Copertina
Autore Adolfo Mignemi
Titolo Storia fotografica della Resistenza
EdizioneBollati Boringhieri, Torino, 2003 [1995], Gli Archi , pag. 304, dim. 204x215x22 mm , Isbn 978-88-339-1439-8
CuratoreAdolfo Mignemi
LettoreRenato di Stefano, 2002
Classe fotografia , storia contemporanea d'Italia
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Indice

  7 Presentazione di Claudio Pavone

    Storia fotografica della Resistenza

 11 Introduzione  La costruzione dell'immagine
    della lotta di resistenza

 67 1. Il fotografo combattente
113 2. La fotografia spontanea
155 3. La Resistenza vista da nemici e Alleati
231 4. La liberazione
257 5. La Resistenza ricostruita

289 Note alle fotografie
295 Indice dei nomi di persona
301 Indice dei nomi di luogo

 

 

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Pagina 10

Introduzione
La costruzione dell'immagine della lotta di resistenza



Il desiderio di fissare avvenimenti significativi carichi di emotività, di costruirne in modo inoppugnabile la memoria ha contrassegnato la nascita e l'evoluzione del mezzo fotografico. Si può tranquillamente affermare, pertanto, che da centocinquant'anni a questa parte ogni avvenimento pubblico, ogni rivolgimento sociale, ogni mutamento politico ha avuto un proprio interprete fotografico. Così fu anche per la lotta di resistenza armata al fascismo.

Essa venne, ovviamente, documentata e interpretata in modo assai diverso a seconda degli attori del conflitto: i fascisti e i tedeschi impegnati a tratteggiare a tinte fosche gli avversari, gli Alleati propensi a evidenziare soprattutto i propri aiuti, i resistenti poco disponibili, in linea di massima, a costruire una autorappresentazione attraverso un mezzo in così aperto contrasto con le più elementari norme di riservatezza. Vi fu infine la «restituzione» delle ultime fasi della guerra, della liberazione, operata dai fotocronisti civili e da quella miriade di titolari di studi professionali e negozi di materiali ottici e fotografici tradizionalmente impegnati a «registrare» la memoria degli eventi collettivi che avvenivano nelle comunità in cui si espletava la loro attività commerciale.

Per ciascuno di essi è possibile anzi delineare alcune tipologie di rappresentazione a ciascuna delle quali, forse, non sempre corrisponde una precisa modalità formale di costruzione dell'immagine, ma i cui contenuti comunicativi appaiono inequivocabili. Sarebbe però riduttivo affrontare il problema della definizione dei caratteri di tali tipologie e tentarne una prima sommaria analisi senza aver collocato questo sforzo di costruzione dell'immagine dell'evento nella cultura fotografica del tempo in cui tale costruzione si è realizzata, in base alla quale, cioè, si è prodotta la documentazione fotografica e se ne è realizzata la prima fruizione. Così come sarebbe riduttivo tentare un'analisi di tali tipologie senza aver cercato di ricostruire i caratteri di quella fruizione, benché, come avremo modo di vedere, si possa parlare di molteplici «costruzioni dell'evento» nel corso del tempo, e quindi di molteplici «fruizioni» della originaria registrazione fotografica dell'evento, talvolta senza che sopravviva un legame diretto tra quella che si sta realizzando e la precedente.

Tenteremo quindi di percorrere, almeno in termini essenziali, la vicenda della costruzione della memoria pubblica della seconda guerra mondiale in Italia attraverso le fotografie.

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Pagina 40

La fotografia dell'insurrezione: si affermano alcuni modelli


L'insurrezione e la liberazione sono quindi i soggetti quantitativamente predominanti tra le immagini prodotte dai partigiani per sé, per i compagni o ufficialmente per la propria formazione. È una produzione sterminata, se la compariamo a quanto realizzato nei mesi precedenti, ancora una volta fortemente caratterizzata da un uso privato della macchina fotografica e dunque condizionata dal ricorso al modello della foto-ricordo.

Significativa è tuttavia la comparsa in questa fase di una singolare categoria di fotografi professionisti: i fotoreporter. La liberazione di Milano, ad esempio, vede scendere in campo Vincenzo Carrese, ma soprattutto Fedele Toscani e Peppino Giovi per la Publifoto, Tullio Farabola e Frattini. Sono, in un certo senso, i migliori fotografi di attualità in campo nazionale, e immettono con vigore i propri schemi rappresentativi nel materiale che producono. Creano così, nel giro di pochi giorni, tipologie e stereotipi che accompagneranno da allora in poi il racconto per immagini della liberazione e più in generale, a partire da questo momento «alto», dell'intera lotta di resistenza armata, con una forza e un vigore, è il caso di aggiungerlo, che hanno ben poche altre fotografie scattate realmente sul «campo» nei venti mesi precedenti. Nascono il ritratto partigiano, il nucleo di combattimento, le forme di guerriglia ricostruite fotograficamente su modelli consolidati dall'iconografia militaresca e dalla retorica patriottarda. Emerge un'immagine quasi estranea al mondo della Resistenza, ai suoi travagli morali e politici, un'immagine nella quale la banalità apparente delle riprese sembrerebbe negare l'eroismo e i sacrifici di lunghi mesi di lotta, in cui il gesto spontaneo è quasi sempre meno esemplare di quello artificioso, ricostruito. Le immagini e le sequenze, in altre parole, sono la «fotografia di agenzia» per eccellenza. Quella, per usare le parole di Cesare Colombo, che «conferma e definisce il ruolo simbolico dei personaggi e semplifica le figure entro atteggiamenti che all'utilizzatore (redattore prima, lettore poi) devono apparire funzionali in quanto tipici».

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