dhuunk, dhuunk, dhuunk, zwaap, dhuunk, ssschliish.

Sono passati cinquant'anni.

    ... liish,
        dhuunk,
            dhuunk,
                dhuunk,
                    zwaap,
                        dhuunk,
                            ssschliissh,
                                dhuunk,
                                    dhuunk, zwa
                                        ap, sclissh
                                            dhuunk, du
                                                unnk, swap.

È il suono di un genio – di uno di quelli che capitano una volta sola per ogni generazione.

Simon Phillips Norton: esatto, Phillips, con la «s» del plurale, come se un solo Phillip non bastasse a contenere tutto il suo genio. Abita sotto di me.

Dhuunk, dhuunk...

Quando mi ero appena trasferito non avevo idea di che cosa fossero quei rumori. Fiumi sotterranei? I vicini che trascinavano un vaso nuovo nel loro giardino toscano? Dhuunk, dhuunk... Sono passati otto anni e ora, finalmente, ho capito che sono i piedi del grand'uomo che si muovono da una parte all'altra della stanza, pestando il pavimento. Il primo passo è normale, il secondo più pesante.

«Sssschlissh»: è il suo giubbotto imbottito che struscia contro le stalagmiti di libri tascabili impilati sui mobili.

«Zwaap»: è il suono della sua sacca da viaggio quando Simon arriva in fondo alla stanza e fa dietro-front. Se ci mette troppo impeto, la sacca fa un'ampia parabola e sbatte contro le carte sparse. Simon se la porta dappertutto, ben stretta nell'incavo del braccio, dovesse anche solo andare ad aprire all'uomo del gas.

... dhuunk, dhuunk, dhuunk, zwaap, dhuunk, dhuunk...

Il letto di Simon è esattamente sotto il mio, tre metri più in basso. Lo studio è sopra la sua sala. Lo spazio in cui pesta i piedi si estende per tutto il seminterrato dell'edificio, sotto il mio pavimento. Il mio balcone fa da tetto al prolungamento dello scantinato, dove ha stipato tutte le belle piante da giardino in neanche mezzo metro quadrato di spazio coperto da lastre di cemento, in fondo alla casa.

Squilla il telefono. Simon parte alla carica: Dhuunk! Dhuunk! Dhuunk!

Sbuffi. La cornetta – ... driiin, clank, clumpump, ping, ping... – sganciata d'impeto dall'apparecchio. Tentativi di parlare, grugniti, fiammate di conversazione disturbata; una parola strozzata.

Clunk. La cornetta viene riposta.

Silenzio.

Dhuunk, dhuunk, dhuunk...

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«Due volte vincitore della medaglia d'oro alle Olimpiadi della Matematica,» scrivevo mentre lui fuggiva rapido sui suoi passi «il mio padrone di casa è un uomo mite e generoso, brillante come il sole, ma un tantino strampalato».

«Dovevi riportare un solo fatto, e sei riuscito a infilarci ben quattro inesattezze» protesta adesso Simon.

Primo: alle Olimpiadi Internazionali della Matematica non ci sono medaglie né (secondo errore) ori, bensì numeri: 1, 2 e 3. Terzo: in queste competizioni non ci sono «vincitori»: è matematica, non atletica. Può benissimo succedere che tutti i concorrenti si aggiudichino l'1. Quarto errore: tre volte – e non due – Simon è risultato il migliore, a quindici, sedici e diciassette anni, e (anche se Simon sostiene di essersene dimenticato) una di queste vittorie è stata con un trionfale 100 per cento, un en plein perfetto, e un'altra con il 99 per cento, e Simon è stato uno dei primi ragazzi al mondo a raggiungere questo eccezionale traguardo. Da allora l'impresa è riuscita anche ad altri ma questi ultimi, al contrario di Simon, avevano alle spalle anni di formazione specifica, con la rinuncia totale alla loro adolescenza, e d'aspetto somigliavano a vermi solitari agonizzanti.

In mezza pagina di una biografia su qualcun altro, ero riuscito a distorcere per ben quattro volte la figura di Simon, e la sua unica colpa era stata di entrare per cinque minuti nel mio campo visivo.

«Quattro errori in mezza pagina fanno, hnn, otto errori a pagina, che in un'opera lunga quanto quella che minacci di scrivere fanno, aaaah, 2-3000 fraintendimenti della realtà. Ohimè!» sospira. «Ohimè, ohimè».

Come previsto, nel manoscritto spuntano già i primi strafalcioni. «Cosa intendi» dice, mentre affonda le braccia nella sua sacca, con un'aria all'inizio confusa, e poi facendoci sprofondare pure la testa, come se la borsa lo stesse divorando. «Cosa intendi» – riemerge ghermendo in pugno dei fogli: i primi capitoli, che gli ho fatto avere giusto stamattina, via posta elettronica – «quando dici che le donne abitualmente urlano quando mi incrociano?».

