Copertina
Autore Cormac McCarthy
Titolo Meridiano di sangue
Sottotitoloo Rosso di sera nel West
EdizioneEinaudi, Torino, 1998 [1996], Tascabili Letteratura 543
OriginaleBlood Meridian Or the Evening Redness in the West [1985]
TraduttoreRaul Montanari
LettoreRenato di Stefano, 1998
Classe narrativa statunitense
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al sito dell'editore








 

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Pagina 5 [ inizio libro ]

Capitolo primo
Infanzia nel Tennessee - Se ne va di casa - New Orleans - Si batte - Gli sparano - Verso Galveston - Nacogdoches - Il reverendo Green - Il giudice Holden - Una rissa - Toadvine - Incendio all'albergo - Fuga.

Eccolo, il ragazzino. E' pallido e magro, indossa una camicia di lino lisa e sbrindellata. Attizza il fuoco nel retrocucina. Fuori si stendono campi arati, scuri e cosparsi di chiazze di neve, e poi boschi piú scuri che celano ancora i pochi lupi rimasti. I suoi sono noti come taglialegna e venditori d'acqua, ma in realtà suo padre era maestro di scuola. Sdraiato, ubriaco, cita versi di poeti i cui nomi sono ormai andati perduti. Il ragazzo si rannicchia accanto al fuoco e lo guarda.

La notte in cui sei nato. Trentatré. Leonidi, le chiamavano. Dio, come cadevano le stelle. Con lo sguardo cercavo il buio, buchi nel cielo. L'Orsa correva.

La madre morta da quattordici anni aveva incubato nel ventre proprio la creatura che l'avrebbe uccisa. Il padre non pronuncia mai il nome della donna, il ragazzo non lo conosce. Ha una sorella al mondo che non rivedrà mai piú. Pallido e sporco, guarda il padre. Non sa leggere né scrivere, e già gli cova dentro un gusto per la violenza insensata. C'è tutta la storia in quel volto, il ragazzo padre dell'uomo.

A quattordici anni se ne va di casa. Non vedrà piú la gelida cucina nel buio prima dell'alba. La legna da ardere, i pentoloni per il bucato. Vaga verso ovest, fino a Memphis, migratore solitario in quel paesaggio piatto e pastorale. Negri nel campi, smilzi e curvi, le dita come ragni fra le capsule di cotone. Un'agonia nell'ombra del giardino. Sullo sfondo del sole al tramonto, figure che si muovono nel lento crepuscolo lungo un orizzonte di carta. Un colono, solo, scuro, segue mulo ed erpice giú per la bassa battuta dalla pioggia, verso la notte.

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Pagina 47

Ogni giorno si alzavano e si preparavano al buio, prima dell'alba, e mangiavano carne fredda e gallette senza accendere fuochi. Il sole sorgeva su una colonna che nel giro di sei giorni era già cenciosa. I loro vestiti andavano poco d'accordo, e i cappelli ancora meno. I piccoli cavalli pezzati avanzavano di buon passo, indocili e riottosi, e una feroce nube di mosche si dibatteva senza posa nel cassone del carro della selvaggina. La polvere che la brigata sollevava si disperdeva rapidamente e scompariva nell'immensità di quel paesaggio e altra polvere non c'era perché il Vivandiere Pallido che stava loro alle costole viaggia non visto, e il suo magro cavallo e il suo carro scheletrico non lasciano traccia su quel suolo né su qualunque altro. No, lui tiene il suo commercio presso i mille fuochi che punteggiano il crepuscolo blu acciaio, ed è un bottegaio furbo e ghignante, buono a seguire qualsiasi spedizione militare o a stanare gli uomini dai loro buchi proprio in quelle regioni imbiancate dove vanno a nascondersi agli occhi di Dio. Quel giorno due uomini si ammalarono e uno morí prima di notte. Il mattino dopo c'era un altro infermo al suo posto. Entrambi vennero stesi nel carro delle provviste fra sacchi di fagioli, riso e caffè, con delle coperte addosso a proteggerli dal sole, e viaggiarono cosí fra gli urti e gli scossoni del carro che strappavano praticamente la carne dalle ossa finché non gridarono che li lasciassero giú e poi morirono. Gli altri si alzarono al buio, di mattino presto, per scavare le fosse con scapole di antilope, poi le coprirono di pietre e ripresero il cammino.

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Pagina 54

Il messicano glielo porse e il capitano scrutò di nuovo l'orizzonte, poi riaccorciò lo strumento premendolo con il palmo della mano fino a chiuderlo del tutto e lo ripose nella bisaccia. Alzò una mano e si avviarono.

Erano bovini, muli, cavalli. Parecchie migliaia di capi e puntavano ad angolo retto verso la brigata. Nel tardo pomeriggio si distinguevano ormai a occhio nudo anche i cavalieri, un pugno di indiani vestiti di stracci che correvano lungo i fianchi esterni della mandria in groppa ai loro agili pony. Altri portavano il cappello, forse erano messicani. Il sergente arretrò fino ad affiancarsi al capitano.

Che ne pensate, capitano?

Penso che siano un branco di stramaledetti ladri di bestiame, ecco cosa penso. E voi?

Pare anche a me.

Il capitano puntò il cannocchiale. Immagino che ci abbiano visti, disse.

Sí, ci hanno visti.

Quanti pensate che siano?

Forse una dozzina.

Il capitano diede un colpetto allo strumento che teneva nella mano guantata. Non sembrano preoccupati, vero?

Nossignore. Proprio no.

Il capitano fece un sorriso sardonico. Può darsi che ci sia da spassarsela un po', qui, prima di notte.

