Autore Luca Mercalli
CoautoreLuca Giunti, al.
Titolo TAV NO TAV
SottotitoloLe ragioni di una scelta
EdizioneScienza Express, Trieste, 2015, presa diretta , pag. 176, ill., cop.fle., dim. 14x21x1,2 cm , Isbn 978-88-969-7321-9
LettoreFlo Bertelli, 2015
Classe paesi: Italia: 2010 , regioni: Piemonte , citta': Torino , economia , scienze tecniche , movimenti









 

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Indice


Glossario                                                     6

Enti e definizioni                                            7

Oggetto dello studio                                          9

1.  Geografia ferroviaria                                    13

2.  Una soluzione in cerca di problema                       16

3.  Le ragioni di una infrastruttura                         41

4.  Il costo energetico e ambientale di una nuova ferrovia   59

5.  Sostenibilità energetica del tunnel di base              83

6.  Sul "arbitrio economico del principe"                    97

7.  La Valutazione di Impatto Ambientale                    111

8.  Le ricadute sulla salute                                126

9.  L'opposizione al TAV in Val Susa                        136

10. Pensare come una montagna                               155

Bibliografia ragionata e sitografia                         167


 

 

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Pagina 13

1. Geografia ferroviaria

Luca Giunti

[...]

Osservate una pianta a grande scala della città di Torino. Per una volta trascurate le direttrici stradali e soffermatevi sulle linee ferroviarie. Sono indicate da sottili tratti neri, talvolta con gradini alternati. Sono difficili da trovare perché sono cinque volte più piccole di una statale e dieci volte più magre di una tangenziale.

Guardate bene: Torino è una specie di ellisse stiracchiata, un'ameba flagellata, un fagiolo germinato, dal quale si dipartono sette o otto capelli principali. In senso orario da ovest: la Bussoleno Susa Bardonecchia, la Caselle Cirié Lanzo Ceres, la Volpiano Rivarolo Cuorgné, la linea per Chivasso Vercelli Novara Milano e da Chivasso per Ivrea e Aosta; poi, dopo le colline, la Asti Alessandria Genova, la linea per Cuneo con le diramazioni per Mondovì e Saluzzo, e per Pinerolo e Torre Pellice.

Ebbene, perché queste linee non vedono imperversare treni ogni mezz'ora per tutto il giorno? Pendolari, accelerati, espressi, diretti, direttissimi, suburbani, metropolitani, a vapore, trainati da cavalli, spinti dal vento o dal sole, al limite a pedali: perché non ci sono?

Perché i torinesi, sindaco in testa, ammalati di inquinamento, oppressi da ozono e PM10, stressati da giovedì del pedone, da domeniche a piedi, da ZTL, da parcheggi pagati come un mutuo, non pretendono un servizio continuo, assiduo, incessante, instancabile e perpetuo, di treni?

E, tanto perché sia chiaro, non TAV superveloci che "ci collegano all'Europa", ma treni tranquilli, normalmente veloci, magari puliti e passabilmente in orario, che collegano distanze di 100 chilometri o meno, cosicché si possano lasciare le automobili a casa, con buona pace della FIAT (ah, se il primo Agnelli avesse deciso di costruire solo strade ferrate!), e percorrere Torino a piedi, con i mezzi pubblici oppure (lo dico o non lo dico? massì lo dico!) in bicicletta. E già, perché Torino è piatta e con bei vialoni larghi. E, come ci racconta a ogni agosto un ripetitivo servizio televisivo, è splendida da girare in bici se non ti arrotano le auto o non ti stendono le micidiali rotaie dei tram (ah, se Giovanni Agnelli I avesse deciso di costruire biciclette!).

