Copertina
Autore Lorenzo Milani
CoautoreScuola di Barbiana
Titolo Lettera a una professoressa
EdizioneLibreria editrice fiorentina, Firenze, 1967 , pag. 168, cop.fle., dim. 15x21x1 cm
LettoreRenato di Stefano, 1970
Classe scuola , storia sociale , paesi: Italia: 1960
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Indice


PARTE PRIMA
LA SCUOLA DELL'OBBLIGO NON PUÒ BOCCIARE

I montanari                                 10
I ragazzi di paese                          14
Gli esami                                   20
La Nuova Media                              30
Statistica                                  33
Nati diversi?                               60
Toccava a voi                               62
La selezione serve a qualcuno               67
Il padrone                                  71
La selezione ha raggiunto il suo scopo      75
Per chi lo fate?                            77


LE RIFORME CHE PROPONIAMO

  I Non bocciare                            81

 II Pieno tempo                             84
    Pieno tempo e famiglia                  86
    Pieno tempo e diritti sindacali         87
    Chi farà la scuola a pieno tempo?       89
    Pieno tempo e contenuto                 91

III Un fine                                 93


PARTE SECONDA
ALLE MAGISTRALI BOCCIATE PURE, MA ...

Inghilterra                                101
Selezione suicida                          104
Il fine                                    109
La cultura che occorre                     115
La cultura che chiedete                    117
Processo penale                            127
L'infenzione                               132
La posta                                   134
Disinfezione                               138


PARTE TERZA

DOCUMENTAZIONE                             141

 

 

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Cara signora,

lei di me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti.

Io invece ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi, a quell'istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che «respingete».

Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate.


Due anni fa, in prima magistrale, lei mi intimidiva.

Del resto la timidezza ha accompagnato tutta la mia vita. Da ragazzo non alzavo gli occhi da terra. Strisciavo alle pareti per non esser visto.

Sul principio pensavo che fosse una malattia mia o al massimo della mia famiglia. La mamma è di quelle che si intimidiscono davanti a un modulo di telegramma. Il babbo osserva e ascolta, ma non parla.

Più tardi ho creduto che la timidezza fosse il male dei montanari. I contadini del piano mi parevano sicuri di sè. Gli operai poi non se ne parla.

Ora ho visto che gli operai lasciano ai figli di papà tutti i posti di responsabilità nei partiti e tutti i seggi in parlamento.

Dunque son come noi. E la timidezza dei poveri è un mistero più antico. Non glielo so spiegare io che ci son dentro. Forse non è nè viltà nè eroismo. È solo mancanza di prepotenza.


I montanari

Alle elementari lo Stato mi offrì una scuola di seconda categoria. Cinque classi in un'aula sola. Un quinto della scuola cui avevo diritto.

È il sistema che adoprano in America per creare le differenze tra bianchi e neri. Scuola peggiore ai poveri fin da piccini.


Finite le elementari avevo diritto a altri tre anni di scuola. Anzi la Costituzione dice che avevo l'obbligo di andarci. Ma a Vicchio non c'era ancora scuola media. Andare a Borgo era un'impresa. Chi ci s'era provato aveva speso un monte di soldi e poi era stato respinto come un cane.

Ai miei poi la maestra aveva detto che non sprecassero soldi: «Mandatelo nel campo. Non è adatto per studiare».

Il babbo non le rispose. Dentro di sè pensava: «Se si stesse di casa a Barbiana sarebbe adatto».


A Barbiana tutti i ragazzi andavano a scuola dal prete. Dalla mattina presto fino a buio, estate e inverno. Nessuno era «negato per gli studi».

Ma noi eravamo di un altro popolo e lontani. Il babbo stava per arrendersi. Poi seppe che ci andava anche un ragazzo di S. Martino. Allora si fece coraggio e andò a sentire.


Quando tornò vidi che m'aveva comprato una pila per la sera, un gavettino per la minestra e gli stivaloni di gomma per la neve.

Il primo giorno mi accompagnò lui. Ci si mise due ore perchè ci facevamo strada col pennato e la falce. Poi imparai a farcela in poco più di un'ora.

Passavo vicino a due case sole. Coi vetri rotti, abbandonate da poco. A tratti mi mettevo a correre per una vipera o per un pazzo che viveva solo alla Rocca e mi gridava di lontano.

Avevo undici anni. Lei sarebbe morta di paura. Vede? ognuno ha le sue timidezze. Siamo pari dunque.

Ma solo se ognuno sta a casa sua. O se lei avesse bisogno di dar gli esami da noi. Ma lei non ne ha bisogno.


Barbiana, quando arrivai, non mi sembrò una scuola. Nè cattedra, nè lavagna, nè banchi. Solo grandi tavoli intorno a cui si faceva scuola e si mangiava.

D'ogni libro c'era una copia sola. I ragazzi gli si stringevano sopra. Si faceva fatica a accorgersi che uno era un po' più grande e insegnava.

Il più vecchio di quei maestri aveva sedici anni. Il più piccolo dodici e mi riempiva di ammirazione. Decisi fin dal primo giorno che avrei insegnato anch'io.


