Autore Eleonora Missana
CoautoreIrigaray, Muraro, Cavarero, bell hooks, Anzaldúa, de Lauretis, Braidotti, Haraway, Collin, Butler, Fraser, Benhabib, Iveković, Spivak
Titolo Donne di diventa
SottotitoloAntologia del pensiero femminista
EdizioneFeltrinelli, Milano, 2014, UE 8357 Saggi , pag. 298, cop.fle., dim. 13x20x1,8 cm , Isbn 978-88-07-88357-6
CuratoreEleonora Missana
LettoreGiorgia Pezzali, 2015
Classe femminismo , filosofia , politica












 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


  9 Introduzione
    di Eleonora Missana


    Parte prima.
    LA ROTTURA DEL MONOLOGO OCCIDENTALE E
    IL PENSIERO DELLA DIFFERENZA SESSUALE

 69 Speculum: l'altra donna
    di Luce Irigaray

 77 Prendere la parola, dissestare il linguaggio
    di Luisa Muraro

 82 Edipo sbaglia due volte
    di Adriana Cavarero


    Parte seconda.
    L'ALTER-AZIONE DEL SÉ:
    RAFFIGURAZIONI DELLA SOGGETTIVITÀ NEL PENSIERO FEMMINISTA
    POSTMODERNO, POSTCOLONIALE E QUEER

 93 Elogio del margine
    di bell hooks

105 La coscienza della mestiza
    di Gloria Anzaldúa

116 Soggetti eccentrici
    di Teresa de Lauretis

131 La differenza che abbiamo attraversato
    di Rosi Braidotti


    Parte terza.
    TRA NATURA E TECNICA.
    QUESTIONI DI ETICA E BIOETICA CONTEMPORANEE

153 Un manifesto per cyborg: scienza, tecnologia e femminismo
    socialista nel ventesimo secolo
    di Donna Haraway

173 Il lato nascosto della democrazia: la generazione tra
    desiderio, tecnica e biopolitica
    di Françoise Collin


    Parte quarta.
    DIFFICILE DEMOCRAZIA.
    POLITICHE DEI CORPI, DIRITTI E RICONOSCIMENTO NELL'ETÀ
    DELLA GLOBALIZZAZIONE E DEL POSTCOLONIALISMO

197 "Scambi di genere" e la questione della sopravvivenza
    di Judith Butler

213 Giustizia sociale nell'era della politica dell'identità
    di Nancy Fraser

228 Oltre la contrapposizione tra universalismo egualitario
    e multiculturalismo differenzialista: l'impasse delle
    visioni olistiche dell'identità
    di Seyla Benhabib

242 Nazioni, nazionalità, nazionalismi
    di Rada Iveković

255 Per una critica della cultura nell'età del capitalismo
    transnazionale
    di Gayatri Chakravorty Spivak


277 Le autrici


 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 9

Introduzione
di Eleonora Missana



Di femminismi ce ne sono stati e ce ne sono molti. Solo nella raffigurazione caricaturale dei suoi detrattori il femminismo viene rappresentato come fenomeno unitario, per lo più come l'opposto di maschilismo, come l'espressione un po' fanatica di donne che vogliono fare a meno degli uomini o prendere il loro posto. Dovendo offrire una formulazione sintetica del termine, lo si potrebbe definire, molto in generale, come la contestazione dell'organizzazione sociale patriarcale e dell'ordine culturale e simbolico fondato sulla distinzione gerarchica e sul dominio del maschile sul femminile. Nel corso della storia si sono dati casi più o meno isolati di donne e uomini che hanno nelle loro vite e nelle loro opere contestato quel regime di oppressione, ma la rivendicazione pubblica e collettiva, nell'età moderna, di un diverso sistema di riconoscimento delle donne nella realtà sociale, giuridica, politica e culturale si afferma solo con la Rivoluzione francese». Da allora, il femminismo come movimento politico ha conosciuto molte stagioni, interpretazioni, contesti, declinandosi in modi differenti, talvolta in conflitto tra loro. Questi hanno promosso nel Novecento una generale trasformazione, almeno sul piano giuridico-formale, della condizione femminile, anche se non in modo uniforme e univoco nelle varie aree del mondo.

Un'esplosione dei movimenti femministi si ha con il '68 e i primi anni settanta. In un momento di generale "presa di parola" e di desiderio di liberazione iniziano a diffondersi, in molti paesi europei, negli USA e in America Latina, gruppi di donne decise ad affermare, potremmo dire, un diritto al desiderio. Da tale istanza nasce l'esigenza di un confronto sull'esperienza del corpo, della sessualità, dell'affettività, riconosciuti come i principali luoghi reali e simbolici dell'espropriazione e dell' assoggettamento. È a partire da quella fondamentale stagione politica e dall'invenzione di nuove pratiche politiche e di confronto teorico, attuate in primis dai gruppi femministi, che si afferma l'esigenza di decostruzione e reinvenzione dei saperi ufficiali — dalla storia all'antropologia, dalla psicanalisi alle scienze sociali — che condurrà alla nascita, nel corso degli anni settanta, in primo luogo nelle università statunitensi, dei Women's Studies, gli studi delle donne, cui faranno seguito i Gender Studies, gli studi di genere.

È in tale contesto che il femminismo investe il sapere filosofico per metterlo in questione, avvia cioè un'opera di critica e analisi decostruttiva del linguaggio e delle grandi narrazioni della filosofia antica e moderna. In senso generale, tale indagine svela come dietro ai paradigmi universali e neutrali dominanti del pensiero occidentale si celi una più o meno esplicita metafisica dei sessi che ha costruito il "femminile" come l'altro dalla ragione, espellendo concretamente le donne dai luoghi ufficiali della formazione del sapere. Emergono allora alcune domande: che cosa può significare per le donne e la filosofia la messa in questione dell'ordine che negava loro l'accesso a pieno titolo al mondo della creazione filosofica e del pensiero? Che cosa significa per la filosofia, nella sua vocazione di riflessione universale, l'ingresso, o il non ingresso, di un punto di vista femminista o di genere, come molte e molti preferirebbero dire?

È da questo tipo di domande che muove il percorso proposto in questa antologia — uno dei tanti possibili, inevitabilmente e inesorabilmente parziale — nella costellazione delle pensatrici che, in modi diversi, si riconoscono come femministe e/o postfemministe. Un problema fondamentale e insistente fa da filo conduttore a queste pagine: la questione del "soggetto" e l'esplorazione della soggettività femminile e femminista. In estrema sintesi, i testi raccolti nell'antologia sono attraversati dal desiderio di comprendere in che modo l'assunzione di un punto di vista femminile, femminista, di genere — coniugato magari con altri assi che determinano la costruzione dell'identità, come la "razza", la classe o l'orientamento sessuale —, consenta di schiudere nuove prospettive ontologiche, epistemologiche, etiche e politiche su molte delle questioni che travagliano la società contemporanea.

