Copertina
Autore Georges Minois
Titolo Storia dell'avvenire
SottotitoloDai profeti alla futurologia
EdizioneDedalo, Bari, 2007, Storia e civiltà 67 , pag. 602, cop.ril.sov., dim. 14,5x21,5x3,7 cm , Isbn 978-88-220-0567-0
OriginaleHistoire de l'avenir. Des prophètes à la prospective
EdizioneFayard, Paris, 1996
TraduttoreManuela Carbone
LettoreFlo Bertelli, 2007
Classe storia , storia sociale , storia letteraria , religione
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Indice

Introduzione                                                      9


PARTE PRIMA
L'ÈRA DEGLI ORACOLI
LA DIVINAZIONE PRIMITIVA, BIBLICA E GRECO-ROMANA
AL SERVIZIO DEL DESTINO INDIVIDUALE E DELLA POLITICA


Capitolo primo
La predizione nei popoli antichi: una garanzia divina            15

Universalità e varietà della divinazione                         16
Gli esordi dell'astrologia                                       19
Il profetismo nel Vicino Oriente antico                          21
Il profetismo di gruppo in Israele                               25
Veri e falsi profeti                                             29
Il profetismo biblico                                            34
Gli inizi del messianismo                                        37
Destino e divinazione presso gli Ariani, i Celti, i Germani
    e gli Scandinavi                                             39
Utilità psicologica e politica della divinazione                 43

Capitolo secondo
La divinazione greca:
questione filosofica e manipolazione politica                    47

Miti e divinazione                                               48
Gli oracoli                                                      51
La Sibilla, oracolo disincarnato                                 56
L'astrologia, o la predizione scientifica                        58
Tolomeo e l'astrologia ellenistica                               61
Astrologia, divinazione e destino                                64
Gli avversari della divinazione                                  67
I sostenitori della divinazione                                  70
Gli oracoli, strumenti della manipolazione politica e militare   75

Capitolo terzo
La divinazione romana: monopolio di Stato                        79

La tradizione romana arcaica: neutralizzare gli dei per
    diventare padroni assoluti del futuro                        80
La divinazione confiscata dallo Stato                            83
Penetrazione della divinazione straniera e resistenza
    senatoriale                                                  86
Gli inizi dell'astrologia a Roma                                 89
Sviluppo della divinazione durante le guerre civili              93
Gli imperatori impediscono la divinazione privata                97
La predizione, strumento del governo imperiale                  102
Storici e strateghi: dalla credulità alla manipolazione         107
Il processo della divinazione: il De divinatione di Cicerone    109

PARTE SECONDA
L'ÈRA DELLE PROFEZIE
LE PROMESSE APOCALITTICHE E MILLENARISTICHE DEL MEDIOEVO


Capitolo quarto
Dalla divinazione politica alla profezia apocalittica
Inizio dell'èra cristiana                                       119

Il libro di Daniele e l'Apocalisse                              120
L'Apocalisse di Giovanni, base delle profezie millenaristiche   124
Il profetismo nelle prime comunità cristiane                    128
I Padri della Chiesa e la divinazione pagana                    131
I Padri della Chiesa e l'astrologia: una condanna velata        136
I Padri della Chiesa e la profezia giudeocristiana:
    un mezzo di conoscenza sempre efficace                      139
Sant'Agostino demonizza la divinazione e l'astrologia           144
Le esitazioni di Agostino sulle profezie apocalittiche          151

Capitolo quinto
La Chiesa disciplina il futuro:
profezia ortodossa e profezia eretica nel Medioevo              157

Proliferazione degli indovini e falsi profeti durante
    l'Alto Medioevo                                             158
L'anno mille, un anno come gli altri                            162
Crociata e millenarismo: la profezia in azione                  164
Rinascita dell'astrologia nel XII e XIII secolo                 168
Profezie di Merlino, sogni divinatori e inquietudini della
    Chiesa                                                      173
Le basi profetiche di Gioacchino da Fiore: Apocalisse e storia  175
La condanna (1259)                                              179
Teoria e pratica della predizione presso i domenicani e i
    francescani                                                 185
San Tommaso disciplina la profezia                              189
Crisi della Chiesa e febbre profetica (1292-1303)               197
La peste nera, segno precursore dell'Anticristo                 202
Millenarismo, comunismo ed età dell'oro                         207
Il Grande Scisma: la profezia imperversa (1378-1417)            211
Pietro d'Ailly di fronte al Grande Scisma: dalla profezia
    all'astrologia                                              216
Giovanni di Rupescissa e la nuova profezia                      223

PARTE TERZA
L'ÈRA DELL'ASTROLOGIA
LE STELLE GOVERNANO IL FUTURO, DAL XV AL XVII SECOLO


Capitolo sesto
Trasformazione e declino della profezia religiosa
(secoli XV e XVI)                                               231

Una nuova moda: le collezioni di profezie                       232
Profezia e potere politico                                      236
Inefficacia della repressione antiprofetica                     240
Profezia e angoscia apocalittica                                244
Profezia e movimenti sociali: i millenaristi                    250
L'Utopia e l'America, due metamorfosi della profezia            256
Declino della profezia religiosa e diffidenza delle autorità    259
La divinazione popolare                                         264
Ambiguità delle condanne e scetticismo di Montaigne             267

Capitolo settimo
Il trionfo dell'astrologia (XV secolo - metà XVII secolo)       273

Ambiguità dell'astrologia                                       273
Splendori dell'astrologia nel XV secolo                         275
Attacco e difesa: Pico della Mirandola e Simon de Phares        279
Il secolo di Nostradamus                                        282
L'astrologia di corte nel XVI secolo                            286
L'almanacco e i suoi detrattori                                 289
L'astrologia, tappa necessaria della previsione                 298
Astrologia e scienza nuova                                      305
L'astrologia alla corte di Francia                              311
Il potere reale e l'astrologia in Francia                       315
L'astrologia nella guerra civile inglese                        320
Necessità socioculturale dell'astrologia                        332

PARTE QUARTA
L'ÈRA DELLE UTOPIE
DALLE RADIOSE CITTA CLASSICHE
ALL'OTTIMISMO DELLE UTOPIE SOCIALISTE (XVII-XIX SECOLO)


Capitolo ottavo
L'emarginazione della divinazione tradizionale
(fine XVII secolo - XVIII secolo)                               339

L'astrologia vittima della restaurazione e della ragione
    in Inghilterra (1660-1700)                                  339
Profezia e divinazione, vittime del loro sfruttamento           344
L'ondata di scetticismo in Francia (1680-1720)                  349
La cometa del 1680 annuncia la rovina dell'astrologia           353
La divinazione relegata a livello popolare                      358
I contrasti dei Lumi: Razionalismo e Illuminismo                364

Capitolo nono
Le nuove vie della predizione nel XVIII secolo:
utopia, storia, scienze umane                                   371

La crisi della storia predittiva nel XVII secolo                371
Le esitazioni dei filosofi dinanzi al futuro                    375
L'utopia, dal millenarismo allo scetticismo                     378
L'utopia, progetto sociopolitico                                387
Utopia e futuro                                                 391
L'anno 2440: sogno o incubo?                                    396
Verso lo sfruttamento del futuro:
    probabilità, assicurazioni e rendite vitalizie              400
Diversificazione delle vie di accesso al futuro                 405

Capitolo decimo
L'inizio dell'èra delle masse.
Predizione popolare e nuovi profeti nel XIX secolo              409