La testa della mandria cominciò a sfilare sotto una coltre di polvere gialla, bestie ossute dalle zampe lunghe e dalle corna ricurve all'indietro tutte diverse una dall'altra, e muli piccoli e magri neri come il carbone che si spingevano e sollevavano la testa a forma di maglio sopra il dorso degli altri, poi altre vacche e infine i primi mandriani, che cavalcavano lungo il lato esterno tenendo il bestiame fra sé e la brigata a cavallo. Dietro arrivava un branco di parecchie centinaia di pony. Il sergente cercò con lo sguardo Candelario. Arretrò di un bel pezzo fra i ranghi ma non riuscí a trovarlo. Spinse il cavallo attraverso la colonna e la risalí sull'altro lato. Ora in mezzo alla polvere stavano arrivando gli ultimi mandriani e il capitano gesticolava e gridava. I pony avevano cominciato a separarsi dagli altri animali e i mandriani si facevano largo a botte nel branco, puntando verso quella brigata in armi che avevano incontrato sulla pianura. Attraverso la polvere, si vedevano ormai, dipinti sui fianchi dei pony, gli scaglioni e le mani e i soli nascenti e gli uccelli e i pesci di ogni tipo, come si scorge su una tela attraverso la bozzima l'impronta lasciata da una vecchia decorazione, e sopra lo scalpitio di tutti quegli zoccoli non ferrati si sentiva anche lo zufolio della quena, un flauto ricavato da ossa umane. Nella brigata qualcuno aveva cominciato ad arretrare sul cavallo e qualcun altro a girare in tondo confusamente, quando dal fianco invisibile del branco sorse un'orda fantastica di lancieri e arcieri a cavallo armati di scudi adorni di pezzi di specchio rotto che abbagliavano con mille frammenti di sole gli occhi dei nemici. Una legione di esseri orribili, a centinaia, seminudi o coperti da costumi attici o biblici o bardati di vesti uscite dal guardaroba di un sogno febbrile, pelli di animali e fronzoli di seta e brandelli di uniforme ancora macchiati del sangue dei precedenti proprietari, giubbe di dragoni trucidati, giacche di cavalleggeri con alamari e passamani. Uno aveva il cilindro in testa e un altro l'ombrello e un altro ancora calze bianche da donna e un velo da sposa macchiato di sangue. Alcuni portavano in capo penne di gru o elmetti di cuoio greggio con corna di toro o di bisonte e uno indossava un frac all'incontrario sul corpo nudo e un altro la corazza di un conquistador spagnolo, con la pettiera e gli spallacci profondamente segnati da vecchi colpi di mazza o di sciabola inferti in un altro paese da uomini le cui ossa erano polvere. Molti avevano i peli di altre bestie intrecciati nei capelli lunghi fino a terra, e le orecchie e la coda del cavallo adorne di pezzi di tessuto dai colori sgargiante. Uno aveva dipinto di rosso cremisi la testa del suo animale, e le facce di tutti i cavalieri erano coperte da pitture cosí sgargianti e grottesche da trasformare la cavalcata in una brigata di clown di mortale allegria, e tutti ululavano in una lingua barbarica e caricavano come un'orda uscita da un inferno ancora piú spaventoso della landa sulfurea immaginata dai cristiani, fra urla e guaiti, avvolti dal fumo come quegli esseri fantastici che dimorano in regioni poste al di là della ragione umana, dove l'occhio si perde e la bocca sbava e si contrae.

Oh, mio Dio, disse il sergente.

Uno sciame di frecce attraversò crepitando la brigata, e alcuni vacillarono e caddero di sella. I cavalli rinculavano e scartavano e le orde mongoliche si disposero lungo i fianchi poi si voltarono e investirono i cavalieri in pieno a lance puntate.

La brigata intanto si era fermata e vennero sparati i primi colpi e il fumo grigio dei fucili ondeggiò tra la polvere mentre i lancieri rompevano le file. Il ragazzo sentí il cavallo crollare sotto di sé con un lungo sospiro compresso. Aveva già fatto fuoco col suo fucile e adesso si sedette a terra e armeggiò con la giberna. Vicino a lui c'era un uomo seduto con una freccia che gli penzolava dal collo. Era lievemente piegato in avanti, come in preghiera. Il ragazzo stava per allungare la mano verso la punta di moietta insanguinata ma poi si accorse che l'uomo aveva addosso un'altra freccia, immersa nel petto fino all'impennaggio, ed era morto. Dappertutto c'erano cavalli a terra e uomini carponi, e ne vide uno intento a caricare il fucile col sangue che gli colava dalle orecchie, e vide uomini col revolver smontato che cercavano di infilare al posto giusto il tamburo di riserva carico di pallottole, e vide uomini in ginocchio che si piegavano di lato ad abbracciare la propria ombra sul terreno, e vide uomini infilzati dalle lance e afferrati per i capelli e scalpati in piedi, e vide i cavalli da combattimento calpestare i caduti e un piccolo pony dal muso bianco con un occhio chiuso emerse dal buio e cercò di morderlo come un cane e poi scomparve. Tra i feriti alcuni sembravano muti e istupiditi e altri erano pallidi sotto le maschere di polvere e altri ancora se l'erano fatta addosso o si erano gettati inciampando e barcollando sulle lance dei selvaggi. Che ora cavalcavano come in uno spaventoso fregio architettonico, cavalli che si avventavano con gli occhi bianchi e i denti mozzi e in groppa uomini nudi con fasci di frecce tra i denti e gli scudi che barbagliavano nella polvere. Risalirono lungo il fianco della schiera frantumata tra il suono dei flauti d'osso scivolando giú sul fianco dei cavalli, reggendosi con un calcagno alla correggia legata al garrese degli animali e tenendo i corti archi sotto il collo dei pony, fino a quando non ebbero circondato la brigata e tagliato in due le file. Allora tornarono a raddrizzarsi come marionette, alcuni con volti da incubo dipinti sul petto, e si avventarono sui sassoni disarcionati e li colpirono con le lance e le mazze, e balzavano giú dai cavalli coltello alla mano, e correvano intorno con una strana andatura a gambe arcuate, come creature abituate a forme sconosciute di locomozione, e strappavano i vestiti ai morti e li afferravano per i capelli e passavano la lama indifferentemente intorno ai crani dei vivi e dei morti e strappavano via le capigliature insanguinate e tagliavano e mutilavano i corpi denudati, staccando membra, teste, sventrando quegli strani torsi bianchi e levando in alto grandi manciate di viscere e genitali. Alcuni dei selvaggi erano talmente pieni di sangue che avrebbero potuto rotolarcisi dentro come cani e altri si gettavano sui morenti e li sodomizzavano lanciando alte grida ai compagni. Ora i cavalli dei morti emergevano scalpitando dal fumo e dalla polvere e giravano in tondo con le briglie svolazzanti e la criniera arruffata e gli occhi bianchi di paura come quelli dei ciechi, e alcuni erano irti di frecce e altri trafitti da lance, e inciampavano e vomitavano sangue mentre correvano qua e là sul luogo del massacro per scomparire di nuovo scalpitando. La polvere si posava sulle teste umide e nude degli scalpati che, con la sottile frangia rimasta sotto il taglio e tosati all'osso, giacevano ora come monaci nudi e mutilati nella polvere lorda di sangue, e dappertutto i morenti gemevano e farfugliavano e i cavalli rovesciati a terra levavano i loro acuti nitriti.

