Copertina
Autore Bernard Moitessier
Titolo Tamata e l'alleanza
SottotitoloL'autobiografia di un grande navigatore
EdizioneIncontri Nautici, Roma, 1994 [1993]
TraduttoreLuciano Ladavas, Maria Luisa Spaziani
LettoreRenato di Stefano, 1995
Classe mare , viaggi
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Pagina 7

Capitolo I


A Quei tempi il Vietnam si chiamava Indocina. I miei genitori avevano lasciato la Francia, giovani sposi, attratti dal richiamo delle terre lontane. Dapprima si erano imbarcati per il Madagascar, mio padre con il diploma della Scuola Superiore di Commercio, mia madre con i nuovi pennelli e i colori delle Belle Arti... e me, embrione inconsapevole, rannicchiato nel suo ventre.

Ma il Madagascar non li aveva sedotti. Si spinsero più lontano, fino al Paese delle risaie e delle sterminate pianure di giunchi, con quel fiume così largo che ti sembra di essere in riva al mare, e che una volta l'anno, nella stagione delle piogge, feconda la terra con le sue grandi piene.

Paese di colline e di montagne, dalle foreste così vaste che ci si può camminare fuori dal tempo per settimane intere, ascoltando unicamente le voci della giungla che parlano ai sensi, impregnata com'è di quell'odore di humus che viene dai primordi della vita e che ti scende giù nelle viscere.

Paese di fate, di draghi e di dèi, con pagode dappertutto e una città immensa, tutta fatta di templi giganteschi, inghiottita dalla giungla. Paese dall'indole vergine, ma carico della cultura passata e presente di un popolo. Paese di sogno, dove l'Est e l'Ovest potrebbero arrivare a incontrarsi, forse, attraverso modi di vita più ampi, più profondi e ricchi.

I miei genitori proseguirono il loro viaggio fino all'Indocina, dove io nacqui alcune settimane dopo l'arrivo. Mia madre, e la mia balia cinese mi cantavano ninnenanne dei loro Paesi natali, con gli stessi draghi acquattati nei recessi più segreti di quelle due culture tanto diverse. Ma erano proprio gli stessi draghi che bisognava un giorno imparare a combattere.

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Pagina 57

Non è di questo che voglio parlargli. Ma come intavolare la vera questione...? Adesso non si tratta più di un aumento, l'ho capito finalmente. Conto già le mie piastre, e con un aumento le conterei ancora di più. Guardo il muro, lo sguardo fisso nel vuoto. Mi schiarisco la gola, sto per aprire bocca. Mio padre s'è rituffato in un'altra colonna di somme. Ed eccolo chiuso di nuovo nel suo mondo, a mille anni-luce dal mio.

Devo decidermi, tentare una spiegazione, accennare almeno a ciò che lui si rifiuterà comunque di capire. Ma io, io l'ho capito. Ed è proprio di me che si tratta. Il mondo è pieno di persone che sognano contando le loro piastre, senza nemmeno guardare che cosa ci sia dall'altra parte delle piastre. Sperano d'averne di più, ancora, ancora e sempre più. Non vedono che la trappola si richiude lentamente su di loro e le loro piastre. E a forza di aver temuto le vacche magre, finiscono per farsi divorare dalle vacche grasse. Allora, di colpo, la chiusa si spalanca per me. E non è acqua tiepida che sgorga a fiotti, è tutta la mia angoscia dinanzi alla prospettiva d'una vita senza rilievo, un'esistenza di murato vivo, circoscritta da tonnellate di merci e da botti di vino «Pipistrello».

Mio padre rimane muto di fronte a questa fiumana impetuosa che travolge le sue speranze di vedere il primogenito prendere un giorno il suo posto. Chiude il libro dei conti. Finalmente ascolta. La fiumana continua a riversarsi, adesso più calma, ma più estesa anche: ricopre le pianure dell'Asia con tutti i villaggi, e le foreste, fino al mare. Allora gli racconto di Kim.

Travestito da mendicante indù, vivendo come un mendicante, il piccolo Kim del libro di Kipling era partito da solo sulle strade dell'India, vagabondo alla ventura. Voleva trovare cose nuove, frequentare nuova gente, capire il mondo e diventare uomo. Voglio percorrere a mia volta le strade e i sentieri della mia Indocina, come ha fatto Kim nel suo Paese natale.

- È impossibile, assolutamente impossibile! I giapponesi ti prenderebbero per una spia. Ti farebbero scomparire in men che non si dica.