Questa introduzione alla sezione antologica aspira a offrire un quadro storico-teorico di alcuni degli snodi fondamentali dell'esplorazione della soggettività e dell'identità nel pensiero femminista contemporaneo. Poiché il suo fine è agevolare la lettura dei testi antologizzati, tale quadro si concentra naturalmente sul contributo dato dalle autrici di tali testi, ma considera anche i percorsi di Simone de Beauvoir e Carla Lonzi , intese come due pioniere e indicatrici di cammino, non presenti nella sezione antologica.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 11

1. "Donna non si nasce, lo si diventa": la discussa eredità di Simone de Beauvoir


Un testo precede di oltre due decenni l'avvio della riflessione filosofica femminista contemporanea: Il secondo sesso di Simone de Beauvoir, una delle figure intellettuali in ascesa nella scena parigina del secondo dopoguerra. Al momento della sua pubblicazione (1949), l'opera suscita un grande scalpore, con reazioni anche violente da parte di molti intellettuali del tempo, per lo più uomini. Ciononostante, anche grazie alle sue tesi "scandalose" (basti pensare alla presa di posizione sulla questione del controllo delle nascite e dell'aborto), il testo avrà larga diffusione, soprattutto tra le lettrici, fino a diventare nei decenni successivi una delle pietre miliari della letteratura femminista e oggetto di contesa tra correnti diverse del femminismo.

Nell'introduzione all'opera, Beauvoir espone le giustificazioni teoriche dell'indagine intrapresa e solleva quella messa in questione del Soggetto che diventerà centrale nel pensiero femminista contemporaneo. Beauvoir formula una prima domanda — "Che cos'è una donna?" —, il cui carattere stridente emerge quando la si confronta con la domanda apparentemente simmetrica "Che cos'è un uomo?". In questa seconda domanda, infatti, il termine "uomo" viene inteso in prima battuta con un significato universale e neutrale rispetto alle differenze specifiche tra esseri umani: l'Uomo è, ad esempio, secondo la celebre definizione aristotelica, "un animale che possiede il logos" (linguaggio, ragione). In tale accezione universale del termine, quindi, la differenza sessuale tra gli esseri umani appare irrilevante. E alla domanda Che cos'è una donna si dovrebbe, in base a tale premessa, rispondere che la donna è un Uomo, animale razionale, di sesso femminile. Ma le cose stanno davvero così? In effetti, a partire da Aristotele, per arrivare almeno a Hegel, a questa conclusione, logicamente conseguente, non si perviene. Fiumi d'inchiostro sono colati nelle pagine dei filosofi, apparentemente a margine del discorso sull'Uomo, per mostrare che gli esseri umani non sono tutti umani nello stesso modo e che esiste una distinzione, quella tra maschile e femminile, che pesa a un livello ontologico. La distinzione dei generi viene così a rappresentare una grammatica dell'essere secondo la quale il "femminile" stabilisce che le donne sono umane in un senso particolare, non posseggono la ragione allo stesso modo degli uomini, perché ancorate in modo irrevocabile al loro corpo sessuato, votato per natura alla riproduzione della specie con tutti gli annessi e connessi che questo comporta. Se l'Uomo, in quanto animale razionale, si caratterizza come capace di trascendere i vincoli posti dal suo essere corporeo, incarnato e sessuato, alle donne viene negata tale capacità ed esse vengono quindi destinate a occupare una posizione, nell'organizzazione sociale, di complemento e subordinazione. A questo punto però ci si può chiedere: ma è l'essere che decide della grammatica o la grammatica che decide dell'essere? È il sesso biologico che decide il genere o è il genere che determina il carattere perentorio della differenza sessuale, ponendola come base naturale di un'organizzazione e divisione sociale tra uomini e donne?

Anche se detto con altre parole, questo è il problema fondamentale che il testo di Beauvoir solleva e che attraverserà la riflessione femminista contemporanea. La convinzione che la filosofa matura nel corso dell'opera — opera che si presenta come storia delle rappresentazioni storico-sociali, culturali, filosofiche, scientifiche del "femminile" — è che "donna non si nasce, si diventa" e che quelle rappresentazioni sono state costruite per rafforzare e giustificare un'organizzazione della sessualità e della riproduzione fondata su una divisione dualistica tra "maschile" e "femminile" — tesa ad assicurare agli uomini una posizione di dominio sulle donne.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 14

2. Dall'"alterità" alla "differenza". Luce Irigaray e il pensiero della differenza sessuale


La questione del soggetto è al centro di uno dei primi e più significativi testi che negli anni settanta inaugurano il confronto del femminismo con la filosofia: Speculum. L'altra donna , di Luce Irigaray, filosofa e psicanalista di origine belga.

Il libro viene pubblicato nel 1974, quando Irigaray è una giovane assistente di Jacques Lacan all'Università di Vincennes. Esso riprende in modo più radicale la critica del Soggetto delineata da Beauvoir affinandola mediante un esame tanto rigoroso quanto dissacrante di alcuni dei testi portanti della tradizione filosofica, da Platone a Hegel, e psicanalitica, da Freud allo stesso Lacan. Esposti mediante un ironico mosaico di citazioni, spesso senza commenti, quei testi rivelano come nella costruzione dei concetti o paradigmi filosofici fondamentali ( logos, Spirito, Soggetto) sia all'opera una metafisica dell'Uno e del Medesimo che agisce attraverso la produzione di un Altro da dominare e sottomettere. Dietro tale ossessione della filosofia occidentale si cela, e neanche troppo, una metafisica della differenza sessuale fondata sulla distinzione di un polo dominante, rappresentato da un maschile che occupa la parte dell'universale, della ragione, del Soggetto, e un polo femminile destinato a occupare la parte dell'Altro, materia, natura, oggetto. Metafisica del potere del logos che si origina forse dalla competizione con la potenza femminile di generare. Il "femminile" disponibile all'interno di quel sistema è quindi invenzione e funzione di un pensiero monologico unilaterale maschile, e il Medesimo, lungi dall'incontrare l'Altro, incontra sempre e soltanto se stesso. Si chiede allora Irigaray: "Ma se l''oggetto' si mettesse a parlare? Intendiamo anche: a 'vedere' ecc. A quale disgregazione del 'soggetto' assisteremmo?". La voce che qui entra in scena, e che fatica ad articolarsi sulla scena di un logos dove giunge inaudita e terrorizzante, è quella dell'"Altra donna", di un femminile eccedente e precedente il sistema.