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Pagina 70

Discesero la montagna, calandosi mani avanti fra le rocce, e le loro ombre si contorcevano sul terreno accidentato come creature alla ricerca della propria forma. Al crepuscolo raggiunsero il fondo della valle e si incamminarono sulla terra azzurra, sempre piú fresca, i monti a ovest come il bordo frastagliato di una lastra d'ardesia conficcata in verticale nella terra, e l'erba secca che danzava e si torceva al soffio di un vento sorto dal nulla.

Continuarono ad addentrarsi nel buio e dormirono sulla sabbia come cani, e mentre dormivano qualcosa di nero sorse dalla terra buia sbattendo le ali e si appollaiò sul petto di Sproule. Dita sottili reggevano le ali di pelle con le quali si teneva in equilibrio mentre gli camminava sopra. Un muso rincagnato e raggrinzito, piccolo e cattivo, labbra nude arricciate in un orribile sorriso e denti azzurro pallido alla luce delle stelle. Si piegò su di lui. Gli scavò abilmente due solchi sottili nel collo e piegando le ali su di lui cominciò a bere il sangue.

Ma non fece abbastanza piano. L'uomo si svegliò, sollevò una mano. Strillò, e il vampiro agitò le ali e gli si accovacciò sul petto, poi tornò a rialzarsi, sibilò e batté i denti.

Il ragazzo era in piedi e aveva afferrato una pietra, ma il pipistrello volò via e scomparve nel buio. Sproule si stringeva il collo e farfugliava istericamente, e quando vide il ragazzo ritto a guardarlo allungò le mani insanguinate come in un gesto d'accusa, poi se le schiacciò contro le orecchie e urlò qualcosa che lui stesso parve non voler sentire, un ululato cosí furioso da arrestare per un attimo il battito del mondo. Ma il ragazzo si limitò a sputare nello spazio buio che li separava. Quelli come te io li conosco, disse. Quello che non va in te è solo colpa tua.

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Pagina 77

Passarono davanti a vecchi che chiedevano l'elemosina sul portale della chiesa tendendo le palme rugose, a mendicanti storpi dagli occhi tristi e dalle vesti a brandelli, a bambini che dormivano all'ombra mentre le mosche camminavano sui loro volti senza sogni. Monete di rame scure in un piattino, gli occhi inariditi dei ciechi. Scrivani accucciati sui gradini con penne e calamai e ciotole di sabbia, e lebbrosi che gemevano per le strade, cani spelati che sembravano fatti esclusivamente d'ossa, e venditori di tamales e vecchie dalle facce scure e solcate come la terra, accucciate ai margini della strada davanti a fuochi di carbone di legna sopra i quali strisce annerite di carne anonima friggevano schizzando intorno. Dappertutto giravano orfanelli simili a nani adirati, e idioti e beoni sbavavano e agitavano le braccia nei piccoli mercati della metropoli, e i prigionieri si lasciarono dietro il carnaio dei macelli e l'odore furibondo che veniva dagli scolatoi di interiora neri di mosche, e la carne tagliata a grandi pezzi rossi scuriti dall'avanzare del giorno, e i crani scuoiati e nudi di vacche e pecore con gli occhi di un azzurro spento rabbiosi e spalancati, e i corpi irrigiditi di cervi e javelina e anatre e quaglie e pappagalli, tutte creature selvatiche di quel territorio appese ai ganci a testa in giú.

Li fecero smontare di sella e li condussero tra la folla e giú per vecchi gradini di pietra oltre una soglia consumata come sapone e poi attraverso un cancello di ferro fino a un fresco sotterraneo di pietra, una prigione, dove presero posto fra i fantasmi di antichi martiri e patrioti mentre il cancello si chiudeva sonoramente alle loro spalle.