- Andrò a piedi nudi, indosserò solo un saròng e il mio corpo sarà tinto con noce d'areca. Avrò l'aspetto di un bonzo indù. Mi esprimerò unicamente a gesti, come i muti. Non preoccuparti, ho considerato ogni cosa, è da tempo che ci penso, già da quando lavoravo a Long Than.

Mio padre impallidisce. Riesce a malapena ad articolare le parole.

- Jacky non combina niente a scuola. Françou passa il tempo a scrivere poesie invece di lavorare. Ed ecco che tu, tu stai per diventare pazzo. La tua idea è pura follia... non vivrai nemmeno tre settimane prima di lasciarci definitivamente le penne. Dunque non conosci ancora i giapponesi? Siamo in tempo di guerra, non è tempo di fantasie.

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Stamattina ho levato le due ancore prima dell'alba. Il tempo è buono, questa volta lascio per davvero il mio Paese natale... finalmente la Grande Partenza!

Nella sentina del Marie-Thérèse, zavorrata con pietre, nelle vele gonfie di vento, nello scafo odoroso di foresta, porto il mio villaggio con me. E io so che l'Alleanza è con me.

Per la prima volta in vita mia sono libero, realmente libero. Tutte le mie libertà di prima non erano che piccole libertà strette in una rete di limitazioni, libertà effimere, spesso intense, ma sottomesse sempre alla questione del tempo e a quella degli altri.

Adesso non devo rendere conto a nessuno, non dipendo più da nessuno. Posso andarmene in Malesia o nel Borneo, non ho che da scegliere, posso anche fare a testa e croce per semplificare la cosa. Dalla Malesia potrei proseguire verso il Madagascar, se Singapore non mi piacesse. Potrei perfino tentar di raggiungere Jacky in Guiana. Sono padrone della mia vita su queste nuove ali che mi trasportano così in alto da essere preso talora da vertigine.

Nella scia, all'orizzonte, ecco il tratto azzurrognolo della grande Isola di Phu Quoc che ancora visibile sta svanendo nel mare. Più lontano, dietro Phu Quoc, la mia Indocina che lascio per sempre... forse. Un "forse" che non contiene né una vera promessa, né un vero rifiuto. Un "forse" carico d'interrogativi e abitato da anime erranti che vogliono che ci si ricordi, che esigono che il passato non venga completamente cancellato, per contribuire un giorno a far sbocciare tra gli uomini e tra i popoli più amicizia, più tolleranza e più generosità.

Che pace in mare, solo con la mia barca che corre sull'acqua calma verso la Malesia, spinta in poppa dal Monsone di Nord Est. Ho trovato finalmente l'esatta regolazione della barra, la rotta è bella dritta; è magnifico potermi riposare, cucinare, crogiolarmi al sole in coperta contemplando il mare, sognare insieme al Marie-Thérèse che mi porta verso i misteri dell'ignoto.

Sono vivo, sono ben vivo e penso alla morte di Abadie che avrebbe dovuto essere anche la mia. Per sei mesi avevo trascorso ogni fine settimana accanto a lui e Alyette. Poi una volta, una domenica, un allenamento notturno di pallanuoto per un incontro importante mi trattenne in piscina. E la sorte scelse proprio quella notte per mandare i Servizi Segreti del Viet-Minh ad ammazzare Abadie e un suo amico che passava per caso da lui e per ridurre in fin di vita Alyette. L'indomani all'obitorio, davanti ad Abadie, ho capito che ormai dovevo pensare seriamente ad abbandonare questo Paese.

Il sole splende alto in cielo, il vento di Nord Est accarezza le vele del Marie-Thérèse facendo canterellare il bordo della trinchetta come se fosse viva. E io sono convinto che viva davvero, proprio come vive la mia barca. Ma quanti morti vedo ancora sorgere dalla schiuma della scia...

Linares è morto...

Il padre di Phuoc è morto...

Il padre di Hao è morto...

Xaï è morto...

Derck è morto...

Xian è morto...

Abadie è morto ...

Baï-Ma e Françou sono morti...

Tutti morti in una guerra iniziata con l'uomo, una guerra scoppiata prima ancora che l'uomo uscisse dalle caverne. Sullo Snark, Deshumeurs e io avevamo concluso, una volta per tutte, che ciò fa parte delle calamità contro le quali nessuno può fare nulla, come i tifoni, come la siccità e le alluvioni. Ora che ho ventisette anni e che sono solo con me stesso a riflettere, non riesco più ad accettare che la guerra sia una fatalità senza rimedio. Mia madre sosteneva che sono state soprattutto la Francia e l'Inghilterra a creare Hitler, e non unicamente il popolo tedesco come vogliono farci credere. E rievocava il Discorso della Montagna, nel quale Cristo pronuncia le parole che avrebbero potuto evitare il dilagare di questa mostruosità, se soltanto avessimo orecchie per intendere. Abadie scuoteva la testa, ma comincio a intuire che mia madre era meno cieca di quanto io credessi.