Ciò che Irigaray esprime già in questo primo testo è quindi l'esigenza di un pensiero della "differenza" femminile in cui l'esperienza delle donne prenda corpo nel linguaggio. Situandosi fuori dal sistema binario in cui il soggetto maschile e l'alterità femminile risultavano pensati e scritti da una voce unica, la differenza che qui si intende far emergere è plurale e singolare insieme, come mette in luce il modo scelto da Irigaray per indicare il soggetto che qui prende la parola: la/una donna. La differenza qui evocata è tale che nel dirsi rompe l'ordine tradizionale del discorso: non solo eccede il sistema, ma ne provoca in qualche modo l'esplosione. Che tale differenza sia, che possa essere "inventata" dalle donne, in primis mediante il riconoscimento delle "genealogie femminili", non può essere posto in dubbio, ma come sia e quali conseguenze avrà tale pensiero della differenza sessuale, fuori e oltre l'economia binaria, è ciò che resta da pensare. Come Irigaray scrive all'inizio di un altro suo celebre testo, Etica della differenza sessuale, parafrasando una celebre affermazione heideggeriana: "La differenza sessuale rappresenta uno dei problemi o il problema che la nostra epoca ha da pensare".

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 16

3. Carla Lonzi: la teoria della differenza come irruzione del "Soggetto Imprevisto"


Il pensiero della differenza sessuale di Irigaray trova in Italia immediata accoglienza. Speculum viene tradotto già nel 1975 dalla filosofa Luisa Muraro, che diventerà una figura di spicco del pensiero italiano della differenza negli anni ottanta.

Una teoria della differenza sessuale di matrice più profondamente politica si era peraltro già affermata all'interno del movimento femminista italiano degli anni settanta: un movimento che ha avuto ampia diffusione e si è caratterizzato per la creatività politica e teorica, grazie all'invenzione di pratiche politiche e di pensiero da parte dei gruppi femministi. Tra le femministe si era affermata la convinzione che la secolare "estraneità" delle donne alla sfera della cittadinanza effettiva, alla costruzione e gestione dei poteri e dello spazio pubblico, non fosse più da intendere solo come un'ingiustizia cui avrebbero posto rimedio il riconoscimento della parità, l'integrazione o perfino l'abolizione delle classi, ma come possibile luogo di resistenza e di critica dei paradigmi dominanti della politica e della cultura.

Fra i tanti testi prodotti in quegli anni, fondamentale per cogliere la radice politica e teorica della rivendicazio- ne della differenza è sicuramente Sputiamo su Hegel di Carla Lonzi, redatto nel 1970 e pubblicato nel 1974. Il testo, che procede come una suite di pensieri, presenta una densità teorica, radicata in un intenso pathos etico-politico, che qui ci limiteremo a evocare, soffermandoci su alcuni dei pensieri in cui Lonzi esprime il senso della critica di una certa nozione di uguaglianza e l'esigenza di approfondire e rivendicare la posizione della "differenza" femminile come condizione imprescindibile di una lotta autentica per la liberazione e per l'uguaglianza tra gli esseri umani: gli ideali che animavano in quegli anni i movimenti di protesta nei paesi occidentali, la maggior parte dei quali si ispirava a una delle interpretazioni del marxismo e/o del marxismo-leninismo. Il testo alterna quindi la critica a Hegel - individuato come il filosofo dello stato borghese che sancisce in modo esemplare una metafisica della differenza sessuale che esclude le donne dalla costruzione storica dell'"universale" e dall'esercizio effettivo della cittadinanza - a quella del marxismo-leninismo, che pur avendo sostenuto le lotte per la parità delle donne ha per lo più nella prassi ribadito e rafforzato i rapporti "privati" di dominio di tipo patriarcale.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 19

4. Il problema del linguaggio e la rivoluzione del simbolico. Luisa Muraro e il Circolo di Diotima


La radice politica è sicuramente importante anche in quella specifica elaborazione del pensiero della differenza che si avvia in Italia con Luisa Muraro e il cosiddetto Circolo di Diotima, una "comunità filosofica di donne" che nella prima metà degli anni ottanta inizia a riunirsi presso l'Università di Verona, dove Muraro insegna, e che darà vita alla pubblicazione di una serie di volumi, il primo dei quali, lo scritto inaugurale del gruppo — Diotima, il pensiero della differenza sessuale —, esce nel 1987. Tema fondamentale e ricorrente nei diversi contributi che lo compongono è la centralità del linguaggio e della dimensione del "simbolico", per una riflessione che muove dal ripensamento radicale della differenza sessuale, rompendo il monologo della filosofia occidentale. Come scrive Adriana Cavarero nel suo saggio, l'esperienza da cui muove il pensiero della differenza sessuale è quella dello smarrimento e dell'estraneazione di un soggetto sessuato al femminile che prova a dirsi e a pensarsi in un linguaggio che propone una cancellazione dei corpi edificando un linguaggio "neutro universale" che opera però a tutto vantaggio del "maschile". In tal senso, se l'uomo è "l'essere vivente che ha il linguaggio", la donna è "l'essere vivente che ha il linguaggio nella forma dell'autoestraneazione". Per una donna quindi la strada che conduce dal proprio essere incarnato alla rappresentazione del Soggetto neutro-universale risulta impercorribile e/o costretta, così che essa, nell'ordine simbolico, incontra se stessa o come figura dell'alterità funzionale all'identità del Soggetto o come l'Altra mancante e letteralmente indicibile. È da tale esperienza della separatezza e dell'assenza che può e deve originarsi un pensiero della differenza sessuale, "da scoprire e da produrre", come cita il titolo del contributo a più voci che fa da introduzione al testo.

Declinata in modo diverso, la riflessione sul linguaggio è centrale in Maglia o uncinetto. Racconto linguistico sulla inimicizia tra metafora e metonimia, un testo che Muraro pubblica nel 1981 e che in tanti sensi si può definire "aurorale", un termine denso di rimandi che proviene dalla filosofa-poetessa spagnola María Zambrano , una delle pensatrici di riferimento della comunità di Diotima.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 22

5. La filosofia della narrazione e il "riscatto" dell'unicità in Adriana Cavarero


Pur muovendo da un orizzonte condiviso da Muraro e dal gruppo di Diotima, Adriana Cavarero traccia un percorso diverso. Della sua molteplice produzione ci limiteremo a percorrere i momenti salienti della riflessione intorno al tema del soggetto.

Nel contributo al volume di Diotima del 1987 già citato Cavarero pone in luce come l'esperienza di un soggetto femminile che cerca di significarsi nel discorso sedicente neutro e universale della filosofia sia quella di un autoestraniamento e di una sostanziale atopicità, che genera nelle donne l'impressione di non avere un luogo proprio per dirsi. Ma, sempre in quel saggio, sostiene come tale atopicità possa venire assunta e divenire un punto di vista privilegiato per ripensare il "soggetto" e l'"umano".

In tal senso, l'autoestraniamento delle donne dalle rappresentazioni astratte e sessualmente neutre dell'Uomo diviene la condizione che consente di spostare la questione dell'identità dal "che cosa", "che cos'è l'uomo o anche che cos'è la donna", al "chi", "chi sei tu", "chi sono io", e cioè dal soggetto astratto al soggetto concreto e incarnato nella sua irriducibile unicità.

