Copertina
Autore Cormac McCarthy
Titolo Città della pianura
EdizioneEinaudi, Torino, 1999, Supercoralli
OriginaleCities of the Plain [1998]
TraduttoreRaul Montanari
LettoreRenato di Stefano, 1999
Classe narrativa statunitense
PrimaPagina


al sito dell'editore








 

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Pagina 3 [ inizio libro ]

Si fermarono sulla soglia, pestarono gli stivali a terra per scrollare via la pioggia, sventolarono il cappello e si asciugarono l'acqua dalla faccia. Fuori, nella strada, la pioggia sferzava l'acqua stagnante facendo ondeggiare e ribollire il verde e il rosso sgargianti delle luci al neon, e le gocce pesanti danzavano sui tetti d'acciaio delle automobili parcheggiate lungo il bordo del marciapiede.

Sono mezzo annegato, maledizione, disse Billy. Scosse il capello gocciolante. Dov'è il cowboy tutto americano?

E' già entrato.

Andiamo. Si sarà tenuto per sé le piú belle in carne, di sicuro.

Nei loro trasandati déshabillé, le puttane alzarono la testa per guardarli dai divani altrettanto malconci su cui stavano sedute. Il locale era quasi pieno. Pestarono di nuovo gli stivali sul pavimento e si diressero al bancone, dove si fermarono, spinsero i cappelli sulla nuca e appoggiarono i piedi alla sbarra che correva sopra il canale di scarico in mattoni, mentre il barman versava il whisky. Sotto le luci rosso sangue del bar, immersi in una nube di fumo sospesa a mezz'aria, sollevarono i bicchieri e accennarono con il capo, come per salutare un quarto compagno ormai perduto, poi buttarono giú il liquore, riappoggiarono sul banco i bicchieri vuoti e si sfregarono la bocca con il dorso della mano. Troy accennò con il mento in direzione del barman e fece un gesto circolare con il dito indicando i bicchieri vuoti. Il barman annuì.

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Pagina 24

Be', sulla strada c'erano tutti quei conigli coda bianca. Si piazzavano lí e restavano paralizzati davanti ai fari. Blap. Blap. Lanciai uno sguardo a Gene e dissi: Cosa facciamo con questi conigli? Lui mi guardò di rimando e disse: Conigli? Voglio dire, se cercavi qualcuno a cui gliene fregasse qualcosa, be', posso assicurarti che quello di sicuro non era Gene. Per quanto lo riguardava, l'acqua poteva diventare benzina.

Facemmo una sosta a una stazione di servizio a Dimmitt Texas, piú o meno all'alba. Fermammo l'auto nella zona dei distributori, spegnemmo il motore e ce ne restammo seduti ad aspettare, mentre dall'altra parte della pompa c'era un'altra macchina, e il tizio che lavorava lí stava facendole il pieno e puliva il parabrezza. Nella macchina era seduta una donna. Quello che stava al volante era entrato a farsi una pisciata o chissà che altro. Insomma, noi eravamo proprio di fronte a quest'altra macchina e io avevo appoggiato la testa al sedile e me ne stavo lí beato ad aspettare il benzinaio, e non facevo nemmeno caso a questa donna, anche se da li potevo vederla. Stavo seduto tranquillo, forse mi guardavo un po' intorno. Be', a un certo punto lei si raddrizzò sul sedile e cominciò a urlare come se la stessero ammazzando. Ma dico proprio a urlare. Io saltai su, non capivo cosa stava succedendo. La donna guardava verso di noi, e io pensai che Gene avesse combinato qualcosa. Magari l'aveva tirato fuori, qualcosa del genere. Non sapevi mai cosa gli passava per la testa. Guardai Gene, ma lui ne sapeva quanto me di cosa cazzo stava succedendo. Be', ecco che il tizio viene fuori dal gabinetto degli uomini, e, voglio dire, era pure grande e grosso, quel figlio di puttana. Io smontai e feci il giro della macchina. Mi sembrava di essere lì lí per impazzire. La Oldsmobile aveva una grossa griglia ovale per proteggere il radiatore, davanti al muso, una specie di gigantesca schiumaiola, e quando arrivai davanti all'auto vidi che era piena e strapiena di teste di conigli. Voglio dire, ce ne saranno state un centinaio tutte ammassate insieme e incollate alla griglia, e il muso dell'auto e il paraurti e tutto il resto erano coperti di sangue e budella di conigli, e quei conigli, penso io, probabilmente al momento dell'impatto avevano voltato la testa, qualcosa del genere, perché guardavano tutti in avanti, e gli occhi facevano paura. I denti storti. Sogghignavano. Non riesco a darti un'idea dello spettacolo. Dio mi fulmini se per poco non mi mettevo a urlare anch'io. Avevo notato che l'auto si stava surriscaldando, ma pensavo che fosse semplicemente per via della velocità a cui andavamo. Il bestione voleva menarci, per quella faccenda. Io dissi: Maledizione, amico. Sono conigli. Hai capito? All'inferno. Gene scese dall'auto e cominciò a sbraitare, e io gli dissi di rimettere in macchina il suo dannato culo e chiudere il becco. Il tizio andò dalla donna e le disse di tacere e smetterla di frignare, e insomma vidi che lui ce l'aveva con noi e non c'era niente da fare. Allora pensai di andare a suonargliele, a quel grosso figlio di puttana, e farla finita.

