Copertina
Autore Ian McEwan
Titolo Cani neri
EdizioneEinaudi, Torino, 1993, Supercoralli , Isbn 978-88-06-12970-5
OriginaleBlack Dogs [1992]
TraduttoreSusanna Basso
LettoreRenato di Stefano, 1993
Classe narrativa inglese
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Pagina 7

E se i miei fossero stati vivi, non avrei smaniato come gli altri in cerca di libertà? anche in questo caso, non me la sentivo di rispondere affermativamente. Quello che volevano i mieri amici mi sembrava l'opposto puro della libertà, un tuffo masochistico verso una mobilità sociale capovolta. E quanto mi irritava la prevedibilità dei miei coetanei, specialmente di Toby e di Joe, che consideravano la mia situazione domestica come una sorta di autentico paradiso: il covo maleodorante del nostro lurido appartamento con la sua atmosfera lassista tipo prendiamocela-comoda- chi-ce-lo-fa-fare; mia sorella, bellissima, fumatrice incallita, una sosia di Jean Harlowe, una delle delle prime rappresentanti della sua generazione ad adottare la minigonna; il dramma maturo di quel suo matrimonio travolgente e impetuoso, e il sadico Harper, quel feticista bardato di cuoio, dagli avambracci anabolizzanti e coperti di tatuaggi rossi e neri raffiguranti galletti impettiti; e il fatto che non ci fosse nessuno a seccarmi per il disordine della mia stanza, o per quel che mettevo addosso, o per come mangiavo, o dove andavo o se studiavo o per i miei progetti futuri o per la mia salute mentale e dentale. Che cosa potevo desiderare di piú? ... L'unica cosa che mi sento di dire in difesa di quel me stesso ragazzino è che per quanto non me ne rendessi ben conto al tempo, i miei genitori dovevano mancarmi terribilmente. Ero costretto a costruirmi delle difese. Una era la retorica e un'altra era il mio coltivato disprezzo per le attività dei miei amici. Se potevano vagare liberi, era per la sicurezza di cui godevano; io invece, di quei focolari che loro disertavano, ne avevo bisogno.

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Pagina 13

Che differenza da Bernard e June. Partirono insieme abbracciando l'ideale comunista e finirono col separarsi. Ma ciò che non venne mai meno fu la loro capacità, la loro voglia di credere. Bernard era un entomologo di talento e per tutta la vita rimase fedele alle limitate soddisfazioni e certezze che offre la scienza; rimpiazzò l'idea comunista con trent'anni di militanza devota a innumerevoli cause di riforme sociali e politiche. June trovò Dio nel 1946 in seguito a un incontro con il Maligno che le si manifestò sotto forma di due cani neri (Bernard trovava la ricostruzione dell'avvenimento quasi troppo imbarazzante per riuscire a discuterne).

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Pagina 36

- Non ho finito. C'è dell'altro. Mi sentivo turbata da questi pensieri, ma ero anche felice al dolmen. Non desideravo che restare seduta in silenzio a guardare le montagne diventare sempre più viola e a respirare l'aria pura di quella sera bellissima sapendo che Bernard era lí con me e faceva lo stesso e si sentiva allo stesso modo. Ed ecco un altro problema. Non c'era pace in noi, non c'era silenzio. Ci scaldavamo tanto pensando alla falsità riformista dei democratici, alle condizioni di miseria delle grandi città, a gente che neanche conoscevamo, gente che in quel momento non avremmo potuto aiutare in nessun modo. Le nostre esistenze si erano raccolte intorno a questo attimo sublime: un luogo sacro che vantava cinquemila anni di storia, il nostro amore reciproco, la luce, l'immenso spazio che ci si apriva dinanzi. Eppure noi non sapevamo coglierne l'essenza, non sapevamo tenercela dentro. Non eravamo capaci di vivere liberi il nostro presente. E insistevamo nel voler liberare gli altri, volevamo pensare alla loro infelicità, usavamo la loro miseria per mascherare la nostra. Che si fondava sull'incapacità di accettare le cose semplici e belle che la vita ci offriva ed esserne soddisfatti. La politica, quella fatta di ideali, si occupa solo del futuro. Ho impiegato il resto della mia vita per scoprire che nel momento in cui si entra completamente nel proprio presente, vi si scoprono spazi infiniti, tempo infinito, chiamalo Dio se ti pare...