Un secolo profetico                                             409
Sviluppo della predizione popolare e sorveglianza poliziesca    413
Le predizioni sotto l'Impero                                    417
1815-1848: il regno delle cartomanti e il loro ruolo
    di psicologhe                                               424
Mademoiselle Lenormand, la sibilla di rue de Tournon(1772-1843) 429
Seconda metà del secolo: le predizioni e l'uso dell'ipnotismo   434
Rinascita della profezia a carattere religioso:
    la sua funzione socioculturale                              438
Diffusione e funzione della predizione popolare                 446
I profeti dell'utopia scientifica: verso un'umanità cooperativa 450
I profeti scientifico-religiosi o il progresso dell'utopia      456
I profeti ottimisti: dalla scienza all'arte                     461
I profeti della felicità: economisti liberali e socialisti      467
Il millenarismo marxista                                        473
I profeti della fantascienza annunciano la fine delle guerre    477
Esitazioni e dubbi della fantascienza: Herbert G. Wells         482

PARTE QUINTA
L'ÈRA DELLE PREDIZIONI SCIENTIFICHE
DAL PESSIMISMO DELLA FANTASCIENZA E DELLA CONTROUTOPIA
ALLA PRUDENZA DELLE PROBABILITÀ E DELLA PROSPETTIVA (XX SECOLO)


Capitolo undicesimo
L'ascesa del pessimismo.
Profeti della decadenza e della controutopia (XIX-XX secolo)    491

Decadenza attraverso la democrazia, da Tocqueville a Halévy     492
La morte della civiltà: Oswald Spengler                         499
Dall'ottimismo utopico al pessimismo della fantascienza         504
Zamjatin e Huxley: la suggestione della felicità                507
George Orwell: «colui che controlla il passato,
    controlla il futuro»                                        511
Previsioni economiche e pessimismo                              515
La storia del futuro: uno scenario impossibile                  521

Capitolo dodicesimo
Il futuro della predizione.
Veggenti, profeti della fine della storia e futurologi          525

Successo e funzione sociale dell'astrologia
    e della parapsicologia                                      526
Proliferazione delle profezie religiose                         531
Dall'esoterismo alle chimere New Age                            534
Astrologi e veggenti in aiuto degli uomini politici             538
«Il futuro non è più ciò che era»:
    rischi della predizione tecnologica                         541
Scetticismo storico e predizione                                546
I profeti della fine della storia e dell'ultimo uomo            550
Nascita della prospettiva e della futurologia                   555
Risultati ed esitazione della prospettiva. Il retroprogresso    559

Conclusione                                                     567

Indice dei nomi                                                 573

 

 

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Pagina 15

Capitolo primo
La predizione nei popoli antichi:
una garanzia divina



L'uomo si è dedicato alla predizione sin dalle origini della sua esistenza. Quando disegna sulle pareti di una caverna un bisonte trafitto di frecce, rappresenta sia la caccia di ieri che quella di domani: il suo disegno è al contempo un sortilegio e un atto magico volto a garantire il successo delle sue gesta. Con lo stesso tratto, egli anticipa o forza la mano alla natura e agli spiriti. L'uomo manifesta in questo modo che, già agli albori dell'umanità, predire significa per lui dominare il futuro. Tale affermazione è all'origine di tutte le predizioni, dalla divinazione primitiva alla prospettiva e alla futurologia moderna. L'uomo preistorico, primo indovino e primo profeta, associa la volontà di dominare il proprio ambiente con il proprio futuro immediato. La storia dell'umanità sarà la storia del suo ascendente sempre maggiore su uno spazio e un tempo sempre più vasti.

Tuttavia, mentre il dominio di tre dimensioni spaziali progredisce grazie a tecniche sempre più competitive, il dominio del tempo resterà un'illusione perpetua. L'uomo di oggi non conosce il futuro più di quanto non lo conoscesse il cacciatore di Neanderthal, e questa incertezza è per lui ancora più crudele di quanto non lo fosse per il suo lontano antenato, poiché il bisogno di sapere aumenta proporzionalmente al dominio che egli esercita sull'ambiente. L'uomo preistorico voleva sapere se avrebbe catturato la selvaggina, tutta la sua curiosità era limitata a questa attività fondamentale. L'uomo odierno vorrebbe sapere un'infinità di cose sul domani e il dopodomani, dall'andamento di Wall Street alla pace nel mondo, passando per la situazione dell'occupazione e il tempo che farà la prossima estate. Nonostante i continui fallimenti delle sue anticipazioni egli continua a prevedere, pur sapendo che tali previsioni sono probabilmente errate.

La condizione umana riposa sulla necessità di riuscire a sapere cosa accadrà domani per poter agire sin da ora. Perché intimamente nessuno di noi è così sciocco: nessuno può conoscere il futuro, nemmeno quello più immediato. Ma le necessità della vita esigono che agiamo «come se» sapessimo. Ci accontentiamo quindi di un minimo di fiducia nelle previsioni. Per quanto riguarda la vita quotidiana, ognuno è in grado di fornire questo genere di prestazioni partendo dalle proprie abitudini, ma per gli eventi che sfuggono all'influenza individuale c'è bisogno di «esperti», di persone capaci di accattivarsi la fiducia della comunità.


Universalità e varietà della divinazione

Questi cosiddetti esperti sono esistiti in tutte le società sin dalle origini. I loro nomi e le loro tecniche variano dagli indovini ai futurologi, dai profeti ai prospettivisti, dagli auguri agli astrologi, dagli oracoli ai chiromanti. La prova del ruolo essenziale della predizione nella condizione umana è da ricercarsi nelle prime tracce scritte lasciate dalle civiltà del Vicino Oriente, fra le quali si fa menzione dell'attività di divinazione, che occupa visibilmente un ruolo sociale fondamentale. In Mesopotamia, nel mondo caldeo e assiro-babilonese, le tavolette d'argilla ci parlano, sin dal III millennio a.C., di una moltitudine di pratiche divinatorie come la lecanomanzia (consultazione per mezzo dell'olio), la teratomanzia (presagi tratti dalle malformazioni) e l'oniromanzia (studio dei sogni premonitori). Gli specialisti dell'interpretazione di questi segni sono indovini chiamati, a seconda dei testi, bârû, shâ'ilû, âshipu.

L'attività più elaboratà, all'epoca, è l'aruspicina, cioè l'osservazione degli organi interni di animali perlopiù sacrificati, al fine di trarne dei presagi. Sin da prima del 2000 a.C. le tavolette descrivono i processi altamente elaborati di tali consulti e ciò lascia presupporre che avessero una storia già molto antica. È sorprendente constatare il rigore di questa attività, basata su osservazioni morfologiche e anatomiche di precisione estrema. Annotando le misure, le analogie, le posizioni, conservando sulle cosiddette «tavole delle esperienze» i risultati dei consulti, gli indovini assegnano un valore positivo o negativo a ciò che constatano, in funzione delle posizioni e dell'aspetto degli organi, in particolare delle contrapposizioni destra-sinistra, alto-basso, chiaro-scuro. Essi producono trattati in cui descrivono la propria esperienza e insegnano i tipi di interpretazione che bisogna dedurre dagli esami. Secondo le loro tradizioni i princìpi di quest'arte sarebbero stati rivelati dagli dèi a un leggendario re vissuto prima del Diluvio.