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Pagina 61

Guardava i pipistrelli. Poi guardò Oren.

Forse quello che penso è che un cavallo piú che altro si preoccupa di quello che non conosce. A lui piace poterti vedere. A parte questo, gli piace poter sentire la tua voce. Magari pensa che finché parli non fai altre cose che lui non conosce.

Tu credi che i cavalli pensino?

Ma certo. Voi no?

Si, anch'io. Eppure c'è gente che sostiene di no.

Be'. Questa gente potrebbe sbagliarsi.

Credi di poter dire cosa sta pensando un cavallo?

Credo di poter dire cos'ha in mente di fare.

In generale.

John Grady sorrise. Certo, disse. In generale.

Mac ha sempre sostenuto che un cavallo conosce la differenza fra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

Mac ha ragione.

Oren continuava a fumare. Bene, disse. Questa per me è sempre stata un po' dura da mandar giú.

Credo che se non fosse cosi non sarebbe nemmeno possibile addestrarli.

Non credi invece che si tratti semplicemente di portarli a fare quello che vuoi tu?

Credo che tu possa addestrare un gallo a fare quello che vuoi. Ma non lo avrai veramente in pugno. Invece c'è un modo di addestrare un cavallo che, quando hai finito, ti fa sentire che lo possiedi davvero. Sei sul suo stesso terreno. Un buon cavallo immaginerà le cose per conto suo. E tu vedrai quello che c'è nel suo cuore. Lui non farà una cosa mentre lo guardi e un'altra mentre non lo guardi. No, lui è tutto d'un pezzo. Quando un cavallo l'hai portato fin lí, è difficile che tu riesca a fargli fare qualcosa che secondo lui è sbagliato. Si ribellerà. E a quel punto, se lo maltratti, il dispiacere può quasi ucciderlo. Un buon cavallo ha la giustizia nel cuore. Io l'ho visto, questo.

Sui cavalli hai un'opinione molto migliore di quella che ho io, disse Oren.

Riguardo ai cavalli non mi va di mettere le cose in forma di opinioni. Da ragazzo credevo di sapere tutto quello che c'è da sapere su un cavallo. Adesso invece piú passano gli anni e piú mi sembra di essere ignorante, riguardo ai cavalli.

Oren sorrise.

Se un uomo capisse davvero i cavalli, disse John Grady. Se un uomo capisse davvero i cavalli, per addestrarne uno gli basterebbe lo sguardo. Tutto qui. Il metodo che uso io è molto lontano da ciò che fanno quelli che li picchiano con la briglia. Ma è anche molto lontano da quello che sarebbe veramente possibile fare.

Stiracchiò le gambe. Incrociò il piede infortunato sopra lo stivale.

Su un punto avete ragione, disse. In genere sono rovinati prima ancora che li portino qui. Li hanno rovinati la prima volta che gli hanno messo una sella. O anche prima. I cavalli migliori sono quelli che sono cresciuti giocando con i ragazzi. O forse perfino quelli selvaggi, che corrono per la pianura e non hanno mai visto un uomo. Non hanno niente da disimparare.

Su quest'ultimo argomento avresti dei problemi a convincere qualcuno a darti ragione.

Lo so.

Hai mai domato un cavallo selvaggio?

Sí. Però è raro che capiti di addestrarli.

Perché?

La gente non vuole che vengano addestrati. Vuole solo che vengano domati. E' il padrone, quello che bisognerebbe addestrare.

Oren si piegò in avanti e schiacciò il mozzicone della sigaretta. Ti sto ascoltando, disse.

John Grady segui con lo sguardo il fumo che saliva fino a entrare nel cono d'ombra della lampada, sopra il tavolo. Probabilmente, quello che ho detto sui cavalli che non hanno mai visto un uomo non è vero. E meglio se vedono gente. Basta che se la vedano un po' intorno, solo questo. Forse la cosa migliore per loro sarebbe pensare che le persone siano alberi, finché non arriva il domatore.