L'adozione dell'atopicità come postazione teorica che consente una diversa e più ampia visione conduce Cavarero a Hannah Arendt , che si definiva non a caso una "pariah consapevole" nella vita e nel pensiero. È infatti alle categorie "anomale" rispetto alla tradizione filosofica classica, in cui peraltro Arendt è pienamente inscritta, che Cavarero si rivolge per ripensare il soggetto e l'identità. La prima e fondamentale categoria individuata da Arendt nell'indagine della condizione umana che viene ripresa e rielaborata da Cavarero è quella della "natalità", che si contrappone alla tradizionale ossessione filosofica per la mortalità. In Arendt considerare l'umano a partire dalla constatazione del carattere "miracoloso" della nascita consente di rivelare i tratti costitutivi e distintivi della condizione umana nel mondo: l'imprevedibilità, la contingenza, l'unicità e la pluralità degli esseri umani e delle loro azioni.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 24

6. Pensare dai margini e dalle frontiere: la critica del soggetto femminista egemonico nel femminismo afroamericano e postcoloniale


Posto che uno dei tratti costitutivi di quella variegata costellazione di pensiero che si definisce come femminista e postfemminista è una vocazione essenzialmente postnazionale e transnazionale, sposteremo ora l'attenzione dal contesto francese e italiano al contesto statunitense. Avendo sempre come filo conduttore il ripensamento della questione del soggetto e dell'identità, riporteremo le riflessioni di pensatrici che negli anni ottanta hanno rappresentato l'irruzione di soggetti imprevisti nella riflessione femminista statunitense, provocando un ripensamento critico dei paradigmi femministi dominanti, dapprima all'interno del femminismo statunitense e dei nascenti Women's Studies, e poi, per effetto di quella circolazione "nomadica" delle idee che lo caratterizza, nel pensiero femminista internazionale.

Già a partire dagli anni settanta alcune voci femministe iniziano a mettere in questione la validità, da un punto di vista teorico e politico insieme, del "mito" di un soggetto femminile unitario in grado di operare tout court un'indistinta sorellanza tra le donne. Tra queste voci spiccano quelle delle femministe afroamericane, che muovono dall'esigenza di riflettere sulla specifica posizione delle donne nere nella storia, e nella società, americana. Una storia segnata da un passato di schiavitù e segregazione e dal razzismo persistente nella società e nella cultura nordamericane contemporanee. Una storia però segnata anche, tra gli anni sessanta e settanta, dall'esplosione di un grande movimento di contestazione e di liberazione dei neri parallelo al movimento femminista e al movimento pacifista di protesta contro la guerra in Vietnam. In tale contesto, alcune di loro iniziano a rivendicare una visibilità della loro specifica soggettività, luogo di iscrizione di un duplice regime di regolazione basato tanto sulla razza quanto sul sesso, oltre che su altre variabili fondamentali per la definizione delle identità come la classe e l'orientamento sessuale. Specificità che risultava oscurata sia all'interno del movimento di liberazione dei neri sia all'interno del femminismo egemonico. Tale rilievo delle differenze tra donne provoca un mutamento di paradigma nella riflessione politica e teorica femminista.

Nel corso degli anni ottanta, quando nell'orizzonte culturale statunitense ed europeo si diffonde la proclamazione del "postmoderno", inteso come fine delle grandi narrazioni che hanno retto le filosofie della storia della modernità europea e occidentale, alcune pensatrici provano a declinare il discorso sul postmoderno nel senso di una critica — con intenti etico-politici — dell'identità, a partire dal ripensamento della pluralità di soggettività che nel frattempo ha fatto irruzione sulla scena politica e culturale.




6.1. Bell hooks: "elogio del margine"


In tale direzione si situano le riflessioni della pensatrice afroamericana bell hooks , pseudonimo scelto da Gloria Jean Watkins all'epoca della sua militanza come femminista e afroamericana negli anni settanta e conservato nei decenni successivi.

In senso generale, l'opera di beli hooks si caratterizza per il fatto di tenere insieme l'indagine più strettamente teorica con la riflessione sull'esperienza personale e "privata" e con la critica degli oggetti sociali e delle rappresentazioni veicolate dai prodotti della cultura di massa.

In Italia il suo nome è legato principalmente a Elogio del margine (1998), che raccoglie alcuni dei testi più significativi redatti da bell hooks negli anni novanta. In senso generale, in questi scritti bell hooks mostra come l'esplorazione della soggettività a partire dall'esperienza delle donne nere afroamericane durante la schiavitù, e anche successivamente in un contesto di segregazione razzista e di emarginazione dei neri, si riveli fondamentale per delineare un punto di vista critico che contribuisca a costruire nuove strategie di resistenza e di contropotere tanto nella lotta di liberazione dei neri quanto nella lotta femminista contro il sessismo.

Fuoco centrale delle analisi di bell hooks è la messa in luce dell'interconnessione e sovrapposizione tra discorso sulla razza e discorso sul sesso, al fine di mostrare come razzismo e sessismo siano sistemi di dominio che si sostengono a vicenda. L'analisi delle pratiche dei coloni schiavisti fa emergere con chiarezza come la sessualità, al centro dello sfruttamento e della violenza esercitata sulle schiave nere e/o le indigene, abbia fornito una molteplicità di metafore di genere che si rivelano fondamentali nella costruzione del "discorso" e delle stereotipie razziste persistenti nella società postschiavista e postcoloniale.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 29

6.2. La "mestiza" di Gloria Anzaldúa


Considerando le prospettive ermeneutiche sul sé e sul mondo dischiuse nell'orizzonte della riflessione contemporanea dall'irruzione di soggetti imprevisti, è possibile notare il ricorrere e la proliferazione di metafore spaziali soprattutto nelle pensatrici che si situano in qualche modo nella declinazione radicale del postmoderno. Filo conduttore di questa raffigurazione dello spazio e del movimento dei corpi che lo percorrono e lo definiscono è sicuramente quello dell'attraversamento dei confini, del nomadismo e della dislocazione. In molti casi, come in quello di hooks, si tratta della traduzione di un'esperienza personale ed esistenziale, sovente dolorosa, di "confinamento", di espulsione o di misconoscimento, in una rappresentazione del sé e dello spazio capace di creare una nuova coscienza critica del mondo contemporaneo e della "microfisica dei poteri" - per citare un'espressione che rimanda ancora a Foucault - che governano i corpi e le vite degli esseri umani.