Quarant'anni fa ogni stazione ferroviaria aveva il suo bravo deposito di biciclette, usate da tutti fino ai novant'anni. E c'erano più treni, e, cosa ancora più incredibile, non erano meno veloci di quelli di oggi. Come è possibile? Cos'è successo? Ci siamo distratti un attimo e ci hanno fregato, con la scusa del progresso. Quale progresso? Un vero progresso, invece di eliminare i depositi di biciclette, li avrebbe moltiplicati in ogni stazione e in ogni piazza della città, davanti ai cinema, ai teatri, ai musei, ai cimiteri, agli stadi e alle chiese, alle fabbriche e ai giardini. Avrebbe reso socialmente disdicevole usare l'automobile, e quei pochi costretti a farlo oggi si vergognerebbero cercando di passare inosservati con le loro brutte autovetture, sporche e cattive. E sarebbe una vergogna nazionale, distribuita equamente a Palermo e a Roma, a Bari, a Milano, a Firenze. Ovunque.

Sogni? Certo. Gli stessi di molti cittadini scontenti e di tanti pendolari incattiviti. Utopie? Senz'altro. Le stesse di Michaux e Stephenson (inventori della bicicletta e della locomotiva). Però non certo irrealizzabili. Senza scomodare gli esempi delle metropolitane di Berlino e Londra o delle piste ciclabili ad Amsterdam e Copenhagen, basta ricordare il periodo delle Olimpiadi invernali del 2006. Dalle cinque a mezzanotte c'erano treni ogni mezz'ora per la Val Susa. Allora si può fare. Un altro mondo è possibile!

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Pagina 16

2. Una soluzione in cerca di problema

Luca Mercalli

[...]

Questo libretto nasce per diffondere in modo sintetico e organico le principali motivazioni tecnico-scientifiche che scoraggiano la costruzione della nuova linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione, e che vado a illustrare.


1. Bilancio trasportistico perdente

Una ferrovia si costruisce quando c'è qualcosa da trasportare, merci e passeggeri. Se poi ce n'è già un'altra sottoutilizzata sullo stesso percorso, occorre motivare con cura la sua necessità, soprattutto se quella nuova costa molto cara e richiede un cantiere invasivo. Angelo Tartaglia, con la lucidità e la razionalità della sua professione di fisico e ricercatore di lungo corso, demolisce le argomentazioni trasportistiche a favore di una nuova linea, basandosi esclusivamente sui dati disponibili e sulle loro tendenze a medio termine, in calo. I proponenti immaginano invece un netto incremento dei transiti di merci e passeggeri in un futuro radioso di commerci e di relazioni internazionali in continua espansione. Tartaglia mette in dubbio tale ottimistico scenario, ma giustamente osserva che non è questa la sede per approfondire. Tuttavia, è proprio chi propone un'opera di grande impatto e totale rigidità (non serve a null'altro, se fallisce nel suo unico intento è totalmente inutile), a doversi preoccupare di inserirla in scenari di futuro, prendendo in considerazione anche quelli sfavorevoli e verificandone razionalità e probabilità di accadimento. Orbene, l'economia mondiale è in recessione dal 2009, i problemi ambientali sono in aumento. Θ chiaro che il modello economico della crescita infinita in un mondo finito sta scricchiolando e sempre più le previsioni del rapporto MIT sui Limiti della crescita (1972, 1992, 2004), prima ignorate e derise, oggi si stanno verificando. L'Unione Europea, povera di risorse minerarie ed energetiche, conscia dei limiti fisici alla propria continua espansione economica, riconosce la necessità di passare da un'economia lineare (miniera-discarica) a un'economia circolare (uso-riuso-riciclo) percorrendo la via della massima efficienza energetica e dell'uso razionale delle materie prime. Ciò tradotto in pratica significa: meno obsolescenza programmata, meno materie prime, meno oggetti, e quindi meno rifiuti. Basterebbe dunque considerare questa saggia strategia come del tutto contraddittoria rispetto a un asse di transito soprattutto merci progettato per aumentare il flusso fino a circa 40 milioni di tonnellate nel 2035 (circa 12 volte il traffico del 2012) con un traffico complessivo attraverso l'intero corridoio, strada inclusa, pari a circa 72 milioni di tonnellate "cioè più di 4,5 volte quello del 2012". La chiusura dei proponenti a considerare scenari diversi dall'unico a loro favorevole è stata sempre totale. Eppure i dubbi sulla redditività di questo tipo di linee ferroviarie sono sempre più rilevanti e necessiterebbero di essere presi in considerazione dalla politica: il 3 settembre 2011 The Economist ha pubblicato un editoriale dal titolo "The great train robbery". Vi si legge:

