Autore Giacomo Mazzocchi
Titolo Gli eroi siamo noi
SottotitoloStorie di rugby, di vita e di 6 nazioni
EdizioneMinerva, Bologna, 2012 , pag. 352, ill., cop.fle., dim. 14x21x2 cm , Isbn 978-88-7381-445-0
LettoreDavide Allodi, 2018
Classe sport









 

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Indice


  1    SEVEN RUGBY                       9
  2    L'ORCO BUONO                     27
  3    CELLO E RUGBY 1917               53
  4    LE ALI DI DIO                    61
  5    MALI E ROSI                      89

  6    BORTOLAMI IL CAPITANO           105
  7    BUD SPENCER                     123
  8    DOMINGUEZ IL TORERO             135
  9    IL PRETE BELLO                  149
 10    IL CARUSO OVALE                 165

 11    IL DUELLO IN TRINCEA            179
 12    L'UOMO DEL DESTINO              191
 13    POLIFEMO                        207
 14    CHINAGLIA L'EMIGRANTE           221
 15    IVAN E I FRANCESCATO            233

 16    DISASTRO NELLE ANDE             249
 17    EROI DEI DUE MONDI              269
 18    ZONDERWATER BLOCK               291
 19    LANFRANCHI IL BRACCIO           307
 20    BENVENUTI FRA NOI               321

 21    11 SETTEMBRE                    335


 

 

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Pagina 9

CAP 1 SEVEN RUGBY


Mai notte fu più lunga e terrificante di quella fra il 5 ed il 6 aprile 2009.

L' Aquila Rugby era rientrata in serata da Alghero reduce da un'importante vittoria esterna. Ad attendere la squadra in piazza c'era anche Lorenzo Sebastiani, il pezzo azzurro più pregiato, assente dalla trasferta per infortunio. Il gruppo, come di consueto, andò a festeggiare al ristorante. Si unì anche il ventenne Sebastiani.

Lorenzo Cavallo, quarantaquatt'anni, co-allenatore del "quindici" abruzzese preferì rientrare a casa a Scoppito, una decina di chilometri a Nord-Ovest dall'Aquila, dove, all'ora di cena, l'aspettava la famiglia: moglie e tre figli fra i dieci e i tredici anni.

L'ex "pilone" dell' Aquila campione d'Italia nel 1993, si destreggiava fra tre diversi mondi: quello di Ispettore Superiore di Polizia, con l'incarico di eseguire indagini per conto dell'autorità giudiziaria della città, di allenatore della squadra cittadina di rugby, infine di marito e padre.

Dopo la cena la famiglia andò a coricarsi presto. Le camere da letto erano situate al terzo livello della casetta monofamiliare, facente parte di un complesso cooperativo di una ventina di abitazioni di recente costruzione. Il giorno dopo cominciava una nuova settimana e bisognava presentarsi a scuola e al lavoro ben carichi. Una sana e laboriosa famiglia abruzzese.

L'inferno, cui nessuno poteva essere preparato, deflagrò nel bel mezzo della notte. Alle 3.32 la crosta terrestre si aprì come un'anguria, in direzione Nord-Sud, gettando nel caos e nel terrore i settantaduemila abitanti della città e quelli di ventisette paesi limitrofi, Scoppito incluso.

Per quaranta secondi Lorenzo Cavallo, sua moglie Chiara, i figli Lucia, Giorgio e Marco, rimasero inchiodati ai loro letti.

«Sballottati nel buio totale come pulcini chiusi in una scatola che qualcuno agita. Il boato che accompagnava la frattura era apocalittico. La terra sotto di noi si stava spalancando per inghiottire tutto: me, la mia famiglia, la mia casa!»

I danni maggiori nei terremoti non sono tanto quelli procurati dalla sola entità del sisma, bensì quelli combinati con la sua forza e durata.