Tale è anche il caso della coscienza mestiza proposta dalla scrittrice e pensatrice chicana Gloria Anzaldúa in Borderlands. La Frontera. Muovendo dalla riflessione su di sé e sulla molteplicità di "differenze" che caratterizzano la propria identità, Anzaldúa propone la mestiza, o "donna scura", come una figura dell'autocoscienza e della coscienza che si contrappone a qualunque teoria o politica della "purezza razziale" — come quella praticata dall'America bianca — ma anche alla costruzione difensiva di una "purezza culturale" latino-chicana basata anche sulla conservazione di tradizioni oppressive di tipo sessista e patriarcale.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 31

7. Nell'orizzonte del postmoderno: soggetti cyborg, eccentrici e nomadi


La riflessione sul soggetto e sull'identità prodotta da pensatrici che incrociano un punto di vista femminista con un'ottica postcoloniale e/o lesbica provoca un ripensamento profondo nel pensiero femminista. Ne consegue una riflessione teorica più complessa e articolata contemporaneamente in senso ontologico, in quanto indaga la costituzione del soggetto, epistemologico, in quanto interroga lo statuto dei saperi e della scienza, ed etico-politico.

Per esigenza di sintesi, questo passaggio di radicalizzazione teorica si caratterizza in termini generali come "postfemminismo" o femminismo postmoderno. Sono molte le pensatrici che a partire dagli anni ottanta e novanta entrano a far parte di quella che più che una corrente si potrebbe definire una costellazione di pensiero femminista postmoderno, postcoloniale, post strutturalista. Ciò che le accomuna, al di là dei loro singoli percorsi teorici, è la convinzione che prendere le mosse dal carattere multiplo e mobile della soggettività sia premessa indispensabile per "cartografare" la realtà contemporanea, per formulare visioni etico-politiche radicali in prospettiva femminista e più in generale per riconoscere, in tutta l'ampiezza del termine, i soggetti subordinati, esclusi ed emarginati dall'organizzazione contemporanea del dominio.

In questo contesto emergono nuove figurazioni, nuove metafore volte a rappresentare il soggetto e la sua costruzione nell'intersecarsi di diversi assi: di genere, di razza, di classe, di orientamento sessuale.




7.1. Donna Haraway e il "Manifesto cyborg"


Una delle proposte emergenti nel dibattito statunitense nel corso degli anni ottanta è quella del cyberfemminismo di Donna Haraway. Nel contesto italiano Haraway si afferma a partire dalla pubblicazione di Manifesto cyborg.

Al centro della proposta teorica di Haraway - biologa, storica e filosofa della scienza, docente nel celebre dipartimento di History of Consciousness dell'Università californiana di Santa Cruz, all'interno della Silicon Valley, l'area a più alta densità high-tech del pianeta - si situa la questione del rapporto delle donne e del femminismo con la scienza e la tecnologia nell'era del tardo capitalismo postindustriale o "dell'informatica del dominio e delle biotecnologie", secondo la definizione della stessa Haraway. Tale questione si rivela infatti cruciale per la configurazione di una politica femminista che si voglia, come quella di Haraway, radicale, socialista e materialista.

L'ottica materialista esige in primo luogo di intraprendere un'analisi che consideri, da un lato, il mutamento dei paradigmi scientifici indotto dalle biotecnologie e tecnologie dell'informazione, dall'altro il loro impatto sui metodi di produzione e di riproduzione nell'organizzazione economica e politica tardocapitalistica valutandone gli effetti sul sistema di codificazione, regolazione, controllo dei soggetti e sulla ridefinizione dell'umano.

La prospettiva femminista richiede di muovere dalla considerazione delle trasformazioni delle modalità del dominio contemporaneo nei confronti delle donne, in quanto soggetti specialmente coinvolti in tale processo di riorganizzazione. Tali analisi risultano indispensabile premessa per formulare un progetto politico radicale. A tal fine, si rende necessaria una nuova raffigurazione della soggettività che sia all'altezza dei tempi e della loro complessità.

La "figurazione non tassonomica" proposta da Haraway - con una duplice valenza, "ontologica", in quanto mira a descrivere la realtà nel suo divenire, e "politica", in quanto aspira ad agire in tale divenire è quella del cyborg.

Il cyborg è una figurazione, inventata contaminando realtà sociale e fantascienza, che intende valere come metafora per descrivere il funzionamento di un sistema che grazie agli sviluppi delle tecnologie dell'informazione ha perfezionato ed enormemente potenziato il suo potere di visione - quindi di sorveglianza e di controllo - conducendo a una visione inedita dei "corpi" intesi come superfici di iscrizione di diversi codici, da quelli genetici a quelli storico-culturali. Il cyborg è "un miscuglio di carne e tecnologia". In esso risultano ridefiniti e sfumati i limiti tra fisico, meccanico, spirituale, ovvero i confini che hanno retto la costruzione dell'"umano" nella tradizione occidentale, come quelli tra umano e animale, cultura e natura, macchina e organismo. In tal senso, il cyborg, creatura postgenere, postedipica, postcoloniale, senza genesi e senza destinazione, configura uno scenario post-umano.

[...]

In conclusione, scrive Haraway, lo scenario di un mondo cyborg delinea la duplice possibilità di un futuro che si consegna alle più temibili distopie ma può anche dischiudere l'orizzonte di un'utopia dove umani, animali, macchine operino insieme alla difesa della vita e del pianeta.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 35

7.2. Oltre il "gender": teoria del soggetto eccentrico e "queer" di Teresa de Lauretis


La riflessione sul soggetto e sulla centralità del corpo, in particolare del corpo sessuato, come luogo di iscrizione fisica, simbolica e culturale dei soggetti è fondamentale in un'altra delle pensatrici che emergono nel dibattito internazionale a partire dagli anni ottanta: Teresa de Lauretis.

Pensatrice di origine italiana, "emigrata" per ragioni di studio e di insegnamento da alcuni decenni negli Stati Uniti, de Lauretis ha tra i suoi meriti quello di offrire in molti suoi scritti alcune ricostruzioni genealogiche del percorso della teoria femminista sul soggetto. Un percorso al quale la stessa de Lauretis, pensatrice dalla formazione eclettica e multidisciplinare, contribuisce attivamente in diversi momenti e modi.

Se il paradosso "Donna" - ovvero il paradosso di un soggetto contemporaneamente assente e prigioniero del discorso che lo costituisce - incalza la riflessione femminista e si rafforza nelle ambivalenze della nozione di "genere", le critiche mosse dalle femministe postcoloniali e lesbiche determinano, per de Lauretis, una svolta cruciale. Esse mostrano infatti la necessità di passare dal paradigma della differenza sessuale e/o di genere all'esplorazione delle differenze tra le donne, riconoscendo come fondamentale per la costituzione sociale e discorsiva dell'identità la combinazione del "genere" con altri assi del sistema di dominio.