La vita era dura anche lassù. Disciplina e scenate da far perdere la voglia di tornare.

Però chi era senza basi, lento o svogliato si sentiva il preferito. Veniva accolto come voi accogliete il primo della classe. Sembrava che la scuola fosse tutta solo per lui. Finchè non aveva capito, gli altri non andavano avanti.


Non c'era ricreazione. Non era vacanza nemmeno la domenica.

Nessuno di noi se ne dava gran pensiero perchè il lavoro è peggio. Ma ogni borghese che capitava a visitarci faceva una polemica su questo punto.

Un professorone disse: «Lei reverendo non ha studiato pedagogia. Polianski dice che lo sport è per il ragazzo una necessità fisiopsico...».

Parlava senza guardarci. Chi insegna pedagogia all'Università, i ragazzi non ha bisogno di guardarli. Li sa tutti a mente come noi si sa le tabelline.

Finalmente andò via e Lucio che aveva 36 mucche nella stalla disse: «La scuola sarà sempre meglio della merda».


Questa frase va scolpita sulla porta delle vostre scuole. Milioni di ragazzi contadini son pronti a sottoscriverla.

Che i ragazzi odiano la scuola e amano il gioco lo dite voi. Noi contadini non ci avete interrogati. Ma siamo un miliardo e novecento milioni. Sei ragazzi su dieci la pensano esattamente come Lucio. Degli altri quattro non si sa.

Tutta la vostra cultura è costruita così. Come se il mondo foste voi.


L'anno dopo ero maestro. Cioè lo ero tre mezze giornate la settimana. Insegnavo geografia matematica e francese a prima media.

Per scorrere un atlante o spiegare le frazioni non occorre la laurea.

Se sbagliavo qualcosa poco male. Era un sollievo per i ragazzi. Si cercava insieme. Le ore passavano serene senza paura e senza soggezione. Lei non sa fare scuola come me.


Poi insegnando imparavo tante cose.

Per esempio ho imparato che il problema degli altri è eguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l'avarizia.

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La selezione serve a qualcuno

A questo punto ognuno se la prende con la fatalità. È tanto riposante leggere la storia in chiave di fatalità.

Leggerla in chiave politica è più inquietante: le mode diventano parte d'un piano ben calcolato perchè Gianni resti tagliato fuori. L'insegnante apolitico diventa uno dei 411.000 utili idioti che il padrone ha armato di registro e pagella. Truppe di riserva incaricate di fermare 1.031.000 Gianni l'anno, nel caso che il gioco delle mode non bastasse a distrarli.

Un milione e 31.000 respinti l'anno. È un vocabolo tecnico di quella che voi chiamate scuola. Ma è anche un vocabolo di scienza militare. Respingerli prima che afferrino le leve. Non per nulla gli esami sono di origine prussiana.


Il curioso è che lo stipendio per buttarci fuori ve lo paghiamo noi, gli esclusi.

Povero è chi consuma tutte le sue entrate. Ricco chi ne consuma solo una parte. In Italia, per un caso inspiegabile, i consumi sono tassati fino all'ultima lira. Le entrate solo per burla.

Mi hanno raccontato che i trattati di scienza delle finanze chiamano questo sistema «indolore». Indolore vuol dire che i ricchi riescono a far pagare le tasse soltanto ai poveri senza che se ne avvedano.

All'università certe cose si dicono. C'è solo signorini. Invece nelle scuole inferiori è proibito parlarne. Non sta bene far politica a scuola. Il padrone non vuole.


Vediamo un po' a chi giova che la scuola sia poca.

Settecentoquaranta ore l'anno sono due ore al giorno. E il ragazzo tiene gli occhi aperti altre quattordici ore. Nelle famiglie privilegiate sono quattordici ore di assistenza culturale di ogni genere.

Per i contadini sono quattordici ore di solitudine e silenzio a diventare sempre più timidi. Per i figlioli degli operai sono quattordici ore alla scuola dei persuasori occulti.

Specialmente le vacanze estive hanno l'aria di coincidere con precisi interessi. I figlioli dei ricchi vanno all'estero e imparano più che d'inverno. I poveri il primo ottobre hanno dimenticato anche quel poco che sapevano a giugno. Se son rimandati a settembre non possono pagarsi le ripetizioni. In genere rinunciano a presentarsi. Se son contadini danno una mano per le faccende grosse dell'estate senza aggravio di spesa per la fattoria.


Al tempo di Giolitti queste cose si dicevano in pubblico: «... si raccolse a Caltagirone un congresso di grossi proprietari che propose, per tutta riforma, l'abolizione dell'istruzione elementare perchè i contadini e i minatori non potessero, leggendo, assorbire idee nuove».

Anche Ferdinando Martini era sincero. Lamentando l'apertura delle scuole secondarie alle classi inferiori disse: «Per questo crebbe nelle classi dirigenti l'obbligo di sforzi senza riposo per non perdere addirittura ogni prevalenza politica e economica».


Anche al tempo del fascismo le leggi erano chiare: «Le scuole dei centri urbani e dei maggiori centri rurali sono costituite normalmente nel corso inferiore e superiore (5 anni di studio). Quelle dei minori centri rurali hanno, di regola, solo il corso inferiore (3 anni di studio)».