«È successo, mentre ti aggiravi fuori della porta del mio bagno. È andata proprio così».

«Sarà capitato una volta» riconosce. «Non credo che basti per parlare di "abitudine". Non credo che mia madre...».

«Tua madre è morta, Simon. Ed è successo tre volte».

Il problema non è il suo aspetto esteriore. È il suo modo di aggirarsi davanti alla porta, cereo e silenzioso. Non che abbia cattive intenzioni. Lui sta lì a passeggiare avanti e indietro nel corridoio d'ingresso, aprendo la sua corrispondenza o contemplando punti d'infinità nello spazio iperbolico, e per puro caso è avvenuto che si trovasse in fondo al corridoio nel momento in cui si apriva la porta del bagno. Lo sguardo fisso gli rende gli occhi enormi. Le folte fedine gli incorniciano il viso, e danno al suo sorriso assente un che di minaccioso.

Dagli angoli delle narici gli spunta un centimetro di pelo irraggiungibile per la lama circolare del suo rasoio elettrico. La sua silenziosità evoca l'atteggiamento di chi pianifichi un'imboscata durante un safari, o di uno di quei tizi che si accovacciano negli stagni con i giunchi in testa per sparare ai paperi.

La donna urla. E mentre urla, Simon non reagisce, come se fosse sospeso tra due istanti. Solo quando le urla si sono placate per trasformarsi in gorgoglii di sollievo e di scuse, Simon si scuote e tira un sospiro.

«Hnnn!» dice.

«Hnnnn» ripete.

Soddisfatto della sua abile gestione dell'incidente, Simon scende negli Scavi con passo pesante.

Ecco un altro errore che ha notato in queste pagine di prova: perché dico che puzza di sardine in salsa di pomodoro? Non sono affatto sardine, sono aringhe affumicate, e a volte sgombro. E in ogni caso le compra sottolio. Non gli piace la salsa di pomodoro.

«Se non posso parlare di sardine in salsa di pomodoro» rispondo piccato «posso dire che odori di pesce grasso senza testa?».

È essenziale chiarire che Simon non è pazzo, da nessun punto di vista. Se ha la faccia coperta di peli e indossa scarpe e pantaloni marci, è proprio per il motivo opposto: un eccesso di ordine mentale. Rutta; sbadiglia come un elefante senza coprirsi la bocca; è convinto che alla gente non dispiaccia essere aggiornata sui progressi della sua digestione; fa lunghe passeggiate, suda, e poi non si cambia per una settimana. Ma che cosa ci può fare? Tutti sono disordinati, a loro modo, e per Simon questo è l'unico modo possibile. Nella sua testa non c'è spazio per il disordine: è stato spazzato fuori. Lì dentro, tutto è tirato a lucido come in una sala operatoria.

Un'altra locuzione che non gli piace nel manoscritto è «pestare i piedi».

«In che senso "pesto i piedi"? Come fai a sapere che "pesto i piedi"? Non ci credo, non puoi sentirmi dal piano di sopra. Non starai mica insinuando che "pesto i piedi" sul soffitto, vero?».

E per quanto riguarda la descrizione del suo pavimento... «Ohimè» si lamenta, e non aggiunge altro.

Di colpo Simon perde ogni interesse. Non ha tempo per le espressioni facciali, ma le gambe e le braccia scalpitano. Comincia ad agitare le mani; la testa inizia a ruotare; poi, senza alcuna spiegazione, lascia cadere sul copriletto il dizionario dei sinonimi, scatta giù dal letto, schiva un'ondata di sacchetti Asda («Sainsbury's, Alex. Un libro è più apprezzabile se riporta i fatti con precisione») e corre in cucina, con le aringhe piccanti salde in pugno. Dalla porta guardo i suoi capelli che serpeggiano intorno alla lampadina come un piumino grigio. Un uomo grosso e scomposto, che si muove con scioltezza sorprendente.

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Pagina 84

Alla fine dell'Ottocento a Baghdad c'erano 50.000 ebrei – un quarto della popolazione cittadina – che convivevano pacificamente con gli arabi. Stando all'ultimo dato disponibile in internet, oggi ce ne sono quattro – quattro nell'intera città. Il governo iracheno, che simpatizzava per Hitler, li espulse e li assassinò nei pogrom che precedettero e accompagnarono la seconda guerra mondiale. Alla fine degli anni Quaranta c'era una rete clandestina che ne faceva espatriare un migliaio al mese. Nel 1951 altri 60.000 furono trasportati via dall'Iraq grazie a un ponte aereo di Israele che, con la perversione tipica di chi si fa giustizia da sé, bombardò coloro che rimasero per cercare di convincerli a seguire gli altri. Oggi a Baghdad ci sono più struzzi che ebrei.