Il genere si sgancia così dal suo legame con il "dato biologico" per diventare uno strumento di analisi più complesso e capace di rendere conto del carattere diversificato del campo sociale e del sistema di potere in cui si costituisce, grazie al lavoro dell'inconscio, l'identità e la sessuazione dei soggetti. Technologies of Gender, un celebre saggio di de Lauretis della seconda metà degli anni ottanta, interviene a definire teoricamente tale passaggio. Di fronte alla scoperta di un soggetto "in-generato", neologismo della stessa de Lauretis, nel "vissuto delle relazioni di razza e di classe, oltreché di sesso; un soggetto quindi non unificato ma multiplo, non solo diviso ma contraddetto", si rende necessaria l'elaborazione di un concetto di genere sciolto dal legame di mutua inclusione con quello di differenza sessuale. Riprendendo l'ultimo Foucault e le sue analisi della sessualità come "tecnologia del sesso", de Lauretis propone di considerare il genere come "il prodotto di varie tecnologie sociali, per esempio il cinema, e di discorsi istituzionali, epistemologie e pratiche critiche, nonché di pratiche della vita quotidiana". In tal senso il genere, e la sua elaborazione della sessualità, non vanno intesi come una "proprietà dei corpi o qualcosa che esiste in origine negli esseri umani", ma come l'effetto di una complessa "tecnologia politica", governata dalla macroistituzione dell'eterosessualità, che agisce mediante le disposizioni inconsce della psiche. Nel saggio conclusivo di Soggetti eccentrici, la pensatrice sintetizza con un'espressione efficace questo passaggio. Scrive de Lauretis: "In breve, possiamo divenire soggetti solo in quanto siamo corpi, ma se ci sentiamo un corpo in-generato è solo in quanto siamo soggetti".

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 37

7.3. Rosi Braidotti, Soggetto "nomade" per un'Europa postnazionale


L'attraversamento dei confini, interni ed esterni, è al centro della proposta del femminismo nomade di Rosi Braidotti , pensatrice di origine italiana che, dopo aver studiato in diversi paesi e contesti linguistici e culturali, da alcuni anni vive e lavora in Olanda.

Rosi Braidotti esordisce nel dibattito filosofico femminista con Dissonanze, uno dei primi testi volti a "cartografare" l'effetto dell'irruzione della riflessione femminista nella filosofia contemporanea, indagando i punti di contatto - e le ragioni di "dissonanza" - tra la crisi della ratio filosofica e del Soggetto proclamata nella filosofia contemporanea - in particolare nella filosofia francese con Foucault, Derrida, Deleuze - e l'esplorazione della soggettività nel femminismo contemporaneo. Il percorso si snoda dapprima attraverso la filosofia francese contemporanea, che ha posto in vari modi l'enfasi sulla differenza, per giungere alla considerazione di quelle "filosofie radicali della differenza sessuale" - tra le quali Braidotti colloca la riflessione di Luce Irigaray, Julia Kristeva , Monique Wittig e Teresa de Lauretis dove la critica dei paradigmi dominanti della razionalità occidentale si accompagna alla "rivendicazione di una specificità femminile nei termini di una soggettività politica ed epistemologica". In questa lettura, il pensiero della differenza sessuale, come lo intende Braidotti, fa capo a una pluralità di posizioni senza offrire nessuna sintesi finale, a una molteplicità irriducibile di pratiche discorsive dove la sovversione dell'ordine del discorso si incarna nel Desiderio del divenire-soggetti differenti, multipli e mobili ma non per questo meno capaci di tessere legami. In tal senso, già nelle conclusioni di quel primo lavoro, Braidotti riprende da Deleuze la metafora del nomadismo per raffigurare la rivoluzione del modo di pensare rappresentata dall'irruzione del pensiero della differenza sessuale, nell'accezione ampia del termine da lei proposta, nella riflessione filosofica contemporanea sulla crisi della razionalità, del soggetto, dell'Uomo.

All'esplicazione di tale figura è dedicato Soggetto nomade del 1995, testo riedito e aggiornato in Nuovi soggetti nomadi. Pensatrice particolarmente attenta alle questioni etico-politiche, Braidotti ha avviato negli ultimi anni una riflessione sull'identità europea, chiedendosi quale contributo potrebbe offrire il punto di vista di un soggetto nomade europeo per pensare l'identità a venire di un'Europa postnazionale. L'urgenza della questione è data dal contesto: da un lato lo sviluppo, che ha tutta l'incertezza ma anche le potenzialità di una scommessa, dell'Unione Europea; dall'altro, la constatazione di come, in parallelo al processo di integrazione economica transnazionale e di libera circolazione delle merci e dei capitali, si stia edificando una specie di "Fortezza Europa" basata sul rafforzamento di confini materiali e simbolici, interni ed esterni, come attestano le diverse politiche nazionali europee sull'immigrazione, e sulla crescita di popolarità, dall'Ovest all'Est, dal Nord al Sud, di tentazioni xenofobe e razziste.

In tale contesto storico-sociale, Braidotti ritiene fondamentale inaugurare un'ampia riflessione su cosa possa significare divenire europei posteuropei, mettendo in gioco le prospettive teoriche e politiche elaborate dal pensiero femminista. Nella configurazione di una nuova forma di cittadinanza, è indispensabile muovere dalla considerazione del proprio essere situati, della propria "collocazione". Ciò comporta, da un lato, che si riconosca la parzialità del proprio punto di vista, dislocandosi dalle pretese universalistiche della razionalità eurocentrica, e, dall'altro, che ci si assuma la responsabilità per un divenire che non dipende in modo "deterministico" da ciò che è accaduto, ma si svolge nella contingenza dell'agire e delle scelte compiute dagli attori in campo. La collocazione proposta da Braidotti muove ad esempio dalla ricognizione delle origini storiche del progetto dell'Unione Europea e dal divenire-periferia, nel corso del 1990, dell'Europa nel "sistema mondo". Braidotti ricorda come tra gli ideatori dell'Unione Europea del dopoguerra fosse esplicito il legame tra la nascita della nuova Europa e l'adozione del punto di vista degli ebrei della diaspora europea che la ferocia dei nazionalismi aveva tentato di cancellare. Se deve ritrovare una radice, l'identità europea la può riconoscere nel fatto di essere stata teatro di incontro e ibridazione di genti, culture e religioni diverse, e anche di conflitti sanguinosi in nome della "Nazione" che non si dovrebbero e vorrebbero ripetere, anche se proprio alla fine del XX secolo si sono tragicamente ripetuti con le guerre nell'ex Jugoslavia. Da qui l'esigenza di contrapporsi a ogni configurazione di tipo "essenzialistico", pur nella versione "culturalista", dell'identità europea.