In molte economie sviluppate le linee ferroviarie ad alta velocità non riescono a superare le differenze regionali ma spesso le inaspriscono. [...] Anche se alcune città ne beneficiano, altri luoghi tagliati fuori dalla rete ferroviaria possono soffrire: la velocità viene garantita in parte al prezzo delle minori fermate, in modo che aree ben servite da linee esistenti possono essere ignorate da quelle nuove. Le linee ad alta velocità, come altri progetti rigenerativi, spesso spostano soltanto le attività economiche piuttosto che generarne di nuove. [...] Poiché le linee AV richiedono massicci investimenti, in genere pubblici, sono i normali contribuenti che finiscono per pagarle. Così, invece di ridistribuire ricchezza e opportunità, le regioni e le persone ricche ne beneficiano a spese di quelle più povere. [...] Al momento, per la maggior parte dei luoghi, i benefici marginali di questi capolavori di ingegneria in termini di riduzione dei tempi di viaggio, sono sorpassati dagli alti costi. E questi costi assorbono linfa da progetti più modesti ma più efficienti. Specie in paesi piccoli, è più sensato migliorare le reti esistenti [...] anche se inaugurare un sistema di segnalamento appare meno attraente per i politici di un nuovo servizio futuristico. [Molti] paesi dovrebbero così riconsiderare i progetti di espansione o di introduzione delle linee ad alta velocità. Un buon progetto infrastrutturale ha una lunga vita. Ma un cattivo progetto può far deragliare sia le casse pubbliche sia le ambizioni di sviluppo di una nazione.

A queste parole fanno eco perfino i due economisti Alberto Alesina e Francesco Giavazzi che nell'editoriale "Le false priorità del Paese" comparso sul Corriere della Sera del 6 giugno 2012, scrivevano:

Il provvedimento più importante che il governo si appresta a varare riguarda le infrastrutture fisiche. Lo abbiamo detto più volte, ma è bene ripeterlo: non è questa la priorità dell'Italia. Che beneficio arreca a un'impresa risparmiare mezz'ora fra Civitavecchia e Grosseto se poi deve attendere dieci anni per la risoluzione di una causa civile, due per sapere da un giudice se dovrà reintegrare sul posto di lavoro un dipendente che aveva licenziato, oltre un anno per essere pagata da un'amministrazione pubblica? A un Paese post industriale come l'Italia non servono più infrastrutture fisiche. Servono infrastrutture di altro tipo: una giustizia veloce, certezza del diritto, regolamenti snelli, un'amministrazione pubblica che faccia il suo dovere e non imponga costi enormi a cittadini e imprese, un'università che produca buon capitale umano e buona ricerca, e una lotta efficace alla criminalità organizzata. Certo, più strade non impediscono di riformare la giustizia, l'amministrazione pubblica o il mercato del lavoro. Ma in realtà quando i politici progettano infrastrutture lo fanno perché non sanno che cosa altro fare, bloccati dai mille vincoli che impediscono le vere riforme. Più facile costruire strade e ferrovie aumentando le tasse, che fare quelle riforme a costo zero che però toccano lobby potenti. Purtroppo non è ubriacandoci di asfalto e traversine ferroviarie che il Paese ricomincerà a crescere. Senza contare che con tassi sul debito pubblico al 6 per cento non è certo un buon momento per indebitarsi.