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Pagina 82

La sala era vuota. Nell'aria ristagnava un odore di fumo, di fermentazione dolciastra, e la scia di profumo di rose e spezie delle puttane scomparse. Al bar non c'era nessuno. Nella luce grigia si vedevano macchie sul tappeto, zone usurate e consumate sui braccioli di poltrone e divani, bruciature di sigaretta. Nel foyer, aprí uno dei due battenti della porta verniciata, entrò nel piccolo guardaroba e recuperò il cappello. Poi aprí la porta d'ingresso e uscí nel freddo del mattino.

La periferia della città mostrava un panorama di stamberghe, fatte di pezzi di alluminio e casse di legno. Squallore di polvere e ghiaia, e piú in là le distese di artemisia e creosote. L'aria era percorsa dai richiami dei galli e odorava di carbone di legna. Si orientò grazie al chiarore grigiastro che veniva da est, e si incamminò verso la città. Nell'alba fredda le luci erano ancora accese, laggiú, sotto la sagoma scura delle montagne, e contribuivano a creare quell'impressione di preziosa insularità comune a tutte le città del deserto. Un uomo camminava lungo la strada con un mulo stracarico di legna da ardere. In lontananza, le campane delle chiese avevano cominciato a suonare. L'uomo gli lanciò un sorriso d'intesa. Come se fra loro ci fosse un segreto, solo fra loro due. Qualcosa che aveva a che fare con l'età e i giovani e le loro richieste e quanto c'era di giusto in queste richieste. E nelle richieste che gli altri facevano pesare su di loro. Il mondo passato, il mondo a venire. La precarietà che condividevano. E sopra ogni cosa una profonda, profondissima consapevolezza del fatto che bellezza e perdita sono tutt'uno.

La vecchia serva' con un occhio solo fu la prima ad accorrere, trotterellando stoicamente lungo il corridoio con le sue ciabatte rotte e spalancando la porta, e la trovò tutta inarcata sul letto che infuriava quasi fosse posseduta da un demonio. La vecchia si portava appresso le chiavi legate con uno spago a un pezzo di manico di scopa, e fu lesta ad avvolgere intorno al manico di scopa il lembo di un lenzuolo e a ficcarlo fra i denti della ragazza. La ragazza si inarcò di nuovo, rigida come il marmo, e la serva salí sul letto e la inchiodò giú, bloccandola. Una seconda donna comparve sulla soglia della camera con un bicchiere d'acqua, ma lei la mandò via con un brusco cenno della testa.

Es como una mujer diabòlica, disse la donna.

Vete, gridò la serva. Non es diabòlica. Vete.

Ma le puttane del locale si stavano già affollando presso la porta, e cominciarono a entrare a spintoni nella camera, tutte con le vestaglie variegate addosso, con la faccia coperta di creme e le forcine fra i capelli, e si stiparono vociando intorno al letto, e una si fece largo con una statua della Vergine e la tenne alta sopra il letto, e un'altra afferrò una mano della ragazza e cominciò a legarla a una delle colonne del letto con la cintura della vestaglia. La bocca della ragazza era piena di sangue, e alcune delle puttane si fecero avanti e bagnarono i fazzoletti nel sangue come per pulirle la bocca, e invece poi nascondevano i fazzoletti su di sé per portarseli via, e la bocca della ragazza continuava a sanguinare. Le presero l'altro braccio e legarono anche quello, e alcune di loro intonavano litanie e altre si facevano il segno della croce mentre la ragazza si inarcava e sobbalzava, finché a un certo punto si immobilizzò con le pupille rovesciate e gli occhi bianchi. Avevano portato dalle proprie stanze statuette e piccoli altari votivi fatti di gesso dorato e pitturato, e alcune stavano accendendo candele quando il padrone del bordello comparve sulla soglia della stanza, in maniche di camicia.

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Pagina 96

Era sdraiato sulla branda e fissava le assi del soffitto del dormitorio, squadrate grossolanamente, quando Billy arrivò e si fermò nel corridoio. Era un po' ubriaco. Aveva il cappello spinto indietro verso la nuca. Che si dice, cowboy, lo salutò.

Ehi, Billy.

Come ti butta?

Benissimo. Dove siete stati tutti quanti?

Siamo andati a ballare a Mesffla.

Chi è venuto?

Tutti, a parte te.

Si sedette sulla soglia e puntò uno stivale contro lo stipite, si tolse il cappello, se lo posò sopra un ginocchio e appoggiò la testa all'indietro. John Grady lo guardava.

Hai ballato?

Ho ballato tanto che non mi sentivo piú il culo.

Non lo sapevo, che eri un grande ballerino.

Non lo sono.

Immagino che ce l'avrai messa tutta.