Quaranta milioni di morti, solo nella seconda guerra mondiale "ufficiale", quasi la popolazione della Francia, circa quella dell'Indocina. Provo a immaginare quaranta milioni di tombe scavate una accanto all'altra.

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Riconosco che tutto ciò può apparire nebuloso. Presenterò allora molto semplicemente i pezzi della scacchiera. Questo permetterà di capire meglio come io abbia tentato di dar fuoco alle polveri.

Da un lato della scacchiera, il Papa. Egli simboleggia nel mio cuore la fiammella di spiritualità, quasi agonizzante, che tuttora sussiste in Occidente. Un Occidente "cristiano" che non esita a fabbricare armi per attizzare guerre nel Terzo Mondo, al fine di fare girare un Sistema da cui è scomparso il senso del Sacro. Un Occidente "cristiano" che scientemente manda in rovina i Paesi poveri, con lo scopo essenziale di consolidare il proprio benessere materiale. Una "cristianità" uscita dallo stupendo Discorso della Montagna fatto agli uomini duemila anni fa, messaggio di grandissima speranza che giungeva al cielo... e che noi abbiamo trasformato in una gigantesca truffa morale, sostenuta dai nostri mercanti e dalle nostre mitragliatrici.

Dall'altro lato della scacchiera, gli Amici della Terra. Simboleggiano nella mia mente una diffida rivolta dal semplice buon senso al Regno della Vergogna, quell'Occidente cieco e folle, guidato dal principio che «qualsiasi colpo è permesso purché sia legale». Un Occidente il cui livello mentale e spirituale raggiunge, a volte, appena, appena la cima di una margheritina. Una civiltà in grado di trasformare il mondo, e che deve assolutamente cercare una via nuova in quota, per non finire nel buco nero di una catastrofe a un tempo ecologica, esistenziale e morale.

Mettendo tra il Papa e gli Amici della Terra il terzo simbolo, quello della rinuncia alla mia sicurezza materiale, tentavo la straordinaria scommessa di uno scacco matto a tutto il nostro sistema politico, economico e morale. Uno scacco matto che forse avrebbe scosso la coscienza dell'Occidente, avrebbe fatto cadere le maschere, e sarebbe sfociato in una specie di rivoluzione culturale... nientemeno!

Come si vede, miravo decisamente a giocare il tutto per tutto. Senza complessi! E il più bello è che questa storia stava in piedi - non sto scherzando, il colpo era possibile: se il Papa avesse accettato i miei diritti d'autore, gli Amici della Terra gli avrebbero chiesto pubblicamente sulla stampa come intendesse utilizzarli per «contribuire a ricostruire il mondo»; se invece il Papa avesse rifiutato quei soldi, gli Amici della Terra gli avrebbero domandato il perché.

Così, in un caso o nell'altro, non vi sarebbero state scappatoie, il Vaticano si sarebbe visto costretto a fornire delle spiegazioni intelligibili. Non in un ristretto gruppo e con un linguaggio sibillino, ma alla luce del sole, davanti a tutti.

Davanti ai mezzi di comunicazione di massa... la cui missione fondamentale è di stanare la verità, e di dirla. Per coscienza professionale. Per coscienza, semplicemente. Senza preoccuparsi di sapere a chi la verità possa piacere.

Ai miei occhi il messaggio di Cristo è quanto abbiamo ricevuto di più grande e di più bello dall'inizio del mondo. Non era dunque con la religione (o con le religioni) che me la prendevo, ma con i falsi valori dell'Occidente. Volevo una chiara risposta a questa domanda: «Siamo noi tutti, sì o no, un'accozzaglia di Scimmiette e di Porci? Il piatto pieno e le comodità a qualunque prezzo sono, sì o no, il nostro primo obiettivo?».

Visto che la risposta non dà adito a nessun dubbio per chi sia tanto onesto da guardare in faccia la realtà, una seconda domanda essenziale derivava dalla prima: «Siamo obbligati a restare dei Porci e delle Scimmiette? Abbiamo l'intenzione di prendere forma umana?».

In cambio della sicurezza materiale a cui avevo voltato le spalle, volevo semplicemente una risposta a quelle due domande sul senso della vita. E volevo che il dibattito avvenisse sulla pubblica piazza.

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