Al contrario, proprio prendendo le mosse dal riconoscimento della pluralità e mobilità culturale di cui l'Europa è stata teatro, si rende possibile progettare forme di identità europea a partire dall'incontro di genti in movimento e dall'ibridazione culturale. In questa direzione, Braidotti ritiene fondamentale prevedere forme di cittadinanza flessibile e personale. Innanzitutto occorre riconoscere come i migranti provenienti da paesi non europei contribuiscano a tutti gli effetti alla formazione dell'identità in divenire dell'Europa - oltre che con ogni evidenza all'economia -, così come vi contribuiscono in modo decisivo tutte le persone che errano, nella migrazione interna allo spazio europeo, da Ovest a Est, da Sud a Nord, alla ricerca di migliori condizioni di vita e di lavoro. Perché se, citando Hannah Arendt, il diritto fondamentale della persona umana è "il diritto ad avere diritti", solo il pieno riconoscimento della cittadinanza, giuridica e culturale, può assicurarlo, impedendo di consegnare le persone allo statuto di "utilizzabili", cose superflue, corpi che "non contano" e che possono pertanto venire espulsi, rinchiusi ed eliminati.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 40

8. Costruzione delle identità e classificazione dei corpi: l'analisi biopolitica di Judith Butler


L'indagine della matrice politica dell'ontologia dei corpi umani è al centro della riflessione di Judith Butler , filosofa statunitense che si è affermata nel dibattito filosofico-politico contemporaneo sia a livello internazionale, sia più specificatamente in Italia.

Studiosa di Hegel, tra Stati Uniti ed Europa, come lei stessa racconta, Butler dedica il suo primo lavoro di carattere accademico alla ricezione di Hegel nella filosofia francese contemporanea. Militante attiva, all'epoca della sua formazione filosofica (gli anni ottanta) del movimento gay e lesbico statunitense, Butler si afferma sulla scena internazionale con Gender Trouble (1990), un testo che suscita scalpore e che, oltre ogni aspettativa dell'autrice, ha un'immediata risonanza, dando luogo a un coro di reazioni e anche a non pochi fraintendimenti, per quanto in un certo senso "fecondi". Il testo si presenta come una disamina critica delle relazioni che intercorrono tra sesso, genere e orientamento sessuale nella costruzione delle identità dei corpi sessuati, nella quale risultano centrali il confronto, che funge da leva iniziale, con la critica dell'identità e del soggetto condotta da Beauvoir, Irigaray e Monique Wittig, la rielaborazione delle indagini foucaultiane sulla sessualità e sulla "biopolitica", l'analisi critica di alcuni testi di Freud, Lacan e Lévi-Strauss e la riflessione sulle pratiche di sovversione, in modo particolare quelle del drag e del travestitismo, poste in atto dalle comunità gay e lesbiche statunitensi degli anni ottanta. In sintesi, in quel testo Butler riprende e riformula la critica del soggetto e del sistema binario di Beauvoir e Irigaray domandandosi quali configurazioni di potere siano responsabili della costruzione di un Soggetto e di un Altro asimmetrici, di un maschile e di un femminile posti in opposizione binaria. L'ipotesi proposta e articolata nel corso del testo è che tali configurazioni o istituzioni sociali e culturali che agiscono nella formazione dell'identità sessuata, fondando una continuità apparentemente incontestabile tra sesso, genere e orientamento sessuale, siano il fallologocentrismo e l'eterosessualità obbligatoria. In termini più semplici: responsabile di quel dualismo dei generi, maschile e femminile, che diventa l'unica chiave per rendere intelligibili, e classificabili, i corpi sessuati è l'eterosessualità obbligatoria del desiderio, funzionale e complementare al fallologocentrismo. Ciò risulta evidente nella forza con cui, anche e nonostante la critica di "genere" che ha contribuito a mettere in evidenza una discontinuità tra sesso e genere, persiste, anche in molte correnti del femminismo contemporaneo, una visione "sostanzialistica" e dualistica del sesso che riflette un inespugnabile dualismo dei generi. Ma se scindiamo il genere dal sesso, perché non ammettere una pluralità di generi e/o una proliferazione di identità sessuate ove i confini tra biologico, simbolico, culturale risultano in effetti molto più troubled di quanto i regimi del discorso vorrebbero far credere? Non potrebbe il sesso stesso, si chiede allora Butler, risultare costruito attraverso il genere che lo crea come prediscorsivo? In effetti, secondo Butler, il genere va ripensato al di fuori della "metafisica della sostanza", rifiutando ogni visione "fondazionale" dell'identità, pervenendo a riconoscere, riprendendo alcuni spunti dalla critica di Nietzsche alle illusioni della morale e della metafisica, come non esista alcun essere al di sotto del fare, dell'agire, del divenire. Pertanto, ne conclude Butler: "Non vi è alcuna identità di genere al di sotto delle espressioni del genere; quell'identità è performativamente costituita dalle stesse 'espressioni' che, si dice, ne sono il risultato".

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 43

9. Genere, classe, multiculturalismo: il ripensamento della giustizia e l'esame delle politiche democratiche in Nancy Fraser e Seyla Benhabib


L'irruzione sulla scena politica democratica, almeno a partire dagli anni settanta, di movimenti fondati tutti in qualche modo su una rivendicazione di "riconoscimento" e sulla contestazione delle forme di ingiustizia e di oppressione inscritte negli assetti "democratici" delle società contemporanee, ha aperto nella filosofia un grande cantiere di ripensamento dei fondamenti della democrazia e dei modelli di giustizia a essa sottesi, avviando un dibattito, spesso vivace e non privo di controversie, tra filosofi di diversa provenienza. Tra loro, in ambito europeo, spicca Axel Honneth , uno dei più giovani e illustri eredi della cosiddetta Scuola di Francoforte. Riprendendo il progetto originario dei fondatori dell'Istituto per la ricerca sociale di una teoria critica della società - che metta insieme riflessione teorico-filosofica, ricerca sociologica e analisi politica -, Honneth propone una revisione, in funzione critica e normativa, del paradigma della giustizia sociale e politica. In tale revisione, l'asse della definizione della giustizia viene spostato dalla redistribuzione, dominante nel modello dell'ugualitarismo socialdemocratico e liberaldemocratico nei decenni successivi al secondo dopoguerra, al riconoscimento, centrato sulle rivendicazioni avanzate dai movimenti politici contemporanei, che fanno emergere forme di oppressione e di ingiustizia non riducibili all'analisi di classe della critica marxista classica. Il problema della giustizia nella democrazia contemporanea ha dato luogo in anni recenti al confronto tra Honneth e Nancy Fraser , filosofa femminista che ha elaborato una teoria della giustizia e della democrazia coniugando e incrociando, per così dire, una prospettiva marxista e una critica femminista postmoderna.