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Pagina 332

Necessità socioculturale dell'astrologia


Negli anni 1660-1680 l'astrologia, nonostante i ripetuti errori di predizione, deve il suo durevole successo all'indispensabile funzione socioculturale che ha svolto. In qualunque epoca l'uomo, per vivere, per dirigere le proprie azioni, per mantenere la coesione sociale, ha avuto e ha bisogno di controllare il passato e il futuro, o piuttosto di avere uno schema coerente dell'evoluzione che gli permetta di guidare i suoi passi, di fare scelte sicure e utili per l'esistenza. Questo schema è elaborato dalla cultura circostante, che spiega al contempo le origini e la fine. Le credenze religiose, il progresso delle scienze e delle tecniche, la riflessione filosofica e l'organizzazione socioeconomica contribuiscono a determinare le grandi linee dell'avvenire probabile, le scadenze imminenti e quelle lontane. Tale conoscenza minima del futuro si inserisce nell'insieme dei mezzi d'azione che l'uomo può utilizzare sul suo ambiente ed è il complemento necessario degli strumenti scientifici e tecnici.

Nel XVII secolo, l'astrologia è chiamata a riempire il vuoto lasciato dal regresso della profezia religiosa sotto l'effetto delle Riforme protestante e cattolica. Inoltre la nuova esigenza scientifica è ancora un mero ideale: le spiegazioni occulte e sovrannaturali vengono scartate sempre di più e non vengono sostituite da alcuna scienza solida: la biologia, la medicina, la geologia e soprattutto le scienze umane sono ancora allo stadio primordiale, incapaci di spiegare gli eventi naturali e sociali così sconcertanti dell'epoca. L'astrologia è la sola disciplina globalmente in grado di svolgere questa funzione. Lo abbiamo visto attraverso gli almanacchi e le consultazioni degli astrologi, i quali, attraverso le domande che vengono loro poste, svolgono il ruolo di medico, economista, meteorologo, politologo, di uomo d'affari, di consulente di orientamento, di agronomo, sociologo e forse soprattutto psicologo: formulare un oroscopo è anzitutto una questione di psicologia. Il cliente si reca a consulto soprattutto per confidarsi e per essere rassicurato. L'astrologo completa il confessore: entrambi hanno un ruolo rassicurante nella misura in cui mostrano all'individuo che il suo destino non deve nulla al caso, che nel cielo Dio e gli astri vegliano su di lui, che se ha commesso errori il primo li perdonerà e i secondi glieli spiegheranno, e che infine il suo futuro è sì previsto, ma egli è comunque libero di accettarlo o di cambiarlo, insomma, che non è solo, che ha un ruolo che è chiamato a svolgere, che è importante, che è una persona. L'aspetto manifestamente complementare dell'astrologo e del confessore porta persino a chiedersi in quale misura questo giustifichi il ruolo apparentemente più importante del primo nel mondo protestante, per compensazione dell'assenza della confessione auricolare.

Ciò contribuisce anche a spiegare perché, agli occhi dei fedeli ordinari, non vi sia opposizione fra religione e astrologia, mentre l'ostilità del clero cattolico nei confronti degli astrologi è molto più viva di quella dei pastori e dei ministri protestanti. Per il primo, infatti, l'astrologo è un concorrente diretto.

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Pagina 477

I profeti della fantascienza annunciano la fine delle guerre


Questi profeti sono tutti motivati dallo spirito di rivolta contro l'ingiustizia dei rapporti sociali della loro epoca, e nella loro visione del futuro focalizzano l'attenzione sui rapporti umani. Altri si contraddistinguono maggiormente per l'arrivo di un nuovo protagonista nella storia del mondo, un protagonista che ben presto prenderà una posizione di primo piano e sconvolgerà la vita degli uomini: la macchina. Perché di tutti i progressi analizzati esaminando il passato del mondo, quello tecnologico è il più tangibile, il più irrefutabile. Tutti gli altri sono discutibili: progressi morali, sociali, religiosi, mentre la superiorità della ferrovia sulla carrozza e del cannone da 75 sulla balestra è un fatto incontestabile. Il progresso tecnico accelera in modo vertiginoso, pertanto anch'esso ha i suoi profeti, che nella seconda metà del XIX secolo, nella persona degli autori di fantascienza, trovano un pubblico di fedeli sempre più numeroso. Se ciò che questi visionari promettono nell'ambito della tecnica è inizialmente rassicurante, presto si rivelerà illusorio.

Uno dei settori privilegiati della predizione fantascientifica è la guerra. Come si combatteranno le guerre del futuro? Non si faranno, semplicemente, rispondono con tono rassicurante numerosi autori, persuasi che l'invenzione di nuove armi dalla potenza distruttrice terrificante saranno un mezzo per assicurare la pace. L'illusione non è cosa nuova. Già nel 1767 infatti, l'abate Maury proponeva di fondare la pace mondiale su una specie di equilibrio del terrore:

Credo sia auspicabile inventare nuovi mezzi di distruzione più terribili di quelli che conosciamo ora, e una macchina infernale più distruttrice del cannone. Questa scoperta, pur divenendo un grande flagello per il secolo attuale, farebbe sicuramente la felicità delle generazioni future. Siamo fatti così; siamo illuminati solo nell'infelicità e solo le avversità ci insegnano lezioni utili.

Restif de La Bretonne, nel 1781, crede che quest'arma terribile potrebbe essere «l'uomo volante»; come abbiamo visto gli fa eco Victor Hugo nel 1864 con l'aeroscafo. Alfred Nobel, invece, aggiunge il peso della sua scienza e della sua dinamite a questa predizione: «Il giorno in cui due corpi d'armata saranno in grado di distruggersi a vicenda in un secondo, tutte le nazioni civili indietreggeranno di fronte a tale orrore e congederanno i loro eserciti» scrive perentoriamente.

Numerosi autori di fantascienza condividono tale opinione, compresi i più grandi. Jules Verne non scrive forse:

È forse possibile la guerra con le moderne invenzioni, queste granate asfissianti che vengono lanciate a distanza di centinaia di chilometri, queste scintille elettriche lunghe venti leghe, che possono annientare in un sol colpo un intero corpo d'armata, questi proiettili che si caricano con i microbi della peste, del colera, della febbre gialla e che in poche ore distruggerebbero tutta una nazione.

È pur vero che Verne attribuisce questa sensata osservazione a un uomo del 2889.

Ancora nel XXIX secolo, e precisamente nel 2865, Berthoud relega nel museo militare «tutti gli strumenti della guerra dei secoli passati, divenuti inutili per la loro terribile perfezione e fatale infallibilità». Anche Charles Richet enumera le armi che garantiranno la pace:

Fucile a tiro rapido, cannoni mostruosi, granate perfezionate, polveri senza rumore e senza fumo, in modo che una grande battaglia (che speriamo non avvenga) possa causare la morte di 300.000 uomini in poche ore. Si capisce perché le nazioni, per quanto possano a volte essere sconsiderate se animate da un vano orgoglio, indietreggino di fronte a questa terribile prospettiva.