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Pagina 144

Per tutto il giorno il giudice aveva spigolato fra le pietre della gola attraverso la quale erano passati, e ora, alla luce del fuoco, rovesciò a terra il contenuto di un pezzo di tela di carro e cominciò a suddividere i reperti e a ordinarli davanti a sé. In grembo teneva il grosso quaderno ricoperto di pelle e sollevava ogni esemplare, fosse pietra o coccio o utensile o osso, per disegnarlo abilmente sulla pagina. Disegnava con una facilità che derivava dalla pratica, senza corrugare la fronte lucida né increspare le labbra stranamente infantili. Percorreva con le dita le tracce che un antico rivestimento di rami di salice intrecciati aveva lasciato su un pezzo di vasellame d'argilla, e le riproduceva sul quaderno con eleganti ombreggiature e pochi tratti di matita. Il giudice è un disegnatore esattamente come è altre cose, sempre all'altezza del compito. Di tanto in tanto solleva la testa e guarda il fuoco o i suoi compagni d'armi o la notte piú in là. Infine prese in esame il copripiede proveniente da un'armatura costruita tre secoli prima da un artigiano di Toledo, un piccolo tapadero d'acciaio, fragile e incrostato di ruggine. Il giudice lo disegnò di profilo e in prospettiva, riportandone le dimensioni con la sua scrittura nitida e mettendo note ai margini.

Glanton lo osservava. Quando ebbe finito, prese il piccolo copripiede e se lo rigirò in mano e lo studiò ancora, poi lo schiacciò riducendolo a una palla di lamina metallica e lo gettò nel fuoco. Raccolse gli altri manufatti e gettò nel fuoco anche quelli e scrollò la tela di carro, quindi la piegò e la ripose insieme al quaderno. Alla fine tornò a sedersi con le mani chiuse a coppa in grembo e parve estremamente soddisfatto del mondo, come se al momento della creazione fosse stato richiesto il suo parere.

Un uomo del Tennessee di nome Webster era rimasto per tutto il tempo a osservarlo, e ora gli chiese cosa pensasse di fare con quegli appunti e quei disegni, e il giudice sorrise e disse che era sua intenzione espungerli dalla memoria umana. Webster sorrise e il giudice rise apertamente. Webster gli lanciò uno sguardo in tralice e disse: Be', dovete aver fatto il disegnatore da qualche parte e quei ritratti assomigliano abbastanza al naturale. Ma nessun uomo può mettere tutto il mondo dentro un libro. Solo le cose disegnate sono dentro il libro.

Ben detto, Marcus, commentò il giudice.

Non disegnate me, però, disse Webster. Non voglio finire nel vostro libro.

Nel mio libro o in qualche altro libro, disse il giudice. Ciò che ha da essere non si scosta nemmeno di una jota dal libro in cui è stato scritto. Come potrebbe? Se cosí fosse sarebbe un falso libro, e un falso libro non è un libro, tutto qui.

Voi siete bravissimo con gli indovinelli e non ho intenzione di farla fuori con voi a parole. Basta che teniate il mio vecchio grugno fuori dal vostro libro, perché non mi va che lo si faccia vedere in giro, magari a gente sconosciuta.

Il giudice sorrise. Che sia nel mio libro o no, ogni uomo dimora in ogni altro e ogni altro in lui e cosí via, in un infinito intreccio di essere e di testimoniare dell'essere, fino al piú estremo margine del mondo.

Voglio essere io il testimone di me stesso, disse Webster, ma ormai gli altri avevano cominciato a dargli del presuntuoso, chi mai avrebbe voluto vederlo il suo maledetto ritratto, certo ci sarebbero stati dei tumulti nella folla sterminata in attesa che lo scoprissero, e magari avrebbero potuto coprire di pece e di piume il ritratto, in mancanza del modello in persona. Alla fine il giudice alzò una mano e chiese indulgenza e disse loro che i sentimenti di Webster erano di tipo diverso e non dipendevano affatto dalla vanità, e che una volta lui aveva fatto un ritratto a un vecchio Hueco e involontariamente aveva incatenato l'uomo alla propria immagine. Il vecchio infatti non riusciva piú a dormire per paura che un nemicopotesse impadronirsene e sfigurarlo, e il ritratto era cosí somigliante che non sopportava che si gualcisse o che si toccasse, e aveva fatto un viaggio nel deserto portandoselo appresso fin dove gli avevano detto che si trovava il giudice, e lo aveva pregato di spiegargli come conservare l'oggetto, e allora il giudice l'aveva portato nel cuore delle montagne e insieme avevano sepolto il ritratto nel pavimento di una grotta dove giaceva tuttora per quanto ne sapeva il giudice.

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Pagina 148

A questo punto il vecchio si pentí di tutto quanto e giurò che il ragazzo aveva ragione, e la vecchia seduta presso il fuoco era attonita per tutto ciò che aveva sentito, e quando l'ospite annunciò che per lui era venuto il momento di partire la donna aveva le lacrime agli occhi e la bambina saltò fuori da dietro il letto e gli si aggrappò ai vestiti.

Il vecchio si offrí di accompagnarlo lungo la strada per salutarlo e spiegargli quale direzione prendere al bivio, perché in quella parte del mondo non c'erano indicazioni stradali.

Mentre si incamminavano parlavano della vita in un posto cosí selvaggio dove si vedeva gente come quella che appunto si vedeva, a parte uno solo e nessun altro, finché arrivarono al bivio e a questo punto il viaggiatore disse al vecchio che aveva fatto abbastanza strada per lui e di ciò lo ringraziava, e si separarono e lo straniero proseguí il suo cammino. Ma il sellaio sembrava incapace di sopportare la perdita di quella compagnia, e lo chiamò e lo accompagno ancora per un pezzo. E in breve arrivarono a un punto in cui la strada si inoltrava in un bosco fitto e scuro e qui il vecchio uccise il viaggiatore. Lo uccise con una pietra e gli prese i vestiti e gli prese l'orologio e il denaro e lo seppelli in una fossa poco profonda di fianco alla strada. Poi tornò a casa.