2. Bilancio energetico perdente

Una delle ragioni più forti per convincere il pubblico dell'utilità della NLTL è ambientale, ove si dà per scontato che il treno inquini meno della gomma. E chi l'ha detto? Dipende da quale tipo di treno e dalle caratteristiche del percorso: i lunghi tratti in tunnel aumentano moltissimo il peso dell'energia grigia e della manutenzione. I contributi di Sergio Ulgiati, Davide Rizzo e Guido Rizzi evidenziano sia la complessità e la necessità di una trasparente Analisi del Ciclo di Vita dell'opera, tale da dimostrare con grandezze fisiche il supposto beneficio ambientale dell'infrastruttura ferroviaria, sia la debolezza di certi assunti giocati su una propaganda superficiale (la linea storica è inadeguata... le pendenze troppo elevate obbligano all'uso di tre locomotori...).

Ecco cosa riporta LTF in una brochure promozionale:

Ridurre l'inquinamento ambientale - L'importante flusso di TIR nelle valli alpine ha gravi conseguenze, in termini d'inquinamento, in questo ambiente specifico. La nuova linea Torino-Lione si inserisce, come gli altri nuovi attraversamenti ferroviari delle Alpi, nel contesto della Convenzione alpina, firmata da otto Paesi tra cui l'Italia e la Francia per ridurre le emissioni inquinanti e limitare i rischi dovuti al traffico di mezzi pesanti, senza aumentare la capacità stradale. Grazie alla Torino-Lione, il trasferimento di una parte importante del traffico di merci dalla strada alla ferrovia porterà alla riduzione delle emissioni nocive di gas a effetto serra di circa un milione di tonnellate all'anno, considerando che il trasporto ferroviario è almeno 5 volte meno inquinante di quello stradale. Inoltre la nuova linea ferroviaria si svilupperà prevalentemente in galleria (circa il 90% della sezione transfrontaliera), con limitati impatti sull'ambiente e sugli insediamenti umani.

Al di là del testo pubblicitario, la NLTL ha invece buone probabilità di rappresentare una cura peggiore del male. E anche qualora si dimostrasse che il bilancio energetico fosse favorevole a una riduzione delle emissioni sul lungo periodo, rimarrebbe il problema delle priorità temporali. Infatti per contenere il riscaldamento globale entro i 2 °C a fine secolo le emissioni vanno ridotte prima possibile, mentre una riduzione spostata nel futuro servirà sempre meno. Nel caso della nuova opera, avremmo al contrario per tutti i circa 15 anni di cantiere (il tunnel di base del Gottardo, di 57 chilometri di lunghezza, pari a quello dell'Ambin, è stato iniziato nel 1999 ed entrerà probabilmente in servizio nel 2016) un forte carico di emissioni certe per via degli scavi, dei materiali trasportati, dei macchinari; in seguito, allorché entrerà in esercizio e solo se lavorerà a pieno carico e riuscirà a spostare non solo traffico su gomma ma soprattutto traffico aereo, vi sarà la fase di compensazione delle emissioni e finalmente una riduzione netta (incerta), non prima del 2050. Il danno ambientale iniziale sarà dunque certo, e il recupero futuro incerto e comunque meno efficace. Sarebbe pertanto molto più saggio convertire i denari di tale opera ferroviaria in efficienza energetica sicura per esempio nel settore residenziale, con recupero molto più rapido e certo delle emissioni. Tutti questi dubbi sono stati analizzati per altre opere simili da Jonas Westin e Per Kεgeson del Royal Institute of Technology di Stoccolma nel lavoro "Can high speed rail offset its embedded emissione?" (Transportation Research, 2012), i quali affermano tra l'altro come il recupero delle emissioni per tratte ferroviarie ad alta velocità che comportino lunghi tratti in tunnel è praticamente impossibile, almeno su un orizzonte di 50 anni. A tali circostanziate obiezioni non è mai stata data risposta.