Quaranta secondi di terrore puro. Un tempo infinito. In quel tempo si possono correre i quattrocento metri in pista, scendere a venti metri di profondità in apnea, sparare a una cernia e riportarla a galla, imbastire un'azione da meta in mezzo ai pali, realizzarla e piazzare la successiva trasformazione per vincere una partita all'ultimo secondo.

Quando cadde il silenzio Lorenzo Cavallo realizzò di essere vivo. Anche sua moglie accanto a lui lo era. Sentì Marco e Lucia urlare papà dalla camera a fianco.

Cercò di accendere la luce sul comodino, ma fu inutile. Riprese il controllo della situazione: terremoto, casa in piedi, famiglia viva. A tentoni si diresse verso il pianerottolo, in mutande, inciampando nei mobili rovesciati e suppellettili sparsi sul pavimento.

«Prestò» urlò, «ma con calma, scendiamo e andiamo fuori così come siete».

Si intrupparono lungo le scale, e poco dopo furono fuori. Tutti, meno Chiara. Lorenzo stava per precipitarsi dentro casa quando uscì la moglie con un paio di borsoni nelle mani.

Nel buio, appena rischiarato da una luna velata quasi piena, Lorenzo percepì un sorriso soddisfatto sulla bocca determinata di Chiara.

Nei mesi precedenti si erano avvertite un centinaio di scosse. Qualcuno aveva ipotizzato che si trattasse di segnali premonitori, ma non venne preso sul serio. Chiara, ad ogni buon conto, aveva preparato due borsoni con il necessario per una famiglia di cinque persone nel caso di abbandono improvviso della casa.


Le notti di primavera a 820 metri di altitudine sono ancora gelide.

La famiglia Cavallo, aprì subito i borsoni, si vestì e si infilò in una delle due auto con cui la famiglia si muoveva per fare la spola fra il paesino e la città. Erano entrambe parcheggiate nel giardino con le chiavi nel cruscotto. Cavallo le mise in moto e le sistemò nel punto più lontano dalle mura di casa. Accese i fari per illuminare l'abitazione. Vide qualche lesione, qualche calcinaccio e qualche tegola staccata. Esternamente la casa aveva tenuto.

Emergenza superata. Non aveva terminato di pensarlo che la terra di nuovo sussultò. Pochi secondi. La prima scossa di assestamento, forte ma non deflagrante. No, l'emergenza non era affatto finita. Rientrare in casa neanche a pensarci. Certo, però, lui doveva rientrare. Aveva bisogno di telefonare dal fisso che stava sul tavolino all'ingresso e recuperare il telefonino che era in carica in cucina... Questione di un attimo. Tranquillizzò con aria di comando Chiara e Lucia. Si avvicinò quatto alla porta di casa rimasta aperta, con i sensi all'erta. Si infilò nel vano illuminato dai fari delle auto. Il telefono era a terra. Si precipitò in cucina inciampando nella madia e nei bicchieri sparpagliati sul pavimento. Trovò il ripiano di marmo. Strappò dalla presa cavetto e cellulare ed in pochi istanti fu di nuovo fuori nella notte semibuia. Fronteggiata l'immediata esigenza, ora doveva pensare ed agire in qualità di rappresentante della forza pubblica di Stato. Bisognava al più presto capire l'accaduto. La scossa doveva aver provocato una catastrofe. La sua casa era di recente costruzione, edificata secondo canoni moderni. Aveva provvisoriamente retto all'impatto sismico. Ma L'Aquila? Il suo vasto centro storico, eretto nei secoli senza alcuna prospettiva antisimica, sarà ancora in piedi? L'elettricità era andata. Le linee telefoniche cadute. Il silenzio attorno totale. Provò a fare qualche telefonata con il cellulare. Inutilmente. I ponti dovevano essere saltati. L'unica fonte d'informazione era la radio della macchina. Cercò le lunghezze d'onda delle emittenti locali, ma erano mute. Trovò, invece un "Giornale Radio Speciale" della RAI che già parlava di un cataclisma di portata eccezionale.