Su un margine del poster genealogico che ho dissotterrato nello scantinato di Simon c'è una nota sulla sua famiglia:

«Con ogni probabilità ed evidenza, questa comunità discende dalle comunità ebraiche stabilitesi in Mesopotamia ai tempi della cattività babilonese, 2600 anni fa ... Con la compilazione di questa tavola genealogica si vuole in qualche modo documentare la storia di una porzione di questa comunità».

Lo stesso giorno in cui Israele dichiarò la propria indipendenza e si proclamò rifugio della razza più perseguitata al mondo, la Siria, il Libano, l'Egitto, la Giordania e l'Iraq lanciarono un attacco combinato, che alla radio del Cairo fu definito dal segretario della Lega Araba «una guerra di sterminio e un massacro memorabile, di cui si parlerà al pari dei massacri dei Mongoli e delle Crociate».

«Morte agli ebrei! Morte a tutti gli ebrei!» eruppe il più autorevole ulama di Gerusalemme.

Sessant'anni più tardi un signore residente a Londra offre un milione di sterline a qualunque coppia fertile di ebrei iracheni disposta a tornare a Baghdad per ripopolare la città. «Ho un'amica interessata» dico con entusiasmo a Simon. «Che ne pensi? Si chiama Samantha».

«Il nome Samantha non è di mio gradimento, sicché è difficile che io mi senta attratto da una persona che porta quel nome. Forse è perché mi ricorda Samantha Fox, la pornodiva... C'è però da dire che in effetti io ho una relazione con una Samantha. Si occupa delle mie faccende fiscali».

Simon assume lo sguardo da pesce lesso, stringe le braccia e riprende a guardare fuori dal finestrino: un gesto silenzioso ed euforico. Finché arriviamo al treno può dedicare tutta la sua attenzione allo sforzo di ignorarmi.

In cima al poster genealogico di Simon, dove ci si avvicina al fruscio delle pagine dell'Antico Testamento, i figli sono senza nome, le vite sono punti di domanda, ma le morti sono bibliche: una sorella di Habebah, «affogata nell'Eufrate»; Sassoon Aslan, «sepolta a Bassora»; Minahem Aslan, «senza figli, a Gerusalemme». La storia precedente della famiglia di Simon scompare sopra il poster, nelle dune di sabbia della Mesopotamia.

Alla stazione ferroviaria Simon balza giù dall'autobus, si dirige verso la biglietteria automatica nell'atrio e si mette a premere sullo schermo tutta una serie di luminosi pulsanti virtuali. Dopo aver accumulato tutti gli sconti, le tariffe agevolate e i cambi inattesi che vanificano la politica tariffaria del gestore ferroviario locale, rimane un attimo a fissare lo schermo che gli chiede quante persone oltre a lui prendono parte al viaggio.

Simon preme lo «0» e mi guarda senza rabbia o rancore.

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Pagina 110

«Una volta ero a una conferenza a Santa Cruz» mi dice un minuto più tardi. «Ho chiesto a un tedesco che partecipava se la Sonata Al chiaro di luna di Beethoven si poteva tradurre in inglese anche come Moonshine Sonata, e lui mi ha risposto di sì».

«La mia ragazza» osservo «ha visto un'installazione a Chichester dove proiettavano una registrazione di questa sonata proprio verso la Luna, la facevano rimbalzare sulla superficie, e poi riproducevano il suono di ritorno catturato da un'antenna parabolica. Dicevano che era il Chiaro di luna eseguito dalla Luna stessa. Secondo lei era molto particolare. Tutti i crateri e le dune lunari creavano delle distorsioni. Simon, non ti sembrano troppi cinque biscotti al cioccolato?».

Il fatto che Simon paragoni il suo compositore preferito all'impressionismo non significa che quest'ultimo gli piaccia, anzi: l'arte non gli piace proprio, con l'eccezione di «alcune cose moderne», ossia (com'è prevedibile per un matematico) M.C. Escher. Quando fa le sue scampagnate ogni tanto gli capita di infilarsi in una galleria e di concedersi un giro veloce delle pareti, annuendo col capo davanti a ogni quadro «perché è giusto così», però «non mi diverto a farlo». In particolare non gli piacciono i ritratti e le vignette.

Le opere d'arte che ha prodotto lui stesso alla tenera età di dieci anni sono sorprendenti: esuberanti, astratte, con un buon equilibrio artistico, create con combinazioni terrificanti di carta velina. Le ho scoperte negli Scavi, incastrate fra la credenza frangiflutti d'angolo e il cassettone con i vuoti a rendere di Tango. Ciò che le rende più interessanti è il fatto che le forme usate per queste composizioni sono le stesse che abbiamo visto nei capitoli matematici di questo libro: le forme fondamentali della teoria dei gruppi.