3. Ragioni storiche perdenti

Curiosamente si distorce la storia per trovare una ragione d'essere alla nuova linea: si chiama in ballo Cavour come lungimirante promotore del tunnel del Fréjus (e lo fu, alla metà dell'Ottocento, quando il treno era il solo mezzo di locomozione meccanica disponibile), imponendo un ragionamento per assurdo (se Cavour avesse dovuto ascoltare le opposizioni di chi andava a cavallo il progresso si sarebbe fermato...), senza inserire nel contesto attuale un tunnel ferroviario che si aggiunge in modo del tutto marginale in un panorama variegato di comunicazioni stradali, aeree, telematiche che connettono l'intero globo. Al tempo stesso si bolla il vecchio tunnel del Fréjus come obsoleto e inadeguato, solo perché risalente al 1871, senza valutarne gli ammodernamenti recenti, tra cui l'abbassamento del piano del ferro di circa 70 cm costato 400 milioni di euro, che lo abilita al transito di container standardizzati di grandi dimensioni (PC45). Si grida allo scandalo della mancata connessione con il resto dell'Europa (ma i TGV Parigi-Milano passano già ora regolarmente sulla linea storica...), alla perdita di occasioni commerciali, al sogno infranto di fare del Nord-Ovest italiano una piattaforma logistica, come se trasformare un territorio in un piazzale di smistamento container fosse un obiettivo desiderabile!

Di fatto agli annunci sui potenziali vantaggi non fa seguito una oggettiva e trasparente analisi costi-benefici che prenda in considerazione anche l'opzione zero, ovvero la non realizzazione dell'opera, come ci mostrano Maria Rosa Vittadini e Stefano Lenzi nella loro approfondita analisi sulla Valutazione di impatto ambientale.


4. Ragioni occupazionali perdenti

Su una brochure di LTF si legge che "nei periodi di maggiore attività dei cantieri, saranno più di 3500 le persone direttamente impegnate in Italia e in Francia nel tratto della sezione transfrontaliera". Ma siamo sicuri che tutti i posti di lavoro siano utili a priori? Con questo ragionamento – lavoro purché sia – si legittimano anche attività dannose (fabbricazione di armi, lavorazioni inquinanti o ambientalmente distruttive). Oggi si potrebbero creare centinaia di migliaia di posti di lavoro stabili e qualificati investendo le enormi somme richieste dalle grandi opere in operazioni capillari sul territorio, come la difesa idrogeologica o la riqualificazione energetica degli edifici.

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6. Grandi opere perdenti

Nel mondo le grandi opere, intese come infrastrutture concentrate ad alta intensità di cemento, materie prime e capitali (megaprojects), tendono sempre a essere sopravvalutate in fase progettuale in termini di ricadute economiche e sociali su un territorio, salvo dimostrarsi alla prova dei fatti al di sotto delle aspettative, inadeguate, difficili e costose da gestire; ciononostante continuano a essere realizzate senza alcuna verifica e controllo di responsabilità sui risultati, come illustra Marco Ponti nel suo contributo. Il paradosso delle grandi opere (megaprojects paradox) è stato studiato a fondo dall'economista danese Bent Flyvberg e dai suoi colleghi, nel volume Megaprojects and Risk: An Anatomy of Ambition (Cambridge University Press, 2003) ed è talmente diffuso a livello globale da aver fruttato alle grandi opere l'appellativo di elefante bianco con riferimento alle difficoltà di gestione di un dono così delicato e bisognoso di intense cure da tramutarsi in un peso insostenibile per il malcapitato ricevente.

Sono considerati elefanti bianchi tra gli altri:

- L'aeroporto spagnolo di Ciudad Real, a sud di Madrid, che promise 6000 posti di lavoro e l'esplosione dell'economia locale in connessione con la linea ferroviaria AV: costato 1,1 miliardi di euro, inaugurato nel 2010, fu chiuso per bancarotta già nel 2012.

- Il Millenium Dome di Londra, che nel 2000 si aspettava 12 milioni di visitatori e ne ebbe 6,5.