Un vero spettacolo. Oren mi dice che quel cavallo col cervello sballato che ami tanto ti mangia in mano, adesso.

Questa è un'esagerazione, magari.

Ma cosa gli dici?

A chi?

Ai cavalli.

Non lo so. La verità.

Immagino che siano segreti del mestiere.

No.

Come si fa a mentire a un cavallo?

Si voltò e guardò John Grady. Non lo so, rispose il ragazzo. Intendi dire come fai in pratica a farlo, o come puoi arrivare a fare una cosa del genere?

Come fai in pratica.

Non saprei. Credo che dipenda da quello che hai nel cuore.

Tu pensi che un cavallo sappia cos'hai nel cuore?

Oh, sí. Tu no?

Billy non rispose. Dopo un po' disse: Oh, sí. Anch'io.

Io non sono molto bravo a dire bugie.

Non ci sei abituato, tutto qui.

Dai box disposti su tutto un lato del capannone arrivavano l'ansare e l'agitarsi degli animali.

Hai una ragazza che vai a trovare?

John Grady incrociò gli stivali uno sopra l'altro. Sí, disse. O almeno ci provo.

JC l'aveva detto.

Come faceva a saperlo, JC?

Ha detto semplicemente che manifestavi tutti i sintomi.

Manifestavo?

Oh, già.

E quali sono?

Non l'ha detto. Hai intenzione di portarla fuori dal posto dove sta, prima o poi, in modo che possiamo darle un'occhiata?

Sí. Voglio portarla fuori dal posto dove sta.

Bene.

Tolse il cappello dal ginocchio, se lo mise in testa e si alzò.

Billy?

Si.

Volevo dirti una cosa su questa faccenda. E' un bel casino. Ora come ora sono un po' giú di corda.

Non ne ho il minimo dubbio, cowboy. Ci vediamo domattina.

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Pagina 192

Si avviarono sull'altopiano sgombro da ostacoli, facendo schioccare i lazos e levando alte grida, curvi sulla sella, il collo del cavaliere che sfiorava quello del cavallo. Nel giro di un miglio il vantaggio dei cani si era dimezzato. I cani continuavano a tenersi sulla mesa, e la mesa si apriva sempre piú davanti a loro. Se si fossero tenuti vicini al costone avrebbero forse potuto trovare un punto da cui scendere di nuovo là dove i cavalli non sarebbero stati in grado di seguirli, ma sembravano convinti di poter battere nella corsa qualunque cosa li inseguisse, e cosi correvano e correvano, due affiancati e il terzo appena dietro, e il sole allungava alle loro spalle le ombre canine spinte a un galoppo irregolare fra l'erba color talpa che cospargeva qua e là l'altopiano.

Billy, sul baio, li raggiunse prima che potessero separarsi, si piegò e prese al lazo il piú arretrato dei cani. Non si curò nemmeno di fissare la corda al pomolo della sella, ma si limitò a girarsela due volte intorno al polso, diede uno strattone che sollevò da terra il cane e prosegui trascinandoselo dietro e tenendo la corda con una sola mano.

Raggiunse di nuovo i cani, li superò e fini per trovarsi davanti a loro. I cani in corsa lo guardarono, gli occhi smarriti, le lingue penzoloni. Il loro compagno morto scivolava sul terreno di fianco a loro, all'estremità del lazo. Billy si voltò a guardarli, fece deviare il cavallo sulla destra e trascinò il cane morto facendolo passare proprio davanti a loro e descrivendo nella sua corsa un ampio arco. John Grady stava arrivando, correva a piú non posso sulla mesa, e Billy arrestò il baio che si impennò e saltò, e lui balzò giú, liberò il cappio dal cane, tornò indietro riarrotolando il lazo e montò di nuovo in sella.

Fu ancora lui a raggiungere per primo i cani, e lanciò il lazo sul grosso cane giallo che correva davanti all'altro. Il cane maculato scartò rischiando di finire sotto le zampe del cavallo e puntò verso il costone della mesa. Il cane giallo rotolò su se stesso sobbalzando, poi si rialzò e continuò a correre con il cappio intorno al collo. John Grady sopraggiunse al galoppo alle spalle di Billy, fece volteggiare il lazo, prese il cane giallo per le zampe, frustò il cavallo con l'estremità raddoppiata della fune e la fissò al pomolo della sella. Il lazo di Billy si allentò di colpo e strisciò sul terreno con un sibilo finendo per fermarsi, e il grosso cane giallo, preso fra le due funi, volò improvvisamente nell'aria. I lazos produssero un unico breve suono sordo e il cane si spaccò in due.