Vi sono tuttavia opinioni discordanti completamente trascurate, tanto l'ottimismo è di rigore. Fra questi profeti dell'infelicità spicca Albert Robida (1848-1926), cronista per diversi giornali parigini, disegnatore per «La Caricature» e autore di romanzi e racconti. Egli affronta frequentemente il tema dell'anticipazione, focalizzando tutta la sua attenzione sul secolo a venire nel XX Secolo: la conquista delle regioni aeree (1883), La guerre au XXe siècle (1887), Le XXe Siècle, la vie électrique (1890). Questo autore dimenticato, nel bel mezzo di un inevitabile ciarpame di invenzioni improbabili, è illuminato da momenti di folgorante chiaroveggenza. Egli predice il voto delle donne e il loro accesso a tutti gli impieghi, treni lanciati a più di 400 leghe all'ora in tubi per viaggiatori, televisioni (telefonoscopi) che diffondono le notizie in continuazione, le coste e l'aria completamente inquinate, i cittadini estenuati in file interminabili alla ricerca di posti rilassanti, in regioni rurali trasformate in parchi nazionali, come il Parco nazionale d'Armorica, nel quale rappresenta, in una delle sue caricature, l'arrivo dei «Parigini nervosi»: «In questo parco nazionale in cui si perpetua l'immensa calma della vita provinciale di un tempo, tutti i nervosi, tutti gli estenuati, tutti gli intellettuali stremati vengono a cercare il riposo riparatore, senza televisione, senza telefono». L'anticipazione, scritta nel 1883 e relativa alla fine del XX secolo, non è così lontana dalla realtà. Come si sarà già capito, Robida non invidia il nostro destino:

Vedete, non invidio coloro che vivranno nel 1965. Saranno presi negli ingranaggi della società meccanizzata, al punto che mi domando dove troveranno le gioie che ci venivano offerte un tempo, quelle di gironzolare per le strade, vicino all'acqua, quelle del silenzio, della calma, della solitudine.

La visione che ha della guerra è molto più realistica di quella di tutti gli strateghi militari della sua epoca: nelle sue caricature e ne La Guerre au XXe siècle, troviamo mezzi corazzati su rotaie, carri armati, sottomarini e macchine volanti che si affrontano a colpi di artiglieria pesante, di siluri, di ordigni chimici e batteriologici. Manca solo la bomba atomica. In uno dei suoi disegni, la dea Civiltà riversa una pioggia di ordigni dalla sua cornucopia, mentre dieci anni dopo orde di turisti si ritrovano a visitare i campi di battaglia.

In un raffinato studio, Ignatius Frederick Clarke ha analizzato le Voices prophesying War in Francia, Inghilterra e Germania tra il 1871 e il 1914. Le sue conclusioni sono indicative anzitutto dell'interesse per il tema, poiché più di 300 opere immaginano una guerra futura in questo periodo, che vive nel ricordo della guerra del 1870 e nella prospettiva di una guerra di vendetta. Questi scritti mutano a seconda della congiuntura diplomatica, focalizzandosi su un conflitto con la Germania in seguito all'Intesa cordiale del 1904, tuttavia non brillano per la loro lungimiranza. Né i militari né i civili hanno previsto ciò che avrebbe potuto essere la guerra del 1914-1918, una guerra logorante, lunga, segnata da un'ecatombe senza precedenti e da conseguenze socioeconomiche, politiche e culturali che hanno superato probabilmente ogni immaginazione:

Il macello delle trincee, il ricorso ai gas asfissianti, gli enormi danni provocati dai sottomarini, la portata stessa di una guerra mondiale industrializzata sono stati misericordiosamente sottratti agli occhi degli ammiragli, dei generali, degli uomini politici e dei romanzieri popolari che hanno partecipato alla vasta impresa di predire ciò che sarebbe accaduto.

Vi sono due eccezioni, due voci profetiche cui non si presta alcuna attenzione: quella di Friedrich Engels anzitutto, che in una lettera del 1888 riscatta in qualche modo il suo enorme errore di predizione a proposito di un'imminente rivoluzione in Inghilterra. Egli scrive infatti a Liebknecht:

Ciò che ci converrebbe maggiormente e che ha anche molte possibilità di realizzarsi è una guerra di posizione con esiti mutevoli da parte francese; una guerra offensiva con la presa delle fortificazioni polacche alla frontiera russa e la rivoluzione a San Pietroburgo, che improvvisamente farebbe vedere le cose sotto tutt'altra prospettiva ai Signori della guerra. Ecco cosa è certo: non vi saranno decisioni rapide né campagne trionfali, né in direzione di Berlino, né in direzione di Parigi.

Analisi molto lucida e molto più giusta di quella degli stati maggiori, che prevedono da entrambi i lati una guerra rapida e vittoriosa. Nel 1897 il banchiere polacco Ivan Bloch, ne La Guerre de l'avenir, conferma la diagnosi di Engels: una guerra logorante, impossibile da vincere a causa della potenza dell'artiglieria, una guerra di trincea che finisce per provocare destabilizzazione sociale e forse una rivoluzione.

Siamo molto lontani dalla fantascienza ora. Engels ragiona in funzione del suo obiettivo rivoluzionario e, per favorire la sommossa, conta sull'esasperazione dei popoli dopo molti anni di massacri e di privazioni sterili: «Un solo risultato è assolutamente sicuro: quando tutti saranno esausti, avremo le condizioni per la vittoria finale della classe operaia». Bloch ha passato più di dieci anni a studiare i caratteri della guerra del 1870 e le sue conclusioni non hanno nulla di fantasioso.

Tali predizioni possono peraltro avere una certa influenza sul corso degli eventi. Bernard Cazes segnala che le conclusioni di Bloch avrebbero spinto lo zar a prendere l'iniziativa di una conferenza di pace all'Aia nel 1899. Tuttavia egli sembra aver dimenticato la lezione nel luglio 1914, da cui l'idea, non del tutto nuova ma che può ancora dare risultati, di utilizzare la fantascienza per influenzare le decisioni politiche, ed è quanto fa il colonnello inglese George Chesnais nel 1871, preoccupato per il continuo progredire della potenza tedesca. In un racconto che situa in modo fittizio nel 1921, La Battaglia di Dorking, egli narra come la flotta inglese sia stata distrutta e il Regno Unito invaso dalle forze tedesche superiori nelle armi. Il libro produrrà un grande scalpore e spingerà il Primo Ministro Gladstone ad aumentare la spesa militare. Non si tratta più di predizioni in questo caso, ma di una manovra politica. Al contrario, un libro anonimo del 1763, The Reign of George VI, 1900-1925, annuncia, per una straordinaria coincidenza, una «guerra d'Europa» nel 1917-1920, ma la descrive come una guerra del XVIII secolo.

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Esitazioni e dubbi della fantascienza: Herbert G. Wells


La fantascienza degli anni 1850-1914 è caratterizzata dalla mancanza di coerenza nei suoi aspetti predittivi. Lungimirante su alcuni punti specifici, essa pecca per eccesso o per difetto nella maggior parte dei pronostici. Questo esercizio, in effetti, è nuovo e gli autori non dominano ancora la logica interna dei progressi che predicono. Privilegiando alcuni aspetti che tendono a ipertrofizzare per estrapolazione, essi ne trascurano altri e soprattutto non tengono abbastanza conto delle interazioni tra i diversi campi, incappando così in una visione distorta del futuro. L'aspetto più caratteristico di questa prima èra della fantascienza è la sua polarizzazione sui progressi tecnologici, che ne causa la predizione, spesso esatta, di macchine straordinarie, senza misurarne le ripercussioni nel campo sociopolitico. Ecco perché generalmente gli autori sono ottimisti, mentre la generazione seguente, già annunciata da Wells, prende maggiormente in considerazione l'organizzazione globale del mondo di domani.