All'Assemblea Costituente i fascisti chiesero che l'obbligo fosse ridotto ai 13 anni.


Ma restarono soli. Gli altri avevano inteso che oggi occorre parlare più velato.

Quando alla Camera si discusse sulla Nuova Media, dir male dei poveri era ormai proibito. Non restò che piangere sul povero Pierino e sul latino.

Il più commosso fu un democristiano: «Perchè mai, dovrebbero essere umiliati i più dotati di intelletto e di volontà costringendoli in una scuola dove è necessario che essi si tarpino le ali, per tenersi al volo di chi è per natura necessitato a procedere lentamente?».


Il padrone

Spesso c'è venuto fatto di parlare del padrone che vi manovra. Di qualcuno che ha tagliato la scuola su misura vostra.

Esiste? Sarà un gruppetto di uomini intorno a un tavolo con in mano le fila di tutto: banche, industrie, partiti, stampa, mode?

Noi non lo sappiamo. Sentiamo che a dirlo il nostro scritto prende un che di romanzesco. A non lo dire bisogna far gli ingenui. È come sostenere che tante rotelle si son messe insieme per caso. N'è venuto fuori un carro armato che fa la guerra da sè senza manovratore.


Forse la storia di Pierino ci può dare una chiave. Proviamo a voler bene anche alla sua famiglia.

Il dottore e sua moglie sono gente in gamba. Leggono, viaggiano, ricevono gli amici, giocano col bambino, hanno tempo di stargli dietro, ci sanno anche fare. La casa è piena di libri e di cultura. A cinque anni io maneggiavo la pala con maestria. Pierino il lapis.

Una sera, quasi per scherzo, portata più dai fatti che da altro, viene la decisione: «Che si mette a fare in prima? Mettiamolo in seconda». Lo mandano agli esami senza dargli importanza. Se boccia fa lo stesso.

Non boccia, prende tutti nove. Una serena gioia familiare come sarebbe in casa mia.


Di strano in tutto questo c'è solo la legge che i due sposini hanno trovata scodellata. Proibisce di iscrivere a prima un bambino di cinque anni, ma permette di iscriverne a seconda uno di sei.

È una legge cretina o è fin troppo intelligente?

Quei due non l'hanno scritta. Non ci hanno fatto neanche caso. Allora chi l'ha scritta? La mia mamma?


Come è successo in prima elementare succede poi anno per anno. Pierino passa sempre e quasi senza studiare.

Io lotto a denti stretti e boccio. A lui gli c'entra anche lo sport, l'Azione Cattolica o la Giovane Italia o la F. G. Comunista, la crisi puberale, l'anno delle malinconie, l'anno della ribellione.

A 18 anni ha meno equilibrio di quanto ne avevo io a 12. Ma passa sempre. Si laureerà a pieni voti. Farà l'assistente universitario gratis.


Sì gratis. Nessuno ci crederebbe: gli assistenti volontari lavorano senza stipendio.

Ci siamo imbattuti in un'altra legge strana. Ma ha precedenti gloriosi. Lo Statuto di Carlo Alberto diceva: «Le funzioni di senatore e deputato non danno luogo a alcuna retribuzione o indennità».

Questo non è romantico disinteresse, è un sistema raffinato per escludere la razza inferiore senza dirglielo in faccia.

La lotta di classe quando la fanno i signori è signorile. Non scandalizza nè i preti nè i professori che leggono l'Espresso.

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Selezione suicida

Nella prima parte di questa lettera s'è visto quanto danno fate agli scartati. A Firenze ho visto quanta ragione aveva il Borghi. Il danno più profondo glie lo fate agli scelti.

Il ragazzo che passa sempre resta nella classe. Più stabile degli insegnanti. Dovrebbe potersi legare ai compagni, interessarsi di come son finiti.

Ma sono troppi. Nel giro d'otto anni gli son stati tagliati di dosso e bruciati come rami secchi quaranta compagni. Dopo la media altri cinque hanno lasciato la scuola quantunque fossero passati e fa 45. Di loro e dei loro problemi non sa più nulla.


In seconda elementare Pierino era con tutti. In quinta è già in un gruppo più limitato. Su 100 persone che incontra per strada 40 gli son già «inferiori».

Dopo la licenza media gli «inferiori» salgono a 90 su 100. Dopo il diploma a 96. Dopo la laurea a 99.

Ogni volta ha visto la sua pagella migliore di quella dei compagni che ha perso. I professori che hanno scritto quelle pagelle gli hanno impresso nell'anima che gli altri 99 sono di cultura inferiore.

A questo punto sarebbe un miracolo che la sua anima non ne sortisse malata.


È malata davvero perchè i professori gli han detto una bugia. La cultura di quei 99 non è inferiore, è diversa.

La cultura vera, quella che ancora non ha posseduto nessun uomo, è fatta di due cose: appartenere alla massa e possedere la parola.

Una scuola che seleziona distrugge la cultura. Ai poveri toglie il mezzo d'espressione. Ai ricchi toglie la conoscenza delle cose.

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