- Il tunnel autostradale Clem Jomes di Brisbane, in fallimento per le previsioni di traffico troppo ottimistiche, meno della metà dei 60.000 veicoli/giorno attesi.

- L'Eurotunnel sotto la Manica, i cui costi di costruzione sono lievitati dell'80% mentre i ritorni non sembrano aver influenzato in meglio le economie britanniche e francesi.

- Le infrastrutture olimpiche di Atene 2004, costate 11 miliardi di dollari e ora in totale rovina.

In Italia la logica degli elefanti bianchi impera: tra i più recenti l'autostrada BreBeMi (Lombardia), le inutili infrastrutture destinate al G8 2009 della Maddalena (Sardegna), Expo2015 Milano, il Mose a Venezia... Anche in Alta Val Susa abbiamo il nostro elefante bianco: l'eredità degli impianti sportivi delle Olimpiadi Invernali 2006, trampolino e pista da bob completamente inutilizzati, dalla costosissima manutenzione e dunque in fase di smontaggio, ovviamente con nuovi costi e mancato ripristino dei luoghi, come nel caso della pista da bob di Sansicario. Il Libro nero delle Olimpiadi Torino 2006 di Stefano Bertone e Luca Degiorgis (2006) aveva messo in guardia su questi rischi, puntualmente verificatisi. Secondo Flyvberg e colleghi, ciò accade perché "molti dei partecipanti nel processo [decisionale] hanno interesse a sottostimare i costi, sovrastimare i guadagni, sottovalutare l'impatto ambientale e sopravvalutare gli effetti positivi sull'economia". Le relazioni della Corte dei Conti italiana e francese hanno entrambe messo in luce questi rischi, ma il loro avviso è passato inosservato. In quella italiana, a proposito del modello alta velocità ferroviaria si leggono termini come "cosmesi contabile – finanza innovativa – carenze del processo decisionale – nessuno studio di fattibilità – patrimonio inconsistente – elementi di forte rischio – insufficienza di azione conoscitiva – mancata verifica sull'operato dei manager pubblici – queste operazioni pregiudicano l'equità intergenerazionale".


Come commenteremo le irreversibili scelte dei promotori tra vent'anni? Con uno sconsolato "l'avevamo detto"?

Lo Stato difende infatti i cantieri di Chiomonte dispiegando ingenti forze di polizia, facendo della NLTL una questione di vita o di morte, una priorità nazionale e internazionale irrinunciabile. Ci si chiede per quale motivo non impieghi la stessa determinazione su problemi ben più pressanti come la manutenzione del territorio per contrastare il dissesto idrogeologico, il completamento della CARG (CARtografia Geologica), che prevede la realizzazione della nuova cartografia geologica e geotematica alla scala 1:50.000 fondamentale per la protezione dei suoli e l'arresto degli abusi edilizi; cartografia che tuttavia dalla fine degli anni Ottanta è riuscita a coprire soltanto il 40% del territorio nazionale (sono stati a oggi realizzati 277 fogli, mentre ben 375 fogli non sono ancora stati avviati per mancanza di risorse, poiché dal 1999 il progetto, dopo i circa 81 milioni di euro impiegati, non riceve più finanziamenti sufficienti per il suo completamento). Ma per NLTL i miliardi di euro ci sarebbero... E poi c'è da risolvere l'urgentissima questione dei rifiuti, la questione della riqualificazione energetica del parco edilizio residenziale, pubblico, scolastico, ospedaliero, la questione della mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici... ognuno aggiunga la propria priorità.


7. Bilancio dell'informazione perdente

I mezzi di informazione raramente hanno affrontato la questione TAV Val Susa con equilibrio e obiettività, tendendo quasi sempre ad allinearsi ai punti di vista dei promotori. Pochissime le inchieste che hanno messo in luce i dubbi sulla necessità dell'opera, e pressoché nulle le loro ricadute. Moltissimi gli errori, i pregiudizi, le superficiali considerazioni, la mancata conoscenza delle caratteristiche dell'opera e della geografia locale.

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