Nelle opere della prima generazione sono stati commessi per difetto errori clamorosi, sia dai politici che dagli studiosi e dagli uomini di lettere. Nel 1829 il futuro presidente degli Stati Uniti Van Buren afferma che il futuro è delle chiatte, non dei treni, mostri meccanici troppo pericolosi per la sicurezza pubblicai «Certo l'Onnipotente non ha mai voluto che gli esseri umani viaggiassero a una velocità così pericolosa (25 chilometri all'ora)»; nello stesso anno il «Journal des savants» annuncia che la fotografia non avrà alcun futuro, dal momento che la pittura le è troppo superiore; l'astrologo americano Newcomb, all'inizio del XIX secolo, stabilisce la prova matematica secondo cui sia impossibile far volare qualcosa di più pesante dell'aria, mentre Georges Clemenceau, nel 1882, si fa beffe dell'automobile, «destinata a un rapido oblio» (è vero che si tratta di un'invenzione tedesca dovuta a Daimler e Benz, cosa che costituisce già una buona ragione per detestarla); il barone Haussmann scrive che l'illuminazione elettrica non ha possibilità alcuna di sostituire l'illuminazione a gas; Jules Méline, nel 1905, profetizza giorni felici per l'agricoltura, che non deve temere né la sovrapproduzione né la meccanizzazione, e che presto vedrà prodursi un movimento di ritorno alla terra, di «esodo urbano» che «porterà le energie e le braccia verso la terra».

Nel 1900 il giornalista americano John Watkins presenta nel «Ladies Home Journal» uno spaccato di vita del XX secolo. La sua visione è ottimistica poiché esclusivamente rivolta ai miglioramenti materiali, dal riscaldamento centralizzato ai tram, treni elettrici e metropolitane, dalla vendita e consegna a domicilio alla democratizzazione dell'automobile. In compenso egli non vede alcun ruolo futuro per il petrolio, né per il trasporto aereo di massa, e predice un'aspettativa media di vita che sale a soli cinquant'anni.

Quindici anni dopo, nello stesso giornale, il suo compatriota Charles Steinmetz affina la predizione adottando un procedimento più razionale. Data la diminuzione costante del costo dell'elettricità, la sua applicazione deve generalizzarsi: riscaldamento elettrico, climatizzazione, guadagni di produttività nelle fabbriche, fattore di riduzione della durata del lavoro, trasporti elettrici che riducono l'inquinamento, comunicazioni istantanee, il tutto corredato da una diminuzione del costo della vita e da un miglioramento delle comodità. Il suo procedimento deduttivo è notevole, ma perde lungimiranza con l'aumentare del numero di fattori in gioco, di modo che, nel campo dei costi, egli sottostima la concorrenza del gas e del petrolio e produce uno schema che diverge molto rapidamente da quanto accadrà realmente.

In maniera più eteroclita, nella sua opera Il XX secolo, Robida accosta anticipazioni molto sensate (come le agenzie di viaggio, l'abolizione della pena di morte, la televisione e gli apparecchi acustici, l'inquinamento generalizzato che causa nuove malattie) a eccessi palesi (treni che viaggiano a 1600 chilometri all'ora, la regolazione del clima, l'unificazione delle lingue e dei popoli europei). Questione di sincronizzazione, forse, poiché il mondo che ci descrive si colloca negli anni '60 del 1900.

In geopolitica un esempio lampante di chiaroveggenza selettiva è fornito dal libro di Charles Richet, Dans cent ans, pubblicato nel 1892. «Le due nazioni civili più potenti saranno gli Stati Uniti da una parte e la Russia dall'altra», scrive. Perdoniamogli di non aver previsto il crollo dell'URSS nel 1989, ma più difficile da scusare è la predizione di un impero franco-arabo che unisce strettamente il Maghreb alla Francia.

Nel settore vitale delle risorse naturali ritroviamo le stesse contraddizioni: mentre Jules Verne predice un'èra di abbondanza e secondo Marcelin Berthelot la chimica permetterà di far sparire la fame nel mondo, il collega inglese di quest'ultimo, William Crookes, annuncia nel 1905 che in meno di trent'anni si verificherà una gravissima penuria di grano, a meno che non venga scoperto prima il modo di fabbricare concimi azotati, cosa che succede effettivamente quattro anni dopo. Nel 1901 1'«Almanach Hachette» descrive un pasto del XX secolo, e prevede un'alimentazione puramente sintetica e chimica: cibi disidratati fabbricati a partire dall'idrogeno, dall'azoto, dall'ossigeno e dall'acido carbonico estratti dall'atmosfera. L'agricoltura dunque è destinata a scomparire e la terra sarà coperta di parchi, fiori e foreste. Siamo forse di fronte a un semplice errore di secolo?

Nel campo dell'anticipazione i più grandi possono dar prova di una sorprendente mancanza di lungimiranza, soprattutto se lasciamo l'ambito tecnologico per quello socioculturale. Ad esempio, mentre lo svizzero Alphonse de Candolle aveva previsto sin dal 1873 che la lingua inglese sarebbe diventata di uso quasi universale, in particolare in ambito scientifico, basandosi sul ritmo della crescita demografica dei paesi anglofoni e francofoni e mentre Watkins scriveva nel 1900 che «l'inglese sarà la lingua più parlata rispetto a tutte le altre», Wells, nelle sue Anticipazioni del 1902, si mostrava scettico sulle possibilità della sua lingua, cui non riconosceva alcune delle «qualità contagiose del francese».

Anche gli scienziati danno prova di capacità predittive molto discontinue. Nel 1870 Mendeleev, in un lavoro di classificazione degli elementi, secondo la massa atomica, prevede la scoperta di nuovi elementi di cui descrive le proprietà, anticipando di alcuni anni la scoperta del gallio, dello scandio e del germanio. In compenso, nel 1909, Henry Adams crede di aver scoperto la legge matematica che gli consentirà di prevedere gli sviluppi futuri dell'umanità. A suo parere la storia accelera a una velocità vertiginosa; ogni periodo avrebbe una durata di anni uguale alla radice quadrata della durata del periodo precedente. In una nuova versione della suddivisione gioachimita o positivista della storia, egli colloca alle sue spalle i 90.000 anni dell'èra religiosa, i 300 anni (radice di 90.000) dell'èra meccanica, e i 17 anni (radice di 300) dell'èra della matematica pura, dopo la quale, come Stuart Mill, prevede un lungo periodo di stagnazione.

Molto meno caricaturale è l'anticipazione di Emile Souvestre del 1846, ne Le monde tel qu'il sera. Questo mondo dell'anno 3000 è interamente meccanizzato, ma la cosa più notevole è la pianificazione integrale della riproduzione della specie per mezzo della genetica, che permette di ottenere esattamente i tipi umani di cui si ha bisogno, in una società in cui la divisione dei compiti è spinta all'estremo.

Alla fine del XIX secolo e all'inizio del XX l'inquietudine fa la sua apparizione nella fantascienza: e se la macchina, le cui lodi sono state tessute fino a quel momento, fosse una minaccia per l'uomo? Se Jules Verne, i cui racconti sono troppo famosi per essere ricordati in questa sede, non ha di queste angosce, l'inglese Edward Forster immagina l'opposto nel 1909 in The Machine stops, un mondo interamente artificiale, sotterraneo, in cui ciascuno, vivendo in un vano esagonale, gode di un massimo di comodità con il minimo sforzo. La macchina provvede a tutte le necessità, è il nuovo dio: «La macchina è onnipotente, eterna. Sia benedetta la macchina». Nel momento in cui si ferma, l'umanità muore. Alcuni immaginano il ritorno a una civiltà non industriale in seguito a una catastrofe, come William H. Hudson in A Crystal Age del 1887. Anche William Morris descrive una società disindustrializzata nel XXII secolo, in Looking backward, del 1890. Altri si chiedono se il costo umano della meccanizzazione sia giustificato, come il tedesco Kellerman nel 1911 in Der Tunnel.