L'enfasi sull'evocativa ripetizione delle forme, che si nascondono alla vista come un mollusco nella conchiglia (Senza titolo #1), l'interdipendenza (Senza titolo #2) e l'equilibrio, che è altra cosa rispetto alla mera regolarità (Senza titolo #3), catturano l'essenza delle inquietanti intuizioni matematiche che Simon avrebbe avuto quindici anni più tardi.

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Provo l'appagamento del biografo. Che cosa abbiamo concluso oggi? Abbiamo visto una statua; siamo stati a un concerto di musica classica; siamo scappati da una casa. Poca roba. Ma c'è qualcosa in questi piccoli eventi che sembra caratterizzare Simon e la sua vita complessivamente ordinaria e felice. Non voglio pensare troppo in che cosa consista questo qualcosa. Potrei nuocergli se lo esplicitassi.

Tiro fuori il libro che sto leggendo: Uno studio sul genio britannico, di Havelock Ellis. Havelock Ellis traeva le sue conclusioni sulle origini del genio con la selezione di 1030 «uomini eminenti» presenti nel Dictionary of National Biography, sottoponendo le rispettive voci a un vigoroso assalto statistico, investigando l'influenza intellettuale dei genitori, il modo in cui erano stati cresciuti, l'istruzione ricevuta, il luogo di nascita, il numero di fratelli e sorelle e le corrispondenti gradazioni d'età, le malattie infantili. Con una sola eccezione, nessuna delle sue conclusioni vale per Simon. Ellis credeva che gli uomini di genio fossero dei bambini tristi o malati (non è il caso di Simon); che fossero refrattari al lavoro normale (come Simon, ma lo stesso si potrebbe dire anche dei ladri e dei politici); che avessero avuto un genitore di grande talento o almeno un genitore deceduto (né l'una né l'altra cosa vale per Simon, benché sua madre fosse decisamente più sveglia del padre); e inoltre Ellis dava risalto alla convinzione aristotelica secondo cui gli uomini dotati tendono alla melanconia (non Simon) e hanno in sé una certa dose di follia (Simon non ce l'ha).

Il luogo comune del binomio genio-follia è così assurdo che vale la pena citare le parole con cui Ellis lo liquidava:

«Sembra che la follia tenda a manifestarsi nei poeti e negli uomini di lettere di una categoria inferiore rispetto a quella più elevata» ammetteva, ma non tra i più grandi o tra i matematici. Gli antiquari, aggiungeva, possiedono «una marcata eccentricità al limite della follia», ma sono persone che rivelano un'intelligenza così fiacca «che la loro inclusione nel mio elenco è stata spesso cagione di imbarazzo».

Il mentore di Havelock Ellis, l'eminente sociologo Cesare Lombroso, riteneva che i prodigi come Simon andassero considerati in stretto rapporto con assassini e svaligiatori di banche, come una forma moralmente degenere dell'essere umano.

L'unica patologia mentale di Simon è il suo desiderio eccessivo di attenersi alle leggi locali sull'edilizia abitativa.

Se Simon fosse a capo di qualcosa, andrebbe tutto a rotoli a causa della sua onestà.

Simon afferma di essere un colpo di fortuna della genetica. Ogni nascita è una scommessa fatta da Madre Natura, un lancio di dadi dalle infinite combinazioni possibili. È la sorte a determinare se l'anomalia che ne risulta è buona o cattiva. Nel caso di Simon «le molecole si sono combinate a mio favore. Nessuno dei miei fratelli è particolarmente brillante».

(Uno di questi fratelli una volta ha cercato di convincermi che aveva risposto giusto al 120 per cento delle domande di un esame scolastico.

«Ma non si può arrivare al 120 per cento!» avevo ribattuto.

«Hanno dovuto insabbiare la cosa»).

In Perché la produttività diminuisce con l'età: la relazione crimine-genio (2002), Satoshi Kanazawa applica la tecnica di Havelock Ellis al Biographical Dictionary of Scientists – ma l'articolo è pura spazzatura! Kanazawa tira a indovinare su quale sarebbe il punto più alto a cui arriva il genio di ciascuno scienziato, dimostra che l'età a cui vengono raggiunte queste vette rispecchia l'età in cui i criminali compiono i loro peggiori misfatti, e se ne esce con questa bizzarra conclusione: i geni e i gangster hanno la stessa motivazione di fondo: il bisogno di sedurre le donne.

A Simon non importa niente delle donne.

Dopo 300 pagine, che coprono i secoli dal quarto al diciannovesimo e comprendono la lettura di altre 300 biografie, l'unica caratteristica che possa applicarsi a Simon fra quelle attribuite ai geni da Havelock Ellis è che i cervelloni soffrono tutti di gotta.