Mentre camminava si strappò i vestiti e si ferí a sangue con un sasso, e raccontò alla moglie che erano stati assaliti dai banditi e che il giovane viaggiatore era stato ammazzato e lui solo era riuscito a fuggire. La donna si mise a piangere e dopo un po' si fece condurre sul luogo dell'accaduto, e portò delle primule che da quelle parti crescevano in grande abbondanza e le depose sulle pietre, e tornò lí diverse volte finché non invecchiò.

Il sellaio visse finché suo figlio non divenne adulto, e non fece piú alcun male a nessuno. Sul letto di morte chiamò a sé il figlio e gli raccontò quello che aveva fatto. E il figlio disse che se dipendeva da lui lo perdonava e il vecchio disse che dipendeva da lui e poi morí.

Ma il ragazzo non era dispiaciuto, perché era geloso del morto, e prima di andarsene visitò il luogo dell'assassinio e spostò i sassi e dissotterrò le ossa e le sparse nella foresta, quindi se ne andò. Se ne andò nel West, e divenne lui stesso un assassino di uomini.

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Pagina 150

Ciò che vale per un uomo, disse il giudice, vale per molti. Il popolo che un tempo viveva qui è chiamato Anasazi: i vecchi. Hanno lasciato queste contrade, cacciati dalla siccità o dalla malattia o da bande di predoni erranti, hanno lasciato queste contrade in epoche remote e di loro non c'è ricordo. Qui sono voci e spettri, circondati da grande venerazione. Gli utensili, le opere, le costruzioni - tutte queste cose sono qui per giudicare le razze venute in seguito. Eppure qui non c'è niente contro cui possano combattere. I vecchi se ne sono andati come fantasmi e i selvaggi vagano fra questi canyon in cui risuona un'antica risata. Si accucciano nell'oscurità delle loro rozze capanne e tendono l'orecchio alla paura che trapela dalla roccia. Tutti i passaggi da un ordine superiore a uno inferiore sono marcati da rovine e mistero e da un residuo di furia senza nome. Sí. Ecco i padri morti. Il loro spirito è sepolto nella pietra. Preme su questa terra con lo stesso peso e la stessa ubiquità. Perché chiunque si faccia un riparo di canne e vi si nasconda unisce il proprio spirito al destino comune di tutte le creature e tornerà a sprofondare nel fango primordiale senza neppure un grido. Ma chi costruisce con la pietra aspira ad alterare la struttura dell'universo e cosí è stato per questi muratori, per quanto primitive possano apparirci le loro opere.

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Pagina 157

A sera, la compagnia ripartí, diretta verso sud come prima. Le tracce degli assassini si dirigevano a ovest, ma erano uomini bianchi che depredavano i viaggiatori in quel deserto e mascheravano il loro agire facendolo sembrare opera dei selvaggi. L'idea di caso e fato è al centro dei pensieri degli uomini che si lanciano in imprese sconsiderate. La pista dei cercatori d'oro finiva in cenere, come detto, e lo spretato chiese se nella convergenza di percorsi in quella distesa desolata, dove i cuori e l'intraprendenza di una piccola nazione erano stati ingoiati e distrutti da un'altra, non fosse possibile scorgere la mano di un cinico dio che aveva tracciato con severità e beffarda sorpresa una cosí micidiale coincidenza. Tutto sommato, anche l'avere indirizzato sul posto come testimone un terzo tragitto umano poteva essere considerato prova di una malizia del caso, eppure il giudice, che aveva spinto avanti il cavallo per affiancarsi agli uomini che cosí ragionavano, disse che proprio in ciò si esprimeva la natura del testimone, e che la sua presenza non era un terzo fattore bensí il fattore primario, infatti quale cosa poteva mai dirsi reale che accadesse inosservata?

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Pagina 190

I cavalli furono catturati e riportati in branco sulla strada, e le selle e le bardature staccate. I corpi dei morti vennero spogliati, e le uniformi e le armi furono bruciate insieme alle selle e al resto dell'equipaggiamento, e gli americani scavarono una buca nella strada e seppellirono tutti nella fossa comune, i corpi nudi e straziati, simili a vittime di esperimenti chirurgici, giacevano nella buca guardando a bocca aperta, senza vederlo, il cielo del deserto, mentre li coprivano di terra. Passarono e ripassarono su quel punto con i cavalli finché non tornò ad assomigliare a una strada, e i percussori dei fucili e le lame delle sciabole e gli anelli dei sottopancia furono estratti ancora fumanti dalle ceneri e portati via e sepolti in un altro posto, e i cavalli senza piú cavalieri alzarono polvere fuggendo nel deserto, e a sera il vento portò via le ceneri e durante la notte tornò a soffiare e disperse gli ultimi residui di brace e spinse via le ultime fragili faville, che fuggirono come scintille sprizzate dalla selce immergendosi nel buio unanime del mondo.

Entrarono in città lenti e sudici, e puzzavano del sangue dei cittadini per la cui protezione erano stati assoldati. Gli scalpi degli abitanti del villaggio massacrati furono appesi alle finestre della casa del governatore e gli avventurieri vennero pagati mettendo mano a riserve quasi esaurite e la Sociedad fu sciolta e il contratto rescisso. A una settimana dalla loro partenza dalla città, una taglia di ottomila pesos sarebbe stata posta sul capo di Glanton. Si inoltrarono a nord come se fossero diretti a El Paso, ma prima ancora di sparire del tutto alla vista girarono i loro tragici animali verso ovest e corsero infatuati e quasi entusiasti verso la morte rosseggiante di quel giorno, verso le terre di ponente e il remoto pandemonio del sole.