Tali questioni sono al centro dell'opera del più intenso autore di fantascienza al volgere del secolo, Herbert George Wells (1866-1946). La teoria dell'anticipazione moderna, in Anticipazioni (1902) gli conferisce un'importanza particolare. A suo avviso la predizione è possibile, a condizione di impiegare un metodo scientifico che si basi sull'osservazione della storia e delle tendenze del presente, completata dal metodo induttivo. Egli sostiene che la profezia moderna dovrebbe seguire esattamente il metodo scientifico.

Credo che sarebbe estremamente stimolante e proficuo per la nostra vita intellettuale dirigere fermamente verso il futuro i nostri studi storici, economici e sociali e, nelle discussioni morali e religiose, preoccuparsi maggiormente del futuro, farvi continuamente riferimento, in modo deliberato e coraggioso.

Il metodo è essenzialmente sociologico, poiché i comportamenti dei gruppi dovrebbero teoricamente obbedire a leggi specifiche che influiscono solo relativamente sui grandi uomini. Con un abile dosaggio delle estrapolazioni a partire dalle tendenze attuali e da uno studio dei fattori economici e sociali, possiamo prevedere le grandi linee del futuro. L'avvenire delle ferrovie è esemplare: questo mezzo di trasporto dalle elevate capacità ha evidenti vantaggi, ma il costo e la mancanza di flessibilità lasciano prevedere il suo declino a vantaggio dell'automobile che circola su una sua rete riservata (autostrade), mentre sarebbero mantenuti solo i treni ad alta velocità sui grandi assi, come quello che collega la Svizzera a Londra a 500 chilometri all'ora (Una utopia moderna, 1905).

La predizione può prendere due forme: il romanzo di fantascienza e l'opera seria di riflessione. Per Wells il primo è più delicato e aleatorio, poiché le esigenze del racconto obbligano l'autore a fornire un maggior numero di precisazioni, mentre preferirebbe lasciare aperte le varie possibilità e accontentarsi di considerazioni più generiche. I personaggi evolvono in un mondo concreto; ma più si forniscono dettagli precisi, maggiori sono le possibilità di sbagliarsi. Bernard Cazes, tuttavia, si è maliziosamente divertito a paragonare le predizioni realizzate dai romanzi di Wells e gli errori delle sue opere serie, mostrando così che l'immaginazione a volte ha una capacità profetica superiore alla riflessione razionale: nei suoi romanzi Wells parla del trasporto aereo di massa (1899), dell'efficacia del carro armato (1903) e delle bombe atomiche (1914), mentre nega la possibilità di mettere a punto simili marchingegni nelle sue opere serie.

Wells guarda a questo mondo futuro con apprensione. L'ottimismo di Jules Verne cede il posto a un pessimismo che ricorda gli autori delle controutopie. Più che altro è inquietante il fatto che il male non venga dalla macchina, ma dall'uso che ne fa l'uomo per creare società-formicaio, prive di sentimenti, materialmente notevoli ma al servizio di un piccolo gruppo di signori che concentrano sapere e potere. Ne La macchina del tempo del 1895 la società dei lavoratori sotterranei, i Morlocks, alimenta in superficie gli Elois per mangiarli. Nel 1899, in Quando il dormiente si sveglierà, siamo in presenza, nel XXI secolo, di una società completamente proletarizzata e soprattutto istupidita dal consumo e dai piaceri commercializzati, permettendo così a un trust, la Società del lavoro, di regnare sovrano. Nel 1905, in Una utopia moderna, Wells presenta un mondo asettico, in cui tutti i compiti materiali vengono svolti dalle macchine, in cui tutte le malattie infettive e contagiose sono scomparse grazie a metodi sanitari draconiani, in cui non vi sono più esseri anormali, asociali, pazzi o ubriaconi: l'eugenetica permette una rigorosa selezione: i pazzi e gli alcolisti vengono confinati nelle isole. L'organizzazione è elitaria fra le mani dell'ordine dei samurai, arruolati su concorso.

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Scetticismo storico e predizione


Questa volta lo scetticismo proviene da una riflessione sul passato. Sin dagli anni '50 sono stati portati violenti attacchi contro l'affidabilità della conoscenza storica da parte di correnti di pensiero e discipline simili. Si tratta anzitutto dell'etnologia e dello strutturalismo, il cui padre, Lévi-Strauss, in Razza e storia e altri studi di antropologia del 1952, se la prende con ciò che chiama l'etnocentrismo e l'evoluzionismo degli storici. Egli rimprovera loro di vedere il passato da un punto di vista puramente europeo e di farne una marcia continua verso il progresso, mentre, al contrario, non si trova nulla del genere nella storia mondiale, che è una «marcia incerta e ramificata», imprevedibile, piena di fallimenti e regressi.

Sotto l'effetto di queste critiche la storia arriva a dubitare di se stessa e si rassegna a raccontare ciò che oggi sappiamo, pur essendo consapevole del fatto che domani tale sapere sarà rimesso in discussione e superato. Le leggi storiche sono «tutt'al più regolarità approssimative nello svolgimento degli eventi»; si denunciano «i concetti inadeguati abusivamente applicati alle società del passato; le pesantezze dell'istituzione storica, così infagottata nelle sue tradizioni; infine gli artifici del testo storico stesso, che alimenta l'illusione di ricostituzione del passato». Il relativismo si insedia con il fallimento delle grandi teorie storiche e delle loro pretese esplicative globali. Per Raymond Aron,

nel lavoro dello storico la pluralità delle interpretazioni è evidente, poiché sorgono tante interpretazioni quanti sono i sistemi esistenti, cioè, in termini generici, concezioni psicologiche e logiche originali. Si può persino dire che la teoria preceda la storia.

Per Collingwood, «il pensiero storico è un'attività dell'immaginazione. Nella storia nessuna esperienza è definitiva. Una testimonianza valida in un determinato momento non lo sarà più nel momento in cui i metodi vengono modificati e cambiano le competenze degli storici». Per Becker, «ogni secolo reinterpreta il passato in modo che serva ai suoi fini. Il passato è un genere di schermo su cui ogni generazione proietta la sua visione dell'avvenire».

Quest'ultima osservazione può essere capovolta, sostenendo che l'avvenire sia uno schermo su cui ogni generazione proietta la propria visione del passato, e poiché questo cambia continuamente in funzione delle preoccupazioni presenti, la predizione dell'avvenire altro non è se non una proiezione del presente. Senza che vi sia bisogno di organizzarlo in un servizio speciale, noi compiamo inconsapevolmente il lavoro di revisione permanente del passato che in 1984 effettuava il ministero della Verità del Grande Fratello. L'immagine che abbiamo del passato non è che un'illusione, pertanto, tornando alla formula di Orwell, diremo che «chi non controlla il passato, non controlla il futuro». A metà degli anni '70, Jean Chesneaux e Michel de Certeau si sono dedicati a una critica sistematica e giustificata delle tare della storia universitaria contemporanea, delle sue pretese tecniciste, intellettualiste e professionali, dei suoi codici e dei suoi usi impliciti che la rendono concettualmente artificiale.