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Pagina 39

Il respiro di June aveva assunto il ritmo di un breve ansimare, l'albero di rughe sulla fronte si era fatto piú brullo, meno complesso, come se l'inverno ne avesse spogliato i rami. La tazza vuota copriva in parte la foro. Che cambiamento! Ero ancora abbastanza giovane da esserne stupefatto. Eccola là in cornice, una pelle senza ombra di segno, la bella testina rotonda appoggiata al braccio del suo innamorato. Li avevo conosciuti solo piú avanti negli anni ma provavo nostalgia per quel tempo remoto e fuggevole in cui Bernard e June erano stati insieme e si erano amati senza complicazioni. Prima della caduta. Anche questo contribuiva ad attribuire innocenza alla foto: il non sapere per quanto tempo sarebbero stati schiavi e insofferenti l'uno dell'altra. June, dello spaventoso impoverimento spirituale di Bernard e della sua «fondamentale mancanza di serietà», della sua cieca razionalità e del suo insistere con arroganza, «a dispetto delle innumerevoli prove contrarie», che l'applicazione sociale della tecnologia avrebbe salvato il genere umano dalla sofferenza e dalla possibilità di fare del male; e Bernard, del tradimento di June nei confronti del suo impegno sociale, del suo «fatalismo auto-protettivo» e della sua «sconfinata credulità». Quanto aveva patito assistendo alla crescita inarretsabile delle certezze di June: unicorni, spiriti dei boschi, angeli, medium, la possibilità di guarire se stessi, l'inconscio collettivo, il «Cristo dentro di noi».

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Pagina 46

- Quando mi dissero quanto ero malata e venni a chiudermi qua dentro per sempre, la solitudine mi sembrava il mio piú grosso fallimento. Un errore enorme. Costruirsi una vita bella, che senso ha se si è soli? Quando ripenso a quegli anni in Francia a volte mi pare di sentire una ventata gelida in faccia. Bernard mi crede una scema fanatica di occultismo e io penso che sia un burocrate con gli occhi da pesce lesso, pronto a consegnarci tutti quanti in cambio di un angolo del paradiso terrestre ideato dai materialisti: cosí recita la commedia, il copione familiare. La verità è che ci amiamo, non abbiamo mai smesso, per noi è un'ossessione. Solo che abbiamo fallito in un punto. Non siamo riusciti a vivere. Non abbiamo saputo mettere da parte l'amore, ma nemmeno piegarci al suo potere. È un problema abbastanza semplice da definire, ma non abbiamo mai voluto definirlo. Non ci siamo mai detti: senti, siamo fatti cosí, perciò, come pensiamo di procedere? No, è stato un groviglio senza fine: liti, compromessi sui figli, caos quotidiano e allontanamento progressivo, fino alla scelta di vivere in due paesi diversi. Per trovare la pace, ho messo tutto a tacere. Se conservo del rancore è perché non posso perdonare me stessa. Se anche imparassi a sollevarmi di mezzo metro da terra, niente potrebbe mai ripagarmi del fatto di non essere riuscita a parlare e a vivere con Bernard. Ogni volta che me la prendo per l'ennesima catastrofe sociale che leggo sui giornali, sono costretta a ripetermi: ma come faccio a pensare che possono andare d'accordo milioni di estranei con interessi contrastanti, quando io non ce l'ho fatta a fondare la piú semplice delle unioni con il padre dei mie figli, l'uomo che ho amato e sposato?

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Pagina 83

... Se è vero che, in nome dell'unità del Partito, si tendeva a ignorare o a riformulare certi episodi un po' imbarazzanti, che importanza poteva avere a paragone del torrente di fandonie prodotto da quella che noi chiamavamo la macchina di propaganda capitalistica? Perciò bisognava procedere lavorando in buona fede, mentre tutto intorno la marea si alzava, incalzando. June e io abbracciamo la causa con ritardo e ci ritrovammo con l'acqua alle caviglie sin dal principio. Le notizie che non volevamo sentire stavano già filtrando da varie parti. I processi fasulli e le purghe degli anni trenta, la collettivizzazione forzata, le deportazioni in massa, i campi di concentramento, la censura, le bugie, le persecuzioni, i genocidi... Alla fine, le contraddizioni diventano troppe e si cede. Ma è già sempre troppo tardi. Io l'ho fatto nel '56; c'ero andato vicino nel '53, ma avrei dovuto decidermi già nel '48. E invece, si vuole resistere, ci si aggrappa. Si pensa, l'idea è buona, è solo la gente al governo che non va, ma quella non può durare in eterno. Del resto, come si fa a sprecare tanto buon lavoro. Ci si ripete che le difficoltà erano da mettere in conto e che la pratica non ha ancora raggiunto la qualità della teoria, perché per tutto ci vuole tempo. Ci si inganna con la storia che sono tutte calunnie da clima di guerra fredda. E del resto, come si fa a pensare di essere tanto in errore, come è possibile che tanta gente coraggiosa, leale e intelligente si stia sbagliando? Se non avessi avuto un;educazione scientifica, credo che avrei potuto tener duro anche piú a lungo. Lavorando in laboratorio si impara quanto sia facile far coincidere i risultati di un esperimento con la teoria. Non è neppure questione di disonestà. Fa parte della nostra natura: il desiderio è talmente forte da confondere la nostra percezione del reale. Se la programmazione è rigorosa, il rischio vien meno, ma in questo caso, avevamo da tempo perso il controllo. Utopia e realtà mi stavano dilaniando. L'Ungheria è stata l'ultima goccia, il crollo definitivo.

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