Pur muovendo da una premessa condivisa, ovvero il rifiuto dell'economicismo di un certo marxismo (che riduce la giustizia all'esigenza della redistribuzione materiale dei beni), Honneth e Fraser propongono due elaborazioni della giustizia che differiscono tra loro per il modo in cui concepiscono l'articolazione tra redistribuzione e riconoscimento. Se il primo sostiene una concezione "monodimensionale della giustizia come riconoscimento" in base alla quale "l'ideale socialista della redistribuzione appare come una sottovarietà della lotta per il riconoscimento", la seconda propone un "dualismo di prospettiva" che intenda le due categorie come "dimensioni equifondamentali e reciprocamente irriducibili della giustizia". Secondo Fraser infatti solo in questo modo è possibile raccogliere le istanze di entrambi i tipi senza ridurle una all'altra, senza cioè operare un riduzionismo speculare a quello dell'economicismo. L'analisi del capitalismo nell'era del postfordismo e della globalizzazione pone infatti in luce come l'esigenza di redistribuire le risorse, dal Nord al Sud del mondo, dai ricchi ai poveri, sia ben lungi dall'esaurirsi. In tal senso, Fraser sostiene che "solo un quadro teorico che integri le due prospettive, analiticamente distinte, della distribuzione e del riconoscimento può cogliere la connessione tra disuguaglianza di classe e gerarchia di status nella società contemporanea. Il risultato è un resoconto in base al quale la maldistribuzione è collegata al misconoscimento, ma non può essere ridotta a quest'ultimo".

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 47

10. La critica della ragione postcoloniale di Gayatri Chakravorty Spivak


Tra le analisi critiche delle ambivalenze della democrazia, del multiculturalismo e dello stesso femminismo occidentale nell'età del capitalismo globale, finanziario e transnazionale, spicca per radicalità e acutezza la riflessione della filosofa femminista di origine indiana-bengalese Gayatri Chakravorty Spivak. Pensatrice dalle molteplici "provenienze" — dai Subaltern Studies e dalla costellazione del marxismo postcoloniale, alla filosofia di Derrida —, Spivak vive tra gli Stati Uniti, dove insegna alla Columbia University, e l'India, dove da molti anni si dedica alla formazione di maestri nelle comunità aborigene del Bengala occidentale. Si è affermata nel dibattito internazionale con un celebre scritto, significativamente intitolato Can the Subaltern Speak?, ripreso e rielaborato all'interno del ponderoso volume intitolato Critica della ragione postcoloniale.

Per caratterizzare il senso generale del suo libro, attualmente considerato una delle pietre miliari del pensiero postcoloniale, Spivak dichiara nella prefazione di aver voluto intraprendere una critica — in un'accezione del termine che si richiama a Kant, in prima istanza, ma anche a Hegel e soprattutto a Marx —, nel senso di un esame delle "strutture della produzione della ragione postcoloniale".

In tale direzione, il testo si propone come ricognizione, a carattere decostruttivo, delle "tracce" di quel particolare "soggetto" che Spivak definisce "Informante Nativo" nelle "pratiche" responsabili della sua produzione. Ma chi è, innanzitutto, l'Informante Nativo? Il termine risale all'antropologia culturale, una scienza che, nel suo sorgere, accompagna il colonialismo e contribuisce in modo essenziale a costruire, confermare e rafforzare lo sguardo coloniale. In senso generale, l'Informante Nativo va inteso come quella figura eletta a rappresentazione della "cultura" di un determinato popolo e/o "etnia". Tale "cultura", per lo più pensata come un sistema unitario e totalizzante, viene contrapposta alla razionalità europea e/o occidentale intesa come misura di ciò che si può definire "umano" e che viene chiamata all'occorrenza in causa per promuovere una "necessaria" opera di modernizzazione e di "umanizzazione". Al di là dell'uso specifico del termine nell'antropologia, che nel corso della sua storia l'ha ampiamente sottoposto a critica e revisione, la figura dell'Informante Nativo può venire eletta come emblematica del modo in cui la modernità europea e occidentale prima, durante e dopo il colonialismo costruisce la propria autorappresentazione e autocelebrazione mediante e grazie alla produzione di Altri/e che vengono in diversi modi a occupare lo spazio di un "fuori" costitutivo del "dentro".

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 50

11. Questa antologia


Questa antologia si inserisce in una collana di antologie, a carattere introduttivo, dedicate a singoli pensatori e pensatrici (Foucault, Arendt, Marx). In questo caso viene presentato un tema, quello dell'incontro tra femminismo e filosofia, considerato attraverso il prisma della riflessione sulla questione del soggetto, cui partecipa una vasta costellazione di pensatrici.

È quindi importante esplicitare i criteri delimitanti adottati nella scelta antologica. Per prima cosa, è un'antologia "situata". È situata nel contesto italiano e, in modo più contingente, all'interno di una collana che ha in parte una connotazione "archivistica". Ciò significa che la selezione dei testi è avvenuta tra testi già pubblicati in italiano (l'unica eccezione è il saggio di Françoise Collin , cui è dedicata una specifica introduzione), che sono già divenuti in qualche modo dei classici del pensiero filosofico femminista contemporaneo. Va inoltre sottolineato come, pur considerando in buona parte pensatrici di formazione prevalentemente filosofica, siano presenti nella selezione, per i contributi da loro forniti nella riflessione sul tema considerato, anche pensatrici di formazione meno specificamente filosofica. Ciò del resto è coerente con il carattere intenzionalmente transdisciplinare degli studi delle donne e di genere.

Scegliendo di percorrere la riflessione femminista sul soggetto ci si è in ogni caso attenuti in qualche modo a un canone che si è venuto formando nel corso degli ultimi decenni, come attestano alcuni dei testi selezionati, pur non essendo tale canone "fisso" ma fatto e disfatto costantemente. Il carattere "situato" del volume si rivela anche nella scelta di iniziare dalla presentazione del pensiero della differenza francese e italiano, per poi attuare un dislocamento verso altri modi di esplorare la differenza sessuale. L'intento è proprio quello di mostrare la pluralità delle voci, non sempre necessariamente consonanti. Tale pluralità e le diverse modalità secondo cui intendere la differenza valgono, è importante sottolinearlo, anche per lo stesso pensiero della differenza italiano che non ha un'unica fonte e soprattutto non ha un unico sviluppo o una direzione privilegiata. È in tal senso che in questa introduzione si è scelto di enfatizzare la figura del Soggetto Imprevisto delineata da Carla Lonzi, in quanto particolarmente adatta a immaginare e prefigurare il carattere imprevedibile degli sviluppi dell'esplorazione delle soggettività femminili-femministe.

Tuttavia, anche con queste precisazioni, la scelta non può non risultare parziale, considerata anche la vitalità, negli ultimi anni, delle pubblicazioni italiane - tra le quali vanno annoverate molte nuove traduzioni - sui temi trattati. Di tale vitalità si è cercato di rendere almeno in parte conto nelle note, senza troppo appesantire un'introduzione il cui intento è quello offrire una contestualizzazione ai testi antologizzati provando a districare alcuni dei "grovigli" che attraversano la riflessione femminista sul soggetto.

| << |  <  |