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                            La simmetria è come una malattia. O forse, più
                            precisamente, è una malattia a tutti gli effetti.
                            Nel mio caso, perlomeno, è così: e sembra essere
                            un caso grave.

                            J0E ROSEN, La simmetria svelata: concetti e
                            applicazioni nella natura e nelle scienze (1975)



I matematici faranno pure un uso molto fine della lingua, ma con la parola «simmetria» hanno combinato un gran pasticcio. Se si parla di «simmetria» le persone normali pensano ai blocchi di legno dell'asilo, a forma di quadrato o triangolo, oppure ai fiocchi di neve.

Al centro di ciò che intendono i matematici con la parola «simmetria» c'è la parola «sempre».

Un quadrato appare sempre uguale che gli si faccia fare un quarto di giro, o mezzo giro, o tre quarti di giro, oppure che lo si ribalti, oppure che si esegua una qualunque combinazione di due, cinque, dieci o 743 di queste azioni. Il quadrato è simmetrico rispetto a tali operazioni.

Il triangolo equilatero sembra sempre uguale, sia che ci prendiamo la libertà di ruotarlo per un terzo o due terzi di giro, sia che lo mandiamo a gambe all'aria tutte le volte che ci pare, sia che facciamo i bravi figliuoli e non ci permettiamo di sfiorarlo con un dito. Qualunque cosa decidiamo di fare, il triangolo sarà sempre simmetrico rispetto alle nostre azioni.

Se riusciamo a verbalizzare un'idea – qualunque idea e su qualunque argomento – che includa la parola «sempre» allora siamo a un tiro di schioppo da ciò che i matematici chiamano «simmetria».

• Simon lascia sempre scendere troppa acqua nella vasca.

• Mi arrabbio sempre e chiudo con un calcio la porta degli Scavi quando Simon si mette a cucinare il riso all'aroma di cinese bollito.

• E è sempre uguale a mc^2.

• Il Mostro ha sempre lo stesso aspetto (anche se nessuno ha ancora idea di quale sia questo aspetto) ogni volta che si esegue una delle 808.017.424.794.512.875.886.459.904.961.710.757.005.754.368.000.000.000 operazioni di simmetria elencate nella sua tavola di composizione.

• Quando si ubriaca, il nostro vicino Jim balza sempre sulla moto alle due di notte e si mette a smanettare con l'acceleratore.

Ciascuno di questi casi ha a che fare con la simmetria. La simmetria indica l'invariabilità, o invarianza, di un oggetto, di una circostanza o di una relazione rispetto a un insieme specifico di cambiamenti. Che Simon si trovi nella vasca di casa sua o su un pianeta vicino ad Alfa Centauri, nel bel mezzo di una guerra nucleare; che abbia cinque o settantacinque anni o sia capovolto a testa in giù – non fa alcuna differenza.

L'acqua nella vasca da bagno finirà sempre per tracimare, gocciolare sotto la zoccolatura, infiltrarsi nelle pareti dello scantinato e causare il crollo di water e scalini. È un talento innato di Simon.

Nel linguaggio inamidato dei quadrati e dei triangoli, provate a «ruotare» Simon-nella-vasca secondo ciascuna di queste evenienze e l'esito sarà sempre il medesimo:

[...]

Indipendentemente da quante volte eseguiamo queste operazioni e dal loro ordine, il risultato sarà sempre un Simon-che-sguazza-nella-vasca:

[...]

L'antropologo Claude Lévi-Strauss aveva notato che fra le tribù australiane certi tipi di matrimonio sono sempre considerati incestuosi e dunque proibiti. Non riusciva, tuttavia, a comprendere la struttura su cui si basavano questi tabù, sicché andò in giro per New York (allora viveva là) a bussare alle porte di vari matematici. Il primo liquidò così la questione: «La matematica prevede quattro operazioni, e il matrimonio non rientra in nessuna di queste». Ma il secondo era il giovane e geniale André Weil , il fratello di Simone, la filosofa. «Se sei in dubbio» disse Weil con entusiasmo «cerca il gruppo!», e fece accomodare Lévi-Strauss nel suo studio. Nel giro di pochi giorni Weil riuscì a risolvere il problema. Tramite la teoria della simmetria poté spiegare come mai certi matrimoni fossero tabù fra gli aborigeni, e scoprì anche che con l'ausilio della sola matematica era possibile studiare una tribù contemporanea e determinare se in passato era stata formata da due tribù distinte, che si erano poi incontrate e fuse in un'unica tribù. Per dedurlo era sufficiente un'imperfezione nella «simmetria» dei tabù relativi all'incesto – cioè nel «sempre» delle loro regole. Non c'era bisogno di conoscere la storia della tribù, né di disporre di altre conoscenze antropologiche diverse dalla comprensione delle attuali restrizioni sessuali: tutto ciò che serviva era il barlume di un'asimmetria, il mormorio di un «a volte». Grazie alla matematica, si poteva leggere un passato lontano mille anni.