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Pagina 249

Quella notte Glanton fissò a lungo i tizzoni del falò. Tutt'intorno i suoi uomini dormivano, ma molto era cambiato. Tanti se n'erano andati, avevano abbandonato la spedizione o erano morti. I Delaware tutti uccisi. Guardava il fuoco e se ci vedeva presagi non se ne curava. Sarebbe vissuto fino a vedere l'oceano a occidente, e accettava imperturbabile qualunque possibilità perché era sempre interamente se stesso. Sia che la sua storia dovesse svolgersi parallela a uomini e nazioni, sia che dovesse cessare. Da tempo aveva rinnegato qualsiasi calcolo delle conseguenze, e pur ammettendo che i destini degli uomini sono dati una volta per tutte, pretendeva di contenere in sé tutto ciò che sarebbe mai stato nel mondo e tutto ciò che il mondo sarebbe stato per lui, e se anche la sua sorte fosse stata iscritta nella roccia primordiale, rivendicava il diritto di agire e cosí diceva, e avrebbe guidato il sole implacabile fino al suo oscuramento finale come se fosse stato lui a ordinare tutto questo in ere remote, prima che ci fossero sentieri in qualche luogo, prima che ci fossero uomini o soli a percorrerli.

Davanti a Glanton, immenso e spaventoso, sedeva il giudice. Seminudo, scriveva nel suo libro. Dalla foresta di spine che avevano attraversato arrivava l'urlo dei piccoli lupi del deserto e sull'arida piana che avevano davanti altri rispondevano e il vento smuoveva i tizzoni che il giudice stava fissando. Gli steli delle opunzie luccicavano nella loro cesta incandescente e pulsavano come oloturie ardenti nel buio fosforoso delle profondità del mare. L'idiota nella gabbia era stato messo vicino al fuoco e non si stancava di fissarlo. Quando sollevò il capo, Glanton vide oltre le fiamme il ragazzo, seduto a gambe incrociate sulla coperta, intento a guardare il giudice.

Due giorni dopo incontrarono una cenciosa legione al comando del colonnello Garcia. Erano soldati della Sonora alla ricerca di una banda di Apache il cui capo si chiamava Pablo, e assommavano a quasi cento cavalieri. Fra questi, alcuni erano senza cappello e altri senza pantaloni e altri ancora nudi sotto le divise, e avevano con sé armi derelitte vecchi schioppi e moschetti Tower, e alcuni avevano archi e frecce o nient'altro che corde per strangolare i nemici.

Glanton e i suoi uomini contemplarono la compagnia con gelido stupore. I messicani si accalcarono tendendo le mani per avere tabacco, e Glanton e il colonnello si scambiarono ruvide cortesie, poi Glanton si fece strada a spintoni in mezzo a quell'orda molesta. Appartenevano a un altro popolo, quei cavalieri, e tutta la terra meridionale di cui erano originari e qualunque terra orientale verso la quale fossero diretti non gli dicevano nulla, e il suolo e chiunque vi soggiornasse erano per lui remoti, e la loro stessa esistenza dubbia. Questa sensazione si propagò per la compagnia prima che Glanton si fosse liberato completamente di quegli uomini, e ognuno dei suoi voltò il cavallo e lo seguí, e neppure il giudice disse qualcosa per esimersi da quell'incontro con la dovuta cortesia.

Proseguirono addentrandosi nelle tenebre, e il deserto illuminato dalla luna si stendeva davanti a loro pallido e freddo, e la luna era sospesa in alto dentro un anello e in quell'anello c'era una falsa luna con i propri mari freddi, grigi e madreperlacei. Si accamparono su una bassa terrazza rocciosa dove pareti di aggregato asciutto segnavano l'antico corso di un fiume e accesero un fuoco intorno al quale sedettero in silenzio, gli occhi del cane e dell'idiota e di alcuni di loro luccicanti e rossi come carboni accesi nella testa quando si voltavano. Le fiamme oscillavano nel vento, e i tizzoni impallidivano e s'incupivano e impallidivano e s'incupivano come la pulsazione del sangue di un essere vivente sventrato sul terreno davanti a loro, e guardavano tutti il fuoco che ha in sé qualcosa degli uomini stessi, poiché senza fuoco essi sono piú piccoli e sono separati dalle proprie origini e sono esuli. Perché ogni fuoco è tutti i fuochi, il primo e l'ultimo. Di tanto in tanto il giudice si alzava e si allontanava per qualche oscura missione, e dopo un po' qualcuno chiese allo spretato se era vero che una volta c'erano due lune nel cielo, e lo spretato sogguardò la falsa luna sopra di loro e disse che forse effettivamente un tempo era cosí. Ma di certo il saggio e sommo Dio, preoccupato dalla proliferazione della lunaticità su questa terra, doveva essersi inumidito il pollice ed essersi sporto dall'abisso e averne schiacciata una fino a estinguerla con un sibilo. E se fosse riuscito a trovare un altro mezzo perché gli uccelli volassero sicuri nel buio avrebbe tolto di mezzo anche quella che era rimasta.

Venne allora posta la questione se su Marte o su altri pianeti nel vuoto ci fossero uomini o creature simili a loro e a questo punto il giudice che era andato a mettersi di nuovo accanto al fuoco seminudo e coperto di sudore, parlò e disse che non ce n'erano, e che non c'erano uomini in alcun luogo dell'universo tranne quelli sulla terra. Tutti ascoltarono le sue parole, quelli che si erano voltati a guardarlo e quelli che non l'avevano fatto.

La verità riguardo al mondo, disse, è che tutto è possibile. Se voi non lo conosceste fin dalla nascita e pertanto non lo aveste purgato della sua bizzarria, vi apparirebbe per quello che è, un cilindro truccato in uno spettacolo di illusionismo, un sogno febbrile, una trance popolata di chimere senza simili e senza precedenti, un carnevale itinerante, un circo ambulante la cui destinazione finale, dopo molte soste in molti campi fangosi, è ineffabile e imperscrutabilmente rovinosa.