Il sole si era alzato da meno di un'ora e nella luce che pioveva obliqua sulla mesa l'esplosione di sangue davanti a loro fu vivida e inaspettata come un'apparizione. Qualcosa di assolutamente incontrollabile, evocato dal nulla. La testa del cane roteò nell'aria portandosi dietro le spire delle due funi, mentre il corpo del cane piombava a terra con un tonfo soffocato.

Dio santissimo, disse Billy.

Un lungo grido di richiamo risuonò nella mesa davanti ai due. Joaquín galoppava verso di loro insieme a tre dei cani da caccia. Li aveva visti prendere il cane per la testa e per le zampe e rideva sventolando il cappello. I cani correvano a lunghi balzi, di fianco al suo cavallo. Non avevano ancora visto il superstite maculato che fuggiva verso il margine della mesa.

Ayeee muchachos, li chiamò Joaquín. Gridò ancora e rise, poi si piegò e cercò di allontanare con il cappello i cani che gli stavano troppo vicini.

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Pagina 224

E cosa accadde poi? disse John Grady.

Il cieco sorrise del suo sorriso cieco e afflitto. Avete mangiato la foglia, disse.

Si.

Infatti. Non c'è un lieto fine a questa storia. Forse però c'è una morale. O forse no. Lascio a voi di giudicare.

Cosa accadde?

L'uomo la cui vita era stata cambiata per sempre dalla richiesta che il suo nemico gli aveva rivolto dal letto di morte fini in rovina. Il bambino divenne la sua vita. Piú della sua vita. Dire che stravedeva per il piccolo è dire niente. Eppure andò tutto storto. Io credo comunque che le intenzioni del morente fossero state le migliori. Ma è possibile un'altra interpretazione. Non sarebbe la prima volta che un padre sacrifica il proprio figlio.

Il figlio adottivo, crescendo, divenne violento e sfrenato. Divenne un criminale. Un rubagalline. Un giocatore d'azzardo. E altre cose ancora. Infine, nell'inverno del millenovecentosette, nella città di Ojinaga, uccise un uomo. Aveva diciannove anni. Piú o meno la vostra età, forse.

La stessa.

Si. Forse era questo il suo destino. Forse nessun padrino avrebbe potuto salvarlo da se stesso. Nessun padre. Il padrino dilapidò tutte le sue sostanze cercando di corrompere giudici e giurati. Senza risultato. Una strada del genere, una volta che la si è presa, non ha fine, e l'uomo morí povero, in solitudine. Non si mostrò mai amareggiato. Non sembrava nemmeno chiedersi se fosse stato tradito. Un tempo era stato forte e perfino spietato, ma l'amore intorpidisce le menti degli uomini. Posso dirlo perché io stesso ne sono stato vittima. Non riusciamo piú a badare a noi stessi, e l'unica cosa che rimane da vedere è se il fato vorrà proteggerci con una sua forma di pietà. O, se invece ne avrà poca. O nessuna.

Gli uomini parlano di destino cieco, di qualcosa che agisce senza schemi o fini. Ma che sorta di destino è mai questo? Ogni atto compiuto in questo mondo è irreversibile, ed è preceduto da un altro, e da un altro ancora. Tutti insieme formano una rete immensa nello spazio e infinita nel tempo. Gli uomini immaginano di poter scegliere fra le possibilità che vedono davanti a sé. Ma noi siamo liberi di agire solo in base a ciò che ci è stato dato. La libertà di scelta si smarrisce nel labirinto delle generazioni, e in questo labirinto ogni atto è in sé un asservimento, poiché sgombra il campo da tutte le alternative e ci lega sempre piú strettamente alle costrizioni di cui è fatta la nostra vita. Se il morto avesse potuto perdonare il suo nemico per i torti che gli aveva inflitto, tutto sarebbe stato diverso. Fu il figlio a vendicare il padre? Fu il morto a sacrificare il figlio? I nostri progetti sono costruiti in vista di un futuro che ci è ignoto. Il mondo prende forma ora dopo ora ridistribuendo in sé il peso relativo di ogni cosa, e per quanto noi possiamo sforzarci di scorgere la forma complessiva del mosaico non abbiamo modo di riuscirci. Possiamo solo seguire la legge di Dio, e la saggezza, se lo vogliamo.

Il maestro si chinò sul tavolo e ricompose le mani davanti a sé. Il bicchiere di vino era vuoto, e lui lo sollevò.

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Pagina 290

Fintò un affondo con il coltello a serramanico. Sorrise. Giravano in tondo, fronteggiandosi.

Cosa vede ora, il pretendente. Spera ancora in un miracolo? Forse alla fine leggerà la verità nei propri intestini. Come fanno i vecchi stregoni del deserto.