Ho trascorso ore e ore a camminare avanti e indietro per il mio studio cercando di capire il nesso tra una notte a letto con la propria sorella e un'espressione matematica, ma non ci sono riuscito. Sta di fatto che esiste.

(«Non lo capisco neanch'io» brontola Simon. «Anzi, non sono sicuro di crederci»).

La parola «tabù» implica che una cosa è sempre proibita, e così la simmetria deve in qualche modo averci a che fare. Basta «ruotare» uno qualunque degli accoppiamenti vietati di fronte agli anziani della tribù e lo scandalo sarà sempre garantito.

È per questo che la simmetria è importante: si trova dappertutto. Non si limita ai cubi e alle piramidi di legno dell'asilo: vale per qualunque cosa – dalle fluttuazioni quantiche delle ciglia umane, ai canti dei beluga, ai deliri di onnipotenza dei despoti nella Corea del Nord – che implichi in qualche modo, anche remoto, «l'immunità al cambiamento». È lo studio dell'imperturbabilità. Se, in certe condizioni, una situazione appare sempre uguale benché soggetta a interventi esterni, allora siamo di fronte a un caso di simmetria.

Questo ci dice qualcosa sul Mostro di Simon. Non è un'entità con la bava alla bocca. La sua forza sta nella sua capacità di non cambiare. È un mostro di calma.

Ed ecco un quindicesimo modo di metterla: un'operazione di simmetria è un atto che lascia una cosa «imperturbata». Disordine e noiosi viaggi in autobus, ad esempio, lasciano Simon imperturbato. Il disordine e i viaggi fanno parte della sua simmetria.

«Non mi sembra un'analogia efficace» mi interrompe Simon con gli occhi al cielo e la lingua stretta tra i denti.

In senso molto lato, essere "imperturbati" è analogo all'essere simmetrici» insisto.

«No, nemmeno in senso molto lato. I due concetti non hanno niente da spartire. In matematica, un'operazione di simmetria è qualcosa che agisce su qualcos'altro. Deve fare qualcosa di interessante, come una rotazione che agisce su un quadrato. Se la rotazione fa sì che il quadrato appaia diverso allora non si tratta di un'operazione di simmetria; altrimenti, lo è».

«Appunto. Anche se si agisce su di te con il disordine, il tuo carattere e il tuo umore non cambiano».

«Cosa intendi con "agire" con il disordine? Agire come? Non capisco proprio. Il carattere di una persona non ha nulla a che fare con le operazioni. Ha a che fare solo col suo modo di essere. È ridicolo dire che sono analoghi. Non so nemmeno che cosa significhi parlare del carattere matematico degli esseri umani. Davvero, non voglio più parlare di questa cosa».

Il disordine, gli autobus e la pignoleria fanno parte della simmetria di Simon.

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                            Ci sono certi scrittori che non vanno trattati male
                            e altri che invece se lo meritano. Tra questi ultimi
                            annoveriamo:
                            chiunque scriva un libro sui cani;
                            chiunque scriva un libro di storia naturale con
                            illustrazioni xilografiche;
                            chiunque scriva una biografia di Napoleone, di Byron
                            o del Dottor Johnson senza note a piè di pagina o
                            bibliografia;
                            chiunque scriva la biografia di una persona non
                            ancora morta;
                            chiunque scriva un libro sul Sussex.

                            STEPHEN POTTER, Alcune note sulla sopravvivenza (1953)



«Ti ho mai raccontato» declama Simon con voce da bisonte «che da ragazzo riuscivo a fare la pipì più a lungo di chiunque altro?».

Il treno sta attraversando le pianure calcaree del Sussex, verso la scuola elementare di Ashdown House. È uno di quei mezzi tecnologici che ti intimano impazienti di non fumare e si rifiutano di lasciarti aprire a mano la porta della toilette.

E io? Anch'io sono impaziente: ho per le mani un colpaccio biografico. La terza persona seduta lì con noi, un signore alto, ben piazzato e con le dita spesse come carote, si chiama Malcolm Russell (nome di fantasia, dato che ha richiesto l'anonimato) e a scuola faceva il bullo con Simon. Ha cercato il suo ex compagno di classe su Google e poi gli ha mandato un'e-mail. Tormentato da quanto ha fatto mezzo secolo prima, voleva... che cosa? Non ne era sicuro. Chiedere scusa? Fare ammenda? Capire? Non sapendo la risposta, ha proposto di tornare insieme alla vecchia scuola.