L'universo non è qualcosa di angusto, e l'ordine che vi regna non è ostacolato ad alcuna latitudine nel suo proposito di ripetere ciò che esiste in una parte in ogni altra parte. Anche in questo mondo esistono piú cose fuori che dentro la nostra conoscenza, e l'ordine che voi vedete nella creazione è quello che ci avete messo voi, come un filo in un labirinto, per non smarrirvi. Infatti l'esistenza ha il suo proprio ordine, tale che nessuna mente umana possa abbracciarlo, poiché la mente stessa non è che un fatto in mezzo ad altri fatti.

Brown sputò nel fuoco. Questa è un'altra delle vostre scemenze, disse.

Il giudice sorrise. Si appoggiò i palmi delle mani sul petto e respirò l'aria della notte, poi si avvicinò, sedette e sollevò una mano. Girò la mano e fra le dita c'era una moneta d'oro.

Dov'è la moneta, Davy?

Ve lo dirò io dove metterla quella moneta.

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Su un rilievo al margine occidentale della playa, passarono davanti a una grossolana croce di legno dove i Maricopa avevano crocifisso un Apache. Il cadavere mummificato pendeva dalla croce con la bocca spalancata ridotta a un buco osceno, una cosa di cuoio e ossa battuta dai venti di pomice che sorgevano dal lago, e lo scheletro bianco baluginava fra i brani di pelle che penzolavano dal petto. Proseguirono. I cavalli arrancavano riottosi su quel terreno estraneo, e la terra sferica rotolava silenziosa sotto di loro percorrendo il piú ampio vuoto che li conteneva. Nella neutra austerità di quel terreno, tutti i fenomeni erano affidati a una strana eguaglianza, e nessuna cosa, né un ragno, né una pietra, né un filo d'erba, poteva vantare diritto di precedenza. L'assoluta visibilità di questi oggetti snaturava la loro familiarità, poiché l'occhio identifica la totalità sulla base di qualche caratteristica o parte, mentre qui nulla era piú luminoso di qualcos'altro e nulla era piú adombrato, e nella democrazia ottica di paesaggi del genere qualsiasi predilezione è pura bizzarria, e fra un uomo e una roccia si creano parentele impreviste.

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Il giudice sorrise. Gli uomini sono nati per giocare. Nient'altro. Tutti i bambini sanno che il gioco è piú nobile del lavoro. Sanno anche che il valore o merito di un gioco non sta nel gioco stesso, ma piuttosto nel valore di ciò che è messo in gioco. I giochi d'azzardo richiedono una posta per avere senso. I giochi sportivi coinvolgono l'abilità e la forza dei contendenti, e l'umiliazione della sconfitta e l'orgoglio della vittoria sono di per sé una posta sufficiente poiché pertengono al valore degli antagonisti e li definiscono. Ma, sia questione d'azzardo o di valore, tutti i giochi aspirano alla condizione di guerra, perché in essa la posta inghiotte gioco, giocatore, tutto quanto.

Supponiamo che due uomini giochino a carte non avendo niente da puntare se non la vita. Chi non ha mai sentito una storia del genere? Una carta viene girata. Per il giocatore l'intero universo si riversa fragorosamente in quell'istante, che gli dirà se gli tocca di morire per mano di quell'uomo o se toccherà a quell'uomo morire per mano sua. Quale ratifica del valore di un uomo potrebbe essere piú sicura di questa? Spingere il gioco alla sua condizione estrema non ammette alcuna discussione concernente la nozione di fato. La selezione di un uomo a danno di un altro è una preferenza assoluta e irrevocabile, ed è davvero ottuso l'uomo che considera una decisione cosí profonda priva di un agente o di un significato. In giochi del genere, in cui la posta è l'annichilimento dello sconfitto, le decisioni sono del tutto trasparenti. L'uomo che tiene in mano una particolare combinazione di carte è in forza di ciò rimosso dall'esistenza. Tale è la natura della guerra, in cui la posta in gioco è a un tempo il gioco stesso e l'autorità e la giustificazione. Vista in questi termini, la guerra è la forma piú attendibile di divinazione. E' la verifica della propria volontà e della volontà di un altro, l'interno di quella piú ampia volontà che è costretta a compiere una selezione proprio perché li lega insieme. La guerra è il gioco per eccellenza perché la guerra è in ultima analisi un'effrazione dell'unità dell'esistenza. La guerra è dio.

Brown osservò il giudice. Voi siete pazzo, Holden. Decisamente pazzo.

Il giudice sorrise.

La forza non produce diritto, disse Irving. L'uomo che vince un combattimento non è giustificato sul piano morale. La legge morale è un'invenzione dell'umanità per deprivare il forte a vantaggio del debole. La legge storica la sovverte di continuo. Nessuna verifica estrema potrà mai determinare se un punto di vista morale sia corretto o erroneo. Di un uomo che cada morto in un duello non si penserà di conseguenza che abbia dimostrato di essere in errore riguardo al proprio punto di vista. Il suo stesso coinvolgimento in una prova del genere conferma l'esistenza di un punto di vista nuovo e piú ampio. La volontà dei protagonisti di tralasciare ulteriori dispute, considerandole futili come in effetti sono, e di appellarsi invece direttamente al tribunale dell'assoluto storico indica chiaramente di quale scarsa importanza siano le opinioni, e di quale grande importanza siano le divergenze al riguardo. Perché la disputa è davvero futile, mentre non lo sono le volontà separate che in tal modo si rendono manifeste. Nella sua capienza, la vanità dell'uomo può ben avvicinarsi all'infinito, ma la sua conoscenza rimane imperfetta, e comunque egli arrivi a valutare i propri giudizi è costretto infine a sottometterli a una piú alta corte. E qui non può esserci alcuna perorazione speciale. Qui considerazioni di equità e rettitudine e diritto morale diventano vuote e prive di autorevolezza, e qui i punti di vista dei litiganti non sono tenuti in conto. Le decisioni sulla vita e sulla morte, su ciò che deve e ciò che non deve essere, pongono in secondo piano qualunque questione di diritto. Dentro scelte di questa entità vengono sussunte tutte le scelte minori, morali, spirituali, naturali.