Se il valore della storia viene contestato nel suo oggetto vero e proprio, cioè la conoscenza del passato, vengono rovinati anche tutti i tentativi di costruzione di modelli esplicativi. È pur vero che modelli come quelli offerti da Gioacchino da Fiore, Hegel e Marx sono serviti da strumenti di predizione, dando la possibilità di utilizzare sul futuro le strutture del passato. Se tutti i ricalchi sono falsi, è evidente che la previsione non ha alcun valore. Nel 1971 a Venezia si è tenuto un seminario internazionale su questo tema, intitolato L'historien entre l'ethnologue et le futurologue. Daniel Bell, in una comunicazione su Previsione contro profezia, mostrava l'impossibilità di stabilire un modello di previsione politica. Egli sosteneva che tutto ciò che si può predire sono gli eventuali problemi che rischiano di sorgere e il ventaglio delle loro possibili soluzioni:

Possiamo definire le situazioni o i problemi che una società sarà chiamata a risolvere, ma poiché potrà farlo in diverse maniere, il corso reale delle cose non è prevedibile per natura.

La predizione che si basa sulla storia è in qualche modo ridotta, come la fisica fondamentale, al principio dell'incertezza: ammettendo che le condizioni siano tali, può allora accadere questo o quello; ma nulla permette di affermare che le condizioni saranno un giorno quelle che supponiamo. La «predizione» si limita a una lista delle potenzialità.

Nel 1977 Jean Delumeau forniva a tal proposito un esempio di un problema molto controverso: il futuro del cristianesimo. Ponendo la domanda Il cristianesimo sta per morire? come titolo dell'opera, egli si dedicava a un esercizio di futurologia a partire dall'analisi storica dell'evoluzione del cristianesimo e, prudentemente, prevedeva due modelli possibili, pur segnalando una preferenza per il secondo:

Sotto l'aspetto umano si possono prospettare due tipi di futuro per il cristianesimo. Una prima ipotesi, la più probabile per i non credenti e per tutti coloro che appaiono legati a una concezione troppo quantitativa della storia, vuole che esso sia al tramonto: non ancora morto, ma moribondo, minato ineluttabilmente nella sua sostanza. [... ] Non è che una scommessa – incerta – sul futuro, una profezia senza garanzia scientifica. [...] Per quanto riguarda il futuro del messaggio evangelico, scelgo una prospettiva diversa da quella che ho presentato in prima ipotesi, e credo di scorgere il nuovo cammino di un cristianesimo minoritario ma ringiovanito. Trascorso il tempo dei conformismi, degli obblighi e delle sanzioni lanciate dalla Chiesa e dallo Stato insieme, la religione cristiana, in questa seconda visione anticipatrice, ridiventerà ciò che non avrebbe mai dovuto cessare di essere: un raggruppamento di uomini di fede, liberi e coscienti dell'importanza e dei rischi della loro adesione a Cristo».

La previsione, che resta valida anche trent'anni dopo, scatena il furore dei cattolici tradizionali che non possono sopportare di mettere in discussione l'edificio dogmatico elaborato nel corso dei secoli e che si predichi la sparizione di tutte le credenze annesse decretate eterne. Il solo pensiero di ridurre la fede a un denominatore comune abbastanza vago, che permetterebbe a un «eretico» e agli «infedeli» di raggiungere i «veri» fedeli, gli eletti, in una stessa comunità, risveglia gli antichi fantasmi della scomunica. Padre Bruckberger parla di «attentato contro il cattolicesimo»; Jean Guitton si dimette dalla giuria del Grand Prix catholique de littérature; Louis Salleron lancia critiche offensive ne «La Pensée catholique».

La violenza di questo dibattito, che non tratteremo in questa sede, illustra la difficoltà della previsione fondata sulla storia, soprattutto quando questa riguarda il sacro che, per i suoi sostenitori, sfugge alle leggi storiche umane. Così come Bossuet nel XVII secolo vietava lo studio esegetico della Bibbia perché la Parola di Dio non fosse sottomessa alla filologia, i sostenitori della Chiesa vietano di prevederne il declino e la sparizione, poiché essa è a priori eterna. Questo tipo di blocco mostra che il valore predittivo della storia non si scontra solo con le difficoltà di ordine razionale.

Alcuni storici sostengono persino che l'incapacità di predire sia una prova della superiorità della storia su altre discipline con pretese predittive. È il caso di Hugues Trevor-Roper, che esalta i meriti della storia empirica e non pretende di costruire sistemi esplicativi. La storia dogmatica, scrive, non ha alcuna capacità di predizione. In nessuna epoca è stato possibile prevedere i cambiamenti importanti dell'epoca successiva. A suo parere è qui l'errore della sociologia, che elabora modelli dogmatici e se ne serve per predire:

La difficoltà risiede nel fatto che tutti i tentativi di profezia della sociologia poggiano su ipotesi di continuità che non sono sempre fondate. Quasi tutti i cambiamenti provengono dalla società, ma spesso anche da gruppi ignorati nell'epoca in cui vivono. Sicché, per lo storico, esiste un solo metodo, quello empirico. Tutto il pensiero storico considerato non irrimediabilmente obsoleto è fondato sull'esperienza. Il sociologo parte dal dogma: egli elabora modelli, la cui qualità è comprovata dal fatto che funzionino.

Daniel Bell sostiene che il sociologo riveste anche un ruolo di profeta ma ne limita la capacità al presente o, al massimo, all'immediato futuro.

L'oggetto della futurologia non è prevedere l'avvenire – non penso che sia possibile peraltro, poiché il futuro non esiste –, ma tutt'al più di esplicitare la struttura presente della società. Il suo fine è sapere quali sono i cambiamenti sociali che si producono e tentare di spiegare perché vanno nella direzione che hanno preso. Così, la futurologia è precisamente un esercizio di sociologia.

La storia viene quindi ridotta a una pura conoscenza empirica e arbitraria del passato, rendendo più facile per alcuni predire la sua sparizione. In Tomorrow revealed (1960-3750), John Atkins scrive che dopo la quarta guerra mondiale, che avverrà nel 2005-2006, si smetterà di scrivere la storia, attività inutile, priva di interesse e potenzialmente pericolosa.

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I profeti della fine della storia e dell'ultimo uomo


Un altro ostacolo che viene a contrapporsi al valore predittivo della storia riguarda le affermazioni attuali sulla «fine della storia», secondo le quali non ci sarebbe più niente da predire semplicemente perché siamo arrivati al termine dell'evoluzione. Punto. Il paradosso è che la storia stessa ci insegna che non dobbiamo aspettarci più niente. L'idea non è nuova, infatti la proclamava già Hegel due secoli fa e ora viene riattualizzata dal suo discepolo Francis Fukuyama ne La fine della storia e l'ultimo uomo. Egli sostiene che il principale motore della storia umana risieda nel bisogno di riconoscenza che ogni individuo prova e che, per Hegel, risiede in una parte dell'anima chiamata timo. Ognuno ha bisogno di essere riconosciuto dagli altri come un essere umano con la propria dignità, e questo bisogno sarebbe alla base dei conflitti socioeconomici, che equivalgono a ripetizioni, su un registro diverso, del famoso conflitto dialettico padrone-schiavo. Tali conflitti si concludono nella nostra epoca con l'instaurazione del sistema liberaldemocratico, che dona finalmente soddisfazione al timo. Tale modello, già stabilito in Europa occidentale e negli Stati Uniti, si estenderà a tutto il mondo. In questo modo, poiché lo scopo sarà stato raggiunto, sarà veramente la «fine della storia».