Si fece sotto con il coltello e fintò alla faccia del ragazzo, poi la lama scese in un arco di luce evanescente e collegò i tre tagli orizzontali aperti sulla carne della coscia con una riga verticale, fino a formare la lettera E.

Riprese a muoversi in cerchio, verso sinistra. Gettò indietro la testa per liberare la fronte dai capelli unti di brillantina.

Sai come mi chiamo, vaccaro? Sai come mi chiamo?

Volse la schiena al ragazzo e si allontanò lentamente. Parlò alla notte.

Forse in punto di morte il pretendente capirà che è stata la sua fame di mistero a distruggerlo. Puttane. Superstizione. E alla fine la morte. Perché questo è ciò che ti ha portato qui. E questo che cercavi.

Si voltò. Mosse di nuovo davanti a sé la lama con quel suo lento gesto da mietitore, e guardò il ragazzo con aria interrogativa. Come se ora, finalmente, potesse rispondergli.

Questo è ciò che ti ha portato qui, ciò che vi porterà sempre qui tutti. Quelli come te non tollerano l'idea che il mondo sia piatto. Che non contenga niente all'infuori di ciò che si vedono davanti. Eppure il mondo messicano è un mondo di pura esteriorità, e sotto i suoi ornamenti è davvero banale. Mentre il vostro mondo - muoveva la lama avanti e indietro come la spola in un telaio - il vostro mondo vacilla su un muto labirinto di domande. E noi vi divoreremo, amico mio. Voi e tutto il vostro pallido impero.

Quando attaccò di nuovo, il ragazzo non fece neppure lo sforzo di difendersi. Si limitò a menare un fendente con il coltello, per allontanarlo, e quando Eduardo si ritrasse il ragazzo aveva nuovi tagli sul braccio e sul petto. L'altro gettò ancora indietro la testa, per liberarsi delle nere ciocche che gli scendevano mollemente davanti alla faccia. Il ragazzo lo seguiva con gli occhi, caparbio e imperturbabile. Era zuppo di sangue.

Non avere paura, disse Eduardo. Non fa cosi male. Ti farebbe male domani. Ma non ci sarà nessun domani.

John Grady teneva duro. La mano era piena di sangue viscido e sentiva qualcosa premere contro il palmo. Si scontrarono ancora, ed Eduardo gli squarciò la parte posteriore del braccio, ma il ragazzo tenne duro e non lo mosse nemmeno. Si voltarono. I suoi stivali girarono con un lieve sciacquio.

Per una puttana, disse il protettore. Per una puttana.

Si accostarono di nuovo l'uno all'altro e John Grady abbassò la mano che reggeva il coltello. Sentí la lama di Eduardo scivolargli su una costola, attraversare la bocca dello stomaco e passare oltre. Gli spezzò il respiro. Non tentò di schivare o parare il colpo. Sollevò di scatto il coltello partendo dall'altezza del ginocchio, lo conficcò e indietreggiò barcollando. Nel momento in cui la mascella del messicano si era chiusa, aveva sentito il suono secco dei suoi denti. Il coltello di Eduardo cadde schizzando acqua nella piccola pozzanghera che ristagnava ai suoi piedi, e l'uomo si voltò come per andarsene. Poi si girò di nuovo. Il suo sguardo era quello di chi sta per salire su un treno. Il manico del coltello da caccia spuntava da sotto la mascella. Sollevò la mano e lo toccò. Aveva la bocca serrata in una smorfia. La mascella era inchiodata al cranio, e Eduardo afferrò l'impugnatura con entrambe le mani come per strappare via il coltello, ma non lo fece. Si scostò, poi si voltò e fini per appoggiarsi al muro del magazzino. Scivolò a terra, seduto. Sollevò le ginocchia e rimase seduto, succhiando l'aria attraverso i denti. Mise le mani a terra, una a destra una a sinistra, guardò John Grady, e dopo un po' si piegò lentamente e giacque a terra nel vicolo, scomposto, appoggiato al muro dell'edificio, e non si mosse più.

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Pagina 310

Allora. Il viaggiatore era un uomo fatto cosi. Mise giú le sue cose e osservò quello scenario sempre piú buio. Sul passo non c'era nulla se non roccia e ghiaia, e lui, volendo almeno tenersi piú in alto dei sentieri che i serpenti avrebbero potuto percorrere durante la notte, andò all'altare e ci appoggiò sopra le mani. Si fermò un momento, ma non fu un momento abbastanza lungo. Stese la coperta sulla pietra, e ne fissò gli angoli mettendoci sopra dei sassi, per evitare che il vento la portasse via prima che si fosse tolto gli stivali.

Sapeva che pietra era quella?

No.

Chi lo sapeva, allora?

Il sognatore, lo sapeva.

Tu.

Si.