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Con gli ultimi due dollari comprò da un soldato lo scapolare di orecchie di selvaggi che Brown aveva portato fino al patibolo. Lo indossava il mattino dopo, quando fu assoldato da una guida originaria dello stato del Missouri, e lo indossava ancora quando partirono per Fremont sul Sacramento con una carovana di carri e bestie da soma. Se mai la guida ebbe qualche curiosità su quella collana, la tenne per sé.

Fece quel lavoro per qualche mese, poi lo abbandonò senza preavviso. Viaggiò in lungo e in largo. Non evitò la compagnia di altri uomini. Era trattato con una certa deferenza, come uno che doveva avere affrontato la vita al di là di quanto potesse far presumere la sua età. Adesso aveva un cavallo e una pistola, un equipaggiamento rudimentale. Fece diversi lavori. Possedeva una Bibbia che aveva trovato presso le miniere, e portava con sé quel libro di cui non sapeva leggere una sola parola. Per via dei suoi abiti poveri e scuri qualcuno lo prese per una sorta di predicatore, ma lui non portava loro alcuna testimonianza, né delle cose presenti né di quelle a venire, lui meno di qualunque altro uomo. Quelli in cui viaggiava erano luoghi dove le notizie arrivavano da lontano, e in quei tempi incerti gli uomini brindavano all'ascesa di governanti già deposti e salutavano l'incoronazione di re assassinati che giacevano nelle proprie tombe. Lui non portava informazioni nemmeno su storie come quelle, e benché in quei posti selvaggi fosse usanza fermarsi a scambiare notizie con ogni viaggiatore, sembrava che lui viaggiasse senza notizia alcuna, come se i fatti del mondo fossero troppo infamanti perché lui se ne occupasse, o forse troppo banali. Capitolo ventitreesimo

Sulle pianure del Texas settentrionale - Un vecchio cacciatore di bisonti - I branchi millenari - I raccoglitori di ossa - Notte nella prateria - I visitatori - Orecchie di Apache - L'ostilità di Elrod - Uccisione - Il morto è portato via - Fort Griffin - L'Alveare - Uno spettacolo - Il giudice - Uccisione di un orso - Il giudice parla dei vecchi tempi - Preparativi per il ballo - Il giudice sulla guerra, sul destino, sulla supremazia dell'uomo - La sala da ballo - La puttana - La latrina e quello che c'era dentro - Sie miissen schlafen aber ich muß tanzen.

Nel tardo inverno del milleottocentosettantotto era nelle pianure del Texas settentrionale. Attraversò il Double Mountain Fork e il Brazos River una mattina in cui un sottile velo di ghiaccio copriva la sponda sabbiosa, e si inoltrò in una buia foresta nana di alberi di mesquite neri e contorti. Quella notte si accampò in un altopiano dove un albero spezzato dal fulmine faceva da frangivento. Aveva appena acceso il fuoco quando ne vide un altro nel buio della prateria. Anche quello si torceva al vento, e anche quello riscaldava un solo uomo.

Era un vecchio cacciatore, e divise con lui il tabacco e gli raccontò dei bisonti e dei suoi appostamenti, sdraiato in un'insellatura del terreno o su un rialzo, con gli animali morti sparsi a terra e il branco che cominciava a girare in tondo e la canna del fucile cosí bollente che le pezze con cui ne puliva l'anima sfrigolavano, e gli animali a migliaia e decine di migliaia, e le pelli stese e fissate a pioli per intere miglia quadrate di terreno, e le squadre degli scuoiatori che si alternavano al lavoro dalla mattina alla sera, e tutto quello sparare, settimane e mesi passati a sparare finché l'anima del fucile non diventava liscia liscia e il calcio si allentava nel punto d'innesto e le spalle erano gialle e bluastre fino ai gomiti, e i carri accoppiati si allontanavano cigolando sulla prateria trainati da venti o ventidue buoi, e le pelli dure come pietra a tonnellate e centinaia di tonnellate, e la carne che restava a marcire sul terreno e l'aria ronzante di mosche, e gli avvoltoi e i corvi, e di notte un pandemonio di ringhi e rumore di mascelle, coi lupi che si rotolavano fra le carogne mezzo impazziti.

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Pagina 344 [ fine libro ]

Epilogo


Nell'alba un uomo avanza sulla pianura praticando buchi nel terreno. Usa uno strumento con due manici, lo infila nel buco e col suo acciarino fa scintillare la pietra nel buco, traendo fuoco dalla roccia che Dio ha collocato in quel posto, buco dopo buco. Sulla pianura alle sue spalle ci sono quelli che vagano in cerca di ossa e quelli che non le cercano, e si spostano vacillando nella luce come meccanismi di orologeria, in modo tale che paiono frenati da una prudenza o una cautela che non sono reali in sé, e cosí avanzano uno dopo l'altro attraversando quella traccia di buchi che corre fino all'estremo margine del terreno visibile, e che sembra meno la ricerca di una continuità che non la verifica di un principio, una ratifica di sequenza e causalità, come se ognuno di quei buchi rotondi e perfetti dovesse la propria esistenza a quello che lo precede, nella prateria sulla quale ci sono le ossa e i raccoglitori d'ossa e quelli che non le raccolgono. L'uomo fa sprizzare il fuoco nel buco ed estrae l'acciarino. Poi tutti riprendono il cammino.

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