La notizia del disastro, quella notte si propagò più all'estero che in Italia. Il primo, infatti, a mettersi in contatto nella notte fu Darren Coleman, l'allenatore della stagione precedente. In Australia era giorno e le televisioni locali stavano seguendo con grande attenzione il dramma aquilano gettando nell'ansia i tanti emigranti abruzzesi.

Era presto per fare il punto della situazione, ma sicuramente le vittime dovevano essere tante, specie tra le persone che abitavano in centro storico e pensò al "Torrione", dove abitavano sua madre, suo fratello Cesare e l'altro fratello Marcello, disabile.

Capì che doveva andare. Doveva raggiungere al più presto il suo presidio. Era il momento dell'azione.

La famiglia? Per il momento era al sicuro. A patto che a nessuno venisse in mente di rientrare in casa per nessuna ragione al mondo, fintato che lui non fosse tornato o non avesse trovato il modo di comunicare. Tutto stava succedendo molto in fretta. I minuti pesavano ore. Alle 4 del mattino, ventotto minuti dopo l'inizio della fine del mondo, Lorenzo imboccò la Statale 17 Ovest in direzione della città. Non si vedeva anima viva. Con la luna ormai coperta non si riusciva a distinguere molto ai lati della strada. Nessuna luce dalle poche abitazioni di contadini dalle zona. La notte a Est non era illuminata dai familiari bagliori della città. Lorenzo guidava con attenzione mentre manovrava inutilmente il cellulare che non dava segni di vita. Ogni cinque minuti il "Giornale Radio" aggiornava la situazione e cominciò a parlare di morti...

A un paio di chilometri da L'Aquila finalmente la suoneria del telefono lo fece sobbalzare.


«Lorenzo! Sono io, Laura... Come state?» La voce era di Laura Natali, la cognata. dottoressa presso l'"Ospedale Civile San Salvatore", situato fuori città, a Ovest, oltre l'autostrada.

«Bene, bene. Ci siamo sistemati nell'auto in giardino. Io sto venendo in città... Ma voi? Notizie di casa?»

«Guarda qui si è spento tutto da più di un'ora. I cellulari funzionano sì e no. Sono riuscita a parlare con Cesare dieci minuti fa e mi ha detto che ha portato via tutti dal "Torrione" e che la zona è piena di macerie, di mura crollate. Non si circola praticamente più in centro. Io sono in ospedale. Ero di turno. Qui è emergenza estrema. Non funziona niente. I malati gravi non posso essere trattati. La struttura è pericolante. Mi aspetto che fra poco cominceranno ad arrivare i primi morti, i feriti. Qui è il caos... Abbiamo bisogno di aiuto. È una priorità assoluta...»

La decisione di Lorenzo Cavallo fu immediata. Fece una lettura rapidissima della situazione e scelse la migliore azione di gioco: più utile tentare di raggiungere la Questura probabilmente inaccessibile, oppure girare subito a sinistra e arrivare in fretta all'Ospedale?... La seconda!

«Laura fra tre minuti sono in Ospedale».

Il chiarore delle prime luci dell'alba cominciava a illuminare la scena. La parte Ovest de L'Aquila, oltre l'autostrada, era tutta di recente costruzione e si intuivano danni minori. L'"Ospedale Civile San Salvatore" era invece una "babele". Fuori dall'ingresso il caos era indescrivibile, pieno di malati semivestiti appoggiati ovunque, sistemati su letti di fortuna. Il piazzale antistante era invaso da vetture ed ambulanze con morti e feriti.

La struttura aveva tenuto, non c'erano stati crolli interni, ma le colonne portanti erano piegate e dal cemento fuoriuscivano spunzoni di ferro. Avrebbe tenuto se fosse giunta un'altra forte scossa? A fatica Lorenzo raggiunse lo staff medico dell'ospedale. Assieme alla dottoressa Natali c'erano altri due medici: Vittorio Festuccia, padre di Carlo, cinquantuno volte "tallonatore" azzurro e membro del "Tour 2102" dell'Italia in Argentina, Canada e Stati Uniti; Giorgio Castellani, cardiologo, padre di Andrea, "pilone", venti volte azzurro.