Fukuyama non manca di argomentazioni per alimentare la sua tesi. Egli stila un impressionante quadro dei paesi divenuti recentemente democrazie liberali in tutto il mondo, mostrando un'accelerazione del movimento negli ultimi trent'anni, anche se ogni tanto si possono riscontrare regressi provvisori: tre democrazie nel 1790 (Stati Uniti, Svizzera e Francia, anche se in questo caso il termine è improprio), 13 nel 1900, 36 nel 1960 e 61 nel 1990. Per l'autore queste statistiche provano che la storia ha un senso:

La storia non era una cieca concatenazione di avvenimenti, ma un insieme dotato di senso in cui si erano sviluppate ed avevano avuto un ruolo le idee che l'uomo aveva elaborato sul migliore ordinamento politico e sociale possibile.

Inoltre, l'evoluzione scientifica ed economica conduce ineluttabilmente all'uniformazione all'interno della società consumistica. Si instaura un mercato mondiale che rappresenta il fattore di una cultura mondiale; tale sviluppo economico e la mondializzazione avrebbero potuto sfociare nel trionfo della burocrazia autoritaria, ma ciò non è avvenuto: la società dei consumi conduce alla democrazia, regime più atto a soddisfare la proliferazione dei gruppi di interesse. Questo, per Fukuyama, prova anche che la storia avanza verso uno scopo ora visibile. La sua visione è molto finalista.

Tale scopo è rappresentato dalla democrazia liberale, poiché è impossibile immaginare un sistema che assicuri meglio la soddisfazione della necessità di mutuo riconoscimento. Non può quindi che essere la fine della storia, in entrambi i significati del termine:

E se oggi noi siamo arrivati a un punto in cui non possiamo immaginare un mondo sostanzialmente diverso dal nostro, in cui non si vede in che modo il futuro potrebbe costituire un miglioramento essenziale rispetto al nostro ordinamento attuale, allora dobbiamo anche prendere in considerazione la possibilità che la stessa Storia sia giunta alla fine.

Quattro fattori ostacolano ancora la progressione verso la democrazia liberale: la persistenza in alcuni luoghi di una coscienza razziale ed etnica troppo sviluppata; la persistenza di correnti religiose totalitarie, cioè i diversi fondamentalismi, ebreo e musulmano in particolare, cui bisognerebbe aggiungere il fondamentalismo cattolico e quello delle sette protestanti, che Fukuyama ritiene essersi conclusi un po' troppo rapidamente; la resistenza delle strutture sociali non egualitarie; l'insufficiente organizzazione della società civile, che lascia la sostanza del potere a uno Stato centralizzato, mentre la vera società liberale si baserà sull'autonomia delle associazioni di base. Globalmente, quindi, il ritardo del movimento verso l'omogeneizzazione degli stili di vita è dovuto all'affermazione delle «identità culturali»:

Da una parte vi è una crescente omogeneizzazione del genere umano prodotta dall'economia e dalla tecnologia moderne, e dalla diffusione dell'idea del riconoscimento razionale quale unica base legittima di governo in tutto il mondo. Dall'altra vi è dappertutto una resistenza a questa omogeneizzazione, e insieme una riaffermazione, in gran parte a livello subpolitico, di identità culturali che finiscono col rafforzare le barriere esistenti tra popoli e nazioni.

Queste lotte consumate in sordina in nome dell'identità culturale finiranno per placarsi, anche se il processo durerà per un certo periodo di tempo. Le guerre di tipo nazionalistico coinvolgeranno unicamente le regioni dallo sviluppo più ritardato: terzo mondo, ex Unione Sovietica, ex Jugoslavia. Il tempo farà il suo corso:

Ed il fatto che la neutralizzazione definitiva del nazionalismo non possa aver luogo in questa o nella prossima generazione non cambia niente: la sua fine è ormai segnata.

Ecco quindi la predizione della fine della storia, scenario seducente che comporta numerosi aspetti verosimili, ma che tuttavia si presta ad alcune obiezioni. A livello puramente razionale, è legittimo dire che non vi sarà nulla al di là della democrazia liberale per la sola ragione che attualmente è impossibile immaginare un regime migliore? Lo stesso ragionamento avrebbe portato a dire, nel XVII secolo, che non ci sarebbe stato niente altro al di fuori dell'assolutismo, concepito come il regime perfetto, sul modello divino. D'altra parte, l'affermazione perentoria secondo cui la storia ha un senso non è al suo primo tentativo: oltre al fatto che alimenti l'ambiguità tra la fine e lo scopo, in uno spirito finalista, cosa in sé discutibile, il problema di sapere quale sia questo senso è lungi dall'essere risolto. È sufficiente constatare la proliferazione dei regimi democratici per concludere che è quella la direzione fondamentale dell'evoluzione? Nella sua disarmante semplicità, lo schema dei «regimi democratici» dovrebbe dunque essere interpretato con le debite riserve, quando troviamo fianco a fianco nel 1990 la Francia e la Germania dell'Est, il Messico, il Paraguay, il Nicaragua, la Thailandia, la Namibia e altri Stati ancora, che visibilmente non hanno la medesima interpretazione del termine «democratico».

Per Fukuyama il modello della democrazia occidentale all'americana è destinato ad avere la meglio e questo perché non è possibile immaginare nulla di migliore. Si potrà quindi contestare questo punto. E anche nel momento in cui fosse auspicabile un'americanizzazione del pianeta, chi ci dice che l'evoluzione conduca necessariamente verso quanto di meglio ci sia? Perché non dovremmo invece andare verso il peggio? «Chi dice che la verità non sia triste?» si chiedeva Renan.

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Conclusione



Il nostro secolo ha perduto la capacità di ravvedersi e di rinnovare in tempo le immagini del futuro. Frederik L. Pollack, The Image of Future.


Forse una storia della predizione dovrebbe terminare con una predizione... Ma invece che fare un'ulteriore predizione sui secoli a venire, che si rivelerebbe inesatta quanto tutte le altre, consideriamo gli insegnamenti della storia.

La nostra divisione in cinque periodi – oracoli, profezie, astrologia, utopia, metodi scientifici – non significa che ci sia stata una successione cronologica rigorosa di tali metodi di predizione, ma piuttosto un effetto di intersezione e di accumulazione. I metodi antichi di predizione sono infatti sempre utilizzati, accanto però a quelli più recenti, confermando che in questo campo non è il contenuto che importa, quanto il procedimento. Non è il futuro ad essere in gioco, ma il presente, ed è peraltro il motivo per il quale la prospettiva, il metodo più recente, si ricollega a quello più antico degli oracoli. Per gli istituti prospettivisti come per le autorità di Delfi, si tratta di fornire ai dirigenti di ogni livello indicazioni di tendenza, scenari possibili per guidare la loro azione. Che tali scenari esprimano la volontà degli dèi o l'evoluzione probabile delle curve socioeconomiche è in sé secondario. L'importante è che, in un caso come in un altro, non vi sia nulla di ineluttabile, e che il futuro venga presentato finalmente come il risultato di un'azione volontaria in funzione di un determinato ambiente. Presso i Greci e i Romani la forma enigmatica dell'oracolo fa dipendere la decisione dall'abilità nel decifrarlo; nella prospettiva la pluralità dei modelli presentati lascia campo libero alla perspicacia di chi decide. In ultima istanza ciò che conta non è quello che viene predetto, ma la reazione di colui cui viene rivolta la predizione, e non conta la realizzazione della predizione, ma l'azione che provocherà.

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