Il suo influsso ha già trasformato Simon. Sin dalla stazione di East Croydon, Mr Grugnito è diventato Mr Ciarliero. È pazzesco. È un miracolo.

«Riuscivo anche a centrare l'orinatoio da più lontano» aggiunge trionfale, riempiendo del suo orgoglio l'intera carrozza.

È imbarazzante.

Rosso per la vergogna, mi giro per guardare dal finestrino. Ci sono crochi bianchi e viola che punteggiano la massicciata della ferrovia e i pascoli sono fangosi. Le querce hanno iniziato a germogliare nell'aria fredda sorpresa dai primi raggi di sole; i conigli, tremanti per l'inverno, se ne stanno appallottolati tra i narcisi. Sembra tutto instabile, giovane e in anticipo di due mesi, e forse annuncia un aprile senza gelo.

Malcolm ha un negozio di fertilizzanti nello Shropshire. Dopo Ashdown ha frequentato Radley, una scuola privata vicino a Oxford. Ha un ricordo indelebile di quel posto infernale: «Quando studiavo lì dei ragazzi hanno avuto l'esaurimento nervoso. Uno si è suicidato».

Sin dall'inizio Malcolm è stato alla ricerca di ricordi d'infanzia che non provocassero disagio.

«Gli orinatoi!» ruggisce adesso tutto felice, affondando una mano in una confezione di patatine all'aceto e dilaniando il sacchetto. «Sì, mi ricordo degli orinatoi a scuola! Riesco a vedere il bagno. Me lo ricordo perfettamente. Spero proprio che non li abbiano tolti. Dobbiamo assolutamente farci un giro. Dobbiamo vedere tutto! E l'insegnante di spagnolo, il professor Juh... Juh...».

«Jabuzi!» grida Simon.

«Sì! Ha infilato la mano anche nei tuoi calzoncini?».


La brochure della scuola dice che è situata «tra colli ondulati», ma non è vero. Le Downs sono ondulate; il Devonshire è ondulato. Il Sussex settentrionale è a dir tanto increspato. Secondo la definizione di William Cobbett, la gloriosa campagna del Sussex intorno a Ashdown è «il luogo più diabolicamente brutto che abbia mai visto in tutta l'Inghilterra».

La bruma a chiazze; i picchi che scavano negli abeti rossi; il verso cadenzato dei cuculi trascinato dal vento. Ashdown House si trova a ottocento metri dalla stazione, in mezzo a sedici ettari di rododendri. Dopo il bosco (che inizia a destra della scuola ed è tutto ciò che resta dell'antica foresta di Ashdown) viene una brughiera alta e ruvida, poi una distesa morbida molto più confacente al gusto campestre di Cobbett, e infine la scarpata che porta nelle South Downs.

La retta quadrimestrale per chi non è ospite del convitto ammonta a 5400 sterline, mentre per i convittori è astronomica. Tra gli ex allievi vi sono sindaci di Londra (Boris Johnson), tizi finiti in galera per aver sparato ai bracconieri sui propri terreni in Kenya (Thomas Patrick Gilbert Cholmondeley di Delamere, detto l'Onorevole) e autrici di romanzi sulle mamme più avvenenti di Notting Hill (Rachel, sorella di Boris). A scuola, Rachel trovò «un cagnotto enorme che si dimenava» nel suo pasticcio di carne. Attraversò la mensa con il piatto e con il «suo carico vivente» e mostrò l'orrore al preside, Clive Williams.

«Clive lo guardò senza battere ciglio. "Sì, molto nutriente, immagino"» disse, e congedò la bambina.


Nel rustico linguaggio dei ricchi, Ashdown è «il foraggio» propedeutico per Eton. Ecco perché il padre (o la madre?) di Simon volle mandarcelo. È la scuola migliore per chi punti ad accedere a Eton, che è a sua volta l'ideale per chi voglia frequentare il Trinity College a Cambridge. Il Trinity College è l'università ideale per far sì che i geni della matematica abbiano una vita felice.

L'edificio centrale fu progettato dall'architetto Benjamin Latrobe. Una volta completata l'opera Latrobe emigrò in Virginia, dove progettò il penitenziario di Stato e si specializzò nelle strutture per l'isolamento dei detenuti.

«A dire la verità,» ammette Malcolm a voce bassa mentre ci incamminiamo lungo il sentiero tra i cuculi e i semi, con Simon che è diversi metri davanti a noi «quando ho scritto la prima e-mail a Simon, lo scorso mese, ero mezzo convinto che fosse rinchiuso in un manicomio a pestare la testa contro il muro, oppure che fosse morto. Non pensavo a un suicidio, più a un incidente d'auto.