Pensò che i malati e i feriti fossero in buone mani. I tre erano rimasti all'interno dell'Ospedale a coordinare le operazioni. Sarebbero stati gli ultimi ad abbandonare la nave ma era certo che tutti gli altri dovevano andarsene in fretta.

All'ospedale Lorenzo Cavallo era conosciuto come poliziotto e la questione che gli venne posta fu questa: «Ispettore, il problema è quello degli allettati, e del reparto geriatrico. C'è gente che non può muoversi neanche con le stampelle, che hanno le flebo attaccate, ingessati... Avremmo bisogno urgente di un'intera squadra di soccorso... Ma sappiamo che è impossibile...»


Nella testa di Lorenzo si accese di colpo una lampadina.

«Un momento. Mi avete fatto venire un'idea».

Prese dalla tasca il cellulare. Cercò la funzione che utilizzava per inviare ai giocatori le convocazioni e digitò questo messaggio: «se stai bene tu e i tuoi familiari vieni all'ospedale c'è bisogno di te».

Si erano fatte le cinque e mezzo del mattino. Il primo ad arrivare, venti minuti dopo, fu Carlo Cerasoli. «Eccomi!, cosa c'è da fare?», chiese.

A seguire si materializzarono tutti quelli a cui crolli, macerie, auto inutilizzabili, vie impercorribili, non impedirono di arrivare: Antonio Fidanza, il "pilone" italo sudafricano, Lorenzo Bocchino, la gigantesca "seconda linea", 0llie Hodge, l'"ala" beneventana Stefano Varrella. Una equipe senza frontiere. Infine anche Massimo Mascioletti il direttore tecnico della squadra, icona del rugby nazionale con diciasette mete realizzate in cinquantaquattro partite, non aveva letto il messaggio ma si era recato in ospedale per cercare la moglie di turno in camera operatoria.


Chi non fu in grado di ricevere il messaggio, invece, fu Lorenzo Sebastiani, purtroppo.

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CAP 2 L'ORCO BUONO

Secondo uno studio svolto presso l'Istituto di Scienze Sportive dell'Università di Cape Town in Sud Africa, con sede proprio nello Stadio di rugby Newlands, la qualità più importante per un giocatore di rugby è la potenza muscolare: il prodotto della forza per la velocità.

Resistenza, tenuta mentale sono importanti, ma devono associarsi ad una buona esplosività muscolare, qualità indispensabile fra gli avanti, i giocatori delegati a conquistare l'ovale e a guadagnare terreno tramite la propria potenza fisica.

Ecco perché gli "omoni" nel rugby sono importanti e ricercati.

Ogni buon allenatore è sempre lieto di annoverare nella propria squadra un vero "omone". È sicuramente un buon punto di partenza. Il resto può essere aggiunto attraverso uno specifico allenamento.

La storia del rugby è la storia anche di questi colossi. Il rugby li cerca e loro si lasciano conquistare volentieri trovando in una squadra di rugby l'ambiente ideale per realizzarsi.

Ragazzi, spesso goffi e spesso presi in giro dai coetanei per la loro diversità, nel gioioso ambiente del rugby trovano il terreno ideale per superare i propri complessi.

Per queste persone particolari il rugby è un'esperienza, spesso un amore che segna tutta la vita.

Non di rado questi colossi emergono in altri sport, vengono richiesti dal mondo dello spettacolo e, magari, guadagnano di più, ma solo nel rugby riconoscono la propria vocazione.

Qualche volta questi colossi diventano miti e in Italia se ne contano tanti. Sono ragazzi che accettano il ruolo di "omone" che eccita la fantasia e per apparire ancora più "spaventosi", sopra i muscoli poderosi si fanno crescere barba e capelli.

In realtà sonò persone miti pur se obbligate, sul campo, a fare la parte che si chiede al trascinatore cattivo e senza tema.

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