Be', allora credo proprio che tu e lui foste due persone diverse.

Perché?

Perché se foste stati la stessa persona, ciascuno dei due avrebbe saputo ciò che sapeva l'altro.

Come nella vita di tutti i giorni.

Si.

Ma questa non è la vita di tutti i giorni. Questo è un sogno. Nella vita reale il problema non si porrebbe.

Ándale.

Si tolse gli stivali. Quando se li fu tolti salí sopra la roccia, si avvolse nella coperta e si preparò a dormire su quel freddo e terribile letto.

Gli auguro buona fortuna.

Già. Comunque, dormí.

Si addormentò dentro il tuo sogno.

Si.

Come facevi a sapere che dormiva?

Lo vedevo dormire.

E sognò?

L'uomo si guardò le scarpe. Raddrizzò le gambe, poi le incrociò nell'altro senso. Be', disse. Non sono sicuro della risposta che devo darti. Accaddero dei fatti. Al riguardo, alcune cose rimangono oscure. E' difficile sapere, per esempio, quando questi fatti accaddero.

Perché?

Io feci questo sogno in una certa notte. E nel sogno apparve il viaggiatore. Che notte era questa? Nella vita del viaggiatore, quando fu che lui arrivò in quella locanda fatta di rocce, per passarci la notte? L'uomo dormí, e accaddero dei fatti che ora ti racconterò, ma quando successe tutto questo? Tu vedi qual è il problema. Diciamo che i fatti che accaddero furono soltanto un sogno di quest'uomo, e che la realtà stessa dell'uomo rimane ipotetica. Come giudicare il mondo di quella sua ipotetica mente? E cosa in lui è veglia, cosa è sogno? Come arriva lui a occupare un mondo che esiste solo di notte? Le cose hanno bisogno di una base su cui poggiare. Cosí come non c'è anima che non abbia bisogno di un corpo. Un sogno che nasce dentro un sogno solleva questioni molto diverse da ciò che si potrebbe supporre.

Un sogno dentro un sogno potrebbe non essere affatto un sogno.

E' una possibilità da considerare.

Sono cose che mi fanno solo pensare alla superstizione, queste.

E cos'è?

La superstizione?

Sí.

Be'. Immagino che sia quando uno crede in cose che non esistono.

Come l'indomani? O ieri?

Come i sogni di un uomo che stai sognando tu. Ieri è un giorno realmente esistito, e l'indomani verrà.

Può darsi. Ma in ogni caso i sogni di quest'uomo erano i suoi sogni. Erano distinti dal mio. Nel mio sogno l'uomo era steso sulla pietra e dormiva.

Potevano essere anche loro una tua creazione.

En este mundo todo es posible. Vamos a ver.

E' come il disegno della tua vita che vedevi nella mappa.

Còmo?

Es un dibujo nada màs. Non è la tua vita. Un disegno non è una cosa. E solo un disegno.

Ben detto. Ma cos'è la vita? Puoi vederla? Svanisce nel momento stesso in cui appare. Momento per momento. E alla fine svanisce e non riappare piú. Quando guardi il mondo, c'è un punto nel tempo in cui ciò che è visto diventa ciò che è ricordato? Come separare l'istante vissuto dal suo ricordo? E' questo, ciò che non abbiamo modo di mostrare a noi stessi. E' questo ciò che manca dalla mappa, e dal disegno che vi è tracciato. Eppure è tutto ciò che abbiamo.

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Pagina 317

Prova a seguirmi, disse l'uomo. Come tutte le storie, anche questa nasce da una domanda. Le storie che ci parlano piú intensamente hanno la capacità di sopraffare chi le racconta, e cancellare dalla memoria lui e le sue ragioni. Perciò la questione di chi stia veramente raccontando la storia è molto consiguiente.

Non è vero che tutte le storie nascono da una domanda.

Sí che è vero. Là dove ogni cosa è nota, non si dà narrazione.

Billy si piegò di nuovo a sputare. Ándale, disse.

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Pagina 324

Sí. Si svegliò dal sogno e si rizzò a sedere, tremando per il freddo e la paura. Nello stesso identico passo desolato. La stessa identica arida catena di montagne. Lo stesso identico mondo.

E tu?