«Se ti sedevi vicino a lui e gli davi retta, emergeva una dolcezza tutta sua. Sembrava impotente al cospetto del mondo. Lo sentivi che si lasciava andare, gli piaceva così tanto avere degli amici. Se gli chiedevi chi fosse il primo ministro, lui se ne usciva col nome di qualcuno della prima guerra mondiale, tipo "Asquith".

«Di certo non ti faceva invidiare il suo genio» aggiunge. «Essere come Simon sembrava un prezzo alto da pagare».

Dai cancelli della scuola sbuca un nugolo di ragazze con la coda che si fanno le linguacce e brandiscono mazze da hockey. Ci costringono a scostarci dal sentiero e poi, superato un dosso, si avventano nel punto in cui si trova Simon.

«Una volta... ti ricordi, Simon?». Malcolm chiama Simon, che sta disperatamente cercando di recuperare l'equilibrio dopo l'assalto delle ragazzine. «Quella volta che ti hanno chiesto come si scriveva "bikini"?».

Simon sogghigna felice.

«Chi altri se non Simon poteva rispondere "Becquigny"? L'unica cosa che conosceva che assomigliasse a "bikini" era il Trattato di Becquigny, del 1340, tra Inghilterra e Francia».

«Pecquigny» interviene Simon, che sente puzza di falso storico.

«Becquigny» ripete Malcolm.

«Huunh! No! Pecquigny. 29 agosto 1475. Luigi XI versò a Edoardo IV 75.000 corone e dovette riscattare la moglie, Margherita d'Angiò».

Malcolm fa spallucce, ritorna sul sentiero e sospira con aria lieta. «Mi è capitato spesso di parlare di lui, negli anni» confessa.

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«Sai qual era il tuo problema, Simon?» dico mentre rientriamo nell'edificio. «Confondevi persone e numeri».

Nonostante il disinteresse di Simon per questa mia nuova idea, credo di aver toccato un punto essenziale. A Ashdown, la mente di Simon era sbilanciata. Il suo genio matematico andava oltre la comprensione dei cervelli normali, persino di quelli degli adulti che insegnavano matematica. Strappava la matematica alla logica per elevarla ad arte. Il suo occhio per l'equilibrio e l'eleganza di una soluzione – non saprei come meglio definirlo, dato che io non mi sono mai avvicinato a simili esperienze – giudicava la correttezza con più efficacia di quanto facessero le intangibili «operazioni» scolastiche. In poche parole, per Simon lo Scolaro la matematica non era una materia isolata bensì un'estetica e un metro di giudizio. Così come non esistevano lezioni di «ammirazione» o «divertimento», allo stesso modo la matematica non era confinata fra le 11 e le 12:30 del lunedì e del giovedì. La matematica c'era, punto e basta: era il baricentro dell'esistenza, la pietra di paragone di ogni attività. Per Simon la matematica era come i campi e i boschi per gli altri ragazzi: posti godibili dove correre e urlare non appena suonava la campanella, per lanciarsi le castagne d'india e inzaccherarsi di fango. La storiella di Simon sul rendere i pugni ai bulli c'entra con l'aritmetica non perché Simon fosse bravo in una particolare materia chiamata «matematica», ma perché la matematica era dappertutto, e per qualche minuto, prima che Simon venisse accoltellato tra le aiuole dal figlio del boss mafioso, la matematica gli aveva permesso di condividere il suo senso dell'umorismo.

(«Alex, credo che qui potremmo inserire un riferimento alla campagna che sto portando avanti. Potresti farmi dire: "Ora che ci penso, il bullismo aritmetico è proprio ciò che sta facendo il governo coi servizi pubblici. I banchieri ci fregano i risparmi, il governo deve rendere i soldi, e Cameron insiste per prenderli tagliando i servizi pubblici fondamentali, autobus compresi. E spero di non avere involontariamente dato un'idea al governo, perché Boris ne sa qualcosa delle tradizioni di Ashdown"».

«Intendi dire che Boris Johnson, sindaco di Londra, amico di David Cameron ed ex allievo di Ashdown, potrebbe aver parlato col primo ministro della tradizione scolastica che riguarda il tuo metodo per affrontare i bulli, e che questo gli avrebbe dato l'idea di far pagare agli autobus l'ingordigia e gli errori dei banchieri?».

«Ovviamente è una battuta. Forse dovresti inserire: "Aggiunge Simon faceto"») .

Simon aveva una seconda tattica per far fronte ai pugni. Era più scaltra: dimostrava affetto.

Invece di restituire il pugno al persecutore, Simon allargava le braccia e cercava di abbracciarlo.

Sapeva bene quale fosse l'effetto. «Ho iniziato a farlo non appena ho capito che l'abbraccio ha connotazioni sessuali».

Spaventava tutti a morte.

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