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| << | < | > | >> |Indice7 Presentazione di Claudio Pavone Storia fotografica della Resistenza 11 Introduzione La costruzione dell'immagine della lotta di resistenza 67 1. Il fotografo combattente 113 2. La fotografia spontanea 155 3. La Resistenza vista da nemici e Alleati 231 4. La liberazione 257 5. La Resistenza ricostruita 289 Note alle fotografie 295 Indice dei nomi di persona 301 Indice dei nomi di luogo |
| << | < | > | >> |Pagina 10Il desiderio di fissare avvenimenti significativi carichi di emotività, di costruirne in modo inoppugnabile la memoria ha contrassegnato la nascita e l'evoluzione del mezzo fotografico. Si può tranquillamente affermare, pertanto, che da centocinquant'anni a questa parte ogni avvenimento pubblico, ogni rivolgimento sociale, ogni mutamento politico ha avuto un proprio interprete fotografico. Così fu anche per la lotta di resistenza armata al fascismo. Essa venne, ovviamente, documentata e interpretata in modo assai diverso a seconda degli attori del conflitto: i fascisti e i tedeschi impegnati a tratteggiare a tinte fosche gli avversari, gli Alleati propensi a evidenziare soprattutto i propri aiuti, i resistenti poco disponibili, in linea di massima, a costruire una autorappresentazione attraverso un mezzo in così aperto contrasto con le più elementari norme di riservatezza. Vi fu infine la «restituzione» delle ultime fasi della guerra, della liberazione, operata dai fotocronisti civili e da quella miriade di titolari di studi professionali e negozi di materiali ottici e fotografici tradizionalmente impegnati a «registrare» la memoria degli eventi collettivi che avvenivano nelle comunità in cui si espletava la loro attività commerciale. Per ciascuno di essi è possibile anzi delineare alcune tipologie di rappresentazione a ciascuna delle quali, forse, non sempre corrisponde una precisa modalità formale di costruzione dell'immagine, ma i cui contenuti comunicativi appaiono inequivocabili. Sarebbe però riduttivo affrontare il problema della definizione dei caratteri di tali tipologie e tentarne una prima sommaria analisi senza aver collocato questo sforzo di costruzione dell'immagine dell'evento nella cultura fotografica del tempo in cui tale costruzione si è realizzata, in base alla quale, cioè, si è prodotta la documentazione fotografica e se ne è realizzata la prima fruizione. Così come sarebbe riduttivo tentare un'analisi di tali tipologie senza aver cercato di ricostruire i caratteri di quella fruizione, benché, come avremo modo di vedere, si possa parlare di molteplici «costruzioni dell'evento» nel corso del tempo, e quindi di molteplici «fruizioni» della originaria registrazione fotografica dell'evento, talvolta senza che sopravviva un legame diretto tra quella che si sta realizzando e la precedente. Tenteremo quindi di percorrere, almeno in termini essenziali, la vicenda della costruzione della memoria pubblica della seconda guerra mondiale in Italia attraverso le fotografie. | << | < | > | >> |Pagina 40La fotografia dell'insurrezione: si affermano alcuni modelliL'insurrezione e la liberazione sono quindi i soggetti quantitativamente predominanti tra le immagini prodotte dai partigiani per sé, per i compagni o ufficialmente per la propria formazione. È una produzione sterminata, se la compariamo a quanto realizzato nei mesi precedenti, ancora una volta fortemente caratterizzata da un uso privato della macchina fotografica e dunque condizionata dal ricorso al modello della foto-ricordo.
Significativa è tuttavia la comparsa in questa fase di una singolare
categoria di fotografi professionisti: i fotoreporter. La liberazione di Milano,
ad esempio, vede scendere in campo Vincenzo Carrese, ma soprattutto Fedele
Toscani e Peppino Giovi per la Publifoto, Tullio Farabola e Frattini. Sono,
in un certo senso, i migliori fotografi di attualità in campo nazionale, e
immettono con vigore i propri schemi rappresentativi nel materiale che
producono. Creano così, nel giro di pochi giorni, tipologie e stereotipi che
accompagneranno da allora in poi il racconto per immagini della liberazione e
più in generale, a partire da questo momento «alto», dell'intera lotta di
resistenza armata, con una forza e un vigore, è il caso di aggiungerlo, che
hanno ben poche altre fotografie scattate realmente sul «campo» nei venti mesi
precedenti. Nascono il ritratto partigiano, il nucleo di combattimento, le forme
di guerriglia ricostruite fotograficamente su modelli consolidati
dall'iconografia militaresca e dalla retorica patriottarda. Emerge un'immagine
quasi estranea al mondo della Resistenza, ai suoi travagli morali e politici,
un'immagine nella quale la banalità apparente delle riprese sembrerebbe negare
l'eroismo e i sacrifici di lunghi mesi di lotta, in cui il gesto spontaneo è
quasi sempre meno esemplare di quello artificioso, ricostruito. Le immagini e
le sequenze, in altre parole, sono la «fotografia di agenzia» per eccellenza.
Quella, per usare le parole di Cesare Colombo, che «conferma e definisce il
ruolo simbolico dei personaggi e semplifica le figure entro atteggiamenti che
all'utilizzatore (redattore prima, lettore poi) devono apparire funzionali in
quanto tipici».
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