Il narratore ebbe un sorriso d'intesa, come un uomo che rammenti la propria infanzia. Questi sogni rivelano anche il mondo, disse. Ci svegliamo ricordando gli eventi di cui erano composti, mentre spesso la storia narrata nel sogno è elusiva e difficile da ricostruire. Eppure la storia è la vita del sogno, mentre gli eventi in sé sono spesso intercambiabili. D'altra parte gli eventi del mondo diurno ci sono imposti, e la storia è l'asse invisibile sul quale devono allinearsi. Spetta a noi soppesare, dividere e ordinare questi eventi. Siamo noi a metterli insieme nella storia che è noi stessi. Ogni uomo è il bardo della propria esistenza. E' questo ciò che lo lega al mondo. Sfuggire al sogno che il mondo sta facendo su di lui, questo è al tempo stesso la sua punizione e la sua ricompensa. Dunque. Avrei potuto svegliarmi anch'io, ma a mano a mano che il mondo si avvicinava il viaggiatore sulla roccia cominciava a svanire, e poiché non ero ancora disposto a separarmi da lui gridai per chiamarlo.

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Pagina 325

Billy si piegò e sputò. Scrutò il paesaggio verso nord. Farei meglio a proseguire, disse. Devo fare molta strada.

Ci sono persone che ti aspettano?

Me lo auguro. Di sicuro io sarei contento di vederle.

Il viaggiatore avrebbe voluto che io fossi il suo testimone. Ma nei sogni non può esserci testimone. Questo l'hai detto anche tu.

Era solo un sogno. L'hai sognato tu, quell'uomo. Puoi fargli fare quello che ti va.

Dov'era prima che io lo sognassi?

Dimmelo tu.

Io credo questo, e lo ripeto: quest'uomo appartiene alla stessa Storia alla quale apparteniamo tu e io. Questa è la materia di cui è fatto. Quale altra, se no? Se lo avessi creato io, cosi come Dio crea gli uomini, come avrei potuto non sapere ciò che avrebbe detto, prima ancora che parlasse? O come si sarebbe mosso, prima che lo facesse? In sogno noi non sappiamo cosa sta per accadere. Veniamo sorpresi.

E' vero.

E allora, da dove viene tutto questo?

Non lo so.

Qui due mondi si toccano. Tu credi che gli uomini abbiano il potere di chiamare a sé ciò che vogliono? Di evocare un mondo, nella veglia o nel sonno? Dargli respiro e poi popolarlo di figure che uno specchio possa riflettere o che il sole riconosca? Donare a ciascuno il suo, la gioia a uno, la disperazione a un altro? Può un uomo essere cosi nascosto a se stesso? E se è cosí, chi è nascosto? E a chi?

Tu puoi chiamare a te il mondo che Dio ha creato, nient'altro che quel mondo. E questa tua vita alla quale dai tanta importanza non è opera tua, qualunque sia il nome che decidi di darle. La sua forma è stata imposta al vuoto fin dall'inizio del mondo, e tutto ciò che si può dire di come sarebbero potute andare altrimenti le cose è senza senso, perché non si dà nessun altrimenti. Di cosa potrebbe essere fatto? Dove potrebbe nascondersi? Come potrebbe fare la sua comparsa? La probabilità di ciò che è reale è assoluta. Il fatto che non abbiamo il potere di intuirlo prima che accada non lo rende meno certo e determinato. Il fatto che possiamo immaginare storie alternative non significa nulla.

Allora è questa la fine del tuo racconto?

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Pagina 328

Si. Non ha senso affermare che le cose esistono solo quando noi le evochiamo. Il profilo del mondo e tutto ciò che in esso è racchiuso è stato tracciato molto tempo fa. Eppure la storia del mondo, che è tutto il mondo che conosciamo, non esiste al di fuori degli strumenti della sua esecuzione. Né questi strumenti possono esistere fuori della propria storia. E cosí via. Questa tua vita non è un ritratto del mondo. E' il mondo stesso, e non è fatta di ossa o di sogni o di tempo, ma di devozione. Non c'è nient'altro che possa contenerla. Nient'altro che possa esserne contenuto.

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Pagina 334 [ fine libro ]

Spero che abbiate ragione.

Sicuro di non volere un bicchiere d'acqua?

No, signora. Sto bene.

La donna gli diede un colpetto su una mano. Era tutta nodi, cicatrici lasciate dalle funi, macchie impresse dal sole e dagli anni. Le vene in rilievo la legavano al cuore. C'era quanto bastava perché gli uomini vi scorgessero una mappa. C'era abbondanza di segni e meraviglie, da farne un paesaggio. Da farne un mondo. La donna si alzò per andarsene.

Betty, disse lui.

Si.

Io non sono quello che credete voi. Non sono niente. Non so perché perdete tempo con me.

Be', signor Parham, io so chi siete. E so perché. Adesso dormite. Ci vediamo domattina.

Si, signora.


    Io sarò il bimbo, perché tu mi abbracci,
    E tu me, negli anni in cui sarò vecchio.
    Nel mondo cresce il gelo,
    Qualcosa infuria in cielo.
    La storia è ormai finita,
    Volta la pagina fra le tue dita.

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